lunedì 31 ottobre 2022

Sul merito

A proposito della questione del merito ricordo la nostra Costituzione e quella dell’Atene di Pericle nella storia di Tucidide
 
La nostra cultura politica e anche la nostra Costituzione vengono chiarite e rese più comprensibili dalla lettura di quanto ha detto Pericle nel secondo discorso, il lovgo~ ejpitavfio~  riferito da Tucidide nelle sue Storie  (II, 35-46).
Vediamo  in particolare l’Articolo 3,  della Costituzione della Repubblica Italiana
 “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di religione, di condizioni personali e sociali
 E’ compito della repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori alla organizzazione politica, economica e sociale del paese”.
 
Sentiamo ora il Pericle di Tucidide.
Noi abbiamo una costituzione esemplare (paravdeigma) e degna di essere imitata. Si chiama democrazia è c’è una condizione di uguaglianza (to; i[son) per tutti. Si viene eletti alle cariche pubbliche secondo la stima del valore (kata; de; th;n ajxiwvsin)  né uno viene preferito alle cariche per il partito di provenienza (oujk ajpo; mevrouς) più che per il valore (to; plevon ejς ta; koina; h] ajp j ajreth`ς), e del resto seguendo il criterio della povertà (oujd  j au\ kata; penivan) se uno può fare qualche cosa di buono per la città,  non ne è stato impedito per l’oscurità della sua posizione sociale (ajxiwvmatoς ajfaneiva/ kekwvlutai II,  37, 1). 
 
La povertà dunque o l’oscurità della famiglia  non deve ostacolare nessuno, né il vantaggio della nascita o  la raccomandazione deve prevalere sul merito individuale
 
Bologna 31 ottobre 2022- ore 19, 45
 
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Tornano le Settimane pedagogiche a Bologna

Su “la Repubblica” di oggi, a pagina 7 di Bologna cronaca, leggo:

“Tornano le Settimane pedagogiche”.

 

Ho insegnato a Bologna dal 1976 al 2010 nella scuola pubblica.

Ho fatto molta esperienza sul campo.

Voglio dare un consiglio a chi farà delle proposte.

 

La prima meta da indicare ai giovani è l’uso corretto e chiaro della parola.

Per arrivare a questo risultato si devono leggere molti libri buoni e il primo compito dei pedagogisti è quello di invogliare a farlo. La via per raggiungere-metodicamente- questo primo traguardo è mostrare che la parola chiara, significativa, elegante che apprendiamo leggendo, migliora tutta la nostra vita.

I giovani devono imparare a vincere il mutismo l’afasia da una parte, e ad evitare l’urlo furente e  la chiacchiera insignificante dall’altra

Questo si impara leggendo molto. Successivamente verranno l’educazione politica, quella estetica e quella morale. Insomma la cultura.

 Ma prima bisgna abituarsi a parlare bene frequentando gli autori ottimi, leggendoli e assimilandoli: questo è necessario perché il parlare male fa male a chi parla, e disgusta o annoia chi ascolta.

 

A pagina 3 leggo “I comuni possono essere laboratori per una sinistra più popolare”. Sono parole di Isabella Conti.

 Popolare non deve essere banale.

 

I dirigenti di un partito che voglia persuadere gli elettori a votarli dunque deve saper parlare in maniera chiara, ma non pedestre e ordinaria, bensì efficace, elegante, coinvolgente la sfera emotiva e quella mentale del pubblico. Come faceva il Pericle di Tucidide dicendo, per esempio, “amiamo il bello con semplicità e la cultura senza mollezza”. La bella forma è quasi sempre adeguata ai contenuti belli che la generano.

Lo dico in termini ancora più diretti: parlare bene è erotico e umano, parlare male è antierotico oltre che antiumano.

Credo che queste mie poche parole debbano essere condivise e insegnate da ogni pedagogista che non si limiti a ripetere luoghi comuni.

 

Bologna 31 ottobre 2022  ore 18, 15

giovanni ghiselli


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Sul potere. XIV parte. Il disvalore dell’eccesso. Gli uomini straordinari come segni di contraddizione

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L’eccesso come disvalore. La ricerca dello straordinario

Nell’Antigone la mite Ismene consiglia la sorella di non compiere  atti straordinari, poiché è un agire che non ha alcun senso: “perissa; pravssein oujk e[cei nou'n oujdevna” (v. 68).
Anche il Coro, pur compatendo la ragazza martire, le fa notare l’eccessività del suo agire :"Avanzando verso l'estremità dell'audacia (proba`s j  ejp j e[scaton qravsou~),/hai urtato, contro l'eccelso trono della Giustizia,/creatura, con grave caduta,/ del resto sconti una colpa del padre" (Antigone,  vv. 853-856).
 
Qui si aggiunge l’argomento, assai problematico, dell’ereditarietà della colpa.
Uno dei  più più problematici della tragedia e della storiografia erodotea.
Gli va dedicato un capitolo a parte riferendo la posizione presa da Pisolini su questo argomento.
Una forma di eccesso, secondo Sofocle, è la guerra: la divinità dell'empia dismisura è Ares, lo smodato (to;n malerovn, Edipo re , v. 190), il dio disonorato tra gli dèi (to;n ajpovtimon ejn qeoi'" qeovn, v.215).
 
Il poeta di Colono che pure è devotissimo alle divinità olimpiche, non esita a deprecare questo dio pazzo e crudele. Il Coro invoca contro di lui Atena, la dea dell’intelligenza, Artemide, divinità delle cacce e delle nobili gare non cruente, e pure Dioniso, il dio delle feste che annullano distinzioni e gerarchie. Contro l’immondo ceffo sanguinario che aizza al massacro il pio Sofocle chiede un rimedio dal bel volto ( eujw`pa pevmyon ajlkavn, Edipo re, 189).
 
La guerra infatti è  l’eccesso più deleterio: è stolto tra i mortali chi distrugge le città, sentenzia Poseidone nel prologo delle Troiane di Euripide ( mw`ro~ de; qnhtw`n o{sti~ ejkporqei` povlei~, v. 95). Un monito all’imperialismo degli Ateniesi. Infatti questa tragedia,rappresentata nel 415 a. C. , fu composta tra la presa di Melo e la partenza della spedizione contro la Sicilia
Orribili sono pure i sacrifici umani che non poche volte conseguono alla guerra: caduta Troia, i Greci vogliono sacrificare Polissena, per onorare la tomba di Achille: Ecuba, la madre dolorosa che ha già perso tanti figli caduti in battaglia, prega i vincitori con un verso che è un'alta espressione di umanesimo in favore della vita:"mhde; ktavnhte: tw'n teqnhkovtwn a{li" " (Ecuba, v. 278), non ammazzatela: ce ne sono stati abbastanza di morti.
 
 Negativamente vengono considerati in genere anche gli uomini straordinari.
Il Coro delle Baccanti  di Euripide nel Primo Stasimo canta che Dioniso odia chi non si prende cura di tenere il cuore e la mente lontani dagli uomini straordinari: "ajpevcein prapivda frevna te;;;;;;-perissw'n para; fwtw'n"(vv.427-428).
Plutarco, diversi secoli più tardi ricorderà che l'eccesso è dovunque pericoloso:"to; d  j a[gan pantacou' ejpisfalev"" [1].
 
“La vera grandezza di Hitler è sostanzialmente, connessa a questo carattere di eccessività: un gigantesco scoppio di energie che ha nullificato tutti i parametri prima validi”[2]. Una grandezza effimera.
 
