domenica 19 luglio 2015

Metodologia per l'insegnamento del greco e del latino, parte XXVII

Massimo Cacciari

Cacciari: Paideia è connessa a parresia. Questa distingue il greco dal barbaro e l’uomo libero dal servo. Lo Ione e le Fenicie di Euripide.  Critica della parresia: Arriano nell’Anabasi di Alessandro biasima quella di Callistene

Su ciascun autore non è mai stata detta l'ultima parola e lo studioso non deve essere solo il ripetitore pedissequo di teorie altrui. "La scuola, i luoghi della formazione, della Bildung, hanno continuato malgrado tutto a essere centri di critica, di discussione, di confronto tra tendenze diverse, di interrogazione"[1]. La critica dei ragazzi deve avere la possibilità di colpire anche i docenti: all'allievo va lasciata piena libertà di parola. Sentiamo ancora Cacciari: " Paideia è ab origine connessa a parresia. Se viene meno la parola libera - e la parola può cessare di essere libera soltanto per 'autocensura' -, la parola che intende discutere ogni presupposto e ogni 'stato', non vi è più scuola, ma, per dirla con Nietzsche, "produzione di impiegati", se va bene di "impiegati intelligenti"[2].
Parrhsiva potrebbe essere scelta come parola chiave e considerata a partire dallo Ione[3] di Euripide dove il protagonista esprime il desiderio di ereditare da una madre ateniese questo privilegio, recandosi ad Atene, poiché lo straniero che piomba in quella città, anche se a parole diventa cittadino, ha schiava la bocca senza la libertà di parola ("tov ge stovma-dou'lon pevpatai[4] koujk e[cei parrhsivan", vv. 674-675).
 Analogo concetto si trova nelle Fenicie[5] quando Polinice risponde alla madre sulla cosa più odiosa per l'esule: " e{n me;n mevgiston, oujk e[cei parrhsivan" (v. 391), una soprattutto, che non ha libertà di parola.
Infatti, conferma Giocasta, è cosa da schiavo non dire quello che si pensa.
"La parresìa è l'elemento che il Greco avverte come ciò che massimamente lo distingue dal barbaro. L'esule soffre della perdita della parresìa come della mancanza del bene più grande (Euripide, Fenicie, 391). Inutile ricordare che il valore della parresìa svolgerà un ruolo decisivo nell'Annuncio neo-testamentario. E dunque entrambe le componenti della cultura europea vi trovano fondamento"[6].
Nella Lettera agli Efesini, Paolo scrive che Dio ha attuato il suo disegno eterno in Cristo “ ejn w̃/ e[comen th;n parrhsivan kai; prosagwghvn ejn pepoiqhvsei dia; th̃ς pivstewς aujtoũ (3, 12), nel quale abbiamo la libertà e l’accesso nella sicurezza per la fede in lui.
Nella Lettera agli Ebrei, Paolo scrive che dopo Cristo il gran sacerdote che può simpatizzare con noi nelle nostre infermità, possiamo accostarci con libertà al trono della grazia-prosercwvmeqa ou\n meta; parrhsivaς tw̃/ qrovnw/ th̃ς cavritoς, 4, 16) per ottenere misericordia e trovare grazia per essere soccorsi al momento opportuno

Su questa parola chiave gioca Victor Hugo quando riporta queste parole “ingenuamente sublimi” scritte da padre Du Breul nel sedicesimo secolo: “Sono parigino di nascita e parrisiano di lingua, giacché parrhysia in greco significa librtà di parola della quale feci uso anche verso i monsignori cardinali”[7].
Vediamo ora una critica della parresia per rendere problematica anche questa.
Un biasimo della parresia, giudicata fuori luogo, troviamo in Arriano il quale celebra l’impresa e la persona di Alessandro Magno, e pur muovendogli qualche critica, tende a giustificarlo per i suoi atti tirannici. Nell’ Anabasi di Alessandro dunque l’autore accusa di “ajkaivrw/parrhsiva/[8], inopportuna libertà di parola, lo storico Callistene che rifiutò di prostrarsi davanti al re e ne chiarì, invero non ignobilmente, le ragioni.


