domenica 21 aprile 2019

"Ecuba" di euripide. 1. Commento all'incipit con un ampio excursus sull'auri sacra fames

Ecuba - Napoli, "Teatro Festival Italia"

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Euripide, Ecuba, del 424

Appare il fantasma di Polidoro. Dice di provenire dall’Ade.
La prima parola è h{kw , come nelle Troiane (Poseidone) e nelle Baccanti (Dioniso) - h{kw nekrw'n keuqmw'na kai; skovtou puvla" - lipwvn, (1 - 2) sono giunto dopo avere lasciato l’antro dei morti e le porte della tenebra.

Cfr. le anime evocate nella Nevkuia (Odissea XI).
I morti dell'Odissea non sono angeliche farfalle sviluppate dai vermi della condizione terrena, ma teste svigorite ("ajmenhna; kavrhna", XI, 29). "Laggiù, nel cupo regno d'abisso, esse vanno vagando, prive di coscienza, od al massimo dotate di una semi - coscienza crepuscolare, con voce fioca e stridula, deboli, insensibili, essendo spariti carne, ossa e tendini"[1].

Stazio nella Tebaide racconta che Tiresia con libagioni di vino, latte, miele, e di sangue che attira le ombre, evoca il vulgus exangue (IV. 519) dei morti.

“La yuchv non è il corpo sotto le cui sembianze essa appare, bensì la sua immagine spettrale, il suo doppio, un eidolon come il sogno, la visione, l’illusione, il phasma…A questa psyché omerica si contrappone una concezione diversa dell’anima, che viene elaborata nell’ambito di sette filosofico - religiose, come i pitagorici e gli orfici, e che appare legata a esercizi spirituali destinati a sfuggire al tempo, alle reincarnazioni successive e alla morte, purificando e liberando la particella divina che ognuno reca in sé (…) E’ però con Platone che l’inversione dei valori attribuiti al corpo e all’anima viene pienamente realizzata ( …) è proprio la psyché immortale a costituire la vera essenza di ciascuno, nel suo intimo, nel corso della vita[2]. Il corpo vivente muta allora di statuto e diventa a sua volta una semplice apparenza, l’immagine illusoria, inconsistente, fugace e transitoria di ciò che siamo veramente e per sempre”[3].
Cfr. Nietzsche "Il cristianesimo è un platonismo per il popolo”[4].

Cicerone ribadisce la posizione platonica con "mens cuiusque is est quisque non ea figura, quae digito demonstrari potest " (De Republica , VI, 26), la mente di ciascuno è quel ciascuno, non la figura che può essere mostrata con un dito.

Polidoro (cfr. dw'ron, dono) dunque racconta la sua triste storia. Era stato mandato da Priamo al palazzo di Polimestore ( cfr. mhvstwr, “consigliere”), nella bella pianura del Chersoneso (cevrso" - ou - hJ - terraferma e nh'so", isola, dunque promontorio).
Là governa doriv con la lancia fivlippon naovn, un popolo che ama i cavalli (9). Com me, continua il morto, mio padre Priamo manda di nascosto lavqra/ molto oro polu;n crisovn (10) pensando di lasciare ai figli superstiti mh; spavni" bivou (12) una “non penuria di risorse per vivere”.

Excursus su l’auri sacra fames
 L’oro associato spesso alla ricchezza, all’abbondanza di mezzi utili alla vita, si rivela quasi sempre motivo di guerra, di odio, di morte. Si pensi al petrolio nella nostra epoca.

"Gli idoli dei popoli sono argento e oro, opera delle mani dell'uomo. Hanno bocca e non parlano; hanno occhi e non vedono; hanno orecchi e non odono; non c'è respiro nella loro bocca. Sia come loro chi li fabbrica e chiunque in essi confida" (Salmi, 135, 15 - 18). -

Virgilio nell'Eneide vede il desiderio dell'oro come motore di efferati delitti e ricorda quello del barbaro re tracio:" Polydorum obtruncat et auro/ vi potitur. Quid non mortalia pectora cogis , /auri sacra fames! ", massacra Polidoro e con violenza si impossessa dell'oro. A cosa non spingi i cuori umani, maledetta fame dell'oro! (III, 55 - 57).

Properzio fa dipendere il tramonto degli dèi[5], della pietas, della fides, dei iura, della lex, del pudor, dal lusso e dalla lussuria di uomini e donne, e dalla maledetta fame dell'oro già esecrata da Virgilio[6]:"At nunc desertis cessant sacraria lucis:/aurum omnes victa iam pietate colunt./Auro pulsa fides, auro venalia iura,/aurum lex sequitur, mox sine lege pudor" (III, 13, 47 - 50), ma ora sono trascurati i santuari nei boschi deserti: vinta la devozione, tutti venerano l'oro. Dall'oro è stata messa fuori corso la lealtà, con l'oro si compra la giustizia, la legge obbedisce all'oro, presto il pudore sarà fuori legge.
Tutto questo porterà alla caduta di Roma:"frangitur ipsa suis Roma superba bonis" (v. 60), la stessa Roma superba viene spezzata dalle sue ricchezze. 

