domenica 28 aprile 2019

Italo Svevo. L'uomo e l'inetto. 1 parte. Dalla conferenza del 29 aprile 2019

Italo Svevo

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Dalla conferenza del 29 aprile 2019 (biblioteca Scandellara, ore 18,30 - 20) sul tema dell’uomo inetto

Italo Svevo, Senilità 1898 (1892 Una Vita. 1923 La coscienza di Zeno)
Pavese: “Quello che per Svevo è senilità a me pare adolescenza” Il mestiere di vivere, 30 agosto 1938.
L’inettitudine in amore. L’amore come gioco, la donna come giocattolo

Emilio Brentani non intendeva compromettersi in una relazione troppo seria. Dice alla donna che corteggia: mi piaci molto ma nella vita non potrai mai essere più importante di un giocattolo.
Ovidio Ars amatoria III, 809: “Lusus habet finem
Cfr. There is nothing serous in mortality: all is but toys (Macbeth II, 3). Il retore Agamennone nel Satyricon:”nunc pueri in scholis ludunt, iuvenes ridentur in foro”. (4, 4)
I miei doveri sono la mia carriera e la mia famiglia (pretesti per non impegnarsi, non gli riempivano la vita, lo annoiavano o lo angosciavano. Prevale l’egoismo) .
Aveva una sorella non ingombrante che lo accudiva. Aveva meno anni di lui, ma tra i due il giovane, l’egoista era lui. Aveva 35 anni e traversava la vita cauto schivando i pericoli e pure il godimento della vita. Credeva sempre di trovarsi nel periodo di preparazione (rimandava sempre) . Era un impiegatuccio di una società di assicurazioni e aveva una reputazioncella di letterato perché aveva scritto un romanzo lodatissimo dalla stampa cittadina ma stampato su carta cattiva e ingiallito nei magazzini del libraio. Corteggiava una bella ragazza, Angiolina, bionda, alta flessuosa con il volto illuminato dalla vita. Poteva vitalizzare anche lui. Voleva divertirsi senza pericolare, mangiare l’esca senza essere preso dall’amo. Cfr. Kierkegaard Diario del seduttore.
Ha delle notizie da Sorniani, un omino giallo e magro, un gran donnaiolo, e pensò che Angiolina nelle sue mani sarebbe diventata un giocattolo. E ne provò compassione. Parla con l’amico migliore, il Balli, che lo mette in guardia dal pericolo. Ma Brentani replica che ha già l’età e l’esperienza per non correre rischi. Invero egli aveva succhiato dai libri “una gran diffidenza e un gran disprezzo dei propri simili”.

Stefano Balli è l’alter ego, il modello e pure l’antitesi di Emilio Brentani, un poco come Stoltz di Oblomov nel romanzo di Gončarov di cui ci occuperemo più avanti.
Cfr. T. Mann in Tonio Kröger. Leopardi Le ricordanze. Lo studio crea un solco poi un abisso di ironia tra chi studia e chi non studia. Anche nella scuola.

Balli aveva impiegato meglio i suoi 40 anni suonati. Non aveva avuto successo come scultore ma non si era lasciato abbattere dall’insuccesso.
"Ecco che cos'è il successo: una vita mistificata dagli altri, che torna mistificata a te, e finisce col trasformarti veramente"[1].
L'ambiguo splendore del successo in effetti non poche volte provoca l' accecamento.

Se non altro Balli aveva avuto successo con le donne in quanto era in grado di capirle. Brentani lo imitava, lo assecondava, e al Balli sembrava una delle tante femmine a lui soggette. Emilio sente il bisogno di un capo.
Amalia Brentani, lunga, secca, incolore, era nata grigia a detta del Balli. Aveva solo le mani da fanciulla.
 I denti di Angiolina tra le sue labbra: uno scrigno di pietre preziose, un’opera d’arte creata da un artefice inimitabile: la salute.
Emilio vuole educarla: “per insegnarle il vizio, assunse l’aspetto austero di un maestro di virtù” (p. 23).
 Si compiaceva di fare ironia su se stesso e si mise a compiangerla di essere caduta nelle sue mani, povero di denaro, di energia, di coraggio.
L’ironia sposta i problemi, gli ostacoli, non li risolve

