lunedì 17 aprile 2023

La pietas e l’empietà.


 

 Il razionalismo distrugge il sacro

La mentalità arcaica e ieratica di Medea si vede nelle sue preghiere antiche, nel suo invocare Zeus, la  Giustizia di Zeus, e la luce del Sole suo avo (w\  Zeu'  Divkh  te Zhno;;;"   JHlivou te fw'" "(Euripide, Medea, v. 764).

Nel film di Pasolini che impiega, verbum de verbo, solo questo verso della tragedia di Euripide, e per tre volte lo fa pronunciare a Medea per giunta echeggiata dal Coro[1], il Centauro maestro di Giasone rileva " il suo disorientamento di donna antica in un mondo che ignora ciò in cui lei ha sempre creduto"[2]. Il culto del Sole è un tratto arcaico che attraversa molti autori della letteratura europea[3]. Il sole invitto esorta Medea a tornare nelle sue "vecchie spoglie"[4]. Questo arcaismo la differenzia dal popolo civilizzato di Corinto, e il re Creonte si fa portavoce dell’ intolleranza nei confronti di tale diversità :"E' noto a tutti in questa città che, come barbara, venuta da una terra straniera, sei molto esperta nei malefici. Sei diversa da tutti noi: perciò non ti vogliamo tra noi"[5].

E' l'eterno rifiuto della diversità da parte dell'uomo civilizzato, prepotente incolto.

 

Ancora Pasolini: quando “La parte “negativa” – pars destruens- del razionalismo del Centauro è compiuta: gli dei sono diventati fole, i culti follie, ecc. E’ solo la civiltà agricola che li ha inventati ecc. Adesso occorre sostituire qualcosa alla metafisica; questo qualcosa è il successo terreno. Il successo si ottiene attraverso lo scetticismo e la tecnica.

Il Centauro ha subìto una ulteriore trasformazione in tecnico: le sue case sono diventate una officina, in cui ai suoi ordini lavorano gli operai. Sono pronte le armi. Giasone, prima di tutto, dovrà riconquistare il suo posto di Re, che gli spetta di diritto: è la sua prima conquista mondana.”[6].

 

Pasolini intervistato da Enzo Biagi in una trasmissione televisione (del 1971) con la classe frequentata al Galvani (c’erano SergioTelmon, Agostino Bignardi e altri compagni di scuola)

Disse che successo non è un  bene, anzi è l’altra faccia della persecuzione:

"Ecco che cos'è il successo: una vita mistificata dagli altri, che torna mistificata a te, e finisce col trasformarti veramente"[7].

L'ambiguo splendore del successo in effetti non poche volte provoca l' acciecamento.

 

 

 

Il mitico Centauro, una volta desacralizzato, è assimilabile a Prometeo,  il Titano che rivendica l’invenzione delle tecniche: “ tutte le tecniche ai mortali derivano da Prometeo” (v. 507).

 Le tecniche  tendono a uno scopo pratico e non allargano la conoscenza del mondo: la tecnica “funziona” ma non svela la verità, come nota Galimberti[8].  Io dico piuttosto che la tecnica non comprende il destino.

Lo stesso Prometeo di Eschilo denuncia il limite teoretico delle tecniche: ammette di avere tolto agli uomini la capacità di prevedere il destino (v. 248) e riconosce di avere infuso in loro cieche speranze (v. 250).

Nel Protagora di Platone, il sofista eponimo del dialogo racconta che Prometeo donò all’umanità il fuoco e ogni sapienza tecnica, ma non diede loro la sapienza politica. Allora i mortali commettevano ingiustizie reciproche (hjdivkoun ajllhvlou" ) in quanto non possedevano l'arte politica (a{te oujk e[conte" th;n politikh;n tevcnhn, 322b). Senza questa, che deve essere fondata sul rispetto e sulla giustizia, gli umani si disperdevano e perivano: quindi Zeus, temendo l'annientamento della nostra specie mandò Ermes a portare tra gli uomini rispetto e giustizia perché costituissero gli ordini delle città: " JErmh'n pevmpei a[gonta eij" ajnqrwvpou" aijdw' te kai; divkhn, i{n ei\en povlewn kovsmoi" (322c). Ch non le avesse accettate, doveva essere ucciso come malattia della città (322d).

