giovedì 28 agosto 2014

Twitter, XLIX antologia

Pina Picierno

26 agosto

Dalla bocca di Matteo Crisostomo escono spesso promesse grosse assai. A quella bocca tutta d'oro non si può non credere.
In principio erat Verbum, et Verbum erat apud Matthaeum et Matthaeus erat Verbum

Mentre la crisi avanza, Renzi non interrompe la chiacchiera fuori dai denti, né la Boschi i sorrisi languidi, né il pio Giovanardi le  devozioni sante.

I berlusconiani amano fare pompa delle ricchezze che sono prova della loro onestà

"L'arte" della guerra è quella della distruzione della specie umana. Ora ci si mettono  anche l’arte dei  mercati e quella delle banche.

la Boschi ha visto 6 uccelli (come Remo) la Piciernio 8, Renzi 12 (come Romolo). L'auspicio non dice e non nasconde, ma significa (cfr. Eraclito e Tito Livio )

Vorrei che la cultura, l'intelligenza, la buona educazione, fossero non solo esenti da colpa e da derisione, ma perfino, addirittura meritorie. Ho mai avuto desiderio più pazzo?

Infaticabilmente agili e preste le ministre sponsorizzate con il loro capo  promettono una nuova età dell’oro: “iam redit et Virgo, redeunt Saturnia regna/iam nova progenies caelo demittitur alto”.
I prototipi della nuova progenie felice sono Renzi, la Boschi e la nipotina della nonna, la deliziosa Piciernio, detta anche “il gioiellino”

Va bene la meritocrazia in termini di impegno, cultura, capacità di trasmetterla. Ma chi giudicherà i docenti? Alfano, Berlusconi o Gasparri, oppure l’ineffabile nipotina Piciernio detta altresì il gioiellino? Andrebbe meglio se lo facessero i discenti, almeno nell’ultimo anno delle superiori all’Università

Un orribile dubbio mi tormenta: che cosa significa abolire i supplenti e precari?
 Sterminarli? Licenziarli? Immetterli in ruolo senza verifiche?
Vorrei saperlo. Forse anche i miei non pochi lettori sono tormentati da questi atroci quesiti. Aspettiamo una risposta qualunque. Basta sottolineare una delle tre possibilità della terza riga. Due al massimo.


giovanni ghiselli
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lunedì 25 agosto 2014

Didone Enea, e altre coppie di amanti tragici. L'amore come guerra, ferita, follia e morte

Pompeo Batoni, Didone abbandonata, 1747
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I parte 21 agosto

Questo studio presenta la storia di Enea e Didone insieme con quelle di altri amanti feriti dal loro stesso amore. I testi fanno parte principalmente della poesia classica latina al cui vertice si trova Virgilio quale poeta centrale non solo delle letterature antiche ma di tutta la civiltà letteraria europea.
Il percorso di questo volume contiene diverse situazioni topiche tanto nell'arte quanto nell'esperienza umana: per questo si è certi che susciterà un forte interesse sia negli studenti sia negli insegnanti.
L'aspetto contenutistico, di forte richiamo emotivo, consente altresì di educare i giovani, attraverso "lo bello stilo" di Virgilio, a un uso preciso ed elegante della parola, in necessario contrasto con quella poltiglia paratattica, meccanica, ossessiva, la quale sta provocando una vera e propria entropia linguistica che impedisce la comunicazione e la comunione umana. L'odio per le parole infatti, presto o tardi, diviene odio pure per gli uomini. Il bello è difficile, ma, quando viene bandito, l'animo umano ne sente una nostalgia acuta. Gli autori presenti e vivi in questo libro sono dei classici in quanto ci hanno lasciato pagine esemplari che creano meraviglia, suscitano domande e riflessioni, suggeriscono pensieri, e in definitiva accrescono la nostra vita intessendola con quelle splendidamente immaginate da loro.


Introduzione

Al precedente lavoro su Medea e le abbandonate affianco questo su Didone e su altre donne della letteratura ferite a morte per amore. Questa volta privilegio il latino che costituisce l'altra parte di quella "corrente sanguigna" della quale vive la letteratura europea: "e come un solo, non già due distinti sistemi di circolazione; giacché è attraverso Roma che possiamo ritrovare la nostra parentela con la Grecia"1. Per quanto riguarda la mia metodologia rimando all'introduzione del volume precedente; per l'importanza capitale del latino e la necessità della sua sopravvivenza cito alcune parole di Schopenhauer:"
L'uomo che non conosce il latino somiglia a colui che si trova in un bel posto, mentre il tempo è nebbioso: il suo orizzonte è assai limitato; egli vede con chiarezza solamente quello che gli sta vicino, alcuni passi più in là tutto diventa indistinto. Invece l'orizzonte del latinista si stende assai lontano, attraverso i secoli più recenti, il Medioevo e l'antichità.-Il greco o addirittura il sanscrito allargano certamente ancor più l'orizzonte.-Chi non conosce affatto il latino, appartiene al volgo, anche se fosse un grande virtuoso nel campo dell'elettricità e avesse nel crogiuolo il radicale dell'acido di spato di fluoro"2.

