martedì 30 aprile 2019

Contro la violenza sulle donne



L’amore d’inverno
Mercoledì ventinove novembre, fin dalle prime ore del pomeriggio, su Bologna, dove lunghi sono gli inverni, cadde a bioccoli grandi la neve, che in poco tempo rese canuta la terra.
Ifigenia fece suonare il campanello verso le cinque, quando era già buio; corsi ad aprire il portone,  poiché ero impaziente di fare l’amore; ma, come la vidi, mi fermai stupito, senza toccarla, senza invitarla a entrare, senza dire parola: non avevo mai visto una tale unione di inverno e calore di vita variopinta: i capelli bruni bruni, bagnati, a tratti innevati, le scorrevano giù per le spalle come un ruscello montano cupo di gelide ombre, e aspro di pietre biancastre, facendola rabbrividire, ma gli occhi violacei, lucenti mi versavano addosso una morbida luce che fluiva calda dal cuore. La osservavo in silenzio, mentre i fiocchi larghi continuavano a caderle addosso, evidenziandosi sulle ciocche scure, come sulle chiome perenni degli abeti montani, e trasformando la luminosa ragazza  in una creatura dei boschi: un dolce cerbiatto dalla pelle screziata, oppure una bella baccante che dopo la dolce fatica della corsa sui monti si riassetta la nebride multicolore onorando il dio suo, Bacco, signore della gioia di vivere, della festa lieta, delle grazie tutte, del desiderio. Mentre nella fredda oscurità della notte precoce contemplavo la vivida fiamma della mia giovane amante, mi riempivo e scaldavo di gioia. Dopo qualche momento di stupito silenzio, la ragazza mi sorrise e disse: “posso entrare? Sento un poco di freddo”.
Mi scostai dall’ingresso: Ifigenia entrò senza indugiare e, poiché l’ascensore non funzionava, cominciò a salire i cinque piani di scale spedita, facendo ondeggiare le anche sulle gambe robuste molleggiate dalle caviglie sottili, mentre i piccoli piedi, nella fretta di ascendere i molti gradini di corsa, si appoggiavano e sollevavano con leggerezza, potenza e agilità. Le correvo dietro ammirato e felice. Quando fummo arrivati davanti alla porta dell’appartamento, la aprii con la destra un poco tremante, poi con la sinistra le feci segno di entrare. Ero pieno di desiderio amoroso. Lo sentiva concordemente anche lei, poiché procedette fino alla sponda del mio grande letto dove si svestì con rapide mosse. Mentre, con i vestiti sul pavimento, cadeva la neve, la splendidissima amante mi chiese di spogliarmi subito e di abbracciarla senza i preamboli solitamente graditi: il marito, un tipo per niente amoroso però assai sospettoso e piuttosto manesco, non poteva crederla a spasso nel caos bianconero della notte nevosa, né doveva perciò immaginarsi che passasse il tempo nell’alcova di un uomo: sicché gli era proprio dovuto che la moglie rientrasse non oltre mezz’ora dopo la lezione di yoga, che terminava alle sei e distava un chilometro circa da casa sua. Ci eravamo spogliati.
Il suo corpo statuario incarnava  la dignità forte di Fidia e la morbida grazia  di Prassitele.
 L’abbracciai senza dire parola: il seno  si era già intiepidito, anzi conservava gli odori della terra benedetta dal cielo estivo: pensai che non era il tepore della mia povera casa a renderla così calda e vivace appena si era sottratta all’iniqua, mortificante stagione, ma il suo giovane sangue fervido sotto la pelle ancora abbronzata e profumata dal sole che durante la nuda estate doveva averla baciata con lucida forza amorosa, lasciandole addosso indelebili segni di bellezza, di salute e di gioia. La baciai anche io per succhiare una parte di quel calore; quindi la distesi sul letto inclinando il mio corpo avido, scuro e magro su quello armonioso di lei: ne trassi piacere e voglia di vivere, eppure pensai a quando le sue magnifiche membra, coperte dall’ultima veste, la nera terra, l’avrebbero fatta fiorire di sanguigni papaveri, o di rose rosse, profumate di carne. Previdi i fiori dal colore acceso che promettevano l’eterno ritorno di quel momento felice e di tutta la vita.
Da quell’incontro breve di un pomeriggio nevoso sono sgorgate sorgenti di lucida gioia che mi hanno illuminato per anni e mi hanno insegnato la via del procedere, appunto metodicamente, verso la bellezza naturale e morale delle persone, dell’arte e del cosmo  

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lunedì 29 aprile 2019

Italo Svevo. L'uomo e l'inetto. 2 parte

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La noia spinge alla distruzione.
Secondo Fromm la noia della persona media può essere uno dei motivi che la spingono a desiderare la guerra: “considering that the life of the average person is boring, routinized, and lacking in adventure, the readiness to go to war must be understood as a desire to put an end to the boring routine of daily life - and to throw oneself in to an adventure, the only adventure, in fact, the average person may expect to have in his life” (Erich Fromm, The anatomy of human destructiveness, On the causes of War p. 242)
Salvini sembra spingere verso la guerra civile, la più crudele di tutte le guerre. Ma la sua è anche la più vile: quella dei protetti contro i non protetti da uno Stato che lui sta cercando di rendere incivile e inumano