In Delitto e castigo  di Dostoevskij, secondo il protagonista Raskolnikov , "gli uomini si dividono in - ordinari - e - straordinari -.Quelli ordinari devono vivere nell'obbedienza e non hanno diritto di violare la legge, perché essi, vedete un pò, sono appunto ordinari. Quelli straordinari, invece, possono compiere delitti d'ogni specie e di violare in tutti i modi la legge, per il semplice fatto d'essere straordinari". Di questi vorrebbe far parte il giovane assassino Raskòlnikov il quale afferma che :"Licurgo, Solone, Maometto, Napoleone e via discorrendo, tutti, sino all'ultimo, sono stati dei delinquenti, già per il semplice fatto che ponendo una nuova legge, per ciò stesso infrangevano la legge antica, venerata dalla società e trasmessa dai padri; inoltre certamente non si arrestarono nemmeno dinanzi al sangue…Vale anzi la pena di osservare che la maggior parte di questi benefattori e fondatori della società umana furono dei terribili spargitori di sangue. Insomma, io dimostro che tutti gli uomini, e non solamente i grandi, ma anche quelli che escono sia pur di poco dalla comune carreggiata, che sono cioè, in qualche misura, capaci di dire qualcosa di nuovo, devono immancabilmente, per la loro stessa natura, essere (più o meno s'intende) dei criminali". Ma questo ragazzo che per dimostrare la sua straordinarietà ammazza due vecchie deve riconoscere di non appartenere a quella razza di uomini, bensì di essere  "un pidocchio estetizzante"[3].-
Sbaglia Raskolnikov, e fallisce nel tentativo di apparire a se stesso straordinario, un Napoleone, ammazzando due vecchie per pochi soldi. Prima  lo tradiscono i nervi, poi arriva l'intelligenza e la comprensione del misfatto:"Se mi sono tormentato per tanti giorni nel dubbio se Napoleone ci sarebbe andato o no, è perché sentivo chiaramente di non essere un Napoleone…sono un pidocchio proprio come tutti gli altri!…Ho forse ucciso quella vecchietta? Ho ucciso me stesso, non la vecchietta! Mi sono ammazzato con un colpo solo, e per sempre!"[4].
 
Sbaglia, sia pur molto meno gravemente, anche il Duvskolo" Cnemone di Menandro[5] quando non vuole essere considerato uno dei tanti ed esclama arrabbiato :"nomivzeq j e{na tina;/oJra'n me tw'n pollw'n"(484-485).
Viceversa Moschione nel monologo iniziale della Samia si presenta come uno dei tanti:"tw'n pollw'n ti" w[n"(v. 11).
 
Nella letteratura russa c'è pure l'abulico Oblomov[6] di Gončarov, che non sopporta di essere confuso con "gli altri" con i quali soprattutto non vuole entrare in competizione[7]: quando il servo Zachàr osa dire:"Io pensavo che gli altri non sono peggio di noi e cambiano casa", egli ripeté con orrore:"Gli altri non sono peggio!..ecco cosa sei arrivato a dire! Adesso lo so che sono per te un qualunque altro!"(p. 124). Del resto Oblomov non è un personaggio negativo.
 
Un elogio aperto del gesto straordinario, del perisso;n poiei`n,   lo troviamo nel Vangelo quando Cristo dice“Kai; eja;n ajspavshsqe tou;~ ajdelfou;~ uJmw'n movnon, tiv perisso;n poiei'te; oujci; kai; oiJ ejqnikoi; to; aujto; poiou'sin;  (Matteo , 5, 47), e se accogliete soltanto i vostri fratelli che cosa fate di straordinario? Non fanno la medesima cosa anche i pagani?
 
Socrate e Cristo: uomini straordinari e segni di contraddizione.
Devo ricordare che anche Socrate è stato un uomo straordinario, a[topo~, fuori luogo, e sapeva di esserlo e lo affermava.
Nel prologo del Fedro di Platone, Socrate dice a Fedro che se non credesse al mito di Borea che rapì Orizia figlia del re Eretteo, come non ci credono oiJ sofoiv, non sarebbe l’uomo strano (a[topo~) che è (229c). Potrei dire, facendo il sapiente sofizovmeno~, che un colpo di vento di Borea gettò Orizia giù dalle rupi o dall’Areopago. È un’interpretazione ingegnosa, ma chi la fa, poi deve raddrizzare gli Ippocentauri, la Chimera, e Gorgoni e Pegasi e tutte le stranezze della natura. E per questo ci vuole molto tempo libero: ejmoi; de; pro; ~ aujta; oujdamw`~ scolhv (229e).
Io non sono ancora in grado di conoscere me stesso kata; to; Delfiko;n gravmma, perciò mi sembra ridicolo geloi`on dhv moi faivnetai indagare cose che mi sono estranee - ta; ajllovtria skopei`n. Dunque dico addio a tali questioni, esamino me stesso skopw` ejmautovn, per vedere se per caso io non sia una bestia più intricata e più invasa da brame di Tifone o se sono un essere vivente (zw`/on) più mite e semplice, partecipe per natura di una sorte divina e priva di superbia fumosa (Fedro, 230a).
 
Anche Cristo era fuori luogo e prima di venire divinizzato è stato ucciso.
Sono entrambi segni di contraddizione, come Pasolini e alcuni altri amati e odiati per il loro essere straordinari
Gesù Cristo è appunto signum cui contradicetur,  ut revelentur ex multis cordibus cogitationes (N. T. Luca, 2, 34-35), perché siano svelati i pensieri da molti cuori. Anche a te, dice Simone, uomo giusto e timorato di Dio, a Maria la mamma di Gesù,  anche a te una spada trafiggerà l’anima.
 
Non dico che tutti gli staordinari lo sono stati in modo positivo. Eppure tra i segni di contraddizione mi sento di ricordare anche Nerone che subì ogni condanna dal senato romano ma venne molto amato dai Greci, e anche da buna parte della plebe di Roma.
Aggiungo che gli ordinari non sono tutti buoni, anzi credo che il conformista tipico come quello del film di Bertolucci sia un vigliacco e un criminale. Il criminale straordinario Hitler si è tirato dietro milioni di criminali conformisti.
 

Bologna 31 ottobre 2022 ore 17, 15
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[1]Vita di Agide , 2.
[2] J. Fest, Hitler, p. 21.
[3] F. Dostoevkij, Delitto e castigo, pp. 290 sgg.
[4] F. Dostoevskij, Delitto e castigo (del 1866), p. 471.
[5] 342-290 a. C. 
[6] Del 1859. Per certi versi Oblomov prefigura La coscienza di Zeno
[7] La sua donna, Olga, lo lascia dicendogli:" Tu sei mite, onesto, Ilià, sei tenero…come una colomba; nascondi il capo sotto l'ala e non chiedi altro, sei disposto a tubare, sotto il tetto, per tutta la vita; io non sono fatta così. Questo, per me, è troppo poco, ho bisogno anche d'altro" (p. 469).

Sul potere. XIII parte. Il senso della misura e la teoria della classe media

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Il senso della misura e la teoria della classe media
 
 Le Fenicie vennero scritte intorno al periodo del colpo di Stato oligarchico del 411, ma il rifiuto dell’eccesso è una posizione topica molto diffusa. Vediamone alcune occorrenze.
 
In fondo la differenza tra Caos e Cosmo è data dall’apparire della misura.
“In principio, fu Voragine. I Greci la chiamarono Chaos. Che cosa è Voragine?  E’ un vuoto, un vuoto oscuro. Dove niente può essere distinto” (J. P. Vernant, L’Universo, gli dèi, gli uomini, p. 9).
 
