domenica 9 aprile 2023

ARISTOFANE - "La pace". 21


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Parla Ermes il quale ricorda agli Ateniesi le rivolte delle città e delle isole sottomesse al loro impero e tributarie.
Faccio l’esempio della ribellione di Samo assimilata da Luciano Canfora
a quella ungherese del 1956 nei confronti dell’impero sovietico.
 
Samo si era ribellata nel 441 all’oppressione ateniese. In quell’occasione i democratici partigiani degli Ateniesi “furono letteralmente massacrati, tranne beninteso quelli che trovarono scampo fuggendo. Esattamente come i comunisti ungheresi nei giorni della rivolta popolare tra il 23 ottobre ed il 3 novembre del 1956 (…) Nella guerra contro Samo Atene si impegnò con una flotta comprendente anche forze alleate (per dare l’impressione che tutta la “lega” puniva l’alleato ribelle) ed inviò alla testa di questa grande flotta, che penò non poco a sopraffare tutti i ribelli, tutto il collegio degli strateghi, compreso il poeta Sofocle che in quell’anno ricopriva tale carica.
L’intervento contro l’Ungheria fu anch’esso “corale”, per le stesse ragioni propagandistiche (…) Dopo la sconfitta del 440-439, a Samo tornò, imposto dagli Ateniesi, un governo “popolare”, che fece piazza pulita della fazione che aveva alimentato la ribellione e condotto senza esclusione di colpi la guerra. A partire da quel momento Samo fu la più fedele alleata di Atene. Quando, per pochi mesi, nel 411 gli oligarchi prendono il potere ad Atene, è a Samo che si crea quello che potremmo chiamare un “governo popolare ateniese in esilio”. E da Samo parte alla riconquista politica e militare della città”[1].
Torniamo alla nostra commedia
Ermes seguita dicendo che i ribelli all’impero guidato da Pericle poi da Cleone, temendo i tributi- tou;~ fovrou~ fobouvmenoi (Pace, 621) si diedero a corrompere con il denaro i più influenti tra i Laconi e questi che sono aijscrokerdei`~ turpemente avidi di lucro e ingannevoli con gli stranieri, cacciarono la Pace.
 
Spartani e Spartane vengo descritti malevolmente anche nell’Andromaca di Euripide La stessa protagonista  lancia un anatema contro la genìa dei signori del Peloponneso, chiamati yeudw'n a[nakte~ :" o i più odiosi  (e[cqistoi) tra i mortali per tutti gli uomini, abitanti di Sparta, consiglieri fraudolenti, signori di menzogne, tessitori di mali, che pensate a raggiri e a nulla di retto, ma tutto tortuosamente, senza giustizia avete successo per la Grecia (Andromaca, vv.445-449).
Dal canto suo Peleo, il nonno di Neottolemo, esecra le Spartane e i loro costumi: neppure se lo volesse, potrebbe restare onesta[2] ("swvfrwn", v. 596) una delle ragazze di Sparta che insieme ai ragazzi, lasciando le case con le cosce nude ("gumnoi'si mhroi'"",  v.598) e i pepli sciolti, hanno corse e palestre comuni, cose per me non sopportabili " (Andromaca, vv.595-600).
 
Per quanto riguarda la prepotenza ateniese, Pericle, nell’ultimo discorso che Tucidide gli attribuisce, aveva detto ai suoi concittadini: “turannivda ga;r h[dh e[cete aujth;n, h}n labei'n me;n a[dikon dokei' ei\nai, ajfei'nai ejpikivndunon” (II, 63, 2) avete un potere che è oramai una tirannide che può sembrare ingiusto prendere ma pericoloso abbandonarla.
Morto Pericle, il nuovo beniamino del popolo, Cleone, dice all’assemblea popolare: "turannivda e[cete th;n ajrchvn", (Tucidide III 37, 2), avete un impero che è una tirannide la quale per reggersi deve usare la forza e bandire la compassione.
 
Questi sono esempi di obiettività epica della storiografia antica. Ora il torto della tirannide è sempre tutto da una parte e la ragione della democrazia tutta dall’altra.
 
Ermes conclude dicendo che la guerra ha danneggiato soprattutto i contadini delle due parti contendenti. Gli ateniesi per porre un rimedio alla devastazione dei loro campi sono andati a divorare i fichi degli altri.
 
Trigeo ribatte – ejn divkh/ - (628) giustamente perché quelli avevano abbattuto la ficaia di fichi neri  che io avevo piantato e tirato su-h]n ejgw;   jfuvteusa kajxeqreyavmhn - 629 - Ne parla come di figli.
Il corifeo dà ragione a Trigeo ricordando che a lui avevano spezzato a sassate una cassa da sei medimnii- un medimno equivale a 52 chili di grano.
 
Il Pericle di Tucidide invece dice che gli Ateniesi non dovranno preoccuparsi delle devastazioni dell'Attica finché domineranno il mare che è la cosa più importante:"mevga ga;r to; th'" qalavssh" kravto""(I, 143, 5).
 L'impero ateniese dispone di molta terra nelle isole, aggiunge; allora basterà difendere il mare e la città. Non la perdita dei campi e delle case dell'Attica bisognerà piangere, ma quella delle vite umane poiché non sono le cose che acquistano gli uomini ma gli uomini le cose:"ouj ga;r tavde tou;" a[ndra", ajll j oiJ a[ndre" tau'ta ktw'ntai"(I, 143, 5).
Purtoppo ora avviene il contrario: gli uomini vendono se stessi per le cose che “si devono” comprare. La pubblicità insegna appunto proprio questo:  che gli uomini devono vendersi per le cose.
 
