domenica 30 aprile 2023

Ricordare e raccontare a chi giova?


 

Lisistrata, Prometeo, Ipsipile, Leopardi et ego ipse

 

Terminata la parabasi della Lisistrata (vv. 614-705) compare la protagonista eponima della commedia.

La corifea le domanda perché sia accigliata-skuqrwpov" (Lisistrata, 707)

 Lisistrata cita un verso di Euripide (Telefo fr. 704): " aijscro;n eijpei'n kai; siwph'sai baruv (712) turpe è parlare e tacere mi pesa.

 

Cfr. il Prometeo incatenato di Eschilo "ajlgeina; mevn moi kai; levgein ejsti;n tavde,-a[lgo" de; siga'n, pantach'/ de; duspotma” doloroso è per me raccontare queste cose,/ma doloroso è anche tacere, e dappertutto sono le sventure"(vv. 197-198).

 

Due versi questi, usati come epigrafe da Giuseppe Berto per il suo romanzo Il male oscuro (1964) che racconta la terapia di una nevrosi: “Il racconto è dolore, ma anche il silenzio è dolore”. Il racconto infatti è doloroso e pure terapeutico.

 

Così Enea racconta a Didone la distruzione di Troia: “Infandum, regina, iubes renovare dolorem (…) Sed si tantus amor casus cognoscere nostros/et breviter Troiae supremum audire laborem,/quamquam animus meminisse horret luctuque refugit,/incipiam” (Eneide, II, 3, 10-13), regina, mi ordini, di rinnovare un dolore indicibile…ma se tanto grande è il desiderio di conoscere la nostra caduta e di udire in breve l’estrema agonia di Troia, sebbene l’animo rabbrividisca a ricordare e rifugga dal pianto, comincerò.

 

Nella Tebaide di Stazio (45-96 d. C.) Ipsipile inizia la sua storia dolorosa affermando che raccontare le proprie pene è una consolazione per gli infelici:"dulce loqui miseris veteresque reducere questus" (V, 48), è dolce parlare per gli infelici e rievocare le pene antiche.  

 

Lo scrive anche Leopardi che corteggia la luna

"O graziosa luna, io mi rammento

che, or volge l'anno, sovra questo colle

io venia pien d'angoscia a rimirarti:

e tu pendevi allor su quella selva

siccome or fai, che tutta la rischiari.

Ma nebuloso e tremulo dal pianto

che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci

il tuo volto apparia, che travagliosa

era mia vita; ed è, né cangia stile,

o mia diletta luna. E pur mi giova

la ricordanza, e il noverar l'etate

del mio dolore.

(Alla luna del 1820, vv. 1-12)

 

Sto correggendo le bozze del romanzo dove racconto l' apprendistato di un giovane, il mio.

A me pure  "giova

la ricordanza, e il noverar l'etate

del mio dolore", certo, ma ancora di più giova ricordare la gioia. A chi scrive e a chi legge se chi scrive è molto bravo.

 

Bologna  30 aprile 2023 ore 18, 55 giovanni ghiselli

 

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sabato 29 aprile 2023

La vittoria nella guerra è vittoria sulla guerra, cioè la Pace.


 

 

Il lieto fine della Lisistrata di Aristofane.

 

L'inviato spartano Spartano ricorda le benemerenze storiche degli Ateniesi e pure quelle di Sparta nei confronti della Grecia, in particolare la seconda guerra persiana con l’Artemisio, il promontorio nel punto più a Nord (est) dell’Eubea, dove gli Ateniesi simili a verri-sueivkeloi- saltarono sulle navi e vinsero i Medi, mentre Leonida alle Termopili guidava noi Spartani come cinghiali che aguzzano le zanne-a|per tw;" kavprw" savgonta" (1255).

 I guerrieri schiumavano e sudavano e i Persiani non erano meno dei granelli di sabbia oujk ejlavssw" ta'" yavmma" (1261).

 

Viene invocata Artemide, silvestre cacciatrice.

E finiamola con le volpi astute! 1269-1270

 

 

Cfr. la falsità delle consumate volpi del potere.

 

Forse c’è un riferimento a quanto diceva Lisandro il quale avrebbe concluso la guerra del Peloponneso sconfiggendo gli Ateniesi: egli se la rideva di quanti stimavano che i discendenti di Eracle dovessero sdegnare di vincere con il tradimento e raccomandava sempre:" o{pou ga;r hJ leonth' mh; ejfiknei'tai prosraptevon ejkei' th;n ajlwpekhvn" dove di fatto non giunge la pelle del leone, bisogna cucirle sopra quella della volpe" (Plutarco, Vita di Lisandro, 7, 6).

Cfr. la golpe e il lione di Machiavelli.

 

Nel XVIII capitolo di Il Principe, Machiavelli ricorda  "come Achille e molti altri di quelli principi antichi furono dati a nutrire a Chirone centauro, che sotto la sua disciplina li costudissi". E ne deduce:"Il che non vuol dire altro, avere per precettore uno mezzo bestia et uno mezzo uomo, se non che bisogna a uno principe sapere usare l'una e l'altra natura; e l'una sanza l'altra non è durabile. Sendo dunque uno principe necessitato sapere usare la bestia, debbe di quelle pigliare la golpe et il lione; perché il lione non si difende da' lacci, la golpe non si difende da' lupi. Bisogna adunque essere golpe a conoscere e' lacci, e lione a sbigottire e' lupi. Coloro che stanno semplicemente in sul lione, non se ne intendano. Non può, per tanto, uno signore prudente né debbe osservare la fede, quando tale osservanzia li torni contro e che sono spente le cagioni che la feciono promettere".