La formulazione più chiara e sintetica del valore della misura è quella del Solone di Plutarco. Quando Creso, il pacchiano re barbaro  gli fece vedere i suoi cospicui tesori e gli chiese se conoscesse qualcuno più felice di lui,  il legislatore ateniese nominò personaggi non famosi e non ricchi, ma "belli e buoni".  Allora Creso lo giudicò strambo (ajllovkoto") e zotico (a[groiko"), tuttavia volle  domandargli se lo mettesse in qualche modo nel novero degli uomini felici. Il legislatore ateniese quindi rispose: "Ai Greci, o re dei Lidi, il dio ha dato di essere misurati (metrivw" e[cein e[dwken oJ qeov"), e per questa misuratezza ci tocca una saggezza non arrogante ma popolare, non regale né splendida "[1].
Erodoto e Sofocle, in quanto seguaci della religione delfica del nulla di troppo, condannano spesso la dismisura.
Diamo la formula del Secondo Stasimo dell'Antigone di Sofocle" Sia nel tempo prossimo sia nel futuro/come nel passato  avrà vigore/ questa legge: nulla di grande del tutto-oujde;n pampoluv/ si insinua nella vita dei mortali senza rovina (ejkto;" a[ta")" (vv. 613-614). Anche il "sacrilego" Euripide considera santo questo valore:"ajcalivnwn stomavtwn-ajnovmou t  j ajfrosuvna"-to; tevlo" dustuciva", cantano le Menadi  nel primo Stasimo ( Baccanti, vv. 387-389), di bocche senza freno, di stupidità senza misura, il termine è sventura.
 
Il Coro della Medea  di Euripide nella prima strofe del secondo stasimo  biasima l'eccesso anche nel campo erotico:"Gli Amori che arrivano all'eccesso (a[gan) non procurano/buona reputazione né virtù agli uomini: ma se Cipride/giungesse/con moderazione (a{li" ), nessun'altra dea sarebbe così gradevole- oijk a[lla qeo;~ eu[cari~ ou{tw~-./Non scagliare mai, o signora, contro di me dal tuo arco d'oro/il tuo dardo inevitabile dopo averlo intinto di desiderio (vv. 627-635).
 
Nietzsche mette in rilievo il valore della misura nella sfera dell'apollineo:"Apollo, come divinità etica, esige dai suoi la misura e, per poterla osservare, la conoscenza di sé. E così, accanto alla necessità estetica della bellezza, si fa valere l'esigenza del "conosci te stesso" e del "non troppo", mentre l'esaltazione di sé e l'eccesso furono considerati i veri demoni ostili della sfera non apollinea, dell'età titanica, e del mondo extraapollineo, cioè del mondo barbarico"[2].
 
Werner Jaeger  afferma che "Lo sviluppo dell'idea greca della misura quale valore supremo si può contemplare,  collocandosi sul punto dove è Sofocle, come da una vetta"[3].
 
Ebbene, tale misura è quella delfica del "nulla di troppo" e del "conosci te stesso"; è l'ingrandimento dell'Io a spese dell'Es, che, per dirla con Freud, va bonificato al pari di una palude:"Rafforzare l'Io rendendolo più indipendente dal Super Io, ampliare così il suo campo percettivo e perfezionare la sua organizzazione, così che possa annettersi nuove zone dell'Es, è il compito della psicoanalisi: dove era l'Es deve subentrare l'Io. E' un'opera di civiltà, come, ad esempio, il prosciugamento dello Zuiderzee"[4].
 
Viceversa, come scriveva Oscar Wilde In carcere et vinculis :" Il vero stolto, quello che gli dèi scherniscono o riducono in rovina, è colui che non conosce se stesso"[5]. 
 
 
Perfino nel vestire la via di mezzo è la migliore. Cicerone consiglia una semplicità elegante al suo gentiluomo quando pone le basi del galateo nel De officiis [6]": quae sunt recta et simplicia laudantur. Formae autem dignitas coloris bonitate tuenda est, color exercitationibus corporis. Adhibenda praeterea munditia est non odiosa nec exquisita nimis, tantum quae fugiat agrestem et inhumanam neglegentiam. Eadem ratio est habenda vestitus, in quo, sicut in plerisque rebus, mediocritas optima est  " ( I, 130), viene lodata la naturalezza e la semplicità. Ora la dignità dell'aspetto deve essere conservata mediante il bel colore dell'incarnato, il colore con gli esercizi fisici. Inoltre deve essere impiegata un'eleganza non sfacciata né troppo ricercata, basta che eviti la trascuratezza villana e incivile. Bisogna conservare la medesima regola nel vestirsi, dove, come nella maggior parte delle cose, la via di mezzo è la migliore.
 
Anche Seneca suggerisce la via di mezzo:"non splendeat toga, ne sordeat quidem" (Epist., 5, 3), non brilli la toga, ma neppure sia sudicia. Gli atteggiamenti estremi possono riuscire "ridicula et odiosa" (5, 4). Il proposito del filosofo stoico è vivere secondo natura:"Nempe propositum nostrum est secundum naturam vivere: hoc contra naturam est, torquere corpus suum et faciles odisse munditias et squalorem adpetere et cibis non tantum vilibus uti sed taetris et horridis. Quemadmodum desiderare delicatas res luxuriae est, ita usitatas et non magno parabiles fugere dementiae. Frugalitatem exigit philosophia, non poenam ; potest autem esse non incompta frugalitas" (5, 4-5), evidentemente il nostro progetto è vivere secondo natura: è contro natura questo tormentare il proprio corpo e odiare l'eleganza a portata di mano, e cercare lo squallore e fare uso di cibi non solo a buon mercato ma disgustosi e ripugnanti. Come è segno di dissolutezza desiderare le raffinatezze, così è segno di pazzia evitare i beni comuni e procurabili a prezzo non grande. La filosofia reclama la semplicità non la tortura; del resto la semplicità può essere non disadorna.
 
Pure Ovidio cui  non spiace il cultus, la cura della persona, suggerisce la via di mezzo: " nelle sue oscillazioni poco tormentate si ferma alla proposta di un cultus  misurato che eviti gli eccessi del lusso e, nello stesso tempo, di una raffinatezza dannosa. Per l'uomo egli rifiuta un trattamento dei capelli e della pelle che lo renda simile agli eunuchi servitori di Cibele (Ars  I 505 sgg.): l'ideale virile è un equilibrio fra la mundities  e la robustezza data dagli esercizi del Campo Marzio (ibid. 513 sg.): Munditiae placeant, fuscentur corpora Campo;/sit bene conveniens et sine labe toga . Dunque, né rusticitas  né effemminatezza"[7]. L'eleganza piaccia, siano abbronzati i corpi al Campo Marzio; la toga stia bene e sia senza macchie (vv. 511-512).
Inoltre i denti siano senza tartaro (careant rubigine dentes, Ars, I, 513), i piedi abbiano calzari della loro misura[8], il taglio di barba e capelli sia buono, le unghie siano ben limate e senza sporcizia (Et nihil emineant et sint sine sordibus ungues, 517), non ci siano peli nella cavità delle narici, non ci siano cattivi odori nel fiato né addosso alla persona.
"Cetera lascivae faciant concede puellae/et si quis male vir quaerit habere virum " (521-522), il resto lascia che lo facciano le donne lascive e chi, uomo presunto, desidera possedere un uomo.
 