Parlando con Angiolina Emilio si atteggia a cinico: “Che cos’è l’onestà a questo mondo? L’interesse! Le donne oneste erano quelle che sapevano trovare l’acquirente al prezzo più alto, erano quelle che non consentivano all’amore che quando ci trovavano il loro tornaconto. Dicendo queste parole egli si sentì l’uomo immorale superiore che vede e vuole le cose come sono” (p.25)

Ancora Pavese: “Le puttane battono a soldi. Ma quale donna si dà altro che a ragion veduta?” Il mestiere di vivere, 17 gennaio 1938).
Disprezzo per le donne è disprezzo per la via. Non pochi misogini sono finiti suicidi, come Pavese

Poi: “Era meglio fare del male che aver l’aria di farlo” (p. 26).
Rovesciamento del v. 592 dei Sette a Tebe a proposito di Anfiarao: “ouj ga;r dokei'n a[risto" ajll j ei\nai qevlei”, infatti non vuole sembrare ottima ma esserlo.

Passeggiavano per le vie suburbane di Trieste, come la strada di Opicina. Baciandola al lume di luna, Emilio si sentiva più corruttore che mai. Baciava la bianca, casta luce. Poi i boschetti del colle al Cacciatore. Lui portava formaggi, mortadelle, bottiglie di vino e di liquore, roba già molto costosa per la sua borsa. La sorella , Amalia, gli fa una scena di gelosia ed egli si giustifica dicendo che Angiolina non aveva importanza per lui.
E’ una presenza quasi da protagonista in questo romanzo quella della gelosia: il mostro dagli occhi verdi che si fa beffe del cibo di cui si pasce (It is the green - eyed monster, which doth mock - the meat it feeds on, III, 3) Otello di Shakespeare); nella Ricerca di Proust è la piovra dai mille tentacoli.
Tale mostro viene annullato da Zeno: per lui la bella donna è meglio possederla in due che monopolizzarla: she is a sport for Jove (lo dice Iago in Othello III, 2)
Volle andare nella casa di Angiolina: in mezzo alla campagna aveva l’aspetto di una caserma. Niente di sudicio ma tutto povero. La madre aveva qualche cosa della bestia attenta per sfuggire alle legnate. Emilio è geloso quando vede le foto di Leardi e Sorniani nella stanza da letto. Poi vengono fuori altri uomini. Ma Brentani cerca di non prendersela. Angiolina usava volgarmente il latino dicendo per esempio ite missa est quando voleva mandarlo via, insudiciando un’idea mistica. Angiolina respingeva il rapporto completo ed egli ne fu rassicurato: “Ella non era appartenuta a nessuno ed egli poteva essere certo di non essere deriso”. Per evitare fastidi e danni bisognava trovare un terzo. Angiolina era stupida ma anche questo suscitava istinti paterni. Lei si fidanza con il sarto Volpini e Brentani prima ne soffre, poi con la consueta debolezza si convinse che andava bene così. Poi Volpini era “brutto assai”. Brentani accarezzava il proprio dolore: la donna ch’egli amava non era soltanto dolce e inerme: era perduta
L’importante era che non fosse lui il deriso (cfr. Medea e Aiace)
Quando passeggiavano, l’occhio di Angiolina crepitava - scoppiettava - se incrociavano un uomo elegante. B. soffre ma “voleva vivere, godere, anche a costo di soffrire”.
Parla con Stefano Balli del proprio sentimento contraddittorio. Balli dice a Emilio che lui non è fatto per quelle avventure e che non può consigliargli di essere fatto altrimenti. Emilio in passato aveva vagheggiato idee socialiste, naturalmente senza muovere un dito per attuarle. Nella sua vita di pedante solitario (cfr. l’umbraticus doctor), non aveva mai saputo conformare il pensiero e le parole alle orecchie cui erano dirette. Non aveva saputo comunicare con la folla. Era pieno di ansie ma bastava un gesto di Angiolina per annullare dubbi e dolori. Balli cercava di insegnare a Emilio la risolutezza e la durezza ma Emilio non imparava. Uscirono in 4 e Angiolina ammirava il Balli che sapeva dire alla sua compagna Margherita: Bada, non posso soffrire le smorfie io! (p. 62)
Cfr. Machiavelli: “Io iudico bene questo, che sia meglio essere impetuoso che resettivo, perché la fortuna è donna; et è necessario volendola tenere sotto, batterla e urtarla” (Il principe, (XXV) 