 

Riccardo III di Shakespeare è “ il principe che ha letto Il Principe. La politica è per lui pura pratica, un’arte il cui fine è governare. Un’arte amorale come quella di costruire i ponti o come una lezione di scherma. Le passioni umane sono argilla, e anche gli uomini sono un’argilla di cui si può fare quel che si vuole.”[1].

Riccardo viene aizzato dai suoi alleati a vendicarsi dei suoi nemici: “ But then I sigh, and, with a piece of Scripture,-Tell them that God bids us do good for evil:-  And thus I clothe my naked villainy-With odd old ends stol’n forth of Holy Writ-And seem a saint, when most I play the devil” (I, 3),  ma allora io sospiro, e, con un brano della Scrittura, dico loro che Dio ci ordina di rendere bene per male: e così rivesto la mia nuda scelleratezza con occasionali vecchi scampoli della Sacra Scrittura, e sembro un santo quando più faccio il diavolo. 

 

 

Torniamo alla Lisistrata

Il pritano ateniese  dice che tutto è andato bene pepoivhtai kalw`" (1272), sicché Spartani e  Ateniesi possono tornare a casa con le mogli. Poi si danzerà in onore degli dèi e , suggerisce, nell'avvenire guardiamoci dallo sbagliare ancora- eujlabwvmeqa- to; loipovn au\qi" mh; jxamartei`n e[ti- (1277-1278).

 

 Ateniesi e Spartani  hanno dato retta alle loro donne e fanno la pace

 

Il coro degli Ateniesi invoca le Grazie Cavrita", Artemide, Apollo il gemello guidatore di danze divdumon ajgevcoron, benigno guaritore eu[fron j   jIhvion[2], poi Dioniso, il dio di Nisa, il dio che tra le Menadi negli occhi sfavilla, e Zeus fulgente di fuoco e la sua veneranda consorte Era, e Afrodite che ci ha dato questa pace serena.

Dunque ai[resq j a[nw, balzate in alto,  wJ" ejpi; nivkh/ come per la vittoria, eujoi'  iterato 4 volte (1292-1294).

Questo evoè  ripetuto sancisce e festeggia la gioia

 

Il pritano, il presidente ateniese chiede al plenipotenziario spartano di concludere intonando mou'san e[ti nevan, un canto ancora nuovo.

Lo Spartano dunque canta chiudendo la commedia,

Invoca la musa spartana che lasci l’amabile Taigeto e celebri Apollo il dio di Amicle, e Atena la dea Calkivoiko" dalla dimora di bronzo, e i Tindaridi che giocano (yiavdonti=yiavzousi) presso l’Eurota.

Noi celebriamo Sparta cui sono care le danze kai; podw'n ktuvpo" e il battere dei piedi, quando, come puledre le fanciulle –a|/te pw'loi tai; kovrai- presso l’Eurota- pa;r to;n Eujrwvtan (1309)  balzano (ajmpadevomti-ajnaphdavw-)  agitando celeri i piedi e  scuotono le chiome tai; de; kovmai seivontai come Baccanti che folleggiano con il tirso (1313)

Guida  le danze la  figlia di Leda santa e bella. Elena riabilitata dalle calunnie: quelle di Euripide, per esempio, nelle Troiane.

 

La  Parodo delle Baccanti di Euripide termina con questi versi

Bacco sollevando                                                                  

la fiamma ardente

dalla torcia di pino

come fumo di incenso di Siria

si precipita, con la corsa e

con danze eccitando le erranti

e con grida spingendole,

e scagliando nell’aria la molle chioma.   150

e insieme con urla di evoè grida così:

“O andate Baccanti,

andate Baccanti,

con lo splendore dello Tmolo aurifluente,

cantate Dioniso                                                                               

al suono dei timpani dal cupo tuono,

celebrando con urla di evoè il dio dell’evoè

tra clamori e gridi frigi

quando il sacro flauto melodioso                                                               

freme sacri ludi, che si accordano

alle erranti al monte, al monte: felice                                                  

allora, come puledra con la madre

al pascolo, muove il piede rapido, a balzi, la baccante” (145- 167)

"truferovn te plovkamon eij" aijqevra rJivptwn"( Baccanti, v. 150) scagliando nell'aria i riccioli molli, un verso ravvisabile anche in un quadro di Picasso del 1922 Deux femmes courant sur la plage (Parigi, museo Picasso).

Cfr. anche Catullo, 64, 255: Bacchantes…capita inflectentes, le Baccanti scuotendo la testa.

Prima di arrivare a Catullo e Picasso si può vedere del resto la Menade di Scopas (IV secolo a. C.) della quale si trova una copia nella Skulpturensammlung di Dresda.