 La qualità della moderazione appartiene anche al Catone Uticense della Pharsalia,  celebrato da Lucano come uomo ricco di virtù in testa alle quali c'è quella serbare la giusta misura ("servare modum ", II, 381). Conseguono a questo mos altri non meno buoni:" finemque tenere/naturamque sequi patriaeque impendere vitam/nec sibi sed toti genitum se credere mundo" (II, 381-383), attenersi al giusto limite, seguire la natura, spendere la vita per la patria, e credersi nato non per sé ma per tutto il mondo.
 
Il quarto coro dell'Oedipus di Seneca raccomanda di evitare ogni eccesso:" Quidquid excessit modum,/pendet instabili loco " (vv. 909-910), tutto ciò che ha oltrepassato la giusta misura, vacilla su un appoggio instabile.
 
La dismisura è svantaggiosa: commodus, “vantaggioso” e commodum, “vantaggio”, sono connessi etimologicamente a modus (cum, modus).
 
Un altro esempio più recente troviamo nel Parini il quale sostiene che, solo, ama la Musa:"Colui cui diede il ciel placido senso/e puri affetti e semplice costume;/che, di sè pago e dell'avito censo,/più non presume"[9]; e uno successivo nel Manzoni che ne fa un precetto:" Sentir, riprese, e meditar: di poco/esser contento...de le umane cose/tanto sperimentar, quanto ti basti/per non curarle: non ti far mai servo"[10].
 
A questa idea della misura è collegabile  la teoria della classe media.  La troviamo nelle Supplici [11] di Euripide. Qui Teseo[12] non è il vile seduttore di Arianna, ma l'eroe patrio garante dei valori della povli", il fondatore della democrazia e la prefigurazione, il precursore di Pericle. I fautori della tirannide invece sono personaggi negativi.
Teseo si oppone all'araldo tebano il quale sostiene il vantaggio di una città governata da un solo uomo ( che poi è Creonte) ponendo, tra l'altro, una domanda retorica:" Come potrebbe il popolo, che non ragiona rettamente, reggere uno Stato?" (vv. 417-418).
Il capo degli Ateniesi "non controbatte  l'araldo per quel che riguarda la critica ai demagoghi"[13], ma propugna  la teoria della classe media.
Tre sono le classi dei cittadini: i ricchi sono inutili e desiderano avere sempre di più; quelli che non hanno mezzi di sussistenza sono temibili ("deinoiv", v. 241) poiché si lasciano prendere dall'invidia e, ingannati dalle lingue dei capi malvagi, lanciano strali contro i possidenti. In conclusione:"Triw'n de; moirw'n hJ  jn mevsw/ sw/zei povlei"-kovsmon fulavssous j o{ntin j  a]n tavxh/ povli"",  (vv. 244-245), delle tre parti quella che sta in mezzo salva le città, custodendo l'ordine che essa dispone.
 
Anche Plutarco nella Vita di Teseo mette in rilievo la cura del figlio di Egeo per l’ordine: egli fondò la democrazia dell’Attica e unificò la popolazione ma non permise che questa, risultante da una massa  riversatasi là, fosse disorganizzata e confusa (ouj mh;n a[takton oujde; memeigmevnhn periei'den, 25, 2).  
 
 La teoria della bontà della via di mezzo e della classe media si ripropone  negli  anni successivi.  Nell'Elettra[14] di Euripide, Oreste considera la ricchezza un giudice cattivo, ma, aggiunge, la povertà ha una malattia:"didavskei d ' a[ndra th'/ creiva/ kakovn "(v. 375), nel bisogno insegna all'uomo a fare il male
 Nell'Oreste  (del 408) "infatti, egli[15] vede negli aujtourgoiv, nei lavoratori in proprio, coloro che soli sono in grado di salvare la polis . Il v. 920 dell'Oreste - "un lavoratore in proprio, di quelli che appunto sono i soli a salvare la patria"[16]-ricorda da vicino Suppl. 244:"delle tre parti quella che sta in mezzo salva le città". La classe media era quindi per Euripide costituita essenzialmente dai contadini che lavorano il fondo di loro proprietà"[17].
 
he turned away from the actual Demos, which surrounded
him and howled him down ,to a Demos of his imagination, pure and uncorrupted, in which the heart of the natural man should speak. His later plays break out more than once into praises of the unspoiled countryman, neither rich nor poor, who works with his own arm and whose home is "the solemn mountain " not the city streets (cfr. especially Orestes, 920 aujtourgov~, as contrasted with 903 ff. ;also the Peasant in the Electra ; also Bac,717)[18], Euripide si scostò dal Demos contemporaneo che lo circondava e lo disapprovava ululando, e si volse al Demos della sua immaginazione, puro e incorrotto, nel quale potrebbe parlare il cuore dell’uomo incorrotto. Le sue ultime tragedie esplodono più di una volta in lodi del contadino incontaminato, né ricco, né povero, che lavora con le sue braccia e la cui casa è la “solenne montagna”, non le strade della città (cfr. specialmente Oreste 920 aujtourgov~, in contrapposizione a 903ss.; anche il contadino dell’Elettra; anche le Baccanti 717).
 
Nell’Oreste prima del coltivatore parla un ajnhvr ajqurovglwsso~ (v. 903). E’ un personaggio negativo che probabilmente allude a Cleofonte, l’ultimo grande demagogo della guerra del Peloponneso, contrario alla pace  : “ajnhvr ti~ ajqurovglwsso~, ijscuvwn qravsei,- jArgei'o~ oujk jArgei'o~, hjnagkasmevno~,-qoruvbw/ te pivsuno~ kajmaqei' parrhsiva/ ” (vv. 903-905), un uomo dalla bocca sempre aperta (lett. “senza porta”), forte della sua arroganza, Argivo non Argivo, impostosi con la forza, fidente nel tumulto e in una brutale licenza di parola. Ebbene costui propose la lapidazione di Elettra e di Oreste.
 
Il contadino marito di Elettra, solo di nome, è pevnh~ ajnh;r gennai`o~ (v. 253), un uomo povero ma nobile. Discendeva da veri Micenei, ma poveri, per cui la razza si perde.   
 
Nelle Baccanti dà cattivi consigli ti~ plavnh~ kat j a[stu kai; trivbwn lovgwn (717).
 E un vagabondo della città, uno consumato nei discorsi
disse a tutti:" o voi che abitate i sacri
pascoli dei monti, volete che andiamo a caccia
di Agave la madre di Penteo e la togliamo
dalle orge e facciamo cosa gradita al re?”.


Bologna 31 ottobre 2022 ore 11, 55
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[1] Plutarco , Vita di Solone , 27.
[2] La nascita della tragedia, cap. 4
[3]Paideia (I vol. p. 482)
[4]Introduzione alla psicanalisi , in Freud Opere , Volume 11, p. 190.
[5]De Profundis , in Wilde Opere , p. 635.
[6] Del 44 a. C.
[7]A. La Penna, Fra teatro, poesia e politica romana , p. 201.
[8] Nec vagus in laxa pes tibi pelle natet " (v. 514), Mentre l' a[groiko" del IV dei Caratteri di Teofrasto è un tipo capace di portare la scarpa più larga del piede:" a[groiko" toiou'tov" ti" oi|o" meivzw tou' podo;" ta; uJpodhvmata forei'n.
[9]Ode Alla Musa , vv. 17-20.
[10]In morte di Carlo Imbonati , vv. 207 e sgg.
[11] Del 422 a. C.
[12] Alcuni personaggi del mito, come Teseo appunto, o Eracle, possiedono una pluralità di significati. Più avanti vedremo lo stesso di Orfeo.
[13]V. Di Benedetto, Euripide: teatro e società , p. 180.
[14] Probabilmente degli anni intorno al 415.
[15] Euripide.
[16]Aujtourgo;", oiJvper kai; movnoi swv/zousi gh'n.
[17]Di Benedetto, op. cit., p. 208.
[18] G. Murray, Euripides and his age, pp. 194-195.