Il latino verrà presentato e reso interessante attraverso il tema amoroso, con i suoi aspetti topici e le parole chiave del sermo amatorius (servitium amoris, domina, urit, ardor, vulnus, ulcus, sagitta) usate dagli auctores più accrescitivi nei testi più significativi.
Questo percorso attraversa diverse epoche e molti autori, greci, latini e dell'Europa moderna, tra i quali è centrale Virgilio con la sua poesia che raccoglie gran parte delle correnti spirituali del mondo classico anticipando non pochi aspetti della cultura europea moderna. Sentiamo ancora T. S. Eliot:" fra i grandi poeti greci e romani, credo che andiamo massimamente debitori del nostro ideale di classicità a Virgilio…La speciale natura della sua comprensività è dovuta alla posizione, unica nella nostra storia, dell'Impero romano e della lingua latina: una posizione che può dirsi conforme al suo fato. Questo senso del fato prende coscienza di sé nell'Eneide. Lo stesso Enea è, dal principio alla fine, una creatura del fato: un uomo che non è un avventuriero o un intrigante, un vagabondo o un arrivista; un uomo che compie il proprio destino non per forza o per decreto arbitrario-né certamente per brama di gloria - ma sottomettendo la propria volontà a un potere più alto…e dal punto di vista umano non è uno che sia felice o abbia successo. Ma è il simbolo di Roma, e quello che è Enea per Roma, l'antica Roma è per l'Europa. Così Virgilio si conquista la "centralità" del classico supremo; è lui il centro della civiltà europea, in una posizione che nessun altro poeta può condividere o usurpare"3.
Eliot è uno dei più convinti laudatores moderni del poeta mantovano, ed è un suo allievo ortodosso: in fondo il metodo mitico4 è praticato già da Virgilio, quando, come vedremo, attraverso Didone l'autore dell'Eneide ripropone Medea, sia quella di Euripide, sia quella di Apollonio Rodio.
Non mancano d'altra parte gli obtrectatores di cui anche devo dare conto per mettere a disposizione dello studente una critica contrastiva dentro la quale gli sia possibile fare una scelta autonoma attraverso un giudizio personale. Faccio intanto un esempio riferendo la stroncatura nauseata di Huysmans: il protagonista di Controcorrente, Des Esseintes, dà giudizi dissacratòri su alcuni classici usualmente celebrati come sommi e ribalta le valutazioni canoniche, al punto che il giovane può magari trovare autorizzata la sua antipatia per questo o quell'altro autore universalmente consacrato dalla critica scolastica.
"Virgilio…gli appariva non solo uno dei più esosi pedanti, ma anche uno dei più sinistri rompiscatole che l'antichità abbia mai prodotto. I suoi pastori, usciti pur mo' dal bagno e azzimati di tutto punto, che si scaricano a vicenda sul capo filastrocche di versi sentenziosi e gelati; il suo Orfeo ch'egli paragona a un usignolo in lacrime5; il suo Aristeo che piagnucola per delle api; il suo Enea, questo personaggio indeciso e ondeggiante che si muove come un'ombra cinese, con mosse da marionetta".
Virgilio avrebbe per giunta compiuto "impudenti plagi6 di cui fan le spese Omero, Teocrito, Ennio, Lucrezio"; la metrica sarebbe stata "tolta in prestito alla perfezionata officina di Catullo". In conclusione: "quella miseria dell'epiteto omerico che torna ogni momento e non dice nulla, non evoca nulla; tutto quell'indigente vocabolario sordo e piatto, lo mettevano alla tortura"7.
Questo lavoro non raccomanda ortodossie né condanna le eresie. Eventualmente segnala con scarsa simpatia i luoghi comuni non autorizzati dalla ragione, contrari alla giustizia, ignari della bellezza.
Talora il bianco e il nero possono coesistere in una logica aperta al contrasto.
Robert Graves nel suo pamphlet antivirgiliano8 presenta l'autore dell'Eneide " come l'antipoeta per eccellenza, seguace di Apollo (non di Dioniso) nel costruire un poema come gioco di alta matematica letteraria e politica"9.
Non è detto però che la matematica, quella alta in particolare, sia in contrasto con la poesia: E.Pound10 ha scoperto il correlativo oggettivo scrivendo: "Poetry is a sort of inspired mathematics, which gives us equations, not for abstract figures, triangles, spheres, and the like, but equations for the human emotions"11, la poesia è una specie di matematica ispirata che ci dà equazioni non per figure astratte, triangoli, sfere, e simili, ma equazioni per le emozioni umane.
Nemmeno Pound d'altra parte si trova tra i laudatores, anzi: "negli anni più crudi del primo conflitto mondiale il canone di Pound escludeva seccamente Virgilio epico, e questi sono appunto gli anni del primo incontro con Eliot e del sodalizio con Yeats (traducendo rinuncio alle sfumature dialettali del testo inglese):"L'abisso che esiste fra Omero e Virgilio, fra Ulisse ed Enea, può venire illustrato in termini profani da uno degli aneddoti preferiti di Yeats12. Un semplice marinaio si mette in mente di studiare latino; si rivolge a un maestro e questi lo avvia all'Eneide. Dopo molte lezioni, il maestro fa una domanda riguardante l'eroe del poema. Il marinaio dice:"Quale eroe?" E il maestro:"Ma come? Enea, maturalmente, l'eroe". E il marinaio;"Cosa, un eroe? Lui un eroe? Diavolo, credevo che fosse un prete" (E. Pound, ABC of Reading, London 1961, p. 44)"13.
All'interno del nostro percorso incontreremo alcune altre valutazioni negative della figura di Enea, insieme con diverse positive.
La critica però va letta dopo i testi14 dei quali presento un'ampia scelta. Dei tanti libri menzionati ho scelto, tradotto e commentato alcuni brani che rappresentano i momenti epifanici dell'opera dell'autore e, quindi, sono divenuti topici nella cultura europea.
Gli auctores più numerosi sono i Latini ( Virgilio, Catullo, Orazio, Tibullo, Properzio e Ovidio e altri "minori") ma non mancano i loro maestri Greci ( soprattutto Omero, i tragediografi, gli storiografi e gli alessandrini) e gli allievi moderni degli uni e degli altri. I classici che ho scelto sono scrittori che hanno parlato di noi15 e, anche se non basteranno da soli a risolvere i nostri problemi, potranno aiutarci prima a capirli, quindi ad affrontarli.