 

Torniamo all'esodo della Lisistrata

Lo Spartano infine invita le donne della sua terra a cingersi le chiome con una benda e a balzare con i piedi come una cerva- a| ti" e[lafo" 1319 facendo risuonare la terra  in modo che essa assecondi la danza, e a celebrare Atena potentissima dea bellicosa (1320)

Atena è pure la dea poliade di Atene e la sua bellicosità non potrà essere invocata contro la città che protegge, bensì, casomai, contro i Persiani rcordati pochi versi fa.

Un appello simile di concordia tra gli Elleni e di guerra santa contro i Persiani troviamo nell' Ifigenia in Aulide di Eurupide.

 

Ricorda l'euripidaristofaneggiare di Cratino.

Bologna 29 aprile 2023 ore 19, 39 giovanni ghiselli.

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[1] Jan Kott, Shakespeare nostro contemporaneo, p.  42.

[2] Che può essere guaritore da ija'sqai, ma pure feritore da i{hmi

Il comico di Hegel e il tragicomico dei nostri politici.


 

Nell’Estetica di Hegel leggo: “sono propri del comico l’infinito buon umore in genere e la sconfinata certezza di essere ben al di sopra della propria contraddizione e di non esserne affatto amareggiati e resi infelici: ossia la beatitudine e l’essere a proprio agio della soggettività che, certa di se stessa, può sopportare la dissoluzione dei suoi fini e delle sue realizzazioni (…) Aristofane non si fa gioco di ciò che veramente etico c’è nella vita del popolo ateniese, né dell’autentica filosofia, della vera fede religiosa, dell’arte genuina: ma quel che egli ci pone dinanzi nella sua stoltezza, che da se stessa si distrugge, sono le aberrazioni della democrazia, da cui sono spariti l’antica fede e gli antichi costumi, è la sofisticheria, il tono lamentoso e pietoso della tragedia, le chiacchiere volubili, la litigiosità ecc., questa nuda contropartita di una vera realtà statale, religiosa, artistica” (p. 1591 e 1592).

 

Analogie: tante sono le contraddizioni di chi ci governa e non poche quelle di chi dovrebbe fare l’opposizione. Si comportano come chi non deve rendere conto a nessuno, come, per esempio, Serse il grande re di Persia nei Persiani di Eschilo. Può perdere la guerra senza perdere il potere.

Le aberrazioni della nostra democrazia, posto che sia tale una democrazia aberrante cioè deviante dai bisogni del popolo che infatti in maggioranza non va più a votare, sono i salari miserevoli dei lavoratori, la scuola che non fa più leggere gli autori, il parlare politicamente sostituito dalle chiacchiere dei buffoni, la medicina efficace e tempestiva riservata agli abbienti, gran parte delle trasmissioni televisive che operano un genocidio culturale, l’assenza di indagini serie e l’occultamento della verità al punto che i mandanti di crimini orribili come le stragi, o come tanti omicidi esecrandi quali quelli di Enrico Mattei, Mauro De Mauro, Aldo Moro, Emanuela Orlandi rimangono nascosti in una latenza oramai semisecolare. La verità è ajlhvqeia è “non latenza” mentre la latenza si associa alla menzogna.  

Bologna 29 aprile 2023  ore 13, 04 giovanni ghiselli

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venerdì 28 aprile 2023

D'Annunzio a scuola da Eschilo.

 Seconda versione  dei versi da recitare del Prometeo incatenato

Ho tolto quasi tutte le mie note per rendere più agevole la lettura dell’attore e ho invece aggiunto per voi che mi seguite un riuso dei versi 88-92 di Eschilo fatto da Gabriele D’Annunzio.

 

Il  Titano incatenato invoca l’intera natura perché lo  assista nelle sue pene.

 

o etere divino e venti dalle ali veloci,

e sorgenti dei fiumi, e innumerevole sorriso

delle onde  , e terra madre di tutte le cose

e il disco del sole che vede tutto, invoco:

guardate quali pene soffro, io che sono un dio, da parte degli dèi”(88-92).

(…)

Sentite il riuso che ne fa D’Annunzio in Elettra delle Laudi del cielo del mare della terra degli eroi:

“Ahi, chi mai lo consolerà?”

dicemmo noi nello spavento.

Chi consolerà

“ Colui ch’ebbe a sé testimoni

il Sole, il Vento,

le sorgenti dei Fiumi, il riso

innumerevole delle onde marine

la madre di tutte le cose, la Terra?

Chi mai lo consolerà nel dì supremo?

L’antico Oceano?

(…)

Il canto delle Oceanine?

Il lamento delle pie donne?

Qual parola nata

dal sale del mare e del pianto

lenirà l’insonne?”

 

 

 

 

Che cosa dico? Conosco in anticipo con esattezza

Tutto quanto accadrà, né alcuna pena

Mi giunge inaspettata. La sorte destinata comunque è necessario

 che la sopporti nel modo più spavaldo possibile chi ha coscienza

che la forza della necessità è invincibile.

Ma non mi è possibile tacere né non tacere

su queste mie sventure: ai mortali infatti ho procurato

dei doni e mi trovo, infelice, aggiogato a questo destino.

 Sono andato a caccia della sorgente

del fuoco l’ho rubata e ne ho riempito

il cavo di una canna, e questo furto  si è rivelato maestro

di ogni tecnica e grande risorsa per tutti i mortali

Di queste colpe pago le pene

sotto il cielo aperto inchiodato in catene.

