venerdì 19 aprile 2019

Lettera a Temistio di Giuliano Augusto: il filosofo e il politico

Flavio Claudio Giuliano
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Giuliano, Lettera a Temistio, probabilmente del 361. Temistio propugnava un paganesimo moderato che gli aveva permesso di collaborare con Costanzo II.
Temistio sosteneva il dovere del filosofo di impegnarsi politicamente. Giuliano invece privilegia la vita contemplativa
Temistio era nato nel 317 in Paflagonia.
Tenne una cattedra di filosofia a Costantinopoli e compose una Parafrasi di Aristotele. Fu panegirista di corte ed ebbe la fiducia degli imperatori da Costanzo II a Teodosio che nel 384 lo nominò prefetto urbano di Costantinopoli. Morì intorno al 388

Cap. 1
Giuliano scrive che il pensiero di una gara (a[milla) con Alessandro o Marco Aurelio o chiunque altro distinto in virtù - ajreth'/ diafevrwn - da tempo gli fa venire un brivido frivkh e un timore straordinario - devo" qaumastovn: ha paura di rimanere del tutto lontano dal valore del primo e di non avvicinarmi neppure un po’ alla perfetta virtù del secondo.

 Alessandro è suo modello solo come comandante militare, non per le qualità etiche. Cfr. i biasimi di Seneca e Lucano nei confronti del Macedone
 Marco Aurelio invece è modello di pietas.

Mi rifugiavo nel ricordo delle lezioni di Atene. Vi era giunto nell’estate del 355

Temistio ha scritto o detto a Giuliano che il dio gli ha assegnato lo stesso posto che a Eracle e Dioniso, i quali ripulirono - ajnakaqairovmenoi - quasi tutta la terra e il mare dalla malvagità diffusa. “Mi consigli di scuotere via i pensieri di ozio contemplativo e riposo - scolh'" e[nnoian kai; rJa/stwvnh" - per poter lottare in modo degno del proposito - o{pw" th'" uJpoqevsew" ajxivw" ajgwniouvmeqa. Temistio gli ha fatto gli esempi di Licurgo, Solone e Pittaco di Mitilene e ora gli uomini si aspettano da lui benefici maggiori.

Cap. 2
Giuliano replica che sa di non avere doti eccezionali, ma solo amore per la filosofia, e cita un verso del prologo dell’Oreste di Euripide: “ta;" ga;r ejn mevsw/ sigw' tuvca"” (16), taccio gli eventi accaduti in mezzo. Parla Elettra.
Eventi che hanno conservato incompiuto questo amore per il sapere.
Giuliano ha paura di affrontare gli impegni politici imposti dal potere, come uno che navighi in uno stretto, poi debba affrontare il mare aperto
Il “vivi nascosto di Epicuro” o}" keleuvei laqei'n biwvsanta, non piace a Temistio e neppure a Giuliano il quale però pensa che non sia opportuno spingere ejpi; politeivan, alla vita politica, sia chi è meno dotato kai; to;n h|tton pefukovta, sia chi non ne ha completa possibilità.
Socrate cercò di distoglierne Glaucone (cfr. Senofonte, Mem. III. 6, 1), e pure Alcibiade figlio di Clinia.

Cap. 3
Senza contare che delle azioni umane è signora - kuriva - non solo la virtù - oujk ajreth; movnon - né la retta intenzione ma molto di più la fortuna - oujde; proaivresi" ojrqhv, polu; de; plevon hJ tuvch kratou'sa pantacou'.
Essa forza i fatti a inclinarsi dove vuole kai; biazomevnh rJevpein h|/per a]n ejqevlh/ ta; pravgmata. Crisippo misconosce la sorte, ma essa è potente.
Catone suicida a Utica e Dione cacciato da Siracusa a opera di Dioniso il Giovane non possono dirsi felici visto che hanno fallito nelle loro azioni più belle - tw'n kallivstwn pravxewn dihmarthkovte"Insomma la felicità ha bisogno anche della fortuna, per la lode invece basta la virtù.

La regina protagonista dell'Ecuba (del 424) considera la tuvch una dei tiranni di un'umanità rimasta senza fedi né valori, una specie di creature materialiste, sanguinarie, idolatre:"non c'è tra i mortali chi sia libero:/infatti si è schiavi delle ricchezze oppure della sorte - h] crhmavtwn ga;r dou'lov" ejstin h] tuvch", - /o la folla della città o le leggi scritte/impediscono di impiegare il verso del proprio giudizio"(vv. 864 - 865).