Bibliografia
M. Barchiesi, I moderni alla ricerca di Enea, Roma, Bulzoni, 1981.
T. S. Eliot, Che cos'è un classico? , 1944. In T. S. Eliot, Opere, trad. it. Bompiani, Milano, 1986, p. 975.
J. K. Huysmans, Controcorrente, trad. it. Garzanti, Milano, 1975.
R. Musil, L'uomo senza qualità , trad. it. Einaudi, Torino, 1972
A. Schopenhauer, Parerga e paralipomena, , trad. it. Adelphi, Milano, 1983,
Tomo II, p. 772.
Dionigi (a cura di) Di fronte ai classici, Rizzoli, Milano, 2002.

Giovanni ghiselli

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1 T. S. Eliot, Che cos'è un classico?, 1944. In T. S. Eliot, Opere, p. 975.
2 A. Schopenhauer, Parerga e paralipomena, Tomo II, p. 772.
3 T. S. Eliot, Che cos'è un classico?, p. 973
4 In una famosa recensione all'Ulisse di Joyce (Ulysse, Order and Myth , "The Dial", nov. 1923.) T. S. Eliot definiva il metodo mitico, in opposizione a quello narrativo, come il modo di controllare, di dare una forma e un significato all'immenso panorama di futilità e anarchia che è la storia contemporanea. "Instead of narrative method, we may now use the mythical method ", invece del metodo narrativo possiamo ora avvalerci del metodo mitico. Alla fine di The Waste Land La terra desolata, del 1922., Eliot afferma: "These fragments I have shored against my ruins" (v. 430), con questi frammenti ho puntellato le mie rovine
5 Cfr. Georgica IV: "Qualis populeā maerens philomēla sub umbra/amissos queritur fetus…" ( vv. 511-512), quale l'usignolo addolorato, sotto l'ombra del pioppo, lamenta le creature perdute.
6Robert Musil (1880-1942) attraverso il suo protagonista Ulrich, il quale gioca sempre al ribasso, parla ironicamente di una "catena di plagi" (L'uomo senza qualità , p. 270.) che lega le grandi figure del mondo artistico l'una all'altra.
7 Huysmans, Controcorrente, p. 42 ss.
8 The White Goddess: A Historical Grammar of Poetic Myth, London 1948.
9 M. Barchiesi, I moderni alla ricerca di Enea, p. 15.
10 "Il miglior fabbro", secondo T. S. Eliot.
11The Spirit of Romance , Londra, 1910, p. 5.
12 1865-1939.
13 M. Barchiesi, I moderni alla ricerca di Enea,p.18.
14 Volvendi enim sunt libri, (Cicerone, Brutus, 298) i libri dobbiamo leggerli veramente, per non finire travolti dall'onda qualunquistica del didattichese applicabile nello stesso modo a qualsiasi materia.
15 Cfr. A. Traina in Di fronte ai classici, p. 263.

giovedì 21 agosto 2014

Twitter, XLIII antologia

21 agosto

Fine delle vacanze e dell’estate. Arriva l'autunno: et sol crescentes decedens duplicat umbras. Le ombre  sono: disoccupazione, impoverimento dei poveri, arricchimento dei ricchi. Conte, il c.t. della nazionale è simbolico.

Di bocche senza freno e senza porta, il termine è sventura (to telos dystychìa, Euripide, Baccanti). Chi ha orecchi intenda (Nuovo Testamento).
La chiacchiera continua è un'affezione dell'animo disoccupato (pathos psychés scholazùses, Teofrasto). O male occupato, occupato a fare del male.

Antiquus dominus cancer est. Mi chiedo se il mercato e le banche siano ancora operabili.

I cristiani e i marxisti hanno preteso di signoreggiare la natura. I Greci pensavano che fosse meglio rispettarla.

Nel capitalismo alcuni Trimalchioni traggono piaceri postribolari dal lavoro di milioni di anime morte.

Parole e gesti delle attuali pulzelle politiche sono caotici, non ordinati nell'unità di uno stile. Fanno rimpiangere Tina Anselmi o Nilde Iotti, p. e.

Il diritto è in ritardo sui fatti. Ecco perché i processi durano decenni.
La mafia vera, quella del capitalismo, dispone dei posti di comando e li distribuisce come vuole. Arriva dappertutto, in tutto il nostro paese.

Le lacrime della Foriero, a vederle ai raggi del sol, erano cristallo e perle.
Come i denti della Boschi che, sorridente, potrebbe fare innamorare il cielo con la sua bellezza. La nipotina Piciernio con il suo sorriso celeste fa quasi lampeggiare un doppio sole.

Mentre gli aerei pomposamente armati sganciano bombe sui civili, i nostri ministri modulano a gara graziosette note piene di  umanità e religione.

Poi c’è la ripresa sicura, dice Renzi fra tante vaghezze di parole allettatrici e lusinghiere. Del resto è merito suo.
Poi il giovanotto apre la bocca e mostra i denti, come il pavone quando sfoggia la pompa delle occhiute piume

giovanni ghiselli

172128 contatti umani alle 11 del 21 agosto 2014.  Questo mi piace. Scriverò ancora

lunedì 18 agosto 2014

"Generazioni", incontriamo Remo Bodei


Twitter, XLII antologia

17 agosto

Voglio tenere il cuore e la mente lontani dagli uomini di potere.
Sono nemici dell' intelligenza e della sensibilità.

La giovinezza della Boschi o della Piciernio, che si vanta della nonna ancora vispa, sembra essere fuori (sopra o sotto?)  dai limiti naturali per un politico seduto nelle poltrone del Palazzo.

Il prossimo giugno la luce, che ora si accorcia e sbiadisce, sarà di nuovo lunga e splendida. Sì, direte, ma del sorriso primaverile delle nostre ministre che cosa sarà ?