Ahimé, ahi, ahimé

Quale suono, quale odore vola verso di me indistinto

mosso dagli dèi,  o mortale, o misto?

E’ giunto alla vetta ai confini del mondo

per assistere allo spettacolo delle mie pene? O che cos’altro vuole?

Guardate me incatenato, un dio dal destino difficile,

il nemico di Zeus, quello che è venuto in odio

a tutti gli dèi quanti frequentano la corte di Zeus

per il troppo amore dei mortali (101-123). 

 

Prometeo non si limita al lamento; minaccia anche:

"Eppure il presidente dei beati avrà ancora

bisogno di me, sebbene tormentato

nei forti ceppi,

perché gli sveli il nuovo piano con il quale

si cerca di spogliarlo dello scettro e degli onori"

(vv. 167-171).

 

 

Il coro delle Oceanine  avverte il ribelle:

"il figlio di Crono ha un carattere inaccessibile

e un cuore implacabile"(vv. 184-185);

 

 Prometeo non si lasciar spaventare e ribadisce che il tiranno ha bisogno di lui, quindi dovrà scendere a patti. Poi comincia un suo racconto poiché:

 

"doloroso è per me raccontare queste cose,

ma doloroso è anche tacere, e dappertutto ci sono sventure"(vv. 197-198).

 

Prometeo però deve riconoscere che i mortali sono stati anche illusi  da quanto hanno ricevuto:

“ ho fatto smettere ai mortali di prevedere il destino di morte"

La corifea domanda:

“E quale rimedio hai trovato a questo malanno?

Prometeo risponde:

 “ho infuso in loro cieche speranze” (vv. 248-250).

 

 

Comunque  il Titano rivendica dignità alla sua trasgressione

 

"io sapevo tutto questo:

di mia volontà, di mia volontà ho trasgredito, non lo negherò

 aiutando i mortali ho trovato io stesso le pene "(265-267).

 

 

L' inventore si scopre inventore di pene.

 

 

 

Prometeo elenca i tanti  doni elargiti agli uomini

“Io inventai per loro il numero, eccellente

fra le trovate ingegnose, e le combinazioni delle lettere,

memoria di tutto,  operosa madre delle muse.

E  per primo attaccai ai carri gli animali selvatici

sottomessi ai gioghi e ai cavalieri,

asserviti ai mortali nelle più dure fatiche.

E  ho portato sotto il cocchio i cavalli resi amanti delle briglie,

immagine del lusso ricchissimo.

Nessun altro all'infuori di me ha inventato i veicoli dalle ali di lino

 Che vagano per i mari percorsi dai marinai

E dopo avere trovato tali invenzioni per i mortali,

io infelice non ho un espediente che mi liberi dalla pena presente

(vv. 459- 471)  

 

Il Coro delle Oceanine lo compatisce.

 

Sconcia è la pena che soffri: uscito di senno,

deliri, e poiché da cattivo medico sei caduto malato

ti perdi d’animo e non sai trovare con quali farmaci

tu sia curabile (472-475)

 

Prometeo elenca altre sue scoperte benefiche per i mortali:  

i farmaci (vv. 480 sgg.), le tecniche dell'arte divinatoria, l'interpretazione dei sogni, del volo degli uccelli,  delle viscere nelle vittime sacrificali.

 

Infine ha scoperto i metalli:

Il bronzo, il ferro, l'argento e l'oro,

chi potrebbe dire di averli scoperti prima di me?

 (vv. 502-503),

 

 

In conclusione;

 tutte le tecniche ai mortali derivano da Prometeo”

 (v. 507),

 

 

Quindi il martire sfida il re dell'universo, sebbene la corifea gli ricordi che

"i saggi  si inchinano davanti all'inevitabile"(v. 936).

 

 Ma Prometeo è irremovibile nella sua opposizione ostinata; anzi quando vede sopraggiungere Ermes  lo sbeffeggia

“Ecco, vedo  il galoppino di Zeus,

il servo del nuovo tiranno” (v. 941- 942)

 

.

Poi il Titano arriva a dire:

“con parola diretta  odio tutti gli dèi

quanti, dopo avere ricevuto del bene, mi maltrattano ingiustamente”(vv. 975-976).

 

Prometeo ribadisce che non si piegherà. 

 

 Ermes replica accusandolo di arroganza con debole ragione:

 

“Ma tu riponi fiducia su un debole sofisma:

la presunzione infatti per chi non  ragiona bene,

 di per sé ha meno forza del nulla”.

(vv. 1211- 1213).

 

Presto, lo minaccia Ermes, sarai subissato da una tempesta, poi :

 “il cane alato di Zeus, l'aquila rosso sangue

 farà voracemente a brani il grande straccio del tuo corpo

e insinuandosi ogni giorno quale commensale non invitato

divorerà il tuo fegato, nera vivanda "(vv. 1021-1025).

 

 Prometeo è avvisato.

Ma non dà segni di resipiscenza, anzi leva la voce ripetendo la sfida con l’evocare il Caos:

 

"ora il ricciolo di fuoco a due tagli

sia scagliato pure contro di me, e l'etere

sia irritato dal tuono e dalla convulsione

dei venti selvaggi; i soffi scuotano

la terra dalle fondamenta con le stesse radici,

l'onda del mare con aspro fragore

copra le vie degli

astri del cielo; e getti il mio corpo

dopo averlo alzato, nel buio Tartaro

tra i vortici duri della necessità

 non mi farà morire del tutto"(vv. 1043-1053).