Il Balli tratta con durezza Emilio e pure Angiolina che ne è affascinata. Nel parlare schiacciava Emilio sotto il peso della propria superiorità. “Lei si chiama Angiolina? Angiolona la chiamerò io, anzi Giolona” (p. 65).
Il sarto Volpini voleva la prova d’amore prima di sposarla. Emilio pensa: “insozzata dal sarto, posseduta da lui, Ange sarebbe morta, e si sarebbe divertito anche lui con Giolona, lieto com’ella voleva tutti gli uomini, indifferente e sprezzante con il Balli”.
Versione sveviana dei Remedia amoris.
Stefano Balli sente il rimorso di avere quasi umiliato l’amico e va a trovarlo a casa. Apre la porta Amalia che gli ispirava un sentimento poco gradevole di compassione. Era priva di ogni bene: era un errore evidente di madre natura. Quella faccia pallida e quella voce fioca lo rattristavano profondamente. Ma era un confortatore squisito. Però andava poco da loro: “a lui che amava soltanto le cose belle e disoneste, l’affetto fraterno offertogli da quella brutta fanciulla doveva dar noia”.
La sorella per il fratello è un peso anziché un’occasione.
La casa dei fratelli: un quartino di sole tre stanze, ammobiliato male. Tutto dava l’impressione di povertà. In quel luogo. il Balli si sentiva più che mai uomo superiore.
Emilio provava risentimento mentre il Balli si aspettava un inno di ringraziamento. Giolona doveva essere trattata come aveva fatto lui.
Balli voleva educare Emilio che aveva la ciera (sic!) stanca (p.71).
Amalia sostiene il Balli contro l’amore malato del fratello (cfr. Swann con Odette e Marcel con Alberatine) tw'/ pavqei mavqo".
Balli svaluta Giolona: “lunga come un soldato del re di Prussia, bionda tanto che può dirsi incolore” cfr. i Remedia amoris.
Amalia quando aveva parlato di amore, lo aveva fatto senza indulgenza perché non si doveva, per “un’imperativo che le era stato gridato nelle orecchie sin dall’infanzia, (p. 73)
Cfr. Eschilo nelle Rane e Manzoni in Fermo e Lucia.
Eschilo si vanta di non avere creato Fedre e Stenebèe povrnaς , né mai un’ ejrw'san gunai'ka (1043)
Euripide ribatte: “certo, in te non c’era nulla di Afrodite”.
Eschilo: mhde; g j ejpeivh (1045), non sia mai. Su te e sui tuoi invece si è buttata di peso, tanto da distruggerti[2].
Poi ci si è messo il cristianesimo peggiore
Manzoni nel Fermo e Lucia (1823) scrive “di amore ce n’è seicento volte di più di quanto sia necessario alla conservazione della nostra riverita specie . Io stimo dunque opera impudente l’andarlo fomentando con gli scritti. Non si deve scrivere di amore in modo da far consentire l’animo di chi legge a questa passione”.
“Il cristianesimo diede a Eros del veleno da bere: egli non ne morì, ma degenerò in vizio”[3].
“La predica della castità è un pubblico incitamento alla contronatura”[4].