L’ortodossia è non conoscenza (Orwell). Pensiero unico, monocratismo e monoteismo non sono cose da Greci. I duplici templi e i tanti dèi dell’Edipo re di Sofocle. Galimberti: differenze tra Socrate e Gesù quali figure simboliche di culture diverse. Mazzarino: la logica dei Greci è sempre aperta al contrasto. Coefore 461: " [Arh" [Arei xumbalei', Divka/ Divka. Droysen e l’ esame spregiudicato delle cose. Ancora Galimberti sulla diversità di Cristo da Socrate nell’affrontare la morte

Il giovane non va costretto ad alcun pensiero politico, scorretto o corretto che sia, né deve essere tenuto ad abbracciare alcuna ortodossia.
"Ortodossia significa non pensare, non aver bisogno di pensare. L'ortodossia è non conoscenza"[9].
L' Ortodossia è non conoscenza. Anche a livello culturale: "La storia è mescolanza. Lo stoicismo è presente nel buddismo del re indiano Asoka allo stesso modo che giudaismo e pensiero greco sono nel cristianesimo, e il cristianesimo è ben piantato dentro il cosiddetto pensiero laico, e il liberalismo dentro il marxismo…Poveri ortodossi: la loro scelta di tutori della 'purezza' di un qualunque pensiero entrato nel grande e lutulento fiume della storia è una fatica di Sisifo. Sono tanto patetici quanto i tutori della 'purezza della razza' "[10].
"Un partito, qualsiasi partito è come una di quelle macchine che tengono i macellai per macinare la carne: schiaccia e trita e fa polpette di tutte le teste, le pesta e le sminuzza in un'unica pappa, e trasforma tutti in pecoroni e zucche vuote…i programmi dei partiti, di tutti i partiti, soffocano ogni verità, le verità pulsanti di vita e di giovinezza"[11].
Nell’Antigone Emone avverte il padre dell'errore che fa volendo imporre a tutti i costi il suo potere dispotico: "Dunque non portare in te stesso un solo modo di pensare: cioé che è retto (ojrqw'" e[cein) questo come lo dici tu, e nient'altro (Antigone, vv. 705-706).
il monocratismo non è greco come non lo è il monoteismo fautore di intolleranza. Lo abbiamo detto (16, 8) e lo ripetiamo. Facciamo anzi un paio di esempi tratti da Sofocle. Edipo tiranno si vanta di assegnare personalmente le cariche e i seggi della terra tebana: “gh'~-th'sd’, h|~ ejgw kravth te kai; qrovnou~ nevmw” (Edipo re, v. 237) ; Creonte di tenere in pugno tutto il potere: “ejgw; kravth dh; pavnta kai; qrovnou~ e[cw” (Antigone, v. 173) ; ebbene nell’Edipo re non solo gli dèi sono molteplici (cfr. la Parodo dove sono invocati Zeus, Apollo, Atena, Artemide, Dioniso, mentre viene deprecato Ares), ma una sola dèa, Atena, ha due denominazioni (Cadmea e Onca, cfr. I sette a Tebe, v. 164) e viene pregata in due templi diversi: nel prologo del dramma il popolo sta seduto nelle piazze, davanti ai duplici templi di Pallade (vv. 20-21)
Galimberti mette in rilievo due grandi differenze tra cultura greca e cultura cristiana. La seconda che ha vinto, ha fatto prevalere l’individualismo insieme con il dogmatismo: “la differenza consiste nel fatto che il greco pensa comunitariamente, il cristiano pensa individualmente; perché il primo ha fissato i luoghi della felicità nella comunità, mentre il secondo li ha fissati nell’aldilà, dove ci si salva da soli, non in comunità. La seconda differenza che separa Socrate da Gesù (assumendoli entrambi in termini simbolici, fatte salve entrambe le personalità), è che Socrate abitua le persone a pensare con la loro testa, mentre il cristianesimo, come peraltro tutte le religioni, obbliga all’osservanza di una dottrina già costituita. Il metodo socratico, dove la verità deve uscire dall’anima, è esattamente il contrario della verità cristiana, che secondo l’immagine di San Paolo prevede che l’individuo sia un vaso da riempire[12]”. Abbiamo visto (cap. 26) che S. Mazzarino dà un’altra interpretazione di Socrate che “ha invece bisogno di un punto fermo”. Comunque l’autore di Il pensiero storico classico riconosce alla cultura dei Greci una maggiore disponibilità a considerare e accettare punti di vista diversi tra loro (e di Apollo, il dio degli Alcmeonidi legati al ghénos Eupatrida di Eschilo). Così in Erodoto: c'è la "tirannide" dei Greci nemica di Dike; ma c'è anche la "tirannide" di Deioce[13] per cui i Medi hanno kòsmos ed eun: "La nostra logica è rettilinea, astratta: quella dei Greci è sempre aperta al contrasto. Nell'Oresteia di Eschilo Divka Divkai (xymbaleî) "Dika si scontrerà con Dika"[14]: ci possono essere due Dikai, due Giustizie nel caso dell'Oresteia, quella "matriarcale" di Clitennestra (e delle Erinni, a cui il ghénos di Eschilo non può sacrificare) contro quella "patrilinea" di Oreste omìa, e la "tirannide" di Ciro, dalla quale i Persiani ricevono "libertà", eleutherìa "[15].