 

 Infatti, non bisogna dimenticarlo, Prometeo non è un uomo ma un dio.

 

Ermes, il messo di Zeus,  minaccia le Oceanine che ribadiscono la loro solidarietà al Titano. Le coreute sono cugine di Prometeo, siccome Oceano, il padre loro è un Titano fratello di Crono e di Giapeto che è padre di Prometeo

 

 Ermes al Coro delle Oceanine

Ricordate però le cose che io predìco

e, braccate dall'acciecamento  non

biasimate la sorte, e non dite mai

che Zeus vi cacciò in una sofferenza

imprevista; no certo, ma voi

vi ci siete buttate da sole. Infatti sapendolo

e non all'improvviso né di nascosto

sarete implicate per dissennatezza

nella inestricabile rete dell'acciecamento vv.1071-1079).

 

Le ultime parole del Prometeo incatenato  sono pronunciate dal Titano stesso che descrive la tempesta già scoppiata, "correlativo oggettivo" della sua anima sconvolta, ed emblema del Caos , il disordine cosmico e umano, che egli ha cercato di ripristinare confutando l'autorità e l'ordine di Zeus:

 

"Certo di fatto e non più soltanto a parole

la terra si è messa ad ondeggiare,

e mugghia il profondo rimbombo

del tuono, e le spire del lampo

brillano  ardenti, e i turbini fanno girare

la polvere, e saltano i soffi

di tutti i venti dichiarandosi

una guerra reciprocamente contraria

e sono sconvolti insieme il cielo e il mare.

Tale assalto che vuole creare paura

avanza chiaramente da Zeus contro di me.

O maestà della madre mia, o etere

che fai girare la luce comune a tutti

tu vedi come ingiustamente io soffro" (vv. 1080-1093).

 

Concludo mettendo in evidenza un arcanum imperii: per sottomettere il ribelle, qualsiasi ribelle, la regola è quella di farlo soffrire.

 

Bologna 28 aprile 2023 ore 9, 28 giovanni ghiselli

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mercoledì 26 aprile 2023

ARISTOFANE - "La pace". Versi chiave contro la guerra

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Versi chiave della commedia Pace tradotti per essere recitati nelle pause della nia conferenza del 12 giugno a Siracusa

 
Ermes spiega a Trigeo che gli dèi sono adirati con gli Elleni: “  {Ellhsin ojrgisqevnte~ (203) Sicché li hanno abbandonati andandosene o{pw~  ajnwtavtw (207) il più in alto possibile per non vederli  sempre combattere e non sentirli supplicare.
Al loro posto hanno messo Polemo- i{n  j h\san aujtoi, to;n Povlemon katw/vkisan (205), dove stavano loro hanno sistemato Polemo
 
 Trigeo però è ottimista. Esorta comunque a tirare fuori la pace cara a tutti- ejxelkuvsai  th;n pa`sin Eijrhvnhn fivlhn 294 prima che un altro pestello-guerrafondaio- a sua volta lo impedisca- pri;n e{teron  au\ doivduka kwlu`saiv tina (295).
Nella parodo della Pace i contadini annunciano la luce di un giorno ostile a Lamaco uno dei capi militari ateniesi- hjmevra h{de misolavmaco~- (304)
Quindi il coro si rivolge a Trigeo mettendosi a disposizione per propiziare il ritorno e la rinnovata consacrazione della dea più grande di tutte e più amica delle nostre viti- th;n qew`n pasw`n megivsthn kai; filampelwtavthn (308) la Pace, naturalmente
Trigeo teme che i coreuti gridando riattizzino lo spirito guerriero che infiamma Polemo- o{pw~ mh; to;n Povlemon ejkzwpurhvset j kekragovte~- 309- 310
Il Coro vuole esultare dato che è sospesa la chiamata alle armi dalla morte dei pestelli l’ateniese Cleone e lo spartano Brasida, ma Trigeo teme che quel Cerbero là sotto- Cleone- venga tra i piedi –ejmpodwvn-315- a incepparli e ostacolare la liberazione della bella Irene.
Il coro pensa di averla già in mano e che nessuno gliela possa togliere. ijou` ijou` 317.
 