Alcuni - pensa Balli - sarebbero tornati alla loro vita divenuta però più greve, altri non avrebbero trovato più la quaresima. Ma il proprio pensiero lo annoiava. Sa di scirocco pensò e guardò la luna che poggiava sul monte come su un piedistallo.
Vide un uomo piccolo e tozzo in mezzo a due donne slanciate: una era Angiolina, l’altra certa Giulia, non bella. L’uomo non era il Volpini che era fulvo, ma uno dalla testa veneranda per una grande barba bruna. Pensò di farne una scultura: avrebbe vestito l’uomo in una giubba moderna e avrebbe dato alle donne il riso forte delle baccanti (p. 86)
Donne come Baccanti, Balli come Dioniso, Amalia come Penteo.
Li seguì pensando: ecco un’occupazione originale, farò la spia” Riconobbe nell’uomo barbuto a calvo l’ombrellaio di via Baviera. Pensava che avrebbe raccontato a Emilio l’avventura rendendola tanto ridicola da farlo ridere. Gli occhi di Angiolina crepitavano[5] come se nella loro fiamma qualcosa bruciasse,
II tre si accorgono del Balli e Angiolina si scosta dall’uomo: in mezzo a quella calvizie e a quel pelo, una faccia di cuore contento.
Lato comic0 di Svevo.

 Alla fine del racconto del Simposio platonico solo Agatone, Aristofane e Socrate erano svegli e bevevano. Il filosofo parlando con i due drammaturghi li costrinse ad ammettere che la stessa persona deve saper comporre tragedie e commedie (223d). Quindi il commediografo e il tragediografo si addormentarono.
Socrate invece, seguito da Aristodemo che racconterà questi fatti ad Apollodoro da cui li abbiamo conosciuti in questa narrazione di narrazione, si recò al Liceo dove si lavò e trascorse la giornata. Verso sera finalmente tornò a casa a riposare.

Manda a chiamare Emilio per avvisarlo. L’amico sentì un nodo che gli serrava la gola per il ridicolo che lo colpiva (cfr. ancora Medea)
L’ombrellaio di Barriera vecchia: un mostro in natura perché resta in nero in qualunque luce lo si vegga. Giulia, la maltrattata, dovette contentarsi di un bicchierino di rosolio, mentre Angiolina con grande apparato si fece dare un cioccolate e una grande quantità di focacce (p. 90). Emilio sentì la noia di sé, del Balli e dell’Angiolina. E pensò: “quando sarò solo starò certo meglio di così”. cfr. Seneca e Nietzsche.
Emilio si apposta nei pressi della stazione sperando di incontrare Angiolina e dirle: “addio Angiolina. Io volevo salvarti e tu mi hai deriso” Oppure parole dure: “io sapevo già che eri fatta così. Non mi sorprese affatto. Domandalo al Balli. Addio”.
 Pensò anche di ucciderla e di rimpiangerla.
Progetti privi di senso, di verso, di realtà.
Decise che avrebbe detto che non voleva più baciare dove aveva baciato l’ombrellaio. Era contento di avere preso la decisione che gli togliesse il dubbio che gli annebbiava la mente e si mise a correre. Cadde e si sentì deriso di nuovo. Si morse una mano come un forsennato.
Caduta della volontà e della razionalità, regresso verso l’infanzia
Andò davanti a casa di Angiolina e sedette su un muricciolo e pensò: “Se l’avessi posseduta non soffrirei tanto”, Invece aveva voluto mettere in quella relazione un’idealità che lo aveva reso ridicolo ai propri occhi. Era lui l’individuo strano, l’ammalato, non Angiolina. Torna a casa. Accende la candela. Sentì parlare dalla stanza di Amalia. Diceva “Sì, è proprio quello ch’io voglio” Sognava. La mano cerea era incantevole sulla coperta grigia. Povera Amalia! Sognava lietamente reagendo alla triste realtà. Andò a origliare e sentì che diceva: “In viaggio di nozze tutto è permesso!” Disgraziata! Ella sognava le nozze!” Si vergognò di avere origliato
Si sentì però pacificato, quasi felice. Rotta la relazione con Angiolina, si sarebbe dedicato alla sorella (p. 98).
Viene in mente il II coro dell’Adelchi : “altre infelici dormono,/che il duol consunse, orbate/spose dal brando, e vergini/indarno fidanzate/madri che i nati videro/trafitti impallidir”