Questa logica aperta al contrasto diviene metodica già con i Dissoì lògoi [16], i “Discorsi in contrasto” presenti pure nelle Antilogie perdute di Protagora[17] il quale "fu il primo a sostenere che intorno ad ogni argomento ci sono due asserzioni contrapposte tra loro" come ricorda Diogene Laerzio (9, 51).
Le lezioni dei sofisti “erano particolarmente adatte a esercitare la riflessione, la capacità di osservazione e l’attitudine all’analisi, ossia a sviluppare quella libera vivacità di spirito che è ancora oggi il fine dell’istruzione. I sofisti insegnavano a parlare pro e contro ogni causa, mostrando che solo la chiara intelligenza delle ragioni favorevoli e contrarie assicurava la massima libertà di decisione contro le pretese di un sentimento immediato e inconsapevole. E’ quel che distingue anche oggi la persona colta da quella incolta, la capacità di non rimanere in balìa delle impressioni e di momentanei impulsi arbitrari, bensì di acquistare padronanza di sé e dei propri affari grazie a un’intelligenza lucida e a un esame spregiudicato delle cose”[18].

Sulla grande differenza tra l’insegnamento di Socrate e quello di Gesù è tornato U. Galimberti nel febbraio del 2008 rispondendo a una lettera di un suo allievo in un master in consulenza filosofica dove, ricorda il giovane, il professore di Venezia aveva sostenuto che “l’antico greco non avrebbe avuto bisogno di un ipotetico consulente filosofico intorno alla questione sul senso della vita e sull’accettazione della morte, in quanto non si sarebbe mai posto la domanda”.
Ebbene Galimberti nella risposta mette in rilievo la diversità di Gesù da Socrate quando i due maestri vennero messi a morte. Vediamo come.
“I cristiani non sanno morire. Basti in proposito un confronto tra la morte di Socrate e la morte di Gesù. Dal luogo in cui era stato rinchiuso in attesa della condanna, Socrate è invitato dai discepoli a fuggire. Ma la sua risposta è perentoria: “Vi ho insegnato per tutta la vita a ubbidire alle leggi e voi mi invitate a trasgredirle al termine della mia esistenza. Quello che avevo da insegnarvi ve l’ho comunicato. Il mio ciclo si è concluso”
Non c’è traccia d’angoscia, senso di disperazione, malinconia per una vita giunta alla fine, c’è solo coerenza tra un insegnamento e una vit a. Anche la drammaticità del momento viene asservita alle esigenze dell’insegnamento per renderlo più persuasivo, più efficace. E se il momento è vigilia di morte, lo si affronti con tutta dignità.
“Ma infine, Socrate, dicci in quale modo dobbiamo seppellirti?, incalzano i discepoli. “Come volete”, rispose. E, ridendo tranquillamente, proseguì: “ O amici, io non riesco a convincere Critone che il vero Socrate è quello che ora qui discute con voi e non quello che, da qui a poco, egli vedrà morto” (Fedone 115c-d).
Ma se ora passiamo dal Fedone al Vangelo di Marco che ci descrive la morte di Gesù, leggiamo che i discepoli che lo avevano accompagnato nell’orto del Getsemani s’erano addormentati, mentre Gesù cominciava “a tremare e a esser preso d’angoscia”, tanto che disse loro: “L’anima mia è triste fino alla morte, restate qui e vigilate” (Mc., 14, 34).
A differenza di Socrate, Gesù ha paura, non degli uomini che lo uccideranno, né dei dolori che precederanno la morte, Gesù ha paura della morte in sé, e perciò trema davvero dinanza alla “grande nemica di Dio” e non ha nulla della serenità di Socrate che con calma va incontro alla “grande amica”.
“Abba! Padre, tutto ti è possibile, allontana da me questo calice” (Mc., 14, 36). E’ il calice della morte con cui non è possibile “fare libagioni”. E perciò l’urlo della croce: “Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato? /Eloì, Eloì, lamà sabactani?) ” (Mc., 15, 34) …Poi la scena della morte. Con calma sovrana Socrate beve la cicuta, mentre Gesù emette un grido inarticolato (Mc., 15, 37), una lacerazione. Non è più la morte amica dell’anima, è la morte in tutto il suo orrore. Qui si apre l’abisso tra il pensiero greco da un lato e la concezione cristiana dall’altro. Noi viviamo nell’ambito della tradizione giudaico-cristiana e non sappiamo affrontare la morte se non affidandoci a speranze ultraterrene. Abbiamo un concetto molto alto di noi, meritevoli di immortalità. Ma questa credenza è rivelatrice di una verità o di uno spropositato amor di sé? Perché, nel secondo caso, forse varrebbe la pena di consegnarci con largo anticipo al nostro limite, seguendo la saggezza greca là dove insegna: “Chi conosce il suo limite non teme il destino[19]”.