 

 

Dopo Prometeo e Giasone, Faust

 

Il mito di Filemone e Bauci si trova nelle Metamorfosi di Ovidio (VIII, 62o-724) poi nel Faust di Goethe.

 

In entrambi questi autori  Filemone e Bauci sono pii, cioè

rispettosi del sacro, però sono circondati e insidiati da persone che incarnano l'allontanamento dal  sacro:  vicinia impia (689-690) nelle  Metamorfosi. 

Nel poema di Goethe senza dio gottlos è Faust  (Faust, parte seconda,  V, 1131) che vuole impadronirsi della povera capanna e degli alberi dei due vecchi e otterrà il suo scopo con l’uccisione della coppia anziana. non ordinata da lui, tuttavia compiuta dai suoi bravacci perché, si sa,  gli incidenti possono capitare sempre.

 

Ecco dunque che Faust è il tipico uomo occidentale- senza dio-uno dei fondatori della sua ideologia tuttora in vigore.

 

Filemone e Bauci  di Ovidio saranno «immunes (690) dal male mentre gli empi, inospitali vicini verranno puniti. Giove e Mercurio in sembianze umane si trovarono in Frigia e chiesero ospitalità, però mille spranghe chiusero le porte; solo una casetta parva quidem offrì ospitalità agli dei. Vi abitavano Pia Baucis anus parilique aetate Philemon (Ovidio, Metamorfosi, VIII, 630-8631). I due vecchi offrirono tutto quello che avevano e ai cibi si aggiunsero i loro vultus- boni (676-677). Gli deì sommersero le case degli empi. I due vecchi pii invece vennero premiati. Vollero essere sacerdoti del tempio che era diventato la loro casetta e chiesero di morire insieme. Gli dèi li esaudirono e divenuti molto vecchi si coprirono di fronde e i due alberi rimasero vicini

Dunque cura pii dis sunt, et qui collere, coluntur (724)

 

 Nel Faust, invece, è il gottlos il senza dio che trionferà inarrestabile

mentre  i due vecchi pii non verranno risparmiati. Spazio per

il sacro non ve ne è più, ma solo per gli affari anche rapinosi e criminali.

Nel mondo del capitalismo trionfante e assoluto, cioè privo di limiti, l’uomo occidentale secondo la propaganda sarebbe migliore e più felice di quello orientale che va confutato, umiliato, eliminato.

 

Si pensi a tante tra le persone che appaiono nelle trasmissioni televisive. Il culto del sumfevron (utile) che precede il kalovn (bello, e bello morale) contraddistingue la nostra epoca.

Lo afferma Hillman:"La civiltà odierna è tenuta insieme non dall'idea di bellezza, di verità, di giustizia o di destino, non da una forza basata sulle armi come la pax romana, non da leggi, divinità, o dalle fedi condivise. Soltanto le idee del business sono realmente universali. Se le idee del business, come il commercio, la proprietà, il prodotto, lo scambio, il valore, il profitto, il danaro, sono quelle che, in modo cosciente o inconscio, governano la vita umana del pianeta, allora sono queste le idee che concorrono a dare al business il suo potere, stabilendo il suo impero mondiale al di là di ogni confine geografico e di ogni barriera di costume"[9].

 

"Giasone non ama nulla. Ci viene presentato come l'egoista puro, un cinico, passato attraverso l'insegnamento dei sofisti e che ne parla il linguaggio"[10].