La Boschi, la Piciernio e le altre "renzine": una sola forma di molti nomi (pollw̃n ojnomavtwn morfh; miva Eschilo, Prometeo incatenato, 210) come la Magna mater , sebbene pulzelle.

Nei sorrisi delle due Gioconde c'è una motivazione compositiva: nessun gesto, atto, movimento deve restare inutilizzato. La recita è continua
Dico recita, per significare la mistificazione perpetrata dai politici istrioni e dalle politiche mime fino ai particolari minimi.

Se c'è una controparte al duro autunno, al terribile inverno che ci aspettano, e taccio dell’inevitabile tomba con gli odiosi cipressi, è il sorriso primaverile delle ministre pulzelle.

Direte: fai dell'ironia e del sarcasmo sulla Boschi, la Piciernio e le altre fanciulle renziane. perché ti piacciono e non ti contraccambiano.
Certo che mi piacciono, mi piacciono molto comunque. Perché, a voi no?

Qui nella  provincia, dove sono in ferie, vige ancora l'uso della "conoscenza-maldicenza- del film I vitelloni di Fellini. Non pochi passano il tempo sparlando degli altri.

Guerre, guerre raccapriccianti vedo, e il Tigri e l'Eufrate spumeggianti di sangue. Grazie ai Bush e ai loro servi. Anche quelli italiani.

Cinque milioni di biglietti venduti per l’Expo non significano felicità, né virtù, né bellezza. Per me non significano niente, caro Renzi.
Significano tutto per coloro che considerano valori supremi, o addirittura valori unici, il vendere e il comprare. Tale gente genera miasmi.

A Giovanni Paolo II  santo recentissimo, preferisco l'antico profeta Giovanni Battista: inter natos mulierum non surrexit maior, disse di lui il Cristo. L’onesto Giovanni si nutriva di miele e locuste. E mi aiuta

I politici formano un corteo di maschere. Spesso uno di questi pupazzi cambia costume (cfr. Luciano). La buffonata è applaudita dai servi che fiancheggiano il corteo

Scherzi lessicali: pedofilo, etimologicamente significa  "chi ama i fanciulli", ora vuol dire criminale;  mentre chi ammazza i bambini con le bombe è solo un soldato distratto, ignaro degli “effetti collaterali”.

Pedofilo nel significato comune di oggi è senza dubbio un delinquente da punire; chi massacra gettando bombe su uomini donne e bambini è un assassino di stirpi. Come i nazisti.

Risposta a Papa Francesco: quello che conta davvero nella vita è il rispetto della vita e l'amore per la vita. La vita di tutte le creature  viventi.

A Papa Francesco: il mio cuore sanguina anche vedendo i bambini in Italia, usati, corrotti e deformati dalla pubblicità che introna le teste

I genitori infarciti di pubblicità spingono i figli a diventare consumatori di cose brutte e dannose La spiaggia di Pesaro  ridonda di  obesi, simbolici di una civiltà suicida

Profondamente immorale, e volgare, è la mercede ricevuta dal mercenario Conte: gridano vendetta tutti i salariati e gli stessi dei.

Le ferite inferte da Berlusconi sono quasi immedicabili: infatti per natura della debolezza umana i rimedi sono molto più lenti dei mali e le attività dell'ingegno si possono più facilmente opprimere che risvegliare (Tacito, Agricola)

L'individuo terrorista è un pazzo criminale. Il terrorismo di Stato è pseudo razionale, non meno criminale, e più deleterio. Fa più vittime.

Il terrorismo di Stato non solo fa tante vittime, ma rimane sempre impunito. Tacciano dunque coloro che coprono o giustificano le stragi di Stato.


giovanni ghiselli

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Il 17 settembre, alle 18, nella libreria Feltrinelli di piazza Ravegnana di Bologna presenterò il libro di Remo Bodei Generazioni

domenica 17 agosto 2014

"Generazioni" di Remo Bodei, parte VIII della presentazione

Ottava  parte della presentazione del libro di Remo Bodei
Generazioni
Età della vita, età delle cose.  Editori Laterza, Roma-Bari 2014.

Bodei procede citando “le parole di Agostino, che tanto piacevano a Hannah Arendt ciascuno di noi nascendo costituisce una novità inimitabile, inizia una nuova storia”[1].
Gli anni turbolenti, di mutazioni epocali, nel quale visse Agostino (354-430 influirono indubbiamente  su questo pensiero del vescovo di Ippona:  si pensi per esempio, alle alterne sorti di Stilicone e al sacco di Roma da parte di Alarico.
Del resto, nota Bodei ciascun individuo “giunge in una realtà già fatta e condivide con i coetanei e i contemporanei le vicende del suo tempo”. Sono dunque le sensibilità diverse e le varie educazioni che si ricevono a fare le differenze. In ogni caso ogni generazione fruisce, o subisce, esperienze che la caratterizza. Per fare un esempio, la mia generazione di studenti    ha ricevuto un’impronta profonda dal  movimento del ‘68.
Ma quanti anni dura ciascuna generazione?
“In senso biologico, come distanza temporale tra genitori e figli, si contano tre o quattro generazioni per secolo” (Generazioni, p. 47). Ma se si intende l’ “insieme di coetanei che condividono determinate esperienze storiche…relativamente omogenee elaborate durante gli anni formativi”, la durata di una generazione “si ridurrebbe invece a quindici anni. Questa è, almeno, la proposta di José Ortega y Gasset, uno dei pionieri dello studio sull’argomento, che segue l’indicazione di Tacito[2]”. 

 Tacito segnala cambiamenti grandi e rapidi dei costumi e della cultura che i tiranni pervertono e deprimono abbastanza rapidamente ma con danni difficilmente riparabili , siccome l’abitudine alla severa disciplina richiesta dagli studi, una volta perduta, è molto difficile ritrovarla[3].  