Medea di Euripide. 1

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Martedì 8 novembre presenterò la Medea di Euripide alla Primo Levi.
 La tradurrò e commenterò. Intanto pubblico qui la traduzione mia –con pregi e difetti- dei versi 1-521. Seguirà il resto
 

Prologo 1-95
 
Nutrice
Oh se lo scafo di Argo non fosse passato a volo attraverso
le cupe Simplegadi fino alla terra dei Colchi,
e nelle valli boscose del Pelio non fosse caduto mai
il pino reciso, e non avesse attrezzato di remi le mani
degli eroi eccellenti che andarono a cercare il vello
tutto d'oro per Pelia. Infatti la signora mia,
Medea, non avrebbe navigato verso le torri della terra di Iolco
sconvolta nel cuore dal desiderio di Giasone;
né, dopo avere convinto le figlie di Pelia ad ammazzare
il padre, sarebbe venuta ad abitare questa terra corinzia
con il marito e i figli, cercando di riuscire gradita
ai cittadini dei quali giunse alla terra in esilio
e, pur rimanendo se stessa, di convenire in tutto a Giasone; 13
e questa appunto è la più grande salvezza:
quando la donna non sia in disaccordo con l'uomo. 15 
23 novembre
Ma ora tutto è odioso e stanno male gli affetti intimi.
Infatti, dopo avere tradito i figli suoi e la signora mia,
Giasone si stende nel letto per nozze regali 18
sposando la figlia di Creonte che comanda su questa terra.
E Medea, l'infelice donna oltraggiata,
 rinfaccia con grida i giuramenti, reclama il sommo impegno
 della mano destra, e chiama gli dèi a testimoni
di quale contraccambio ella riceva da Giasone. 23
E giace senza cibo, abbandonato il corpo alle sofferenze,
struggendo tutto il tempo in lacrime 25
da quando si è accorta di ricevere torto dal marito, 26
senza sollevare lo sguardo né staccare il volto
da terra; e, come rupe, o marina
onda, ascolta gli amici consigliata,
tranne quando, girato il bianchissimo collo,
rivolta a se stessa, rimpiange il padre suo
e la terra e la casa che tradì nel venir via
con un uomo che ora la tiene in dispregio. 33
Ha compreso la sventurata, sotto il colpo della sciagura,
 quale bene significhi non essere privi della patria terra.
Poi odia i figli né si rallegra a vederli.
Temo di lei che progetti qualcosa di inaudito;
 
<infatti violento è il suo animo, e non tollererà di subire
l'oltraggio: io la conosco, e ho paura di lei
che affilata spinga la spada nel fegato,
salita in silenzio alla casa dove è steso il letto,
o pure che ammazzi il tiranno e quello che ha preso moglie
e quindi si tiri addosso una sventura più grande>.  
Siccome è tremenda: nessuno certo che abbia stretto
 odio con lei, intonerà facilmente il canto della vittoria. 45
Ma ecco i figli che hanno smesso di fare le corse
e vengono qua, per nulla pensosi dei mali
della madre: poiché un animo giovane non ha preso l'uso di soffrire. 48
 
Pedagogo
Vecchio bene della casa della padrona mia,
perché stai sulla porta a vivere questa 50
desolazione, lamentandoti delle sventure soltanto con te stessa?
Come mai Medea vuole rimanere sola, divisa da te?
 
Nutrice
O vecchio accompagnatore dei figli di Giasone,
per i servi buoni sono una sciagura le brutte cadute
dei padroni e ne attaccano gli animi.
Io infatti sono giunta a tal punto di sofferenza,
che mi ha invaso il desiderio di dire alla terra
e al cielo, giunta qui, i casi della signora.
 
Pedagogo
Non ancora dunque l'infelice cessa di lamentarsi?
 
Nutrice
Ti invidio! La sciagura è all'inizio e non ancora al colmo.
 
Pedagogo
O demente, se si deve dire questo dei signori:
poiché nulla sa dei mali più recenti.
 
Nutrice
Che c'è, o vecchio? non negarmi un chiarimento.
 
Pedagogo
Niente: mi sono pentito anche delle parole dette prima.
 
Nutrice
No, ti supplico, non avere segreti per la tua compagna di schiavitù:
poiché, se necessario, coprirò questi fatti con il silenzio. 66
dicembrel
Pedagogo
Ho sentito dire da un tale, senza avere l'aria di ascoltare,
avvicinatomi ai dadi, precisamente dove siedono 69
i più vecchi, presso la sacra fonte di Pirene,
ho udito che Creonte il signore di questa regione
 intende cacciare dalla terra corinzia questi bambini
 con la madre. Però se questa notizia sia vera
 non so; vorrei che non lo fosse.
 
Nutrice
E tollererà Giasone che i figli soffrano
questo, se pure è in disaccordo con la madre? 75
 
Pedagogo
Le antiche cedono alle nuove parentele, p. 370
e quello non è amico di questa nostra casa.
 
Nutrice
Siamo perduti allora, se un male nuovo
aggiungeremo all'antico, prima che questo sia esaurito. 80
 
Pedagogo
Ma tu comunque, poiché non è opportuno che sappia questo
la signora, stai calma e non dire una parola.
 
Nutrice
O figli, sentite com'è il padre verso di voi?
vada in malora magari no: infatti è il mio padrone;
nondimeno è provato che è davvero un infame verso i suoi cari.
 
Pedagogo
Chi non lo è tra i mortali? Solo ora prendi coscienza di questo,
che ciascuno ama se stesso più del prossimo---86
p. 370
<alcuni magari a ragione, ma altri anche per lucro>,
se questi bambini qui per un letto il padre non li ha cari?
 
Nutrice
Andate, ché sarà meglio, dentro la casa, o figli.
Tu, più che puoi, tieni isolate queste creature
e non lasciarle andare vicino alla madre furente.
Già infatti l'ho vista mentre fissava con furia taurina
questi bambini, come se avesse in animo di fare qualcosa; e non cesserà
dall'ira, lo so bene, prima di avere assalito qualcuno.
Spero almeno lo faccia con i nemici, non con i suoi cari. 95.
 
 
Canto anapestico che precede la Parodo (vv 96-130).
 
Medea (da dentro).
 
Ahi,
messa male, me disgraziata per le tribolazioni,
ahimé, ahimé, come potrei morire?
 
