martedì 25 aprile 2023

Versi chiave del Prometeo incatenato di Eschilo.


 

Li ho scelti per la recita che accompagnerà la mia conferenza del 12 giugno a Siracusa.

 

 

Nel Prometeo incatenato di Eschilo il Titano afferma di avere escogitato le tevcnai (v. 477),  che fanno partire la civilizzazione, anzi:"pa'sai tevcnai brotoi'sin ejk Promhqevw" tutte le tecniche ai mortali derivano da Prometeo (v. 507)

Sono andato a caccia-racconta il Titano- della sorgente rubata del fuoco (phgh;n klopaivan) da mettere nel cavo di una canna, "h} didavskalo" tevcnh" pavsh" brotoi'" pevfhne kai; mevga" povro" (vv. 109-111), e questa fonte ignea si è rivelata maestra e grande mezzo di ogni tecnica per tutti i mortali.

Prometeo però deve riconoscere: ho infuso in loro, nei mortali, cieche speranze ("tufla;" ejn aujtoi'"  ejlpivda" katw/vkisa", v.250).

 Egli è divinità solo apparentemente benefica  in quanto portatore di conoscenze pratiche fuorvianti:" qnhtou;" g j e[pausa mh; prodevrkesqai movron", ho fatto smettere ai mortali di prevedere il destino di morte"(v.248).

Infatti: “ tevcnh d  j ajnavgkh" ajsqenestevra makrw'/ ” (514), la conoscenza pratica è molto più debole della necessità.

Vediamo nel dettaglio quali sono i doni di questo Titano alla razza umana.

 Innanzitutto egli rubò e donò ai mortali il fulgore del fuoco, padre di tutte le tecniche:"pantevcnou puro;" sevla" ,-qnhtoi'si klevya" w[pasen" (vv. 7-8). Il fuoco era fiore di Efesto (to; so;n ga;r a[nqo" , v. 7), ricorda Kratos, Potere , uno dei due[1] sgherri di Zeus, a Efesto stesso che, pur impietosito, deve  inchiodare il Titano a una rupe della Scizia.

 

 

Nel Prologo dunque Kratos dice a Efesto che Prometeo gli ha rubato il suo fiore, la luce brillante del fuoco utile a tutte le arti

E l’ha donato ai mortali (vv. 7-8).  Più avanti il Titano rivendica questo furto:

“Sono andato a caccia della sorgente rubata

del fuoco da mettere nel cavo di una canna

e questo dono si è rivelata maestro e grande mezzo di ogni tecnica per tutti i mortali (vv. 110-112)

Prometeo elenca i tanti  doni da lui elargiti agli uomini

“Io inventai per loro il numero, eccellente

fra le trovate ingegnose, e le combinazioni delle lettere,

memoria di tutto,  operosa madre delle muse.

E  per primo attaccai ai carri gli animali selvatici

sottomessi ai gioghi e ai cavalieri

perché si asservissero ai mortali nelle più dure fatiche.

E  ho portato sotto il cocchio i cavalli resi amanti delle briglie,

immagine del lusso straricco.

Nessun altro all'infuori di me ha inventato i veicoli dalle ali di lino

 Che vagano per i mari percorsi dai marinai (vv. 459- 468)  

L'invenzione della navigazione alata da parte di Prometeo prefigura anche il volo. 

Inoltre Prometeo ha trovato i farmaci (vv. 480 sgg.), le tecniche dell'arte divinatoria, l'interpretazione dei sogni, del volo degli uccelli,  delle viscere nelle vittime sacrificali. Infine ha scoperto i metalli:

Il bronzo, il ferro, l'argento e l'oro,

chi potrebbe dire di averli scoperti prima di me?

"calkovn, sivdhron, a[rguron crusovn te, tiv"-

fhvseien a]n pavroiqen ejxeurei'n ejmou' ;" (vv. 502-503),

 

 

Dunque. tutte le tecniche ai mortali derivano da Prometeo (v. 507),"pa'sai tevcnai brotoi'sin ejk Promhqevw" (v. 507),

Dal  dono del fuoco, ha  premesso Prometeo, gli uomini apprenderanno molte tecniche (254)

 

 

  

Prometeo dunque è un sofisthv"  , uno scopritore di sofivsmata (v. 459) ma  Kratos,  mentre sprona Efesto a inchiodarlo, gli ricorda che il Titano dal suo tormento deve imparare di essere un sapiente ottuso al cospetto di Zeus:" i{na- mavqh/ sofisth;" w]n Dio;" nwqevstero" " (vv. 61-62).