 Del resto lo storiografo del primo secolo dell’impero fa anche l’ipotesi che le vicende dei mores umani siano assimilabili all’avvicendarsi  delle stagioni:"Nisi forte rebus cunctis inest quidam velut orbis, ut quem ad modum temporum vices ita morum vertantur "(Annales , III, 55), a meno che per caso in tutte le cose ci sia una specie di ciclo, in modo che, come le stagioni, così si volgono le vicende alterne dei costumi.
In questo caso però il contesto è diverso: Tacito  applica l'idea polibiana del ciclo (ajnakuvklwsi" ) all'economia e alle mode: con l'avvento di Vespasiano (69 d. C.) termina il tempo del  luxus  delle splendidissime famiglie senatorie, un ciclo iniziato "a fine Actiaci belli "(Annales , III, 55)  dalla fine della guerra di Azio, il 31 a. C.
Il primo imperatore flavio infatti era : "praecipuus adstricti moris auctor (...) antiquo ipse cultu victuque " (Annales , III, 55) principale promotore di vita austera...egli stesso di antica semplicità nel mangiare e vestire[4].
Lo storiografo vuole cercare le cause di questo mutamento ("causas eius mutationis quaerere libet ", Annales , III, 55) che fu graduale e variamente motivato, ma ebbe il principale auctor  in Vespasiano.
Infatti la cortigianeria verso l'imperatore, e il desiderio di imitare tale modello, ebbero maggior valore delle pena minacciata dalle leggi suntuarie e della paura:"Obsequium inde in principem et aemulandi amor validior quam poena ex legibus et metus ". Sappiamo da Omero, Esiodo e dalla tragedia greca che i costumi, virtù, vizi e perfino malattie del capo si riverberano sulla sua terra per una sorta di responsabilità collettiva.

Sul conto dei quindici anni, credo che la generazione  di Bodei e mia possa essere d’accordo: i nati tre lustri dopo la guerra hanno respirato una cultura diversa dalla nostra.
“Nel suo secondo significato, la generazione è una “coorte” di individui che nascono, crescono e si sviluppano assieme…essi partecipano con i coetanei a vicissitudini storiche condivise in maniera abbastanza simile e, pertanto differente dalle altre tre o quattro generazioni a loro contemporanee” (p. 48)
 Si può pensare alle esperienze fatte in famiglia, ai rapporti con i fratelli, assai differenti ovviamente da quelli con i genitori, con i nonni e magari, dato l’allungamento della vita, con i bisnonni.
L’autore quindi si chiede quali esperienze fondino una generazione. I grandi eventi epocali certamente, ma anche “le vicende private” (p. 50) e, tra quelle pubbliche, pure le mode: “una generazione è rappresentata non solo da coloro che, entro una certa fascia di età, hanno vissuto una guerra, una rivoluzione, la nascita o il crollo di un regime, determinati eventi traumatici o gioiosi, ma anche da quanti hanno in comune gli anni in cui campeggiavano personaggi famosi e in cui erano in voga determinate canzoni e particolari modi di dire.” (p. 51).

Su quanto influiscano le mode sui mores sentiamo anche Musil:"se Arnheim avesse potuto figger lo sguardo negli anni futuri, avrebbe visto che millenovecentovent'anni di morale cristiana, milioni di morti in una guerra sconvolgente e una selva poetica tedesca che aveva cantato il pudore della donna non aveva potuto ritardare di un'ora il momento in cui gli abiti femminili si erano accorciati e le fanciulle d'Europa per un certo tempo s'erano sbucciate nude come banane da millenari divieti. Anche altri cambiamenti avrebbe veduto, che mai gli sarebbero parsi possibili, e non importa sapere che cosa rimarrà e che cosa tornerà a sparire, quando si pensa agli sforzi enormi e probabilmente vani che sarebbero occorsi a promuovere un simile rivolgimento delle condizioni di vita scegliendo la via cosciente e responsabile del progresso spirituale attraverso i filosofi, i pittori e i poeti, invece di quella che passa attraverso gli avvenimenti della moda, i grandi sarti e il caso; perché se ne può dedurre quanto sia grande la forza creativa della superficie, paragonata alla sterile pervicacia del cervello"[5].

Riprendo in mano Tacito il quale fa notare che il costume prevalente non è modificabile con le leggi, nemmeno da quelle di un autocrate
La lex Papia Poppaea (del 9 d. C.) comminava pene e sanzioni ai renitenti alle nozze, mentre  concedeva agevolazioni fiscali e legali a chi avesse almeno tre figli (ius trium liberorum). Lo storiografo latino ci fa sapere che Augusto già piuttosto vecchio (senior) l’aveva ratificata dopo le leggi Giulie[6] incitandis caelibum poenis et augendo aerario (Annales III, 25), per aggravare le pene contro i celibi e per impinguare l’erario.
Non per questo i matrimoni e le nascite dei figli divenivano più frequenti, praevalida orbitate, tanto si era affermato il costume di non avere famiglia.
Cassio Dione[7] racconta che Augusto nel 18 a. C. sottopose a punizioni fiscali le categorie dei celibi e delle nubili, mentre istituì dei premi (a\qla e[qhken)  per il matrimonio e la procreazione (54, 16).
E siccome nella nobiltà c'erano più maschi che femmine, consentì a chi lo desiderava, tranne che ai senatori, di sposare delle liberte con nozze legittime.
Più avanti lo storiografo racconta che l'imperatore nel 9 d. C. parlò agli sposati e ai celibi. Elogiò i primi, meno numerosi, dicendo che erano cittadini benemeriti e fortunati: infatti ottima cosa è una donna temperante, casalinga, buona amministratrice e nutrice dei figli ("a[riston gunh; swvfrwn oijkouro;" oijkovnomo" paidotrovfo" "(LVI, 3, 3) ed è una grande felicità lasciare il proprio patrimonio ai propri figli; inoltre anche la comunità riceve vantaggi dal grande numero (poluplhqiva, 3, 7) di lavoratori e di soldati.
Quindi Augusto parlò con parole di biasimo ai non sposati che erano molto più numerosi. Voi, disse in sostanza, siete gli assassini delle vostre stirpi e del vostro Stato. Voi tradite la patria rendendo deserte le case e la radete al suolo dalle fondamenta:"a[nqrwpoi gavr pou povli" ejstivn, ajll' oujk oijkivai oujde; stoai; oujd j ajgorai; ajndrw'n kenaiv" (LVI, 4, 1), gli uomini infatti in qualche modo costituiscono la città, non le case né i portici né le piazze vuote di uomini.
Augusto seguita il suo discorso ricordando le leggi moralizzatrici, o presunte tali, da lui volute, quindi accusa i celibi di essere simili ai briganti e alle fiere selvatiche: voi, dice, non è che volete vivere senza donne, visto che nessuno di voi mangia o dorme solo:"ajll' ejxousivan kai; uJbrivzein kai; ajselgaivnein e[cein ejqevlete" (LVI, 4, 6-7), ma volete avere la facoltà della dismisura e dell'impudenza.
Poi il Princeps ammette che nel matrimonio e nella procreazione ci sono aspetti sgradevoli (ajniarav tina), ma, aggiunge, non  mancano i vantaggi. Ci sono i premi promessi dalle leggi:"kai; ta; para; tw'n novmwn a\j'qla", 8, 4).