La mattina dopo Emilio era sicuro di potere ferire e abbandonare Angiolina. Andò a casa di lei e capì che Ang. Lei si era messa d’accordo con la madre sulle menzogne da dirgli. Sta per adirarsi, ma poi pensò: “Perché disperarsi, perché indignarsi delle leggi di natura? Angiolina era già perduta nel ventre della madre 1009. Essa non meritava rimbrotti. Vittima essa stessa di una legge universale”. Rinasceva in lui l’antico naturalista convinto. La natura è più aristocratica di qualsiasi società feudale fondata sulle caste.
Disse che non l’avrebbe più baciata: sarebbe stato un atto dignitosissimo che avrebbe chiusa quella bassa relazione.
Angiolina disse altre bugie. Emilio ne fu contento: ella era proprio la donna amante convinta di tradimento. Uscì di casa mentre nel volto di lei si vedeva l’angoscia: era stato il maggior dono di lei. Girò per strada in preda all’angoscia anche lui. Incontrò il Sorniani, un importuno che non sapeva nemmeno ascoltare 106. cfr. l’ajkairiva di Teofrasto: l’ a[kairo" è un tale oi|o" capace di avvicinarsu a uno che non ha tempo per fargli confidenze. Invitato a un matrimonio accusa il genere femminile. E invita a passeggio chi è appena tornato da un lungo giro
 Volpini Disse male di Angiolina - si è fatta sbaciucchiare da mezza città 107. Emilio sentiva di amarla.
Aveva punito se stesso (cfr. Terenzio e Gozzano Totò Merumeni un altro inetto
Sentiamo le ultime due strofe:

Così T M , dopo tristi vicende,
quasi è felice. Alterna l’indagine e la rima.
Chiuso in se stesso, medita, s’accresce, esplora, intende
La vita dello spirito che non intese prima

Perché la voce è poca, e l’arte prtediletta
Immensa, perché il Tempo - mentre ch’io parlo! - va,
totò opra in disparte, sorride, e meglio aspetta.
E vive. Un girno è nato. Un giorno morirà

 Tutti l’avevano posseduta meno lui 108.
 Lui era il più deriso. La menzogna era connaturata in quella donna, ma egli voleva possederla. Ma anche lui aveva collaborato alla menzogna volendo vedere in quella donna quanto non c’era.
Cfr. Aspasia di leopardi
Voleva andare da lei ma si disse che una debolezza simile l’avrebbe gettato in sua balia.
Vide il Leardi, un bel giovane biondo e robusto. Emilio voleva che parlasse di Angiolina e capì che era stato un altro amante. Leardi era un imbecille privo di idèe, ma quella sua calma era la vera scienza della vita (113) Cfr la necessaria accettazione del destino.
 E pensò: “l’abbondanza di immagini del mio cervello forma la mia inferiorità” (p. 114). Quando pensava a un tradimento sapeva rappresentarselo con immagini piene di rilievo.
A pranzo trattò male la sorella e ne ebbe rimorso. Dormì, poi voleva studiare, ma tutti i titoli dei suoi libri annunziavano della roba morta (p. 115). Cultura che non è potenziamento della natura
Il Balli gli consiglia di non vederla più. Emilio gli chiese di non avvicinare Angiolina perché lui era ammalato di gelosia. Balli promise. Emilio fece su se stesso dell’ironia che toglieva ogni ridicolo da lui. Egli non trovava nulla di serio nella vita e nella vita priva di qualsiasi contenuto serio diveniva seria e importante anche Angiolina (p. 119). Cfr. i Remedia amoris che possono funzionare anche come Remedia mortis ciè al pensiero della morte
Ovidio fa dipendere l’adulterio dall’ozio e dalla noia:"Quaeritis Aegisthus quare sit factus adulter;/in promptu causa est; desidiosus erat " (Remedia Amoris, vv. 161 - 162), volete sapere perché Egisto divenne adultero? il motivo è a portata di mano: non aveva nulla da fare. Gli altri Greci infatti facevano la guerra e ad Argo non c'erano processi a impegnarlo. Dunque:"Quod potuit, ne nil illic ageretur, amavit " (v. 167), fece quello che poté per non stare là senza far niente: fece l'amore.
Pure Madame Bovary divenne adultera poiché si annoiava:"per lei, ecco, l'esistenza era fredda come un solaio esposto a settentrione, il silenzioso ragno della noia tesseva e ritesseva la tela nell'ombra, in ogni cantuccio del suo animo" (p. 36).