Cfr. ancora Ecuba nelle Troiane (del 415)
ZeÚje‡t¢n£gkh fÚseoj e‡te noàj brotîn,
  proshux£mhn se· p£nta g¦r di¢yÒfou
  ba…nwn keleÚqou kat¦ d…khn t¦ qn»t¥geij (886 - 888).

Zeus, sia necessità di natura, sia mente dei mortali,
a te ho rivolto una preghiera: infatti procedendo
per un cammino silenzioso, tutte le cose mortali guidi secondo giustizia

 cap. 4
La saldezza della felicità molto difficilmente suole affidarsi alla fortuna, ma quelli che vivono nella politica non possono respirare senza di lei, come si dice, a meno che un re o uno stratego si collochi al di sopra di tutto quanto dipende dalla fortuna - tw'n tucaivwn uJperavnw - come poteva fare magari l’uomo di Diogene.
Cfr. Epitteto: non devi fare dipendere la felicità da quanto non dipende da te.

Ma non è del tutto sottratto alla fortuna l’uomo cui sono affidati i popoli ed è pieno di affanni (citazione da Iliade II, 25). Chi è sottoposto alla fortuna ha bisogno di molta preparazione e prudenza per sopportare con dignità le inclinazioni di lei da una parte e dall’altra , come un pilota quelle del vento.
Se la sorte ci muove guerra possiamo opporci, ma è più ammirevole mostrarsi degno dei favori che ci concede. Alessandro si lasciò sedurre e rovinare mostrandosi più crudele e più vanitoso (ma'llon ajlazwvn) di Dario e Serse
Per lo stesso motivo andarono in rovina città, Stati e imperatori. Sarebbe troppo lungo enumerare quelli andati in rovina per la ricchezza, le vittorie e il lusso. La fortuna ha capovolto molte situazioni (cfr. Luciano, Menippo o la necromanzia).

Cap. 5
Non solo io ho pensato che la fortuna domina la vita pratica - oujk ejgw; movno" th;n tuvchn ejn toi'" praktevoi" kratei'n nevnomika - (cfr. Machiavelli sulla fortuna)
A proposito Giuliano cita un brano delle Leggi di Platone (IV, 709b ss.): Dio è tutto, e con Dio la tuvch e l’occasione (kairov") dirigono tutte le cose umane diakubernw'si xuvmpanta.
Poi viene la tevcnh, con maggiore dolcezza (IV, 709 b)

Nelle Leggi Platone segue il mito di Crono che affidò la guida delle comunità umane non ad altri uomini ma ai demoni, esseri di stirpe superiore e più divina - gevnou" qeiotevrou kai; ajmeivnono" daivmona" - sapendo che la natura umana se giunge al potere è incapace di governare senza riempire tutto di violenza e ingiustizia.
Come noi non mettiamo a capo dei buoi altri buoi né delle capre altre capre. Li governiamo noi a[meinon ejkeivnwn gevno" -
Platone chiarisce che chi governa deve farlo secondo la parte divina della sua anima chiamando legge la norma dell’intelletto
Ma se il governo è tenuto da un solo uomo o da una oligarchia o una democrazia che ha un’anima bramosa di piaceri e tende ai desideri e, sentendo il bisogno di saziarsene, governerà la città, oppure lo farà qualche privato calpestando le leggi, oujk e[sti swthriva" mhcanvh, non c’è verso di salvarsi (Leggi, IV, 713c - 714)
Insomma il re che pure è un uomo deve essere per scelta divino e demone, bandendo del tutto dalla sua anima quanto è mortale e ferino - pa'n aJplw'" ejkbalovnta to; qnhto;n kai; qhriw'de". tranne ciò che serve alla salvezza del corpo. Comunque io non preferisco alle fatiche (povnoi) l’inazione e il giardino degli epicurei - th;n jEpikouvreian ajpragmosuvnhn kai; tou;" khvpou" – né i giardini e i sobborghi di Atene - tou;" khvpou" kai; to; proavsteion tw'n j Aqhnw'n - , né i mirti e la casetta di Socrate.

Cfr. Il mito di Er dove L’anima di Odisseo, prese la sorte per ultimo e, guarito da ogni ambizione per il ricordo dei travagli precedenti, scelse la vita di un uomo privato e amante del quieto vivere ("bivon ajndro;" ijdiwvtou ajpravgmono"", Platone, Repubblica 620c).
La trovò messa da parte e negletta dagli altri, ma disse che l’avrebbe presa anche se avesse dovuto fare la scelta per primo.