La libertà degli uomini e la capacità di comandarli come fatto di ejpisthvmh nella Ciropedia Senofonte

Senofonte all'inizio della Ciropedia [20] si pone il problema del bisogno che gli uomini hanno della libertà. Ebbene la specie umana è per natura riottosa: " gli uomini contro nessuno vengono a conflitto più che contro quelli dei quali si accorgono che cercano di dominarli" (I, 1, 2). Subito dopo però aggiunge che, considerando Ciro il Vecchio, il quale si conquistò l'obbedienza di molti popoli e genti, si è costretti ad ammettere che non è impossibile né difficile comandare sugli uomini "a[n ti" ejpistamevnw" tou'to pravtth/ " (I, 1, 3), se uno fa questo sapendolo fare. Insomma è un problema di ejpisthvmh.
Il Socrate di Senofonte dice a Critobulo: le medesime cose per chi sa servirsene sono averi utili, per chi invece non sa servirsene non sono averi utili: "jtaujta; a{ra o[nta tw'/ me;n ejpistamevnw/ crh'sqai aujtw'n eJkavstoi" crhvmatav ejsti, tw'/ de; mh; ejpistamevnw/ ouj crhvmata" (Economico, I, 10) ; così i flauti sono utili per chi li sa suonare bene; per chi non lo sa, non sono niente più che sassi inservibili ("oujde;n ma'llon hj; a[crhstoi livqoi"). Non basta quindi possedere (kekth'sqai) il denaro; bisogna anche sapersene servire (crh'sqai).
Luogo simile in Seneca: “Stulto nulla res opus est (nulla enim re uti scit), sed omnibus eget” (Ep, 9, 14), allo stupido non occorre nulla (infatti non sa fare uso di nessuna cosa), ma sente la mancanza di tutte.

Sul problema della libertà voglio fermarmi, poiché ci riguarda da vicino anche come educatori: dobbiamo e possiamo costringere i ragazzi a studiare quando ne hanno poca voglia?





[1] M. Cacciari, in Di fronte ai classici, p. 22.
[2] M. Cacciari, op. cit., p. 22.
[3] Del 411 a. C.
[4] Forma poetica equivalente a kevkthtai.
[5]Rappresentata poco tempo dopo lo Ione. Tratta la guerra dei Sette contro Tebe.
[6] M. Cacciari, Geofilosofia dell'Europa, p. 21 n. 2.
[7] Notre-Dame de Paris, p. 38.
[8] Arriano, Anabasi di Alessandro, 4, 12, 7.
[9]G. Orwell, 1984 (del 1948), p. 57.
[10] L. Canfora, Il fiume si scava il suo letto, in Noi e gli antichi, p. 98.
[11] H. Ibsen, Un nemico del popolo, atto V.
[12] La lampada di Psiche, p. 25.
[13] Il quale ridusse a unità il popolo dei Medi e lo governò. (Erodoto, Storie, I, 101). Venne scelto come re dotato di potere assoluto poiché era stato capace di porre termine alle ruberie e ai disordini con i suoi giudizi (Erodoto, I, 96 ss.) (ndr)
[14]Coefore 461: " [Arh" [Arei xumbalei', Divka/ Divka".
[15]S. Mazzarino, Il pensiero storico classico, I, p. 175.
[16] " Un testo che può definirsi la formulazione "relativistica" del pensiero dei sofisti…Gli "agoni di discorsi" tucididei echeggiano questa problematica, pur a mezzo secolo di distanza dai Dissoì lògoi… uno scritto sofistico redatto verso il 450 o al più tardi 440" (S. Mazzarino, Il pensiero storico classico, 1 pp. 258 ss.
[17] Nato nella ionica Abdera intorno al 485 a. C., all'incirca coetaneo di Euripide dunque.
[18] J. G. Droysen, Aristofane, p. 194.
[19]La Repubblica delle Donne”, N. 585 del 16 febbraio 2008, p. 338.
[20] In otto libri. Composta probabilmente dopo la rivolta dei satrapi del 362-361. E' una specie di biografia pedagogica in massima parte fantasiosa di Ciro il Grande presentato quale prefigurazione di Ciro il Giovane.. 

1 commento:

  1. Il pensiero unico è confortante perchè non ammette dubbi e incertezze in quanto si basa sulla fede : sulla scelta individuale di rinunciare al libero arbitrio.Giovanna Tocco

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