Trigeo suggerisce di prendere tempo prima di fare festa. Non è ancora arrivato  il momento
“ma una volta che abbiamo preso lei-la pace- allora  sì rallegratevi, e gridate e ridete- ajll j o{tan lavbwmen aujthvn, thnikau`ta caivrete-kai; boa`te kai gela`t  jj  338-339 poiché allora davvero vi sarà possibile navigare, rimanere a casa, fottere, dormire e andare a vedere le grandi feste solenni -dh  ga;r  ejxevstai toq  j   uJmi`n-plei`n- mevnein kinei`n kaqeuvdein,- eij~ panhguvrei~ qewrei`n- 340-342-
E anche banchettare, giocare al cottabo, condurre una vita dissoluta, e gridare iuh iuh!. ejstia`sqai- kottabivzein- subriavzein- ijou` kekragevnai
L’antro viene sbloccato e ne esce lentamente la statua della dea Pace con Opora e Teoria ai due lati
Trigeo prega le tre femmine divine postrandosi prima a Pace: w\ povtnia botruovdwre 520- o signora dispensatrice di grappoli. Vorrebbe  trovare un rh`ma muriavmforon una parola di diecimila anfore per rivolgersi a lei. Non c’è pace senza grandi bevute di grappoli spremuti.
 Qundi saluta Opòra e Teorìa- w\ cai`r j   jOpwvra kai; su dj w\ Qewriva-(523) la dea del Raccolto e quella della Festa.
Trigeo corteggia Teoria che ha un volto di grande qualità- oi|on d j e[cei~ provswpon, w\ Qewriva 524 e un alito delizioso  che emana un dolcissimo profumo che sa di disarmo- w{sper ajstrateiva~ kai; muvrou- 526.
Ma il pacifista continua: e odora anche di edera, di colatoio per il vino, di pecorelle belanti del seno di donne che corrono verso il campo-kovlpou gunaikw`n diatrecousw`n eij~ ajgrovn- 536- di serva alticcia, di brocca rovesciata e di molte altre cose belle
Ermes aggiunge altre conseguenze buone della pace: “ poi guarda come le città discorrono tra loro-pro;~ ajllhvla~ lalou`sin 539- riconciliate  e ridono contente kai; gelw`sin a[smenai- pur con gli occhi tutti quanti terribilmente pesti e con le ventose applicate sopra.
Trigeo poi elogia la bellezza e l’eroica luce dei suoi attrezzi agricoli che splendono: cosa  brillante è la zappa già pronta- hJ ga;r sfu`ra lampro;n ejxwplismevnh -566-
Quindi l’ammirazione e l’amore di Trigeo passano ai forconi tridenti ai qrivnake~ che scintillano al sole diastivlbousi pro;~ to;n h{lion (567)
Il coro continua a rivolgersi alla Pace ricordando con gratitudine tutti i benefici da lei elargiti: tu eri mevgiston hjmi`n kevrdo~, il nostro guadagno più grande, tu pace che sei mancata-poqoumevnh- 587-a tutti quanti vivevamo la laboriosa vita dei campi:  movnh ga;r wjfelei`~- poiché tu sola ci giovi.
Sotto di te godevamo di molti beni dolci gratuiti e amabili – glukeva kajdavpana kai; fivla (594).
 
Il coro continua a manifestare la sua gratitudine alla Pace che per i contadini significava zuppa di grano cotto e salvezza.
Ora le vigne- ajmpevlia- e i fichi freschi- kai; ta; neva sukivdia – e quante altre piante ci sono, ti accoglieranno sorridendoti liete (vv. 596-600).
Il contadino tutto contento invita le ragazze kovrai Teoria e Opora a seguirlo. “wJ~ polloi; panu- poqou`nte~ uJma`~ ajnsamevnous  j  ejstukovte~ (727- 728) poiché molti sentono la vostra mancanza e vi aspettano eretti
La parabasi procede con  la critica letteraria. Il poeta comico non dovrebbe lodare se stesso a meno che sia a[risto~ 736 -kai; kleinovtato~ kwmw/didavskalo~  (737), il migliore e il più illustre poeta comico e quindi degno di lode grande- a[xio~ eujlogiva~ megavlh~ (738). Egli, cioè Aristofane e solo lui, ha fatto smettere agli avversari che motteggiavano sugli stracci e di polemizzavano con i pidocchi-ga;r tou;~ ajntipavlou~ movno~ katevpausen-eij~ ta; rjavkia skwvptonta~  aei;, kai; toi`~ fqeirsi;n polemou`ta~ (739- 740).
Si può pensare alle polemiche televisive ingaggiate tra personaggi  da nulla.
Il servo domanda al padrone dove abbia preso le due ragazze
ejk toujranou` 847 “dal cielo”,  risponde Trigeo
Il servo domanda se deve nutrire Opora.
No risponde Trigeo: non vorrà mangiare pane né focaccia-ouj ga;r ejqelhvsei fagei`n –ou[tj a[ron ou[te ma`zan -853, abituata com’è a leccare ambrosia lassù tra gli dèi- ajmbrosivan levcein a[nw-
Il servo facendo probabilmente un gesto dice che allora bisognerà prepararle anche qui qualcosa da leccare-leivcein a[r j aujth`/ kajnqavde skeuastevon- 855.
 
Trigeo canta la sua preghiera alla Pace
 
O molto veneranda regina e dea, 974
potente pace,
signora di cori, signora di nozze,
accetta il sacrificio nostro.
 
Seguita a cantare il servo di Trigeo
 
Accetta dunque onoratissima reverenda
per Zeus e non fare come
fanno le donne in cerca di ganzi. 980
Costoro infatti schiudendo un poco la porta
  del cortile fanno capolino
e se uno rivolge loro l’attenzione
si tirano indietro;
ma se poi quello si allontana si riaffacciano.
Tu non fare  più niente di questo con noi.
 
Per Zeus, mostra te stessa tutta intera,
come si addice a una donna perbene, a noi
che ti amiamo, che per te ci struggiamo
Già da tredici anni.
Dissolvi battaglie e tumulti,
perché ti possiamo chiamare Lisimaca- l’acido nitrico delle battaglie-
e fai cessare i nostri sospetti
troppo sottili,
per cui mormoriamo gli uni contro gli altri,
Mescola noi Elleni
un’altra volta daccapo
in un succo di amicizia e tempera la mente
con una più mite capacità comprensiva 999.
 