Ovidio scrive che l'oro è ancora più nocivo e promotore di violenza dello stesso ferro con cui si fanno le guerre scatenate appunto dal metallo giallo.
Durante l'ultima età, quella del male integrale, omne nefas , ogni empietà, irrompe nel genere umano:"fugitque pudor [7] verumque fidesque[8];/in quorum subiere locum fraudesque dolusque/insidiaeque et vis et amor sceleratus habendi/(…) effodiuntur opes, inritamenta malorum;/ iamque nocens ferrum ferroque nocentius aurum/ prodierat: prodit bellum, quod pugnat utroque,/sanguineaque manu crepitantia concutit arma./ Vivitur ex rapto; non hospes ab hospite tutus,/non socer a genero, fratrum quoque gratia rara est./Imminet exitio vir coniugis, illa mariti;/lurida terribiles miscent aconita novercae;/filius ante diem patrios inquirit in annos./Victa iacet pietas, et Virgo caede madentis,/ultima caelestum, terras Astraea reliquit" (Metamorfosi, I, 129 - 131 e 140 - 150) e fuggì il pudore la sincerità, la fiducia; e al posto di questi valori subentrarono le frodi, gli inganni, le insidie e la violenza e l'amore criminale del possesso (…) si estraggono dalla terra le ricchezze, stimolo dei mali; e già il ferro funesto[9] e, più funesto del ferro, l'oro[10] era venuto alla luce : venne alla luce la guerra, che combatte con l'uno e con l'altro, e con mano sanguinaria scuote ordigni che scoppiano. Si vive di rapina; l'ospite non è al riparo dall'ospite, non il suocero dal genero, anche l'accordo tra fratelli è poco frequente. Il marito minaccia di rovina la moglie, questa il marito; mescolano squallide pozioni velenose le terrificanti matrigne; il figlio scruta la morte anzi tempo negli anni del padre. Giace sconfitta la carità e la Vergine Astrèa[11], ultima dei celesti, ha lasciato le terre sporche di strage.

Seneca nel De ira ricorda che i re incrudeliscono, compiono rapine e distruggono città costruite con lunga fatica di secoli per cercare oro e argento dentro le ceneri delle città:"reges saeviunt rapiuntque et civitates longo saeculorum labore constructas evertunt ut aurum argentumque in cinere urbium scrutentur " (III, 33, 1). 

 Anche il Satyricon è ricco di anatemi del denaro:"quid faciant leges, ubi sola pecunia regnat? ", cosa possono fare le leggi dove comandano solo i quattrini? (14), e, più avanti :"noli ergo mirari, si pictura defecit, cum omnibus dis hominibusque formosior videatur massa auri, quam quicquid Apelles Phidiasque, Graeculi delirantes, fecerunt " (88), non devi dunque stupirti se la pittura è morta, dato che a tutti, dèi e uomini, sembra più attraente un mucchio d'oro di quello che fecero Apelle e Fidia, Grechetti matti.

Dante biasima Firenze, tra l'altro, poiché "produce e spande il maladetto fiore/ch'a disviate le pecore e li agni,/però che fatto ha lupo del pastore"[12]. Si tratta ovviamente del fiorino.

 Shakespeare nel Timone d'Atene (IV, 3) chiama l'oro yellow slave - schiavo giallo - che metterà insieme e spezzerà religioni, benedirà i maledetti, farà adorare la lebbra canuta, place thieves, darà dei posti ai ladri, e assegnerà loro delle cariche, e applausi nei banchi del senato”, " common whore of mankind”, comune bagascia del genere umano, che semina discordie tra la marmaglia delle nazioni.

Leopardi in Il pensiero dominante condanna la sua età "superba,/ che di vote speranze si nutrica,/vaga di ciance, e di virtù nemica;/stolta, che l'util chiede,/e inutile la vita/quindi più sempre divenir non vede"(vv. 59 - 64).
Ancora più duramente si esprime nei confronti del lucro il poeta di Recanati nella Palinodia al Marchese Gino Capponi :" anzi coverte/fien di stragi l'Europa e l'altra riva/dell'atlantico mar...sempre che spinga/contrarie in campo le fraterne schiere/di pepe o di cannella o d'altro aroma/fatale cagione, o di melate canne,/o cagion qual si sia ch'ad auro torni"(vv. 61 - 67).