Ma torniamo a Generazioni e vediamo la conclusione di questo capitolo. Bodei segnala i mutamenti del linguaggio con il succedersi delle generazioni. “Come esiste un lessico familiare, così esiste uno specifico lessico generazionale” (p. 51). Condivido con l’autore il ricordo dell’espressione “nella misura in cui” ripetuta a proposito e a sproposito,  negli anni Sessanta e Settanta.

E’ possibile notare anche vere e proprie transvalutazioni lessicali come fa Tucidide raccontando la guerra civile di Corcira[8],  e Sallustio nella monografia sulla congiura di Catilina[9].
Personalmente ho notato e segnalo il capovolgimento di valore della parola “moderato” che alla fine degli anni Sessanta aveva un significato del tutto negativo, mentre ora non c’è chi non si dichiari tale

Bodei conclude il capitolo citando Orazio: “Per l’Orazio dell’Ars poetica, nella stessa maniera in cui esistono generazioni di uomini, esistono anche generazioni di parole: “come i boschi mutano le loro foglie, con l’avvicendarsi degli anni, e cadono le foglie precedenti, così muore la generazione di parole più vecchia, mentre le parole appena nate fioriscono come giovani corpi, e crescono[10]” .(Generazioni, p. 51).

Giovanni Ghiselli

P. S,
Questo libro verrà presentato a Bologna nella  libreria Feltrinelli di piazza di Porta Ravegnana, alle 18 del 17 settembre
Ecco l’annuncio
Dialogo con Remo Bodei .
Intervengono Walter Tega e Francesca Emiliani
Presiede Gianni Ghiselli
Di R.Bodei: “Generazioni. Età della vita, età delle cose”.



[1] Cfr. Agostino, De civitate Dei, XII, 2, 4: “initium ergo ut esset creatus est homo”. Si veda anche R. Bodei, Immaginare altre vite, Feltrinelli, Milano 2013, pp. 10-11.
[2] Tacito, De vita Agricolae, III, quindecim annos, grande mortalis aevi spatium.
[3]  "natura tamen infirmitatis humanae, tardiora sunt remedia quam mala; et ut corpora nostra lente augescunt, cito extinguuntur, sic ingenia studiaque, oppresseris facilius quam revocaveris" ( Tacito, Agricola, 3), Per  natura della debolezza umana, i rimedi sono più lenti dei mali, e come i nostri corpi crescono lentamente e rapidamente si estinguono, così le attività dell'ingegno si possono più facilmente opprimere che risvegliare.
[4] Nelle Historiae  Tacito aveva scritto: “"prorsus, si avaritia abesset, antiquis ducibus par "( II, 5), addirittura simile  ai comandanti antichi se non ci fosse stata l'avarizia
[5] R. Musil, L'uomo senza qualità , trad. it. Einaudi, Torino, 1972, p. 395.
[6] De maritandis ordinibus e De adulteriis coërcendis del 18 a. C.
[7] Vissuto tra il II e il III sec. d. C. , scrisse una Storia Romana in greco. Constava di ottanta libri che andavano dalle origini al 229 d. C. Ne restano 25 (dal 36 al 60) oltre alle epitomi di età bizantina.
[8]  427-425 a. C. quando ci fu una  tranvalutazione generale e le stesse parole cambiarono il loro significato originario:"Kai; th;n eijwqui'an ajxivwsin   tw`n ojnomavtwn ej" ta; e[rga ajnthvllaxan th'/ dikaiwvsei. Tovlma me;n ga;r ajlovgisto" ajndreiva filevtairo" ejnomivsqh" (III, 82, 4), e cambiarono arbitrariamente l'usuale valore delle parole in rapporto ai fatti. Infatti l'audacia irrazionale fu considerata coraggio devoto ai compagni di partito.
[9] Nel De coniuratione Catilinae di Sallustio, Catone , parlando in senato dopo e contro Cesare, il quale aveva chiesto di punire i congiurati "solo" confiscando i loro beni e tenendoli prigionieri in catene nei municipi, denuncia questo cambiamento del valore delle parole:"iam pridem equidem nos vera vocabula rerum amisimus: quia bona aliena largiri liberalitas, malarum rerum audacia fortitudo vocatur, eo res publica in extremo sita est " (52, 11), già da tempo veramente abbiamo perduto la verità nel nominare le cose: poiché essere prodighi dei beni altrui si chiama liberalità, l'audacia nel male, coraggio, perciò la repubblica è ridotta allo stremo 
[10] Ut silvae foliis pronos mutantur in annos, /Prima cadunt, ita verborum vetus interit aetas /Et iuvenum ritu florent modo nata vigentque” (Orazio, Ars poetica, vv. 60-62)

martedì 12 agosto 2014

Twitter, XLI antologia



12 agosto 

La giustizia è la promessa domenicale del governo. Durante la settimana gli eterni poveri vengono schiavizzati o spinti al suicidio dagli eterni ladri.