Cp. 6
Giuliano accenna ai rischi che ha corso in vita sua anche per aiutare altri bisognosi di aiuto, come uno sofista, “uno straniero che conoscevo appena” uJpe;r ajndro;" xevnou mikra; pantelw'" gnwrivmou.  Difese le proprietà della meravigliosa Arete, seguace di una scuola filosofica - uJpe;r de; tw'n qaumasiva" jAreth'" kthvmatwn - facendo viaggi in Frigia due volte quando era malato
Nel 354 Costanzo fece ammazzare Gallo e relegò Giuliano a Como per sei mesi. In quel periodo temette per la sua vita.
Venne salvato dall’intercessione di Eusebia. Allora scrisse a Temistio lettere mai piene di lamentele, né dai contenuti gretti, meschini o volgari - ejpistola;" mhvpote ojdurmw'n plhvrei", mhvti mikro;n h] tapeino;n h] livan ajgenne;" ejcouvsa" - Poi poté partire per la Grecia e gli sembrò di avere scambiato del bronzo con dell’oro.
Cfr. Iliade VI, 236 Diomede e Glauco che gli dà le proprie armi d’oro in cambio di quelle di bronzo.
Ero contento di avere scambiato con il mio focolare ajnti; th'" ejmautou' eJstiva" la Grecia pur non possedendo là né terra, né giardino né casetta. E tuttora amo Atene più del gonfio fasto che mi circonda - ajgapw'n ta;" jAqhvna" ma'llon tou' nu'n peri; hJma'" o[gkou - e lodo il tempo libero di allora e accuso questa vita per la massa delle incombenze - dia; to; plh'qo" tw'n pravxewn - Io comunque sopporto ta;" duspragiva" oujk ajgennw'", le avversità non ignobilmente e non sono ignobile e meschino davanti ai doni della fortuna.
Nelle Troiane di Euripide, Ecuba constata che il polu;~ o[gko~ (v. 108), il grande vanto degli antenati era oujdevn, niente, era un gonfiore che si è dissolto.


Cap 7
A me regnare sembra superiore alle capacità umane e credo che il re abbia bisogno di una natura più divina, come diceva appunto anche Platone.
Quindi Giuliano cita un passo della Politica di Aristotele per dimostrare che non ne trascura gli scritti e non certo per portare nottole ad Atene.
Temistio infatti aveva composto la Parafrasi di Aristotele.
Il passo citato (III 15, 1286b) dice che se pure la monarchia di un buon re è un ottimo regime, i figli dei re non sono sempre come i padri, anzi.
 Per giunta h[ ejpiqumiva kai; oJ qumov", il desiderio e la passione diastrevfei kai; tou;" ajrivstou" a[ndra", fuorvia anche gli uomini migliori, e chi vuole che governi un uomo aggiunge anche elementi ferini prostivqhsi kai; qhriva.
Dovrebbe governare la legge che è intelletto senza passione - a[neu ojrevxew" oJ nou'" novmo" ejstivn - . Dunque nessuna natura umana - interpreta Giuliano - è adatta a tale eccesso di fortuna - pro;" tosauvthn tuvch" uJperochvn - . Solo alla legge si devono affidare i sistemi di governo, a nessun uomo. In un uomo infatti oj nou'" sumpevplektai qumw'/ kai; ejpipumiva/, qhrivoi" calepetavtoi", la mente è intrecciata con la passione e il desiderio, le bestie più terribili.

Cap 8
Platone ha sostenuto che il governante debba essere migliore dei governati - o{ti kreivttona crh; tw'n ajrcomevnwn ei\nai to;n a[rconta -
Deve dunque attenersi alle leggi fatte da un uomo che abbia purificato la mente e l’anima e abbia compreso che cosa sia il giusto per natura to; divkaion o{ ejsti th'/ fuvsei e che cosa l’ingiusto per natura, e le abbia istituite uguali per tutti - ou[te eij" filivan ou[te eij" e[cqran ajforw'n ou[te ej" geivtona kai; xuggenh' - senza guardare ad amicizie né odi né a vicinanza né a parentela, e ancor meglio se non pensa solo ai contemporanei, ma anche ai posteri e agli stranieri - toi'" kaq j eJauto;n ajnqrwvpoi" ajlla; toi'" u{steron h] xevnoi", con i quali non ha e non spera di avere rapporti privati. Così dunque si devono scrivere le leggi.