Torniamo al canto di Trigeo
Fai che la nostra agorà sia piena
di ogni bene: grossi agli, 1000
cetrioli precoci, mele, melograni,
 mantelline per schiavi;
e che si vedano portate dai Beoti
oche, anatre, colombi, scriccioli,
e che arrivino ceste di anguille del lago Copaide
e noi riuniti intorno
A fare provviste e a rimescolarci
con Morico, Telea, Glaucete e molti altri
ghiottoni,  e poi che Melanzio (attore tragico da strapazzo)
arrivi troppo tardi al mercato
e le prelibatezze siano già vendute, e lui gema gridando
E poi intoni la melodia di Medea
"Sono spacciato, sono spacciato"
vedovo dell'anguilla adagiata sulle bietole
e gli uomini ne godono.
Questo, o molto venerata, dai a noi che ti preghiamo.
Prendi il coltello, poi con fare da cuoco
devi sgozzare la pecora- Pace, 1017
 
Inizia la seconda Parabasi (1127-1190)
E’ un canto di gioia degli uomini liberati dal tormento della guerra
Traduco
“gioisco, davvero giosco
di essermi liberato dall’elmo,
da razioni di formaggio e cipolle.
Infatti non mi piacciono le battaglie
ma bere accanto al fuoco
in compagnia degli amici,
bruciando della legna quella
più secca tagliata
durante l’estate
e abbrustolire ceci
e mettere sul fuoco la ghianda
e nello stesso tempo sbaciucchiare la serva tracia
mentre la moglie si lava  1139.
 
Quindi il coro canta l’antistrofe  
E quando la sonora cicala
canta la dolce canzone
gioisco nell’esaminare
le viti di Lemno
se hanno già l’uva matura,
sono piante precoci
e sono contento vedendo il fico selvatico
gonfiarsi di polpa,
poi quando è maturo
lo mangio e lo offro
e nello stesso tempo dico. “Bella stagione!” e
mi trito e mi verso una mistura di timo
e poi divento robusto
in questo tempo di estate (1159-1171)
 
 
Contro i fabbricanti e mercanti di armi.
Trigeo si prepara ad accogliere ospiti al banchetto delle sue nozze con Opora, e ordina al servo  di pulire la tavola con i pennacchi del cimiero che non devono avere altro uso.
Lui intanto, il padrone, arrostisce tordi.
Arriva un drepanourgov~ fabbricante di falci che si rivolge a Trigeo con gratitudine.
“O Trigeo carissimo quanto bene 1198
 ci hai fatto con la pace: poiché prima
nessuno comprava una falce nemmeno per degli spiccioli,
ora le vendo a cinquanta dracme
e questo qui vende a tre dracme i secchi per la campagna. 1202
Dunque prendi delle falci e di questi secchi
ciò che vuoi, gratis, e prendi anche questo denaro:
deriva da quanto abbiamo venduto e guadagnato
e te lo offriamo come regalo di nozze. 1206.
 
I due sono invitati al banchetto
Ma ecco che arriva un mercante di armi addolorato con altri fabbricanti e venditori di strumenti del male ( Cfr. Erodoto: “il ferro è stato inventato per il male dell'uomo :" ejpi; kakw'/ ajnqrwvpou sivdhro" ajneuvrhtai" -I, 68, 4-).
 
 
 Parla l’ o{plwn kavphlo~-
 
Mercante
Ahimé Trigeo come mi hai spiantato e rovinato!
 
Trigeo
Che c’è dsgraziato? Ti fa male il cimiero?
 
Mercante di armi
Mi hai rovinato il mestiere e la vita.
Anche a questo e al fabbricante di lance. 1213
 
Trigeo
Quanto ti devo dare per questi due cimieri?
 
Mercante
Tu che cosa vuoi darmi?
 
Trigeo
Quello che posso darti? Mi vergogno a dirlo
Comunque, dato che il cimiero è ben lavorato,
potrei darti tre chili abbondanti di fichi secchi
per pulire la tavola della mensa con questo pennacchio.
 
Mercante
Allora vai dentro e portami i fichi secchi,
è meglio che non prenderci nulla, caro mio. 1220
 
Trigeo (che ci ha ripensato)
Portalo via, portalo ai corvi fuori da questa casa:
perdono il pelo e non valgono nulla questi pennacchi
non li comprerei nemmeno per un solo fico secco.
 
Mercante
E che uso farò della cavità di questa corazza
 da dieci mine splendidamente connessa, povero me? 1225
 
Trigeo
Questa non ti farà perdere niente
Avanti sbarazzatene a prezzo di costo,
è propri adatta per defecarci dentro.
 
Mercante
Smetti di insolentire me con i miei beni.
 
Trigeo
Così con tre pietre a portata di mano. Va bene?
 
Lo scoliasta chiarisce che erano usate tre pietre lisce per pulirsi dopo avere defecato
 
Mercante
In che modo ti pulirai dunque, ignorante?
 
Trigeo
Infilando la mano attraverso il foro da una parte
E dall’altra
 
Mercante
Dunque con tutte e due le mani in una volta?
 