Il Balli lo confortò molto. Emilio aveva una natura mansueta che abbisognava di carezze. A letto però sognava che il Balli lo tradiva. Uscito dall’incubo, sentì Amalia che continuava a vivere la sua seconda vita nel sogno. Chiamava Stefano! Anche costei! - pensò Emilio con amarezza.
 Non riusciva a dormire e ricordava che il Balli vantava i suoi amori e se ne vantava dicendo che gli era mancato solo il successo artistico. Poi fece sogni assurdi: che il Balli si approfittava dell’ingenua Amalia. Lo scultore era diventato apportatore di sventura.
Nel lavoro Emilio non si concentrava ma accarezzava e cullava il proprio dolore. A pranzo con il Balli e la sorella egli vide quanto somigliava a lei: il desiderio di piacere la metteva in un imbarazzo che le toglieva ogni naturalezza. La vide persino aprire la bocca per parlare e poi pentirsi e tacere.
Emilio prova rancore per il Balli. Si inventò che una vecchia parente gli aveva chiesto se era vero che il Balli era il promesso sposo di Amalia. Il Balli ne rise. Emilio disse : a noi non può garbare che si dica questo della povera Amalia. Il Balli si sentiva innocente come un neonato. Pensava che la bruttezza di Amalia avrebbe dovuto salvarlo da ogni sospetto. Capì però che Emilio era geloso di Angiolina. Balli appariva arrabbiato ed Emilio ebbe paura di perdere l’amico. Gli disse dell’amore della sorella che allora al Balli apparve più brutta che mai. La vedeva aggressiva, dimentica del suo aspetto e della sua età. Come doveva stonare l’amore su quella faccia! Aumentò la compassione di Stefano per Emilio. “Disgraziato! Aveva anche da sorvegliare una sorella isterica! La sera a Emilio, mancava Angiolina. Oh gioconda Angiolina! Ella non dava a nessuno dei rimorsi. Nell’altra stanza Amalia sognava ad alta voce.
Emilio percepì chiara e sonora la voce di quell’altra sognatrice e il suo rimorso fu cocentissimo 128

Amalia soffriva in silenzio per l’assenza del Balli. Chiese perché il Balli non andasse più da loro. Emilio disse che doveva lavorare accanitamente. Amalia un giorno capì. Aveva visto Balli sotto casa. Era infelicissima: quegli occhi là non crepitavano. Guardavano le cose con fissità cercandovi le cause di tanto dolore. Emilio le raccontò le proprie pene per consolarla. Poi le chiese E tu? 133
Amalia si adirò e gli fece “il signor Balli ti ha parlato di me”.
 Si sentiva vilipesa 134. Disse non mi saluta neppure! Poi pianse. Poi minaccia di andare via da casa per fare la governante o la serva altrove. Emilio incrocia Angiolina con la madre e passa oltre.
 Balli tornò a casa di Emilio ma dando fredda intonazione al rapporto con Amalia.
 I fratelli andarono a teatro. Il fratello la invitò a La Valchiria. “Ben volentieri - rispose Amalia - Basta che non ti costi troppo.
Emilio protestò: Per una volta tanto” 140. La piccola borghesia pezzente.
L’insieme ardito e granitico della musica di Wagner le sembrava una minaccia 144. La magnifica onda sonora rappresentava il destino di tutti 145. Si identifica con Sieglinde, la sorella amante del fratello Siegmund e messa in salvo dalla valchiria Brunilde dopo l'uccisione di Siegmund
Un accordo di colori e di suoni in cui giaceva l'epico destino di Sieglinda, ma anche, per quanto misero, il suo, la fine di una parte della vita, l'inaridirsi di un virgulto. 145
 E’ il secondo dei quattro drammi che costituiscono L’anello del Nibelungo: L’oro del Reno, La Valchiria (1870), Sigfrido, il Crepuscolo degli dei.
 Emilio cercava la guarigione nell’arte: il suo amore e il suo dolore si sarebbero presto travestiti nel pensiero del genio 145.
Un giorno incontrò per strada Amalia con un vestito azzurro. La disgraziata forse aveva sperato di incontrare il Balli e di piacergli 146 . Come vide il fratello, Amalia fu subito disposta a seguirlo a casa dove ritornò al suo vestito abituale, grigio come la sua figura e il suo destino 146
.Emilio sentiva e si doleva di essere inerte, mentre anni prima l’arte gli aveva colorito la vita sottraendolo all’inerzia.
Cfr. Orazio: strenua nos exercet inertia: (Epistole, 1, 11) ci travaglia un’indolenza agitata, un’agitazione sterile.
Aveva scritto un romanzo che raccontava di un giovane rovinato nell’intelligenza e nella salute da una femmina: un misto di tigre e di donna una mikth; fuvsi" che a volte aveva sentito vivere in sé.
Si rimise a scrivere raccontando la sua storia con Angiolina. Ma abbandonò presto il lavoro. Non si sentiva forte abbastanza per studiare la propria inettitudine e vincerla. Nello scrivere, si sentiva arrugginire il cervello. Emilio era calmo. Poteva fare quello che voleva e non voleva niente. Voleva vedere Angiolina per averne quel calore che non trovava in sé: sperava di vivere il romanzo che non sapeva scrivere (p. 150). Moravia interpretò il suicidio di Pavese come la volontà di creare con quel gesto il mito che non era riuscito a mettere insieme scrivendo
La sola inerzia gli impedì di andare a cercare la fanciulla.
Pensò addirittura che poteva portargliela il Balli.
Angiolina rimaneva importante in una vita priva di significato.
Remedia: “otia si tollas periere Cupidinis arcus”, 139.
Una sera la vide camminare al Giardino pubblico. Teneva sollevate le gonne per preservarle dalla fanghiglia. Vide le scarpe nere di Angiolina. Ne fu subito turbato. Pensò “Mi animerebbe!” Disse buona sera signorina. Era turbato davanti a quella faccia da bambino roseo. Lei rispose lieta e serena: Come sta? E’ tanto che non ci vediamo! Emilio era incerto e forse la sincerità gli sarebbe servita meglio di qualunque finzione. Le rimproverò l’ombrellaio. E lei: geloso di quel sudicio uomo! In effetti, pensò lui, non era il più temibile dei rivali. Emilio la amava di nuovo, Sedettero su un muretto. “Gli mancava il mare. Nel paesaggio umido e grigio imperò la biondezza d’Angiolina, l’unica nota calda, luminosa” (p. 153).