Cfr. l’imparzialità professata dagli storiografi
 Tacito, all’inizio delle Historiae scrive: “incorruptam fidem professis neque amore quisquam et sine odio dicendus est” (I, 1), chi fa professione di veridicità inconcussa deve esprimersi si ciascuno mettendo da parte l’amore e senza odio.
Quindi nel primo capitolo degli Annales dove l’autore dichiara che partirà dagli ultimi anni del principato di Augusto, poi procederà raccontando di Tiberio e dei successori sine ira et studio quorum causas procul habeo (I, 1) senza risentimento e partigianeria, di cui tengo lontani i motivi.

Luciano ribadisce la norma dell’imparzialità dello storico: “Toiou'to~ ou\n moi oJ suggrafeu;~ e[stw, a[fobo~, ajdevkasto~, ejleuvqero~, parrhsiva~ kai; ajlhqeiva~ fivlo~ (…) ouj mivsei oujde; filiva/ ti nevmwn oujde; feidovmeno~ h] ejlew'n h] aijscunovmeno~ h] duswpouvmeno~, i[so~ dikasthv~ (…) xevno~ ejn toi'~ biblivoi~ kai; a[poli~, aujtovnomo~, ajbasivleuto~, ouj tiv tw'/de h] tw'/de dovxei logizovmeno~, ajlla; tiv pevpraktai levgwn. J O d j ou\n Qoukidivdh~ eu\ mavla tou't j ejnomoqevthse kai; dievkrinen ajreth;n kai; kakivan suggrafikhvn[1]”, tale dunque deve essere il mio storiografo, impavido, incorruttibile, libero, amico della libertà di parola e della verità (…) un uomo che non attribuisce per amicizia e non lesina per odio, o uno che prova compassione o vergogna, o si lascia intimorire, giudice imparziale (…) straniero nei suoi libri e senza patria, indipendente, non sottoposto al potere, uno che non tiene in alcun conto di cosa sembrerà a questo o a quello, ma che racconta i fatti.
Lo storico classico “scriveva per le generazioni a venire: “non tenendo di vista il suo pubblico presente, ma i futuri lettori”, come avverte Luciano (Come scrivere la storia 40)”[2].

Non è facile per un uomo attenersi a queste regole: sento dire (cfr. Plutarco, Vita di Solone, 15) che perfino il saggio Solone consultandosi con gli amici ujpe;r th'" tw'n crew'n ajnairevsew", sulla cancellazione dei debiti, procurò a loro opportunità di ricchezza e a sé accusa di infamia, pur avendo liberato il popolo con la sua costituzione. E’ dunque difficile sfuggire a simili destini.

Cap. 9
Sicché io, avendo questi timori (a} dediwv"), lodo la vita di prima. Infatti temo il confronto con Licurgo, Pittaco, Solone e anche perché devo passare dalla filosofia domestica a quella a cielo aperto - ejk th'" ujpostevgou filosofiva" pro;" thn ujpaivqrion -
E’ come il passaggio da una palestra domestica allo stadio di Olimpia dove ci sono spettatori Greci e barbari.
Temistio sosteneva che la filosofia deve mettersi nel vivo del dibattito politico (Or. XVII)

Pallada[3] (Anthologia Palatina XI 292) indirizza contro Temistio un epigramma satirico nel quale scrive che da un cocchio celeste (della filosofia) è passato a un cocchio d’argento (quello del prefetto urbano). E si è abbassato: “ora che sei in alto, ti abbassi!”

Cap. 10
Giuliano ricorda a Temistio la preferenza di lui per la vita pratica e il suo appoggiarsi a una testimonianza di Aristotele che pone la felicità ejn tw'/ pravttein eu\, nell’agire bene, per quanto in altri scritti preferisca la vita contemplativa (Etica Nicomachea X, 7, 8.).
Invero Temistio preferiva il genere misto, una via di mezzo tra la vita attiva e quella contemplaiva.
Temistio però ha fatto notare che nella Politica Aristotele elogia kalw'n pravxewn ajrcitevktona", gli architetti di nobili azioni (VII, 1325b).
 Giuliano replica che con tali parole Aristotele non si riferisce ai re e a quanti compiono azioni politiche ma ai legislatori e ai filosofi politici, a tutti coloro che agiscono con l’intelletto e con la parola pavnta" tou;" nw'/ te kai; lovgw/ pravttonta", non a quanti compiono azioni politiche - oujci; de; eij" tw'n politikw'n pravxewn ejrgavta". filosofi politici sono dei teorici dunque.
I politici invece devono prendere in mano ciascuna cosa proshvkei de; aujtoi'" e{kasta metaceirivzesqai, realizzare quanto prescrivono le leggi ed esigono le circostanze. I politici senz’altro invece sono dei pragmatici.