Trigeo
Io sì per Zeus
Per non essere preso a rubare su qualche foro della nave.
 
-allude all’imbroglio dei comandanti di navi da guerra, i trierarchi disonesti, che assoldavano meno rematori di quelli per i quali ricevevano i finanziamenti. Gli ispettori quando facevano un controllo chiedevano ai rematori di sporgere entrambe le mani attraverso i fori praticati per i remi. Così potevano contarli.
 
Mercante
Allora cacherai seduto sul valore di dieci mine? 1235
 
Trigeo
Io sì per Zeus, o canaglia. Pensi forse che potrei
Dare via il culo per mille dracme?
 
Mercante
Avanti, tira fuori il denaro
 
Trigeo
Ma, caro mio,
questo affare mi stringe il deretano: portala via, non la comprerò.
 
Mercante
Quale uso farò poi di questa tromba  1240
Che prima ho comprato per sessanta dracme?
 
Trigeo
Dopo avere versato del piombo qui nel suo cavo
mettici sopra una bacchetta un po’ lunga
E allora ti diventerà uno di quei cottabi con l’affondamento.
 
Il cottabo era un gioco che consistevael lanciare gocce residue della propria coppa in un recipiente sul quale potevano galleggiare dei piattini da far affondare
 
Mercante
Ahimé, tu mi canzoni! 1244
 
Trigeo
Voglio darti un altro consiglio:
una volta versato dentro del piombo come ti ho detto,
da questa parte aggiungi un piatto di bilancia
appeso a delle cordicelle, ed esso diverrà il tuo strumento
per pesare i fichi da dare ai servi in campagna.
 
Mercante
O implacabile destino, come mi hai distrutto! 1250
Ho pagato una mina per questi aggeggi.
e ora che me ne faccio? Chi me li compra?
 
Trigeo
Vai a venderli agli Egizi
Sono proprio adatti per misurarci la sirmea- (una pianta purgativa usata dagli Egiziani i quali la impiegano per tre giorni di seguito ogni mesi ritenendo che tutte le malattie provengano dal cibo (cfr. Erodoto, II, 77, 2) 
 
Mercante
Ahi, fabbricante di elmi, come stiamo miseramente!
 
Trigeo
Ma questo non ha avuto nessun danno
 
Mercante
Ma qual è l’uso che uno potrà fare di questi elmi? 1257
 
Trigeo
Se impara a fare dei manici di questo tipo-
e indica le orecchie un’allusione forse a qualche vizio-
Le venderà molto meglio di ora.
 
Mercante
Andiamocene o fabbricante di lance.
 
Trigeo
Per niente: io voglio comprare queste lance
 
Mercante
Quanto dai allora?
 
Trigeo
Segate in due potrei prenderle come pali di sostegno per le viti: una dracma per cento pezzi.
 
Mercante
Veniamo maltrattati. Leviamoci dai piedi, amico (1264)
 
Veniamo all’esodo quando
Trigeo    direttive per la festa finale: quella della pace e del suo matrimonio con Opora,
Esce Opora seguita da un corteo con fiaccole e Trigeo la saluta invitandola a giacere bellamente con lo sposo bella com’è kalh;- kalw`~ katakeivsei-  (Pace, 1331-1332)
Segue il canto nuziale a Imeneo da parte del coro
Vendemmieremo la sposa- trughvsomen aujthvn- cantano tanto il coro quanto il corifeo- 1338-1339- c’è un nesso di questo verbo trugavw- con il nome dello sposo- Trugai`o~- sicché: la renderemo buona con Trigeo, armonizzata con il vignaiolo vendemmiatore- truvgh vendemmia
Quindi auguri di felicità con raccolta di fichi sukologou`nte~ 1346
C’è il doppio senso perché su`kon significa fico  e pure fica.
Infatti poco dopo il corifeo dice che lui ce l’ha grande e grosso  e la fica di lei è dolce- th`~  dj hJdu; to; su`kon- 1352
Si ricorderà  che Aristotele fa derivare la commedia dai canti fallici: “Tragedia e commedia nacquero da un principio di improvvisazione (ajp j ajrch'~ aujtoscediastikh'~, Poetica, 1449a, 10), ma la tragedia da coloro che guidavano il ditirambo:"ajpo; tw'n ejxarcovntwn to;n diquvrambon[1], mentre la commedia da quelli che dirigevano i canti fallici i quali rimangono ancora oggi in uso in molte città hJ de; ajpo; tw`n ta; fallika; a} e[ti kai; nu`n ejn pollai`~ tw`n povlewn diamevnei nomizovmena"(Poetica , 1449a, 12).
 
Le ultime parole sono di Trigeo che augura salute a tutti e invita a seguirlo dove si mangeranno le torte – 1355-1357.
Bologna 26 aprile 2023 ore 11 giovanni ghiselli. Le traduzioni sono mie
 
 


[1] Definito da Archiloco :"il bel canto di Dioniso signore" fr. 120 West.

La gita “scolastica” a Eger. Prima parte. Silvia e i disegni di una bambina.

  Sabato 4 agosto andammo   tutti a Eger, famosa per avere respinto un assalto dei Turchi e per i suoi vini: l’ Egri bikavér , il sangue ...