martedì 16 aprile 2019

Debrecen. Capitolo 11. La bambina.

La bambina. Sul  tornare bambini con la consapevolezza del male e del bene

( errata corrige: "dopo la consapevolezza"  al posto del cacofonico e poco chiaro "con la consapevolezza"
Orazio suggerisce: “carmen reprehendite quod non/ multa dies et multa litura coercuit atque/ praesectum decies non castigavit ad unguem” (Ars poetica, vv. 292-294), biasimate la poesia che né un lungo tempo né molte cancellature hanno rifinito, e, dopo averla sfrondata una decina di volte, non ha corretto fino all'unghia, alla perfezione.)

Sabato 4 agosto andammo in gita a Eger, famosa per avere respinto un assalto dei Turchi e per i suoi vini: l’Egri bikavér, il sangue di toro di Eger, già noto a chi mi legge e l’Egri leánika, e la fanciulla - una baccante? - di Eger, splendidi doni di Bacco alla Pannonia. Dioniso e il toro, Dioniso e le menadi. Non mi limitai a bere però; dialogai con Silvia, la tedesca dell’est già menzionata sopra, la giovane bionda e un poco opulenta che sapeva parlare e pure ascoltare. Quel giorno, facendo attenzione a tutto quanto udivo e vedevo, compresi che la maturità mentale consiste, tra l’altro, nel ridiventare com’eravamo da bambini, prima delle diverse crisi di identità dell’adolescenza o dei primi vent'anni.
L’età tragica della mia vita e di tanti altri umani.
Mentre osservavo e ascoltavo, mi accorsi che da qualche tempo l’intelligenza, le esperienze e un demone buono mi stavano riconducendo alla mia antica natura infantile qual era prima di venire contraffatta e aulterata dai luoghi comuni dell’epoca. Ci venne vicino una giovane donna con una bambina di quattro o cinque anni che disegnò il disco solare con i raggi e disse: “questa è la testa del fuoco, è la faccia di Dio”. Mi tornò in mente Platone, il mito della caverna e il sole che è nel visibile quello che è l’idea del bene, il massimo oggetto di scienza nell’intellegibile[1]. Poi ricordai Leopardi quando scrive che la filosofia ci ha insegnato “quello che da fanciulli ci era connaturale” [2], e che poi avevamo dimenticato e perduto 
La bambina aveva disegnato il mare con un pesce enorme, una rete, tanti pesci piccoli, e disse: “Questa è la balena che cattura i pesciolini con una ragnatela”.
Il diritto del più forte - pensai - uccellacci e uccellini. I bambini intelligenti capiscono molte cose. Intuiscono la parentela di tutto con tutto, dell’intera natura con se stessa, siccome hanno dentro qualche cosa di sacro, e lo manifestano fino a quando non temono i giudizi mortificanti degli adulti mortificati ”.
Voglio dire che arrivato vicino ai 35 anni, dopo tante esperienze e letture, mi sentivo simile a quella creatura nel senso che avevo recuperato il coraggio infantile di dire quanto pensavo e sentivo: non temevo più i giudizi della gente meccanica, formata sui luoghi comuni, mimetica della pubblicità, una imitazione del diavolo che andrebbe proibita. Elogiai la piccola alla madre, una bella signora bruna, con gli zigomi alti e gli occhi chiari, dal taglio magiaro rendente al chirghiso. Mi disse il suo nome e mi chiese chi fossi. Mi presentai e dissi che ero un uomo contento e che mi piaceva l’ umanità: facevo un lavoro che mi soddisfaceva, amavo una donna contraccambiato, godevo di una buona salute mentale e fisica e volevo rendermi utile al prossimo mio, a partire dagli adolescenti che educavo a diventare ciascuno quello che era davvero, possibilmente bello e buono.
A Silvia, quando mi chiese dei chiarimenti su quanto aveva sentito, aggiunsi che stavo riprendendo coscienza dell’ottimismo mio, connaturato eppure smarrito durante la crisi postliceale, siccome in quel tempo sciaguratissimo avevo creduto nei bruti servi dell’assuefazione più che in me stesso. Dopo un biennio di quasi disperazione, senza bicicletta né corsa, con studio fatto male e controvoglia, nessun amore, nessuna amicizia, niente tranne ingrassare e lamentarmi, avevo cominciato a ritrovare quello che ero e ce l’avevo fatta aiutato anche dal Sessantotto e dai collegi universitari di Bologna e di Debrecen grazie ai quali ero uscito dall’isolamento.
I colpi di grazia, generosi latori di vita bella, non certo di morte come si usa dire, erano stati i miei primi allievi, l’amicizia di Fulvio, le tre finniche benedette da Dio Helena, Kaisa, Päivi e alla fine dei conti Ifigenia la bella che mi aspettava, speravo, in Italia sull’Adriatico osservando gli innumerevoli sorrisi della distesa marina e pensando a me come io la pensavo.
giovanni ghiselli

p.s. Situazione del blog da sei anni e due mesi 

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Procederò con la narrativa se vedrò che viene letta. Anche questa è una prova del Ghiselli agonista.
Non trascurerò comunque la parte parlata e scritta del conferenziere. Le prossime: il 19 aprile nella biblioteca Ruffilli con Ammiano Marcellino e Giuliano Augusto, poi il 29 aprile nella Scandellara con Svevo.
Saluti a quanti mi leggono. Siete tanti e contribuite anche voi a rafforzare la mia identità. Vi sono grato.


[1] Platone, Repubblica, 505a: "hJ tou' ajgaqou' ijdeva mevgiston mavqhma".
[2]  Cfr. Zibaldone, 305.

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