 Socrate, Pitagora, Anassagora, forse furono felici grazie alla vita contemplativa. Socrate, che pure amava la vita attiva, non era padrone nemmeno di sua moglie né di suo figlio oujde; th'" gameth'" h\n aujtou' kuvrio" oujde; tou' paidov". Santippe era bisbetica, ma al figlio maggiore Lamprocle Socrate consigliava comunque di esserle grato (Senofonte Memorabili, II, 2). Comandava al massimo su qualche discepolo.
Ebbene io dico che il figlio di Sofronisco ha compiuto imprese maggiori di quelle di Alessandro - ejgw; me;n ou\n jAlexavndrou fhmi; meivzona to;n Swfronivskou katergavsasqai - . Da lui derivano Platone, Senofonte, Antistene, Cebete, Simmia, Fedone, la scuola di Eretria e quella eristica di Megara con Euclide e Stilpone, poi le scuole ateniesi, il Liceo, la Stoà, le Accademie, l’antica e la nuova. Quanti oggi si salvano attraverso la filosofia, si salvano attraverso Socrate, dia; to;n Swkrath swvzontai.
Aristotele disse che era giustamente fiero del proprio trattato teologico (XII libro della Metafisica, probabilmente) più di quello che distrusse la potenza perrsiana. Infatti la guerra si vince con il valore, la fortuna e l’intelligenza, mentre concepire opinioni vere intorno a Dio è opera non solo della perfetta virtù ma di un essere divino, simile a Dio.

Cap. 11
Giuliano fa l’esempio di alcuni personaggi, come lo stoico Musonio Rufo, esiliato da Nerone, che non fecero bene a lasciare la vita di studio per la politica. Chi non è generale né uomo politico, né oratore pubblico non è per questo inattivo (a[prakto"). Chi forma dei filosofi, anche solo pochi, può dare alla vita degli uomini benefici più grandi di tre o quattro re insieme. Il filosofo confermando le parole con l’azione - e[rgw/ bebaiw'n tou;" lovgou" - e mostrandosi tale come vuole che siano gli altri - kai; fainovmeno" toiu'to" oJpoivou" bouvletai tou;" a[llou" ei\nai - può essere più persuasivo (piqanwvtero") ed efficace (ajnusimwvtero" - ajnuvw compio) per indurre all’azione pro;" to; pravttein - di quelli che spingono alle belle imprese - tw'n ejpi; ta;" kala;" pravxei" parormwvntwn - dando degli ordini - ejx ejpitavgmato". Il filosofo insomma deve dare l’esempio.

Cap. 12
Ma devo concludere la lettera che forse è più lunga del dovuto - ejpistolh;n meivzona i[sw" ou\san tou' devonto" -
Dunque io sono mal disposto verso la vita politica - ejn th'/ politeiva/ dusceraivnw bivon - non perché voglia evitare la fatica o cercare il piacere, ma perché ho coscienza ejmautw'/ suneidwv" - di non avere una formazione adeguata paideivan tosauvthn, né superiorità di natura - ou[te fuvsew" uJperochvn - Del resto alla filosofia che pure amo non sono ancora giunto.

Cap. 13
Giuliano chiede a dio che gli conceda didoivh oJ qeov" la migliore fortuna th;n ajrivsthn tuvchn e un senno degno di lei kai; frovnhsin ajxivan. Infatti crede di dover essere aiutato bohqhtevo" ei\naiv moi dokw', prima di tutti dall’Onnipotente e[k tou' Kreivttono", poi da voi filosofi, ora che è stato messo a capo di loro e combatto in prima fila - protetagmevno" uJmw'n kai; prokinduneuvwn - Io so di non avere grandi doti, e proclamo a gran voce che tutto si rimetta a dio - bow' tw'/ qew'/ to; pa'n ejpitrevpein. Se tutto andrà bene, non me ne ascriverò il merito, ma come è giusto, farò risalire ogni merito a Dio gli sarò riconoscente come esorto voi a esserlo

Bologna 18 gennaio 2019




[1] Come si deve scrivere la storia, 41 - 42. Il trattatello è del 164 d. C.
[2] A. Momigliano, La storiografia greca, p. 59.
[3] Sul finire del IV secolo

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