Nutrice
Ecco qui, cari bambini: la madre
agita il cuore, agita la collera.
Affrettatevi più rapidamente dentro la casa
 non approssimatevi al suo sguardo,
e non avvicinatevi a lei, ma guardatevi
dall'indole selvaggia e dalla natura odiosa
di una mente arrogante.
Andate ora, ritiratevi dentro al più presto. 105
E' chiaro: la nube di gemiti  che comincia a levarsi
al più presto scoppierà con maggior furia: che cosa mai farà
quell'anima fortemente viscerale e implacabile
ora che è morsa dai mali?
dicembrel
Medea
Ahi,
ho preso a soffrire, disgraziata, ho preso a soffrire pene degne
di grandi lamenti: o maledetti
figli di madre odiosa, possiate morire
con il padre, e tutta la casa vada in malora. 114
 
Nutrice
Ahimé, ahimé, ahi sventurata.
In che cosa secondo te i figli hanno parte
della colpa del padre? Perché li odi? Ahimé,
figli, come sono angosciata per timore che abbiate a soffrire qualcosa!
Terribili sono le volontà dei potenti e poiché di rado 119
come che sia, sottostanno, e spesso spadroneggiano,
difficilmente elaborano le ire.
Infatti essere abituati a vivere in condizione di uguaglianza,
 è meglio: a me dunque sia concesso invecchiare,
fuori dalla grandezza,  in stato di sicurezza appunto. 124
In primo luogo infatti già dire il nome della misura
è un successo, farne uso poi è di gran lunga
la cosa migliore per i mortali; invece quello che eccede
non significa nessuna occasione buona ai mortali,
anzi ripaga con più gravi sciagure
quando insorge l'ira di un dio contro una stirpe. 130
 
 Parodo vv. 131-213
Coro
Ho sentito la voce, ho sentito le grida
dell'infelice donna della Colchide; e ancora non
si è mitigata; su, vecchia, parla.
Infatti ho sentito un gemito dentro
la casa a due porte, e non gioisco, o donna,
per i dolori della casa,
poiché mi è diventata cara. 138
 
Nutrice
Non c'è più la casa: questi affetti sono già dispersi.
Lui infatti lo tiene il letto dei padroni,
lei nella camera nuziale strugge la vita,
la signora, per nulla confortata nel cuore
dalle parole di nessuno degli amici.
 
 Medea
 Ahi,
una fiamma del cielo mi passi attraverso
la testa; che vantaggio è per me   vivere ancora?  145
Ahi ahi: vorrei trovare pace nella morte
lasciando una vita odiosa.
 
Coro
Sentivi, o Zeus e terra e luce,
quale pianto fa risuonare
l'infelice sposa? 150
Quale brama puoi avere tu
dell'orribile letto, o demente?
affretterai il termine di morte?
non chiederlo pregando.
E se il tuo sposo onora nuovi letti,
non affilare l'ira perciò contro di lui:
Zeus ti aiuterà a ottenere giustizia per questo.
Non struggerti troppo rimpiangendo il tuo ex compagno di letto.
 
Medea
O grande Temide e potente Artemide
vedete quello che soffro, sebbene avessi legato con solenni
giuramenti  quell'esecrabile
sposo? che io vorrei vedere un giorno
con la sposa annientati in questa stessa casa,
loro che ardiscono infliggermi torti per primi. 165.
O padre, o città, da cui venni via
con vergogna ammazzando mio fratello 167.
 
Nutrice
Sentite quali parole dice, e invoca con grida
Temide, le rivolge preghiere, e Zeus che è ritenuto
dai mortali custode dei giuramenti? 170
Non è possibile che la signora contenga
la rabbia in un piccolo sussulto.
 
Coro
Come potrebbe venire alla nostra
presenza e accogliere suono
di parole articolate,
se in qualche modo deponesse l'ira
opprimente e l'ostinazione dell'animo?
Almeno la mia premura
non faccia difetto agli amici.
Su va' e conducila qui fuori
dalla casa: con voce umana dille che anche qui c'è amicizia, 181
affrettandoti, prima che faccia qualcosa di male
a quelli di dentro: infatti questo dolore si scaglia con grande impeto.
 
Nutrice
Lo farò; ma temo di non  persuadere
la mia signora;
comunque aggiungerò questo faticoso favore.
Certo è che ella lancia sui servi sguardi bestiali
di leonessa appena sgravata, quando uno
per farle un discorso le si avvicina.
 
E stolti chiamando e per niente saggi 190
i mortali di un tempo non sbaglieresti,
loro che per le feste e per i banchetti e davanti alle cene
trovarono i canti, un ascoltare gradito alla vita;
mentre  nessuno trovò il modo di fare cessare
con la poesia e con i canti dai molti toni
gli odiosi affanni dei mortali,  per cui morti
e orribili casi fanno cadere le stirpi. 197
Eppure questo sì sarebbe un guadagno: guarire
con le melodie i mortali; ma dove ci sono lauti banchetti
imbanditi, perché elevano invano la voce? 201
Infatti l'abbondanza che c'è della mensa
contiene gioia da sé per i mortali. 203.
 
Coro
Un urlo sentivo  risuonare penoso di lunghi lamenti, 205
lei lancia stridule grida dolorose di angoscia 
contro il traditore nel letto, lo sposo infame;
la vittima dell'ingiustizia chiama a testimone 
la figlia di Zeus custode dei giuramenti, Temide, che la fece andare
nell'Ellade sull'altra sponda
attraverso il mare notturno, sul salso
stretto del Ponto infinito. 213.
 
 
Primo episodio (vv. 214-409)

Medea
Donne di Corinto, sono venuta fuori dal palazzo
perché non abbiate da rimproverarmi qualche cosa: so infatti che molti mortali
diventano altezzosi, gli uni  lontani dagli sguardi,
altri invece all'esterno; altri ancora per il muoversi riservato
si procurarono cattiva fama di indifferenza.
Giustizia infatti non sta negli occhi dei mortali,
se qualunque individuo, prima di avere conosciuto gli affetti di un uomo con chiarezza,
lo odia appena lo ha visto, senza averne ricevuto offesa alcuna.
D'altra parte lo straniero deve adeguarsi per forza alla città: 222
nemmeno approvo il cittadino che, divenuto arrogante,
è duro verso i concittadini per ignoranza.
Questa faccenda inaspettata piombatami addosso
mi ha rovinato la vita; sono distrutta e, buttata via
la gioia di vivere, desidero morire, amiche.
Quello nel quale per me c'era  tutto, lo so bene,
si è rivelato il peggiore degli uomini, il mio sposo. 229
 
Fra tutti gli esseri, quanti sono vivi e hanno raziocinio,
 noi donne siamo la creatura più tribolata:
noi che innanzitutto dobbiamo comprare un marito
con gran dispendio di ricchezze, e prenderlo come padrone
 del corpo, e questo è un male ancora più doloroso del male. 234
E in questo sta la gara massima, prenderlo cattivo
 o buono. Infatti non danno buona fama le separazioni
alle donne, e non è possibile ripudiare lo sposo.
 Quella poi giunta tra nuovi costumi e leggi,
bisogna che sia un'indovina, se non ha appreso da casa
  con quale atteggiamento tratterà nel modo più appropriato il marito. 240
E se con noi che ci affatichiamo in questo con successo,
il coniuge convive, sopportando il giogo non per forza,
 la vita è invidiabile; se no, bisogna morire.
 Un uomo poi , quando gli pesa stare insieme a quelli di casa,
 uscito fuori, depone la noia dal cuore 245
(volgendosi a un amico o a un coetaneo);
 per noi al contrario è necessario mirare su una sola persona.
Dicono di noi che viviamo una vita senza pericoli
 in casa, mentre loro combattono con la lancia,
 pensando male: poiché io tre volte accanto a uno scudo
 preferirei stare che partorire una volta sola “. 251
 
Però non vale proprio lo stesso discorso  per te e per me;
 tu hai questa  tua città e la casa paterna
e  comodità di vita e compagnia di amici,
io, poiché sono isolata e senza città, devo subire oltraggi
da un uomo, dopo essere stata rapita da una terra barbara, 256
senza avere la madre, né un fratello, né un congiunto
per trovare un ancoraggio fuori da questa sventura.
Tanto dunque io vorrò ottenere da te,
se trovo una qualche via e mezzo
per far pagare allo sposo il fio di questi mali
(e a chi gli ha dato la figlia e a quella che ha sposato),
ti prego di tacere. La donna infatti per il resto è piena di paura
e vile davanti a un atto di forza e a guardare un'arma;
ma quando sia offesa nel letto,
non c'è non c'è altro cuore più sanguinario. 266
 
Coro
 Lo farò. Giustamente infatti punirai lo sposo,
Medea. E non mi meraviglio che tu deplori la sorte.
Ma ora vedo Creonte, il signore di questa terra,
che avanza, messaggero di nuove decisioni.
 