Montecitorio, palazzo Grazioli e palazzo Madama si contendono il titolo di TEMPIO dei DEMONI.  Sono del resto diretti dal Quirinale, l’arca santa  del decurio loro

I demoni promotori dell'ignoranza trovino nei fautori dello studio una forza armata dal sapere: la sapienza è un'arma contro i farabutti.

Renzi e i suoi accoliti sono ribelli contro il popolo italiano del quale usurpano la sovranità. Intanto le graziose ancelle sorridono, mentre sono sempre pronte ad artigliare.

Nessuno può gestire il potere innocentemente. Le donne e gli uomini privi di potere sono moralmente privilegiati.

Ogni corruzione politica è corruzione morale e viceversa. Si veda Berlusconi, assolto grazie a Renzi  e tornato trionfalmente a governare.

Molti tra quelli che ora giustamente esecrano le stragi in Iraq, anni fa hanno approvato le guerre e le stragi che hanno predisposto le successive carneficine, fino a questa e oltre. Si vergognino almeno!

Se tornasse al potere  un qualunque Hitler, questi ruffiani  di professione, questi conformisti eterni, dominis callidissime servientes, approverebbero anche quel pazzo criminale  e il suo antisemitismo. Hitler o Stalin o Berlusconi purché si mangi!

Don Giovanni è l'incarnazione della carne, Renzi invece, al quale di bocca esce da ogni parte una zanna, si identifica con i  denti. In lui vediamo dentes ipsos,  i denti in sé, ontologicamente necessari per essere voraci.

Noi pochi, we happy few critici del potere, siamo guardati con sospetto dai servi del potere. Costoro digrignano i denti e stralunano gli occhi per ferirci, quando ci vedono. Ne sorridiamo, come il  fanciullo lacedemone morso dalla volpe.


giovanni ghiselli

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In autunno terrò due corsi all’Università primo Levi di Bologna, da gennaio (2015) ad aprile ne terrò un altro  nell’Università dell’età libera di Pesaro

lunedì 11 agosto 2014

Debrecen VII





Kiev

Debrecen 1966 

La ragazza di Kiev. Mezzanotte a Mosca. La Britanna. Il primo bacio. La paralisi della Fiat Seicento. La solidarietà della coppia.  


Certamente mi ci vollero anni per trovare uno stile mio, ma avevo già cominciato a orientarmi. La sera di quel primo giorno intero di Debrecen entrai nella mensa e sedetti a tavola con i compagni di camera: così mi inserii tra loro a tutti gli effetti e un poco alla volta mi liberai dalla paura dell’emarginato. Mi sentivo già un poco meno preso di mira dai dardi ostili[1] della sorte. Nel petto non concepivo più solo  tristezze incombenti e sfaceli remoti.
 Con Helena Sarjantola  poi, nel  ’71,  Eros e il destino  si convertiranno e mi daranno  carezze benefiche. Con Helena  diventai quello che sono, quello che prima della Sarjantola ancora non ero
 Già nel ’ 68, con quell’altra Helena,  la ragazzina della primavera di Praga, la Sorte ridente mi aveva dischiuso l’uscio alla gioia.

 Alle due Elene, quindi a Päivi, a Ifigenia, e a ciascuna delle altre donne benefiche, da mia madre in poi,  devo dire: “ Carminibus vives tempus in omne meis[2], vivrai in eterno nella mia poesia.
Oujk e[st j ejrasth;ς o{stiς oujk ajei; fileĩ[3], non è amante quello che non ama sempre, e io voglio essere l’eterno  amante di tutte voi, donne mie.