C. Marx ne i Manoscritti economico - filosofici del 1844 , commenta il drammaturgo inglese dicendo che nel denaro rileva soprattutto due caratteristiche:
"1 ) la divinità visibile, la trasformazione di tutte le caratteristiche umane e naturali nel loro contrario, la confusione universale e l'universale rovesciamento delle cose. Esso fonde insieme le cose impossibili;
2) è la meretrice universale, la mezzana universale degli uomini e dei popoli”
Poi: “il denaro è il mezzo universale e il potere universale di ridurre la rappresentazione a realtà e la realtà a rappresentazione (…) Chi può comprare il coraggio, è coraggioso anche se vile”.
 Il denaro “è la fusione delle cose impossibili; esso costringe gli oggetti contraddittori a baciarsi. Se presupponi l’uomo come uomo e il suo rapporto con il mondo come un rapporto umano, potrai scambiare amore soltanto con amore, fiducia solo con fiducia ecc. Se vuoi godere dell’arte, devi essere un uomo artisticamente educato; se vuoi esercitare qualche influsso sugli altri uomini, devi essere un uomo che agisce sugli altri uomini stimolandoli e sollecitandoli realmente (…) Se tu ami senza suscitare una amorosa corrispondenza, cioè se il tuo amore non produce una corrispondenza d’amore, se nella tua manifestazione vitale di uomo amante non fai di te stesso un uomo amato, il tuo amore è impotente, è un’infelicità”[13].




[1]E. Rohde, Psiche , p. 11. In nota l'autore cita:"ouj ga;r e[ti savrka" te kai; ojsteva i'jne" e[cousin"(Odissea , XI, 219), infatti i tendini non reggono più le ossa e la carne.
[2] “In questa stessa vita, ciò che costituisce l’io di ciascuno di noi non è altro che l’anima”, Leggi, XII, 959a, 7 - 8; cfr. anche Alcibiade, I, 130c; Fedone, 115 c - d; Repubblica, V, 469d.
[3] Jean - Pierre Vernant, Tra mito e politica, pp. 280 - 281.
[4] Di là dal bene e dal male, prefazione.
[5] Cfr. Edipo re:"Infatti già estirpano/gli antichi vaticini di Laio consunti/e in nessun luogo Apollo/risplende per gli onori/e tramontano gli dei (e[rrei de; ta; qei'a), 907 - 910.fqivnonta = è prolettico: anticipa ejxairou'sin. Lo spengersi degli oracoli procede parallelamente a quello della città; cfr.vv.25 - 26: "fqivnousa... fqivnousa(sogg è povli" del v.22). Infatti per Sofocle il declinare della religione corrisponde al decadere della vita. - ejxairou'sin: il soggetto è la gente influenzata da capi e maestri cattivi. - e[rrei de; ta; qei'a
[6] Quid non mortalia pectora cogis , /auri sacra fames! ", a cosa non spingi i cuori umani, maledetta fame dell'oro! (Eneide, III, 55 - 57).
[7] Il pudore è considerato già da Esiodo uno dei pilastri del vivere umano e civile: nelle Opere il poeta afferma che nell'ultima fase dell' empia età ferrea gli uomini nasceranno con le tempie bianche (poliokrovtafoi, v. 181) oltraggeranno i genitori che invecchiano, useranno il diritto del più forte, la giustizia starà nelle mani (divkh d j ejn cersiv , v. 192) e se ne andranno Cavri" , Gratitudine, Aijdwv" Rispetto, Nevmesi" , lo Sdegno; quindi non vi sarà più scampo dal male "kakou' d j oujk e[ssetai ajlkhv" (v. 201).
Altrettanta forza, se non anche di più, ha il Pudore nella cultura latina.
[8] Altro valore di base della civiltà latina. Cicerone nel De officiis (del 44 a. C.) dà una definizione della fides " Fundamentum autem est iustitiae fides, id est dictorum conventorumque constantia et veritas " (I, 23), orbene la fides è il fondamento della giustizia, cioè la fermezza e la veridicità delle parole e dei patti convenuti.
[9]E' un topos antitecnologico che risale a Erodoto :"il ferro fu inventato per il male dell'uomo"( Storie, I, 68). Euripide nelle Fenicie attribuisce alla strage un cuore di ferro:"sidarovfrwnfovno" " (vv. 672 - 673).
[10] Si può pensare a quello nero: il petrolio per il quale si è versato tanto sangue. Che il ferro e l'oro creino discordia tra gli uomini portando differenziazioni economiche e sociali lo afferma anche Platone nelle Leggi (679b).
[11] Dea della Giustizia
[12]Paradiso , IX, 130 - 132.
[13] Terzo manoscritto, pagine finali

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