Sentiamo Leopardi: “E la ragione facendo naturalmente amici dell'utile proprio, togliendo le illusioni che ci legano gli uni agli altri, scioglie assolutamente la società, e inferocisce le persone"[11].

La cultura pragmatica, senza carità, arriva a strumentalizzare tutto.

 

 

Seneca nella sua Medea contrappone l'età preargonautica a quella successiva a Tifi, il pilota della nave Argo:"Ausus Tiphis/pandere vasto carbǎsa ponto/legesque novas scribere ventis" (vv. 317-319), Tifi osò distendere le vele sul vasto mare e dettare leggi nuove ai venti.

Torna il biasimo dell'audacia, poiché questa impresa "che fé Nettuno ammirar l'ombra d'Argo"[12] invero costituì un aspetto di quello "sviluppo" quale "fatto pragmatico ed economico" senza "progresso" come "nozione ideale" di cui parla Pasolini negli Scritti corsari  (p.220) a proposito del cosiddetto miracolo economico italiano, o  un ingrassamento senza grandezza, come quello che Platone nel Gorgia  attribuisce all'azione dei politici Ateniesi, Temistocle, Cimone, Pericle, i quali:" hanno riempito la città di porti, di arsenali, di mura,  di contributi e di altre sciocchezze del genere senza preoccuparsi della temperanza e della giustizia" ( a[neu ga;r swfrosuvnh~ kai; dikaiosuvnh~, 519a). La città non è grande ma oijdei' kai; u{poulov~ ejstin (518e), è gonfia e ulcerosa dentro.

 

Insomma questo Coro della Medea di Seneca situa l'età edenica nel passato antecedente l'impresa di Argo:"Candida nostri saecula patres/videre, procul fraude remota./Sua quisque piger litora tangens,/patrioque senex factus in arvo,/parvo dives, nisi quas tulerat/natale solum, non norat opes./Bene dissaepti foedera mundi/traxit in unum Thessala pinus,/iussitque pati verbera pontum;/partemque metus fieri nostri/mare sepositum" (vv. 328-338), secoli immacolati videro i nostri padri, tenuta lontano la frode.  Ciascuno tenendo pigro i suoi lidi e divenuto vecchio nel campo paterno, ricco con poco, non conosceva ricchezze se non quelle prodotte dal suolo natale. La nave Tessala unificò le regole del cosmo ben diviso in parti, e ordinò che il ponto patisse le frustate dei remi; e che il mare già separato divenisse parte della nostra paura.

 

Il  terzo coro della Medea di Seneca chiede venia per Giasone, ma Nettuno è furioso perché sono stati spezzati i sacrosanti vincoli del mondo.

Il consiglio è: "vade, qua tutum populo priori;/rumpe nec sacro, violente, sancta/foedera mundi! " (vv. 604-606), procedi per dove il cammino è stato sicuro alla gente di prima; e non spezzare con violenza le sacrosante regole del mondo. E’ la conclusione della settima e ultima strofa saffica del terzo coro.

Infatti i profanatori del mare sono morti male, come Fetonte che ha cercato di violentare il cielo. Gli Argonauti hanno prima devastato i boschi del Pelio, poi hanno solcato il pelago per impossessarsi dell'oro, ma : “ exigit poenas mare provocatum” (Medea, v. 616).

 

Il mare sfidato che la fa pagare ai provocatori si trova anche nella Pharsalia di Lucano:"Inde lacessitum primo mare, cum rudis Argo/miscuit ignotas temerato litore gentes/primaque cum ventis pelagique furentibus undis/composuit mortale genus, fatisque per illam/accessit mors una ratem" (III, 193-197), di qui[13] il mare per la prima volta provocato, quando l'inesperta Argo mescolò genti che non si conoscevano sulla costa profanata, e per prima mise la razza umana alle prese con i venti e con le onde furiose del mare, e una morte attraverso quella nave si aggiunse ai fati.

Viene condannata la confusione conseguente alla negazione del principium individuationis.