Creonte
A te che sei torva e infuriata con lo sposo,
Medea, ho detto che devi andare fuori da questa terra
esule, dopo avere preso con te i due figli,
e di non indugiare neanche un poco: poiché io sono l'arbitro di questa
sentenza, e non  tornerò indietro nella reggia
prima di averti cacciata fuori dai confini della regione.277
 
 Medea
Ahimé disgraziata, completamente distrutta vado in rovina;
i nemici infatti allentano ogni gomena,
e non c'è un approdo accessibile fuori dalla sciagura.
Pur oppressa dalla sventura, in ogni modo ti farò una domanda:
perché mi mandi via da questa terra, Creonte? 281
 
Creonte
Ho paura di te, non c'è nessun bisogno di parlare copertamente,
che tu faccia a mia figlia un immedicabile male.
Molte indicazioni contribuiscono a questo timore:
tu sei per natura sapiente ed esperta di molti malefici,
e per giunta sei in pena perché privata del letto dell'uomo. 286.
Poi sento dire che tu minacci, a quanto mi riferiscono,
di fare qualcosa di male a chi ha dato , a chi ha preso la sposa
e alla sposata. Pertanto io prima di subire questi danni mi metterò in guardia.
E' meglio per me ora divenire odioso a te, donna,
che piangere dopo avere agito fiaccamente.
 
Medea
Ahi ahi.
Non ora per la prima volta ma spesso, Creonte, 292
la reputazione mi ha danneggiato e procurato grandi mali.
Ogni uomo dotato di buon senso non deve mai
rendere  i figli sapienti oltre misura con l'istruzione;
a parte infatti l'altra taccia che hanno di inoperosità 296
si procurano invidia malevola da parte dei concittadini. 297
Infatti se presenti nuove trovate ingegnose a gente rozza,
avrai la reputazione di essere inutile e non sapiente;
nel caso poi che tu sia ritenuto superiore a quelli che hanno fama
di sapere qualche cosa di sofisticato nella polis, apparirai molesto.
Anche io stessa partecipo di questa sorte:
poiché, per il fatto che sono sapiente, ad alcuni riesco odiosa,
(per altri sono tranquilla, per altri poi di  carattere opposto,)
per altri ancora, ostile; poi non sono troppo sapiente. 305
 
Tu allora hai paura di me: temi di subire qualcosa di sgradevole?
Non mi va così bene, non temermi Creonte,
da potere far torto a uomini di potere.
Tu poi in che cosa mi hai offesa? Hai dato in moglie la ragazza
a quello cui l'inclinazione ti spingeva. No, è il mio sposo che
odio: tu anzi, credo, con equilibrio agivi così.
Ed ora io non invidio il tuo benessere;
 celebrate le nozze, siate felici; però lasciate che io abiti
in questa terra. E infatti pur oltraggiati
faremo silenzio, dato che siamo vinti dai più forti. 315. 
 
Creonte
Dici parole miti da udire, ma dentro il cuore
ho terrore che mediti qualche malanno.
Tanto meno di prima mi fido di te;
infatti una donna collerica, proprio così come un uomo,
è più facile tenerla a bada che una taciturna scaltra.
Su, vattene al più presto, non dire parole:
tanto così è stabilito e non hai mezzi per
rimanere da noi poiché mi sei ostile.
 
Medea
no, per le tue ginocchia e per la fanciulla che ora si sposa.
 
Creonte.
sprechi le parole: infatti non potresti mai persuadermi.
 
Medea.
Ma allora mi caccerai e non avrai nessun riguardo delle preghiere?
 
 
Creonte.
Infatti tu non mi sei più cara della mia stirpe. 327
 
Medea
O patria, come ho forte ora il ricordo di te!
 
Creonte
Sì, a parte i figli, anche per me è di gran lunga la cosa più cara,
 
Medea
Ahi, ahi, che grande male è l'amore per i mortali! 330
 
Creonte
 Secondo come, credo, anche si presentano le circostanze.
 
Medea
Zeus, non ti sfugga chi è causa di questi mali.
 
Creonte
Guizza via, insensata, e liberami da queste pene.
 
Medea
+Siamo noi a penare e di pene non abbiamo bisogno,+
 
Creonte
 Sarai cacciata subito a forza dalla mano dei servi.
 
Medea
No, questo almeno no, solo, ti prego, Creonte...
 
Creonte
Mi procurerai turbamento, a quanto sembra, donna.
 
Medea
Andremo in esilio: non ti ho supplicato per ottenere questo da te.
 
Creonte
Perché allora vuoi costringermi e non ti allontani da questa terra?
 
Medea
Lascia che io rimanga solo questo giorno
e concluda il pensiero di come andremo in esilio,
e del sostegno per i figli miei, poiché il padre
non si dà nessun pensiero di procurarne alle creature.
Abbi compassione di loro; anche tu infatti di certo hai natura di padre 344
di figli: ed è naturale che tu abbia benevolenza per loro.
Infatti non di me mi do pensiero, se andremo in esilio,
loro invece piango poiché sono vessati dalla sventura. 347.
 
Creonte
 La mia volontà non è per niente quella di un tirannno,
molte volte, per avere ritegno, ho causato rovina;
e anche ora vedo che commetto un errore, donna,
tuttavia otterrai questo. Ma ti avverto:
se la prossima fiaccola del dio vedrà te
e i bambini dentro i confini di questa terra,
morrai: questa parola è stata detta senza menzogna.
Ora, se devi rimanere, resta solo un giorno;
infatti non compirai alcuna di quelle azioni terribili delle quali mi prende paura. (esce)
 
Coro
Ahi, ahi, infelice per le tue pene,
donna sventurata,
dove mai ti rivolgerai?  A quale accoglienza ospitale
 o casa o  terra che ti salvi dai mali
< troverai> ?
Come il dio ti ha spinto verso
un insuperabile tempesta di mali, Medea!
 