 La donna supplente della luce e del sole, come negli Spettri di Ibsen (1881): Osvald vedeva in Regine una possibile salvezza: “hai visto come cammina, mamma? Non è un piacere guardarla?così bella, soda. Ma sono fratellastri
Anche in questo dramma c’è la mancanza di luce : “Io sono paurosa, pavida, sì, piena di timidezze e paure perché c’è in me, profondamente radicato, qualcosa di oscuro, di spettrale, che mi opprime come un’ossessione, come un incubo da cui non riesco a liberarmi (..) Ah Manders, io credo che tutti noi non siamo nient’altro che degli spettri e tutti noi viviamo nell’ombra timorosi della luce, della chiarezza, della verità”. Parole della madre
Il figlio Osvald invece vorrebbe la luce: “E poi anche questo tempo, questa pioggia che non finisce mai, che è capace di andare avanti per settimane, per mesi, un raggio di sole uno se lo può sognare. Le sue ultime parole sono “il sole, il sole”.

Emilio La baciò e pianse. Tutto si scioglieva, tutto si spiegava. La semplicità come complessità risolta. Lei lo invitò a casa sua e nel tragitto “Emilio si ritrovò intero con i suoi dubbi e la sua diffidenza: “
Se quell’istante l’avesse legato per sempre a quella donna?” 
Come nei romanzi della finis Austriae ogni passo in avanti può farti cadere nell’abisso.
Angiolina parlò del Volpini con la solita ambiguità e con la vecchia serietà da melodramma. Ridiventava simile alla donna che aveva schivato.
Vanno in camera di lei e fanno l’amore ma Emilio”Aveva posseduto la donna che odiava non quella che amava. Oh ingannatrice!”
Uscendo, disse: “Non sognerò mai più” Emilio fu contento di raccontare al Balli l’accaduto. Ma aggiunse: “Ancora adesso vuole truffarmi” E’ rimasta uguale a se stessa. Anche tu, rispose il Balli: non una tua parola denota indifferenza”. Emilio di notte non dormiva. Pensava che ci era ricaduto. Si sentiva pieno di vergogna e di dolore. Aveva paura di essersi compromesso e legato. Temeva che lei volesse “succhiargli lo scarso sangue che aveva nelle vene” (p. 157). Era legato ad Angiolina da una sua strana anomalia, dai sensi e dalla stessa indignazione che attribuiva all’odio.

CONTINUA

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[5] Crepitare è lo scoppiettare della legna sul fuoco. In latino crepitare è risuonare con strepito crepito dentibus Plauto Rudens, la fune, la gomena 356.

domenica 28 aprile 2019

Italo Svevo. L'uomo e l'inetto. 1 parte. Dalla conferenza del 29 aprile 2019

Italo Svevo

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Dalla conferenza del 29 aprile 2019 (biblioteca Scandellara, ore 18,30 - 20) sul tema dell’uomo inetto

Italo Svevo, Senilità 1898 (1892 Una Vita. 1923 La coscienza di Zeno)
Pavese: “Quello che per Svevo è senilità a me pare adolescenza” Il mestiere di vivere, 30 agosto 1938.
L’inettitudine in amore. L’amore come gioco, la donna come giocattolo