 

La guerra abbrevia la già brevissima vita umana

 

 Il re persiano  Serse unì le due sponde dell’Ellesponto e attaccò la Grecia per confondere insieme parti del mondo che dovevano restare separate.

  Eschilo nella Parodo dei Persiani (472 a. C.) fa dire al coro degli anziani dignitari di Susa  che il regio esercito devastatore attraversò su un ponte di zattere legate tra loro lo stretto di Elle Atamantide dopo avere gettato un giogo sul collo del mare –zugo;n ajmfibalw;n aujcevni pontou 71, un sentiero tenuto insieme con molti chiodi. 

Serse tentò di trattenere con vincoli la sacra corrente e di unificare ciò che deve restare diviso.

 Erodoto racconta che Temistocle attribuì la vittoria sui Persiani agli eroi e agli dèi i quali impedirono che un uomo solo, per di più empio e temerario regnasse sull’Asia e sull’Europa-  ejfqovnhsan a[ndra e{na th`~  te   jAsiva~ kai; th`~ Eujrwvph~ basileu`sai, ejovnta ajnovsiovn te kai; ajtavsqalon , uno che aveva fustigato e messo in ceppi il mare, o}~ kai; th;n qavlassan ajpemasstivgwse pevda~ te kath`ke   ( VIII, 109, 3-4).

 

Ne seguì un momento di  “sapienza silenica”:  Serse, invadendo la Grecia, vide l'Ellesponto coperto dalle navi e dapprima si disse beato (oJ  Xevrxh" eJwuto;n ejmakavrise, VII, 45), però, subito dopo, scoppiò a piangere (meta; de; tou'to ejdavkruse) al pensiero di quanto è breve la vita umana dal momento che nessuno di quei giovani, pur numerosissimi,  sarebbe sopravvissuto fino ai cento anni.  Allora Artabano, lo zio paterno, lo consolò dicendogli che, essendo la vita travagliata, la morte è il rifugio preferibile per l'uomo ("ou{tw" oJ me;n qavnato" mocqhrh'" ejouvsh" th'" zovh", katafugh; aiJretwtavth tw'/ ajnqrwvpw/ gevgone", VII, 46, 4)

Pensieri di questo tipo dovrebbero porre fine alla guerra in Ucraina.

 

Bologna 17  aprile 2023 ore 21, 21    giovanni ghiselli

 

p. s

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[1]P. P. Pasolini, Il vangelo secondo Matteo, Edipo re, Medea,  scena 72, pp. 552-553.

[2] P. P. Pasolini, Il vangelo secondo Matteo, Edipo re, Medea,  scena 69, p. 550.

[3] Ho preparato un'ampia scheda sul culto del sole nella mia Antigone (Loffredo, 2001, pp. 48-51). Ne utilizzerò una parte più avanti.

[4] P. P. Pasolini, Il vangelo secondo Matteo, Edipo re, Medea,   scena 81, p. 553.

[5]P. P. Pasolini, Il vangelo secondo Matteo, Edipo re, Medea,   Scena 66, p. 511.

[6] P. P. Pasolini, Il vangelo secondo Matteo, Edipo re, Medea, “visioni della Medea” di P. P. Pasolini (trattamento), p.  484.

 

[7] P. P. Pasolini, , dai “Dialoghi con Pasolini” su “Vie Nuove” (1960) in Pasolini saggi sulla politica e sulla società, p. 910.

[8] U. Galimberti, L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani, p. 21. Si veda a questo proposito U. Galimberti, Psiche e techne. L’uomo nell’età della tecnica, Feltrinelli, Milano, 1999.

[9] J. Hillman, Il potere, p. 17.

[10] A. Bonnard, op. cit., p. 443

[11]Zibaldone , p. 23.

([12] Dante, Paradiso, XXXIII, 96.

[13] Da Iolco, patria di Giasone.

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