venerdì 7 aprile 2023

ARISTOFANE - "La pace". 19. Preghiere e ringraziamenti alla dea Pace


Trigeo dice quello che s’ha da fare: per prima cosa elevare preghiere alla dea che ci ha liberati da cimieri di criniere equine e spauracchi, poi corriamo a casa nel podere dopo avere comprato qualcosa di buono per la fattoria: un po’ di pesce salato tarivcion 563.
Ermes apprezza ed elogia la schiera dei contadini che appare fitta e calda come una focaccia bene impastata e un banchetto completo di tutto-kai; pukno;n kai; gorgo;n w{sper ma`za kai; pandaisiva- (565).
Torna l’allusione alla ghiottoneria di questo dio  (cfr. v. 192 e 368).
Insomma se si rintuzza l’avidità degli uomini interviene quella di qualche divinità.
 Trigeo poi elogia la bellezza e l’eroica luce dei suoi attrezzi agricoli che splendono: cosa  brillante è la zappa già pronta- hJ ga;r sfu`ra lampro;n ejxwplismevnh -566- il verbo ejxoplivzw significa “armo” e la zappa dunque è l’arma del contadino che deve trarre l’estremo frutto da una terra non sempre generosa.
Quindi l’ammirazione e l’amore di Trigeo passano ai forconi tridenti ai qrivnake~ che brillano al sole diastivlbousi pro;~ to;n h{lion (567)
Lo spazio tra i filari andranno ben lavorati. Sicché, conclude il bravo contadino, l’agricola bonus, anche io desidero tornare in campagna e scalzare con il forcone a due punte il poderetto dopo tanto tempo (568-570)
Seguono alcuni versi in metro lirico nei quali Trigeo invita a riverire la  Pace ricordando la vita antica e nobile che una volta questa dea  ci largiva e i dolci di frutta secca e i fichi e i mirti e il mosto quello dolce, e la viola accanto al pozzo e le olive che ci mancano. Per questi doni ora invocate la dea.
La guerra ha penalizzato non solo gli uomini ma anche la loro alleanza con la natura e la natura stessa: la guerra è un crimine contro l’umanità e contro la natura
Il coro dà retta a Trigeo e saluta la pace: cai`re cai`rj w\ filtavth (582) salve salve o carissima  ringraziandola del suo ritorno a loro che sono finalmente contenti- ajsmevnoi~-, quindi dalle parole amichevoli passa a quelle amorose; sw`/ ga;r ejdavmhn povqw/ (584) in effetti ero abbattuto dalla mancanza di te.
Ricordo che Anticlea, la madre di Odisseo quando, durante la necromanzia, il figlio le domanda quale male l’abbia uccisa, ella risponde: è stata la mancanza di te, e il preoccuparmi di te, splendido Odisseo   so;~ te povqo~, sa; te mhvdea, faidim  j  jOdusseu` (XI, 202). 
 
Trigeo aggiunge che quando imperversava la guerra lui desiderava terribilmente arrampicarsi sul campo.
Il campo da arare nei tragici è spesso una metafora che significa il corpo di una donna.
 
Nell’Antigone di Sofocle, Ismene domanda a Creonte:"Ma ammazzerai la fidanzata del tuo stesso figlio? E  il despota risponde:"Sì: ci sono campi da arare anche di altre" (568-569) .-ajrwvsimoi: dalla radice ajro- su cui si forma ajrovw=aro
 
Mircea Eliade nel suo Trattato di storia delle religioni scrive:"L'assimilazione fra donna e solco arato, atto generatore e lavoro agricolo, è intuizione arcaica e molto diffusa"(p. 265). A sostegno di questa affermazione cita diversi testi, tra i quali l'Edipo re  ( "pw'" poq& aiJ patrw'/aiv s& a[loke" fevrein, tavla", si'g& ejdunavqhsan ej" tosonde;", vv. 1211-1213, come mai i solchi paterni- ossia già seminati dal padre- poterono, infelice, sopportarti fino a tanto in silenzio?), poi le Trachinie  (vv.30 e sgg.) dove Deianira lamenta l'assenteismo coniugale di Eracle il quale, come eroe, è impegnatissimo, ma come marito si comporta alla pari di un colono che, avendo preso un campo lontano, va a vederlo solo quando semina e miete, ossia un paio di volte all'anno.
Eliade cita il Codice di Manu  (IX,33) dove sta scritto:"La donna può essere considerata come un campo; il maschio come il seme", e un proverbio finlandese che fa:"Le ragazze hanno il campo nel loro corpo". A queste testimonianze  possono essere aggiunte altre, antiche e moderne, per mostrare quanto tale idea sia davvero diffusa nella mente umana, soprattutto in quella maschile.
 
Trigeo continua a rivolgersi alla Pace ricordando con gratitudine tutti i benefici da lei elargiti: tu eri mevgiston hjmi`n kevrdo~, il nostro guadagno più grande- quello che io chiamo “borsa di studio”-, tu pace che sei mancata-poqoumevnh- 587-a tutti quanti vivevamo la laboriosa vita dei campi:  movnh ga;r wjfelei`~- poiché tu sola ci giovi.
Sotto di te godevamo di molti beni dolci gratuiti e amabili – glukeva kajdavpana kai; fivla (594).
 
Cfr. Diceopoli negli Acarnesi: la campagna offriva tutto e non si doveva comprare niente, mentre in città si sente sempre ripetere dai bottegai  privw, compra. Diceopoli, il cittadino giusto compiange la sua città perché gli abitanti non si curano della pace (Acarnesi, v. 27) e pure la odiano, mentre lui la ama  e rimpiange il suo villaggio dove ciascuno produceva il necessario per sé, mentre nella povli" è onnipresente l'invito a comprare:"privw"[1], che si tratti di carbone, di aceto o di olio ( vv. 34-36).
 
Trigeo continua a manifestare la sua gratitudine alla Pace che per i contadini significava zuppa di grano cotto e salvezza.
Ora le vigne- ajmpevlia- e i fichi freschi- kai; ta; neva sukivdia – e quante altre piante ci sono, ti accoglieranno sorridendoti liete (vv. 596-600).
Bologna 7 aprile 2023 ore 10, 30
giovanni ghiselli.
p. s.
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[1] Imperativo dell'aoristo III di privamai, "compro".

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