Emilio Brentani non intendeva compromettersi in una relazione troppo seria. Dice alla donna che corteggia: mi piaci molto ma nella vita non potrai mai essere più importante di un giocattolo.
Ovidio Ars amatoria III, 809: “Lusus habet finem
Cfr. There is nothing serous in mortality: all is but toys (Macbeth II, 3). Il retore Agamennone nel Satyricon:”nunc pueri in scholis ludunt, iuvenes ridentur in foro”. (4, 4)
I miei doveri sono la mia carriera e la mia famiglia (pretesti per non impegnarsi, non gli riempivano la vita, lo annoiavano o lo angosciavano. Prevale l’egoismo) .
Aveva una sorella non ingombrante che lo accudiva. Aveva meno anni di lui, ma tra i due il giovane, l’egoista era lui. Aveva 35 anni e traversava la vita cauto schivando i pericoli e pure il godimento della vita. Credeva sempre di trovarsi nel periodo di preparazione (rimandava sempre) . Era un impiegatuccio di una società di assicurazioni e aveva una reputazioncella di letterato perché aveva scritto un romanzo lodatissimo dalla stampa cittadina ma stampato su carta cattiva e ingiallito nei magazzini del libraio. Corteggiava una bella ragazza, Angiolina, bionda, alta flessuosa con il volto illuminato dalla vita. Poteva vitalizzare anche lui. Voleva divertirsi senza pericolare, mangiare l’esca senza essere preso dall’amo. Cfr. Kierkegaard Diario del seduttore.
Ha delle notizie da Sorniani, un omino giallo e magro, un gran donnaiolo, e pensò che Angiolina nelle sue mani sarebbe diventata un giocattolo. E ne provò compassione. Parla con l’amico migliore, il Balli, che lo mette in guardia dal pericolo. Ma Brentani replica che ha già l’età e l’esperienza per non correre rischi. Invero egli aveva succhiato dai libri “una gran diffidenza e un gran disprezzo dei propri simili”.

Stefano Balli è l’alter ego, il modello e pure l’antitesi di Emilio Brentani, un poco come Stoltz di Oblomov nel romanzo di Gončarov di cui ci occuperemo più avanti.
Cfr. T. Mann in Tonio Kröger. Leopardi Le ricordanze. Lo studio crea un solco poi un abisso di ironia tra chi studia e chi non studia. Anche nella scuola.

Balli aveva impiegato meglio i suoi 40 anni suonati. Non aveva avuto successo come scultore ma non si era lasciato abbattere dall’insuccesso.
"Ecco che cos'è il successo: una vita mistificata dagli altri, che torna mistificata a te, e finisce col trasformarti veramente"[1].
L'ambiguo splendore del successo in effetti non poche volte provoca l' accecamento.

Se non altro Balli aveva avuto successo con le donne in quanto era in grado di capirle. Brentani lo imitava, lo assecondava, e al Balli sembrava una delle tante femmine a lui soggette. Emilio sente il bisogno di un capo.
Amalia Brentani, lunga, secca, incolore, era nata grigia a detta del Balli. Aveva solo le mani da fanciulla.
 I denti di Angiolina tra le sue labbra: uno scrigno di pietre preziose, un’opera d’arte creata da un artefice inimitabile: la salute.
Emilio vuole educarla: “per insegnarle il vizio, assunse l’aspetto austero di un maestro di virtù” (p. 23).
 Si compiaceva di fare ironia su se stesso e si mise a compiangerla di essere caduta nelle sue mani, povero di denaro, di energia, di coraggio.
L’ironia sposta i problemi, gli ostacoli, non li risolve

Parlando con Angiolina Emilio si atteggia a cinico: “Che cos’è l’onestà a questo mondo? L’interesse! Le donne oneste erano quelle che sapevano trovare l’acquirente al prezzo più alto, erano quelle che non consentivano all’amore che quando ci trovavano il loro tornaconto. Dicendo queste parole egli si sentì l’uomo immorale superiore che vede e vuole le cose come sono” (p.25)

Ancora Pavese: “Le puttane battono a soldi. Ma quale donna si dà altro che a ragion veduta?” Il mestiere di vivere, 17 gennaio 1938).
Disprezzo per le donne è disprezzo per la via. Non pochi misogini sono finiti suicidi, come Pavese

Poi: “Era meglio fare del male che aver l’aria di farlo” (p. 26).
Rovesciamento del v. 592 dei Sette a Tebe a proposito di Anfiarao: “ouj ga;r dokei'n a[risto" ajll j ei\nai qevlei”, infatti non vuole sembrare ottima ma esserlo.