Amalia aveva soffocato in se stessa qualunque tentativo di ribellione: “Era state truffata! Il Balli era la virtù e la forza, parlava tanto serenamente dell’amore che per lui non era stato mai un peccato” (74).
 Con la voce dolce e quegli occhi azzurri, sorridenti, egli amava sempre tutto e tutti, anche lei”.
Il libertinaggio diventa un pregio dopo l’oppressione clericale. Cfr. Il Secretum di Petrarca dove Agostino mette in guardia Francesco: “postremo cogita quid est quod tam ardenter expetis. Non deve mai smettere di considerare viriliter con sufficiente energia feminei corporis feditatem de qua loquor (70). Cfr. i Remedia amoris.
 Balli racconta la sua vita e Amalia pensa che la ricchezza e la felicità erano i portati del destino di lui (cfr. Eraclito).
 Non doveva nemmeno essere grato a quelli che la Provvidenza inviava a portargli i suoi doni. Era naturale la sua felicità come la loro infelicità. Amalia lo ammirava, Emilio lo invidiava: a lui non era mai capitato niente di lieto, anzi niente di inaspettato: la sventura si era delineata avvicinandosi.
Cfr. quae fato manent quamvis significata non vitantur delle Historiae di Tacito (I, 18).
L’insuccesso crea altro insuccesso se non si cambia la via methodos. Dal successo si impara la via giusta, indirizzata ad altri successi: Giuliano Augusto dice ai suoi soldati: “quid agi oporteat bonis successibus instruendi” (Ammiano Marcellino, Storie, XXI, 5, 6)
 Le tante sventure non avevano mai scosso Emilio dalla sua triste inerzia che egli attribuiva a quel destino disperatamente incolore e uniforme. Non aveva mai ispirato nulla di forte: né amore né odio. Anche quella sera non avendo niente di bizzarro da raccontare, egli fu confinato nella seconda parte che era sua per destino. Balli era sempre più vario, colorito, animato. La grigia fanciulla, l’eterna zitella gioiva, Uscirono insieme e il sorriso di Amalia sembrava pregare il Balli di piacergli. I ricci dei suoi capelli sulla fronte erano più variamente macchiati che coloriti.
Amalia aveva una piccola piuma bianca sul cappellino e Balli seppe celare il malumore che lo colse all’idea di dover traversare la città accanto a quella donnetta di un gusto tanto perverso da porre un segnale bianco a piccola distanza da terra (p. 78)
Accanto al vasto mare quella folla era poco seria: aveva del formicaio. In molti salutavano il Balli, e Amalia ne era fiera. Incrociano Ange che passeggia con il Volpini: il donnone e l’omino erano una coppia incongrua. Lui per stare al passo di lei, allungava il suo con isforzo e vanto. Balli andava spesso a trovare i due fratelli, e Amalia si illudeva. Amalia non sapeva tutto di Angiolina: aveva visto una creatura più forte e vitale di lei e voleva conoscerla. Balli si sentiva bene tra i due fratelli, due persone miti che lo ammiravano e lo amavano.
 Quando Balli frequentava i due amanti maltrattava Angiolina. Emilio ne soffriva: “Soffro troppo di vederla vilipendere a quel modo”. Quando uscivano in quattro, Emilio era condannato al silenzio, Margherita e Angiolina in ginocchio dinanzi al Balli. Lo scultore confessò a Emilio che Margherita era come Angiolina, forse anche peggio e lo faceva per mantenere una caterva di sorelle. Emilio cerca di educare Angiolina insegnandole il rispetto , osservandola (respicio) come era. Ma si metteva nella posizione genuflessa nella quale sarebbe stato facile buttarlo via con un calcio.
Una sera di tisico carnevale il Balli passeggiava da solo lungo l’Acquedotto. Il vortice del carnevale avrebbe sottratto per un istante l’operaio, la sartina, il povero borghese alla noia della vita volgare per condurli poi al dolore (cfr. le Baccanti).

CONTINUA

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[1] P. P. Pasolini, , dai “Dialoghi con Pasolini” su “Vie Nuove” (1960) in Pasolini saggi sulla politica e sulla società, p. 910.

[2] I malevoli dicono che Euripide ebbe disavventure con un paio di mogli.
[3] Di là dal bene e dal male, Aforismi e interludi, 168.
[4] L’anticristo, p. 204.

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