Il quadro dell’estate propedeutica del ’66, introduttivo alle successive mensilità debrecine, è quasi completo. Stabiliti i contatti umani fondamentali, prendemmo queste abitudini: la mattina andavamo alle lezioni di lingua ungherese tenute in inglese, sicché si studiavano due lingue alla volta, dopo prendevamo il sole sul prato, o facevamo una passeggiata nel bosco, quindi si andava a mangiare. Il pomeriggio un po’ studiavamo, un po’ si andava in piscina a nuotare e a puntare ragazze. Volevo diventare puellis idoneus[4] anche a costo di essere scartato decine di volte prima di venire arruolato nella schiera dei non riformati dalla dea dell’amore, il legione eletta dei non falliti sessuali. Il più tragico dei fallimenti.
 I dinieghi, le ricuse mi avrebbero insegnato cosa dovevo fare per correggermi, minimizzare le deformità, valorizzare le qualità. Del resto non era difficile immaginarlo: cura del corpo e coltivazione dell’anima ci volevano. Poi l’usus, la pratica via via meno rozza e fallimentare. I successi col tempo, speravo, non sarebbero mancati e mi avrebbero indicato la via, quella del destino mio.
 Durante quel mese remoto conobbi una brunetta gentile di Kiev, cui arrivai ad accarezzare le mani cantando con lei Mezzanotte a Mosca. Niente di più, ma allora non era poco. Mi incoraggiò, mi incoraggiai.
Quando la ragazza scitica partì, mi dissi: “la vita continua”.
Altro coraggio me lo diede una biondina francese che mi fece un sorriso mentre in corriera cantavamo “Chevaliers de la table ronde-dites moi si ce vin est bon”. La fanciulla della Gallia mi infuse altro coraggio. A volte, pedalando la mia bicicletta da solo, canto quella canzone antica e, ripensando a quel sorriso spontaneo e gratuito, piango, piango
 di gioia. Anche tu francesina, creatura benedetta da Dio e da me, vivrai nei miei carmi.
 In Italia all’epoca nessuno mi trattava bene, tanto ero diventato disgustoso e spregevole, prima, al liceo, con l’arroganza, poi con l’autoumiliazione.
 A una creatura degradata e disperata, e non ancora del tutto incattivita,  un segno di gentilezza, di simpatia, di umana solidarietà, può dare molto, può addirittura salvargli la vita. 
 Dopo questo sorriso della Sorte,  avvicinai una britanna, Elizabeth, a dire il vero un po’ cavallina, cioè con i denti alquanto in fuori, ma non orribile come avevo letto non senza curiosità e stupore  in Catullo[5].
In ogni caso questa britanna ventenne fu  importante per il mio apprendistato, poiché fu la prima femmina umana che baciai di mia iniziativa: ricordo che quando uscimmo dal cinema dove lei aveva appoggiato la testa sulla mia spalla destra riempiendomi di commozione, lanciai nervosamente la scassata Fiat Seicento verso il margine del grande bosco; come mi trovai davanti un albero, frenai di colpo, spensi il motore, e senza dire verbo né lanciarle un’occhiata, audacemente la baciai sulla bocca. Il commovente abbraccio di due ventenni destinati, però, alla putrefazione. Ma anche tu fanciulla tutt’altro che perfida venuta a salvarmi da Albione, vivrai eterna in questa pagina mia. Elizabeth rimase stupita e perplessa ma non mi respinse né, dopo, mi redarguì. L’atto di immenso coraggio e la totale assenza di riprovazione,  mi diede  fiducia in me stesso, dato il contesto che conosci lettore, una confusa letizia e altre emozioni vaghe, comunque preziose per la mia crescita. Quella notte di luglio dell’anno di mia salvazione 1966, pensai: tra cinquant’anni[6], anche se  i capelli saranno  perduti o incanutiti del tutto[7], questo bacio lo porterò sulle labbra e nel cuore che ne saranno santamente stigmatizzati  per sempre”. Da quella sera considerai Elizabeth la mia compagna e la portavo con me a vedere i dintorni di Debrecen. Sentivo che quella terra era fatata e fatale per me. Dovevo conoscerla, non senza fare dei riti. Tutte le sere all’ora del tramonto, per esempio, mi appartavo e orinavo osservando il sole, la fiamma che nutre la vita, e lo pregavo di nutrire la mia. Una sera, dopo il tramonto del primo di tutti gli dèi, io e la Britanna ci trovammo arenati in uno sperduto villaggio prossimo al confine dell’Unione Sovietica. La vecchia automobile era rimasta senza acqua e senza olio. Provammo a chiedere aiuto nelle nostre lingue ma in quella zona rurale nessuno capiva l’inglese né l’italiano. Noi due non riuscivamo a comprende l’ungherese parlato in fretta da un gruppo di persone campagnole adunatosi per curiosità intorno alla Seicento rimasta ferma come una carrozza senza cavalli.
A un tratto, ebbi un’idea bizzarra e domandai:” loquimini latine?”
Può sembrare una battuta da commedia buffa fatta per impressionare Elizabeth. Invece si fece avanti uno che rispose: “ita, loquor”. Doveva essere un prete, un curato di campagna spretato dal regime. Quindi il dominus pannonius mi domandò, sempre in latino, di che cosa avessi bisogno. Arrangiandomi per trovare termini  comprensibili e non troppo inadeguati alla situazione, né latinamente del tutto impropri, gli spiegai il nostro problema, cosa che non mi era riuscita né con l’italiano, né con l’inglese che pure si avviava già a diventare la lingua franca del mondo, né con il poco ungherese imparato nelle prime settimane di lezione. Così provai l’utilità pratica del mio latino e sentii la solidarietà della coppia: Elizabeth non si era lagnata,  della situazione, né disinteressata, ma si era adoperata con tutti i suoi mezzi, cioè interpellando persone e collaborando a trasportare un bidone sesquipedale, poiché non avevamo nemmeno una tanica.
Britanna gentile e solidale. Me ne sarei ricordato trentotto anni più tardi quando, in una notte illune di gennaio, una tipa mi aggredì inveendo contro di me siccome la portavo a cena, con la mia Beetle nuova e sicura, su una  strada piena  di curve e male illuminata.
E sì che avevamo fatto l’amore più e più volte quel pomeriggio. Contorto e privo di luce era il cervello di quella.

giovanni ghiselli
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[1] Cfr. Ovidio, Epistulae ex Ponto, II, 7, 15-16: “ Sic ego Fortunae telis confixus iniquis/pectore concilio nil nisi triste meo”, così io trafitto dai dardi ostili della Sorte, non concepisco nel mio cuore nulla che non sia triste.
[2] Ovidio, Tristia, I, 6, 36.
[3] Euripide, Troiane, 1051. Sono parole di Elena a Menelao.
[4] Cfr. Orazio, Carmina, III, 26, 1
[5] Horribilesqua ultimosque Britannos, 11, 11-12.
[6] Ora ne mancano meno di due a questo anniversario:. Come si chiama: nozze d’oro o di diamante o di che altro?
[7] Avertat Deus omen, pensai. Dio mi ascoltò, Dio mi esaudì.

Ifigenia CXXXVI. La domenica mattina al caffè Palma di Debrecen.

  Domenica 29 luglio 1979 non c’erano lezioni né   altre attività organizzate per noi ospiti antichi e recenti dell’Università Kossuth...