 
Medea
E' andata male sotto ogni aspetto: chi lo negherà?
ma queste cose non andranno per niente così, non credetelo in nessun modo.
Ci sono ancora cimenti per gli sposi novelli
e per gli imparentati non piccole pene. 367
Tu credi infatti che io avrei mai blandito costui
se non traendone qualche vantaggio o macchinando qualcosa?
Non gli avrei rivolto la parola né gli avrei toccato le mani.
Quello anzi è giunto a tal punto di stoltezza
che, pur essendogli possibile annullare i miei disegni
gettandomi fuori dal paese, ha lasciato che io rimanessi
questo giorno, nel quale renderò cadaveri tre dei miei
nemici, il padre e pure la figlia e lo sposo mio. 375
E  avendo molte vie di morte per quelli,
non so a quale per prima porre mano, amiche,
se appiccherò il fuoco alla casa nuziale,
oppure gli caccerò aguzza la spada attraverso il fegato,
dopo essere entrata in silenzio nella casa dove è disteso il letto. 380.
Ma c'è una difficoltà sola per me: se sarò presa
mentre passo le porte del palazzo e preparo il colpo,
morendo farò ridere i miei nemici. 383
La cosa migliore è  la via diretta, in cui siamo per natura
le più capaci, cioè toglierli di mezzo con i veleni.
E sia!
Insomma sono già morti: quale città mi riceverà? 386
quale ospite offrendomi una terra sicura e una casa
 fidata proteggerà la mia persona?
Non c'è. Allora fermandomi ancora un po’ di tempo,
se  riluce per me un baluardo sicuro, 390
con l'inganno e in silenzio perseguirò questa strage;
se invece una disgrazia irrimediabile mi caccia via,
allora io presa la spada, anche se devo morire,
li ammazzerò, e arriverò alla violenza dell'audacia.
Infatti per la signora che io venero 395
più di tutti e mi sono scelta come alleata,
Ecate , che abita nei penetrali del mio focolare,
nessuno di costoro rallegrandosi farà soffrire il mio cuore.
Amare e penose io  renderò loro le nozze,
e amara la parentela e il mio esilio dal paese. 400
Su via, non risparmiare nulla di quello che sai,
Medea, nel progettare e nell'ordire:
procedi verso l’orrore: adesso è una prova di ardimento. 403
Vedi quello che subisci?  non devi dare motivo di derisione
 ai discendenti di Sisifo per queste nozze di Giasone,
tu che sei nata da nobile padre e discendi dal Sole.
E poi lo sai: oltretutto noi donne siamo
per natura assolutamente incapaci di nobili imprese,
ma le artefici più sapienti di tutti i mali. 409
 
Primo Stasimo vv. 410-445
 
Prima strofe (vv. 410-420)
Verso l'alto scorrono le sorgenti dei sacri fiumi,
e giustizia e ogni diritto a rovescio si torcono.
Sono di uomini i consigli fraudolenti, e la fede
negli dèi non è più ferma.
La fama
cambierà la mia vita al punto che avrò gloria:
arriva onore alla razza delle donne;
non più una rinomanza infamante screditerà le donne.
 
Prima antistrofe (vv 421-430)
E le Muse degli antichi poeti smetteranno
di celebrare la mia infedeltà.
Infatti Febo signore del canto
 non accordò nel nostro spirito
suono ispirato di lira: poiché avrei intonato un inno di risposta
alla razza dei maschi. Una lunga età ha
molte cose da dire sul nostro ruolo e quello degli uomini. 430
 
Seconda strofe (vv. 431-438)
Tu hai navigato lontano dalle patrie case
con il cuore furente, attraversando le duplici rupi
del mare: e ora abiti
in terra straniera, dopo avere perduto
l'unione del letto senza marito
disgraziata, e profuga, sei
cacciata dal paese senza onore.
 
Seconda antistrofe (vv.439-445)
Se n'è andato il rispetto dei giuramenti, né più il pudore
 nell'Ellade grande rimane, ma in aria è volato.
Né a te sventurata rimane la casa
del padre, per trovare un altro approdo
dalle pene, e  un'altra regina più forte
 del tuo letto
sulla casa impera.
 
Secondo Episodio (vv. 446-626)
Giasone
Ho constatato non ora per la prima volta ma spesso
che un'ira violenta è un male irrimediabile.
Infatti mentre ti era possibile tenerti questa terra e la casa
sopportando senza pesantezza le decisioni di quelli più forti,
per dei discorsi sconsiderati, sarai cacciata da questa terra. 450
Per me nessun problema: non smettere  mai
di dire di Giasone che è il peggiore degli uomini;
ma quanto a ciò che è stato detto da te contro i sovrani,
consideralo un guadagno pieno, se vieni punita con l'esilio. 454
Io anzi, tutte le volte che i reali si adiravano
cercavo di trattenere le loro ire e volevo che tu rimanessi;
ma tu non desistevi dalla follia, dicendo sempre
male dei signori: perciò sarai bandita da questa terra. 458
Ma tuttavia, pur in seguito a questi fatti, non sono venuto
rinunciando agli affetti , bensì preoccupandomi  del tuo interesse, donna
affinché tu non sia bandita con i figli priva di risorse,
né bisognosa di qualche cosa: molti sono i mali che l'esilio
trascina con sé. Anche infatti  se tu mi odi,
non potrei mai volerti male 464.
 
Medea
O scelleratissimo! questo infatti posso dirti
con la mia lingua, come insulto più grande per la tua viltà,
sei venuto da me, sei proprio venuto ora che sei diventato odiosissimo
<agli dèi e a me e a tutto il genere umano?>
Questo non è certo ardimento né coraggio,
guardare in faccia le persone dopo aver fatto loro del male,
ma il più grande di tutti i mali presenti
nell'uomo: impudenza. Hai fatto bene a venire: 472
io infatti prendendoti a male parole sarò alleggerita
nell'anima e tu ascoltando ti affliggerai.
Inizierò a parlare prima dai primi fatti.
Io ti salvai, come sanno quanti tra gli Elleni
si imbarcarono sulla medesima nave Argo,
quando fosti mandato a domare i tori che spirano fuoco,
 con i gioghi, e a seminare il solco mortifero;
e  il drago, che avvolgendo il vello tutto d'oro 480
con le spire contorte, lo sorvegliava senza dormire,
lo uccisi io, e sollevai per te la luce della salvezza.
Sempre io, dopo avere tradito il padre e la mia casa
giunsi a Iolco sotto il Pelio
con te, più appassionata che saggia.
Ho fatto ammazzare Pelia, nel modo più doloroso di morire,
dalle sue figlie, e ho distrutto tutta la casa. 487
E dopo avere ricevuto questo da me, o il peggiore tra gli uomini,
mi hai tradito, e ti sei procurato nuovi letti,
pur essendo nati dei figli; se infatti tu fossi ancora senza figli,
sarebbe scusabile per te esserti innamorato di questo letto. 491
Ma la fede dei giuramenti è scomparsa, e io non riesco a capire
se tu credi che gli dèi di una volta non regnino più
o che nuove norme valgano ora per gli uomini,
poiché sai bene di non essere fedele al giuramento verso di me. 495
Ahi mano destra, che tu molte volte stringevi,
e queste ginocchia, come invano siamo state toccate
da un uomo malvagio, e ci siamo ingannati nelle speranze!
Via! Comunicherò in effetti con te come se fossi un amico
-credendo di avere quale beneficio da te?
 comunque (lo farò), infatti interrogato apparirai più infame-;
ora dove posso rivolgermi? forse alla casa del padre 502
che ho tradito insieme con la patria per te, poi sono venuta qua?
Oppure dalle disgraziate Peliadi? Proprio bene certo
accoglierebbero in casa me quelle di cui ho ammazzato il padre! 505
Sta infatti così: ai cari di casa
sono diventata odiosa, quelli cui non dovevo fare
del male, per favorire te, li ho resi nemici.
Appunto in cambio di questi favori mi hai resa felice
agli occhi di molte tra le Greche; ed io la disgraziata
ho uno sposo meraviglioso e fedele,
se andrò in esilio da questa terra cacciata via,
priva di amici, sola con i figli soli;
bella onta per lo sposo novello,
che vadano errando esuli e mendichi i figli ed io che ti ho salvato. 515 
O Zeus, perché dell'oro che sia falso
accordasti agli uomini indizi chiari,
mentre tra gli uomini non è impresso dalla nascita nel corpo
  nessun segno con il quale bisogna riconoscere il malvagio? 519
Coro
E'  un'ira terribile e insanabile 520
quando i cari ingaggiano una contesa con i loro cari.
 
Cfr. bella plus quam civilia  del primo verso della Pharsalia di Lucano
 
 
Bologna 31 ottobre 2022 ore 10, 10
giovanni ghiselli
 
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