Riprende a parlare Ermes
Cittadini e contadini, insomma tutto il popolo dei lavoratori è stato mercanteggiato nello stesso modo senza che se ne accorgesse- to;n trovpon pwlouvmeno~  to;n aujto;n oujk ejmavnqanen- (633)
La gente priva di vinaccia e amante dei fichi secchi- kai; filw`n ta;~ ijscavda~ (634), volgeva lo sguardo agli uomini politici. Quelli sapevano che i poveri erano sempre più poveri e mancavano perfino di farina, eppure scacciarono a colpi di forcone e con grida la dea Pace che molte volte era apparsa per amore dell’Attica. I politici per giunta minacciavano gli alleati accusandoli di parteggiare per Brasida (il pestello spartano, correlativo bellico di Cleone). Poi costoro dilaniavano il popolo come botoli e la polis wjcriw`sa pallida e paralizzata dal terrore (642), inghiottiva ghiottamente- h[dist j h[sqien- 643 qualunque calunnia uno le lanciasse come una polpetta.
Intanto alcuni disposti a venderdsi venivano convinti a tapparsi la bocca dal denaro straniero e si arricchivano mentre l’Ellade veniva distrutta senza che ve ne accorgeste. La sintesi è questa: tau`ta dj h\n oJ drw`n  burswpwnlh~ 647, queste cose le faceva il  cuoiaio. Si tratta di Cleone ampiamente criticato e satireggiato nei Cavalieri del 424. Qui bastano pochi cenni perché il demagogo era già morto.
Trigeo infatti chiede a Ermes di non parlare più del cuoiaio. “pau`e, mh, levge” 647 lascialo dove si trova, ora infatti non è più nostro ma tuo.
 
Si ricorderà che Ermes è il dio yucompompov~ (cfr. Alcesti, 36) che guida le anime dei morti. Nell’ultimo canto dell’Odissea conduce nell’Ade i proci ammazzati  impugnando una verga d’oro: i pretendenti morti lo seguivano per putridi sentieri squittendo come le nottole (XXIV, 1-10).
Dunque, conclude Trigeo, quando uno è morto, sia pure stato un farabutto-panou`rgo~-653,  e un chiacchierone- lavlo~-, e un delatore- sukofavnth~ (653), e un mestolo mestatore-kuvkhqron- e un turbolento kai; tavraktron  (654) con tutte queste parole di biasimo ora tu puoi rivolgerti alla tua gente che non ci riguarda più.
 
E’ un parce sepulto (cfr. Eneide, III, 41)  non sempre rispettato.
Cfr. il brindisi feroce di Alceo: 
"Ora bisogna ubriacarsi e che ciascuno beva
a tutta forza, poiché è morto Mirsilo" fr.39D.
 
 Orazio di certo lo aveva presente quando, per la morte di Cleopatra scrisse (Odi , I, 37, 1-2):"nunc est bibendum, nunc pede libero/pulsanda tellus ", ora bisogna bere, ora con piede libero battere il suolo.
 
Questo tripudio sul cadavere del nemico morto può non incontrare approvazione: Freud in Totem e tabù  anzi indica alcune culture primitive che conservano il divieto (tabù appunto) di gioire per la morte del nemico :"nell'isola di Timor..viene eseguita una danza, accompagnata da un canto in cui si piange il nemico abbattuto e si chiede il suo perdono"(p.58).
 
 Tale posizione si trova, in termini più consapevoli, nell'Aiace  di Sofocle, dove Ulisse il quale pure ha odiato il Telamonio, vedendo il cadavere del nemico suicida, lo difende dagli oltraggi che Agamennone propone, dicendo:
"commetteresti un'ingiustizia a disonorarlo/infatti non distruggeresti questo ma le leggi degli dèi./Non è giusto oltraggiare un uomo valoroso, quando è morto/neppure se uno sente di odiarlo"(vv. 1342-1345).
 
Quindi Trigeo si rivolge alla dea eponima di questa commedia: “ajll j o[ ti siwpa`/~, w\ povtnia, kateipev moi” 658, ma tu perché taci, o potente signora? Fammi la  dichiarazione. Ovviamente di pace.
Ma Pace nella commedia è una statua, un personaggio muto.
Anche in tutta Europa, da mesi.
 
 
Bologna 9 aprile 2023 ore 18, 40 
giovanni ghiselli

p. s.
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[1] L. Canfora, Esportare la libertà, p. 40 e p. 44. 
 [2] Plutarco dà un'interpretazione non malevola dello stesso fatto: il legislatore volle che le fanciulle rassodassero il loro corpo con corse, lotte, lancio del disco e del giavellotto..per eliminare poi in loro qualsiasi morbidezza e scontrosità femminile, le abituò a intervenire nude nelle processioni, a danzare e a cantare nelle feste sotto gli occhi dei giovani (Vita di Licurgo , 14). E' interessante il fatto che   Erodoto  (I, 8)  viceversa fa dire a Gige:"la donna quando si toglie le vesti, si spoglia anche del pudore". 

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