Passeggiavano per le vie suburbane di Trieste, come la strada di Opicina. Baciandola al lume di luna, Emilio si sentiva più corruttore che mai. Baciava la bianca, casta luce. Poi i boschetti del colle al Cacciatore. Lui portava formaggi, mortadelle, bottiglie di vino e di liquore, roba già molto costosa per la sua borsa. La sorella , Amalia, gli fa una scena di gelosia ed egli si giustifica dicendo che Angiolina non aveva importanza per lui.
E’ una presenza quasi da protagonista in questo romanzo quella della gelosia: il mostro dagli occhi verdi che si fa beffe del cibo di cui si pasce (It is the green - eyed monster, which doth mock - the meat it feeds on, III, 3) Otello di Shakespeare); nella Ricerca di Proust è la piovra dai mille tentacoli.
Tale mostro viene annullato da Zeno: per lui la bella donna è meglio possederla in due che monopolizzarla: she is a sport for Jove (lo dice Iago in Othello III, 2)
Volle andare nella casa di Angiolina: in mezzo alla campagna aveva l’aspetto di una caserma. Niente di sudicio ma tutto povero. La madre aveva qualche cosa della bestia attenta per sfuggire alle legnate. Emilio è geloso quando vede le foto di Leardi e Sorniani nella stanza da letto. Poi vengono fuori altri uomini. Ma Brentani cerca di non prendersela. Angiolina usava volgarmente il latino dicendo per esempio ite missa est quando voleva mandarlo via, insudiciando un’idea mistica. Angiolina respingeva il rapporto completo ed egli ne fu rassicurato: “Ella non era appartenuta a nessuno ed egli poteva essere certo di non essere deriso”. Per evitare fastidi e danni bisognava trovare un terzo. Angiolina era stupida ma anche questo suscitava istinti paterni. Lei si fidanza con il sarto Volpini e Brentani prima ne soffre, poi con la consueta debolezza si convinse che andava bene così. Poi Volpini era “brutto assai”. Brentani accarezzava il proprio dolore: la donna ch’egli amava non era soltanto dolce e inerme: era perduta
L’importante era che non fosse lui il deriso (cfr. Medea e Aiace)
Quando passeggiavano, l’occhio di Angiolina crepitava - scoppiettava - se incrociavano un uomo elegante. B. soffre ma “voleva vivere, godere, anche a costo di soffrire”.
Parla con Stefano Balli del proprio sentimento contraddittorio. Balli dice a Emilio che lui non è fatto per quelle avventure e che non può consigliargli di essere fatto altrimenti. Emilio in passato aveva vagheggiato idee socialiste, naturalmente senza muovere un dito per attuarle. Nella sua vita di pedante solitario (cfr. l’umbraticus doctor), non aveva mai saputo conformare il pensiero e le parole alle orecchie cui erano dirette. Non aveva saputo comunicare con la folla. Era pieno di ansie ma bastava un gesto di Angiolina per annullare dubbi e dolori. Balli cercava di insegnare a Emilio la risolutezza e la durezza ma Emilio non imparava. Uscirono in 4 e Angiolina ammirava il Balli che sapeva dire alla sua compagna Margherita: Bada, non posso soffrire le smorfie io! (p. 62)
Cfr. Machiavelli: “Io iudico bene questo, che sia meglio essere impetuoso che resettivo, perché la fortuna è donna; et è necessario volendola tenere sotto, batterla e urtarla” (Il principe, (XXV) 

Il Balli tratta con durezza Emilio e pure Angiolina che ne è affascinata. Nel parlare schiacciava Emilio sotto il peso della propria superiorità. “Lei si chiama Angiolina? Angiolona la chiamerò io, anzi Giolona” (p. 65).
Il sarto Volpini voleva la prova d’amore prima di sposarla. Emilio pensa: “insozzata dal sarto, posseduta da lui, Ange sarebbe morta, e si sarebbe divertito anche lui con Giolona, lieto com’ella voleva tutti gli uomini, indifferente e sprezzante con il Balli”.
Versione sveviana dei Remedia amoris.
Stefano Balli sente il rimorso di avere quasi umiliato l’amico e va a trovarlo a casa. Apre la porta Amalia che gli ispirava un sentimento poco gradevole di compassione. Era priva di ogni bene: era un errore evidente di madre natura. Quella faccia pallida e quella voce fioca lo rattristavano profondamente. Ma era un confortatore squisito. Però andava poco da loro: “a lui che amava soltanto le cose belle e disoneste, l’affetto fraterno offertogli da quella brutta fanciulla doveva dar noia”.
La sorella per il fratello è un peso anziché un’occasione.
La casa dei fratelli: un quartino di sole tre stanze, ammobiliato male. Tutto dava l’impressione di povertà. In quel luogo. il Balli si sentiva più che mai uomo superiore.
Emilio provava risentimento mentre il Balli si aspettava un inno di ringraziamento. Giolona doveva essere trattata come aveva fatto lui.
Balli voleva educare Emilio che aveva la ciera (sic!) stanca (p.71).
Amalia sostiene il Balli contro l’amore malato del fratello (cfr. Swann con Odette e Marcel con Alberatine) tw'/ pavqei mavqo".
Balli svaluta Giolona: “lunga come un soldato del re di Prussia, bionda tanto che può dirsi incolore” cfr. i Remedia amoris.
Amalia quando aveva parlato di amore, lo aveva fatto senza indulgenza perché non si doveva, per “un’imperativo che le era stato gridato nelle orecchie sin dall’infanzia, (p. 73)
Cfr. Eschilo nelle Rane e Manzoni in Fermo e Lucia.
Eschilo si vanta di non avere creato Fedre e Stenebèe povrnaς , né mai un’ ejrw'san gunai'ka (1043)
Euripide ribatte: “certo, in te non c’era nulla di Afrodite”.
Eschilo: mhde; g j ejpeivh (1045), non sia mai. Su te e sui tuoi invece si è buttata di peso, tanto da distruggerti[2].
Poi ci si è messo il cristianesimo peggiore
Manzoni nel Fermo e Lucia (1823) scrive “di amore ce n’è seicento volte di più di quanto sia necessario alla conservazione della nostra riverita specie . Io stimo dunque opera impudente l’andarlo fomentando con gli scritti. Non si deve scrivere di amore in modo da far consentire l’animo di chi legge a questa passione”.
“Il cristianesimo diede a Eros del veleno da bere: egli non ne morì, ma degenerò in vizio”[3].
“La predica della castità è un pubblico incitamento alla contronatura”[4].

