sabato 13 aprile 2019

Leopardi e gli Antichi. Alcuni topoi. Parte 4. Ancora Leopardi, ma non solo


Zibaldone
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Dalla conferenza Leopardi e gli Antichi, 15 aprile 2019, biblioteca Scandellara di Bologna


La libertà e gli autori dell’età imperiale
Per quanto riguarda la libertà e il servilismo, sentiamo: “Le Filippiche [1] di Cicerone , contengono l’ultima voce romana, sono l’ultimo monumento della libertà antica, le ultime carte dov’ella sia difesa e predicata apertamente e senza sospetto ai contemporanei. D’allora in poi la libertà non fu più oggetto di culto pubblico, né delle lodi e insinuazioni degli scrittori (…) E infatti colla libertà romana spirò per sempre la libertà delle nazioni civilizzate. Quelli che vennero dopo, la celebrarono nel passato come un bene, la biasimarono e detestarono nel presente come un male. I suoi fautori antichi furono esaltati nelle storie, nelle orazioni, nei versi, come Eroi: i moderni biasimati ed esecrati come traditori”. (Zibaldone, 459 )
“Se non altro non si potè più né lodare né insinuare e inculcare la libertà ai contemporanei espressamente, e la libertà non fu più un nome pronunziabile con lode, riguardo al presente e al moderno. Quando anche non tutti si macchiassero della vile adulazione di Velleio, e Livio fosse considerato come Pompeiano nella sua storia, e sieno celebrati i sensi generosi di Tacito, ec. Ma neppur egli troverete che, sebbene condanna la tirannia, lodi mai la libertà in persona propria[2]Dei poeti, come Virgilio, Orazio, Ovidio non discorro. Adulatori per lo più de’ tiranni presenti, sebbene lodatore degli antichi repubblicani.
Il più libero è Lucano” (Zibaldone 463).

Cicerone attaccò Antonio con quattordici orazioni dette Filippiche per analogia con le quattro composte da Demostene contro Filippo di Macedonia fra il 351 e il 340 a. C. Nel novembre del 43 a. C. Ottaviano, Antonio e Lepido si incontrarono presso Bologna e si accordarono spartendosi il potere con il secondo triumvirato che a differenza del primo fu ratificato dai comizi tributi. I tre padroni di Roma compilarono terroristiche liste di proscrizione per eliminare i nemici e impadronirsi dei capitali necessari a finanziare le loro attività. Cicerone fu tra i primi ad essere trucidato il 7 dicembre del 43 a. C. “Aveva sessantaquattro anni. La testa e le mani con cui scrisse le Filippiche gli vennero mozzati da Erennio per ordine di Antonio” Plutarco, Vita di Cicerone, 48. il quale poi ordinò che fossero poste sopra i rostri che si trovavano sulla tribuna degli oratori dei quali per tanti anni Cicerone era stato il principe. Ndr

La pia ipocrisia di Enea eroe di regime
Una rilettura del personaggio virgiliano dall’abbandono di Didone al mito di Augusto
di Gustavo Zagrebelsky “la Repubblica” 14.5.15
SIAMO sinceri! Enea non ci piace. Se dovessimo fare una graduatoria tra i personaggi dell’epopea troiana, in cima metteremmo probabilmente non lo spocchioso Achille, ma “il domator di cavalli Ettorre” dell’ Iliade. In fondo alla graduatoria, metteremmo proprio Enea il “pio”. In mezzo, l’astuto e inquieto Ulisse. Questo nostro atteggiamento ci dice che sono mutati i paradigmi. Ciò che piaceva allora, oggi infastidisce
E, in primo luogo, non ci piace la poesia al servizio del potere. Neppure Virgilio, infatti, ci è mai troppo piaciuto, perché fece della sua arte strumento di persuasione politica. Scrive bene, è levigato.
Ma non riusciamo a dimenticare che è stato un poeta di regime, stipendiato dal committente interessato a farsi tessere panegirici «di natura quasi mussoliniana» (Canfora). Il suo eroe letterario è Enea, ma l’eroe politico è Augusto, il destinatario del mito. Instauratore il primo; restauratore, il secondo, dopo i torbidi delle guerre civili e il disfacimento della Repubblica. Non una poesia civile, ma una poesia interessata, dunque, e, perciò malsana”.

Malsani sono oggi i pennivendoli che celebrano i personaggi simbolici del potere e perfino i loro burattini, malsani, illeggibili, inascoltabili e inguardabili se non per confutarli. Del resto chi si è provato a denunciare le menzogne predicate quali testi sacri dai sacerdoti e dai diaconi della religione del Potere è stato ammazzato, come Pasolini, oppure oscurato o privato di ogni visibilità pur se molto più bravo degli utili idioti messi in piena luce. Soprattutto se molto più bravo.
Sia chiaro che io, grazie a questo blog, non mi lamento: non sono riusciti a oscurarmi: il mio sito è visitato da oltre 10 mila persone al mese di ogni parte del mondo da più di sei anni.
Ouj lhvxw, non cederò.


CONTINUA

[1] Cicerone attaccò Antonio con quattordici orazioni dette Filippiche per analogia con le quattro composte da Demostene contro Filippo di Macedonia fra il 351 e il 340 a. C. Nel novembre del 43 a. C. Ottaviano, Antonio e Lepido si incontrarono presso Bologna e si accordarono spartendosi il potere con il secondo triumvirato che a differenza del primo fu ratificato dai comizi tributi. I tre padroni di Roma compilarono terroristiche liste di proscrizione per eliminare i nemici e impadronirsi dei capitali necessari a finanziare le loro attività. Cicerone fu tra i primi ad essere trucidato il 7 dicembre del 43 a. C. “Aveva sessantaquattro anni. La testa e le mani con cui scrisse le Filippiche gli vennero mozzati da Erennio per ordine di Antonio” Plutarco, Vita di Cicerone, 48. il quale poi ordinò che fossero poste sopra i rostri che si trovavano sulla tribuna degli oratori dei quali per tanti anni Cicerone era stato il principe. Ndr.
[2] Infatti: omnem potentiam ad unum conferri pacis interfuit (Tacito, Hist.I, 1), fu utile alla pace che tutto il potere venisse riunito in una sola persona. Ndr.

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