Amalia aveva soffocato in se stessa qualunque tentativo di ribellione: “Era state truffata! Il Balli era la virtù e la forza, parlava tanto serenamente dell’amore che per lui non era stato mai un peccato” (74).
 Con la voce dolce e quegli occhi azzurri, sorridenti, egli amava sempre tutto e tutti, anche lei”.
Il libertinaggio diventa un pregio dopo l’oppressione clericale. Cfr. Il Secretum di Petrarca dove Agostino mette in guardia Francesco: “postremo cogita quid est quod tam ardenter expetis. Non deve mai smettere di considerare viriliter con sufficiente energia feminei corporis feditatem de qua loquor (70). Cfr. i Remedia amoris.
 Balli racconta la sua vita e Amalia pensa che la ricchezza e la felicità erano i portati del destino di lui (cfr. Eraclito).
 Non doveva nemmeno essere grato a quelli che la Provvidenza inviava a portargli i suoi doni. Era naturale la sua felicità come la loro infelicità. Amalia lo ammirava, Emilio lo invidiava: a lui non era mai capitato niente di lieto, anzi niente di inaspettato: la sventura si era delineata avvicinandosi.
Cfr. quae fato manent quamvis significata non vitantur delle Historiae di Tacito (I, 18).
L’insuccesso crea altro insuccesso se non si cambia la via methodos. Dal successo si impara la via giusta, indirizzata ad altri successi: Giuliano Augusto dice ai suoi soldati: “quid agi oporteat bonis successibus instruendi” (Ammiano Marcellino, Storie, XXI, 5, 6)
 Le tante sventure non avevano mai scosso Emilio dalla sua triste inerzia che egli attribuiva a quel destino disperatamente incolore e uniforme. Non aveva mai ispirato nulla di forte: né amore né odio. Anche quella sera non avendo niente di bizzarro da raccontare, egli fu confinato nella seconda parte che era sua per destino. Balli era sempre più vario, colorito, animato. La grigia fanciulla, l’eterna zitella gioiva, Uscirono insieme e il sorriso di Amalia sembrava pregare il Balli di piacergli. I ricci dei suoi capelli sulla fronte erano più variamente macchiati che coloriti.
Amalia aveva una piccola piuma bianca sul cappellino e Balli seppe celare il malumore che lo colse all’idea di dover traversare la città accanto a quella donnetta di un gusto tanto perverso da porre un segnale bianco a piccola distanza da terra (p. 78)
Accanto al vasto mare quella folla era poco seria: aveva del formicaio. In molti salutavano il Balli, e Amalia ne era fiera. Incrociano Ange che passeggia con il Volpini: il donnone e l’omino erano una coppia incongrua. Lui per stare al passo di lei, allungava il suo con isforzo e vanto. Balli andava spesso a trovare i due fratelli, e Amalia si illudeva. Amalia non sapeva tutto di Angiolina: aveva visto una creatura più forte e vitale di lei e voleva conoscerla. Balli si sentiva bene tra i due fratelli, due persone miti che lo ammiravano e lo amavano.
 Quando Balli frequentava i due amanti maltrattava Angiolina. Emilio ne soffriva: “Soffro troppo di vederla vilipendere a quel modo”. Quando uscivano in quattro, Emilio era condannato al silenzio, Margherita e Angiolina in ginocchio dinanzi al Balli. Lo scultore confessò a Emilio che Margherita era come Angiolina, forse anche peggio e lo faceva per mantenere una caterva di sorelle. Emilio cerca di educare Angiolina insegnandole il rispetto , osservandola (respicio) come era. Ma si metteva nella posizione genuflessa nella quale sarebbe stato facile buttarlo via con un calcio.
Una sera di tisico carnevale il Balli passeggiava da solo lungo l’Acquedotto. Il vortice del carnevale avrebbe sottratto per un istante l’operaio, la sartina, il povero borghese alla noia della vita volgare per condurli poi al dolore (cfr. le Baccanti).

CONTINUA

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[1] P. P. Pasolini, , dai “Dialoghi con Pasolini” su “Vie Nuove” (1960) in Pasolini saggi sulla politica e sulla società, p. 910.

[2] I malevoli dicono che Euripide ebbe disavventure con un paio di mogli.
[3] Di là dal bene e dal male, Aforismi e interludi, 168.
[4] L’anticristo, p. 204.

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