Nel  prologo della tragedia,  Efesto, pur riluttante per compassione, deve incatenare il ribelle nella deserta solitudine della Scizia: infatti è Zeus che  lo vuole e la sua mente è inesorabile:"a{pa" de; tracu;" o{sti" a}n nevon krath'/" (v. 35), chiunque comandi da poco tempo è duro.

 

Quando i suoi aguzzini si allontanano, l'incatenato invoca le forze della natura a comprenderlo e compiangerlo:

o etere divino e venti dalle ali veloci,/

e sorgenti dei fiumi, e innumerevole sorriso/

delle onde marine (pontivwn te kumavtwn-ajnhvriqmon gevlasma), e terra madre di tutte le cose (pammh'tovr te gh'),/

e il disco del sole che vede tutto, invoco:/

vedete quali pene soffro, io che sono un dio, da parte degli dèi”(88-92).

 

Prometeo si lamenta ma rivendica a sé la capacità di prevedere[2] e la volontà di favorire i mortali :

"Eppure che dico? Conosco in anticipo tutto (pavnta proujxepivstamai)/

esattamente come accadrà, né alcuna pena mi/

raggiungerà inaspettata (oujdev moi potaivnion-ph'm j oujde;n h{xei): ma il destino assegnato è necessario/

sopportarlo il più facilmente possibile, sapendo che/

la forza della necessità è ineluttabile (to; th`~ ajnavgkh~ e[st  j ajdhvriton sqeno~)"(vv.101-105).

Il Titano lamenta la sua punizione, ingiusta siccome causata dalle proprie intenzioni buone:

 guardate me incatenato, un dio dal destino difficile,/

il nemico di Zeus, quello che è venuto in odio/

a tutti gli dèi quanti frequentano la corte di Zeus/

per il troppo amore dei mortali (dia; th;n livan filovthta brotw'n, vv. 119-123). 

Le coreute Oceanine, pur piene di paura, manifestano solidarietà al loro congiunto, biasimando la nuova generazione divina, i figli di Crono e Rea ( oltre Zeus, Poseidone, Ades, Era e Demetra) i quali hanno preso il potere che era stato dei Titani:

"nuovi timonieri infatti   /

governano l'Olimpo: con inaudite/

norme ora Zeus comanda illegalmente"(vv.148-150).

 

Prometeo non si limita al lamento; minaccia anche:

"Eppure il presidente dei beati avrà ancora/

bisogno di me, sebbene tormentato/

nei forti ceppi,/

perché gli sveli il nuovo piano con il quale/

si cerca di spogliarlo dello scettro e degli onori"(vv. 167-171).

Insomma il Titano conosce un segreto che però non intende rivelare prima di venire liberato dai ceppi (vv. 174-176).

Il coro avverte il ribelle:

"il figlio di Crono ha un carattere inaccessibile/

e un cuore implacabile"(vv. 184-185); ma Prometeo, invece di lasciarsi spaventare, ribadisce che il tiranno ha bisogno di lui, quindi dovrà scendere a patti. Poi comincia un suo racconto poiché:

"doloroso è per me raccontare queste cose,/

ma doloroso è anche tacere, e dappertutto sono le sventure"(vv. 197-198).

Le Oceanine si impietosiscono per la sorte di Prometeo e lo stesso Titano si sente meritevole di tanta compassione (v.246), eppure è tutt'altro che pentito e prorompe nel grido di ribellione con il quale afferma la dignità del suo delitto:"io sapevo tutto questo:/

di mia volontà, di mia volontà ho compiuto la trasgressione, non lo negherò (eJkw;n eJkw;n h{marton, oujk ajrnhvsomai)/

 aiutando i mortali ho trovato io stesso le pene (aujto;~ huJrovmhn povnou~ )"(265-267).

 

 L' inventore si scopre inventore di pene.

Intanto il martire sfida il re dell'universo, sebbene la corifea gli ricordi che

"i saggi (sofoiv) si inchinano davanti all'inevitabile"(v. 936).

 Ma Prometeo è irremovibile nella sua opposizione ostinata; anzi quando vede sopraggiungere Ermes lo annuncia come

 il galoppino di Zeus,

il servo del nuovo tiranno (“ajll j eijsorw` ga;r tovnde to;n Dio;~ trovcin,-to;n tou` turavnnou tou` nevou  diavkonon (v. 941- 942)

e gli fa notare che il suo discorso superbo è tipico di un servitore degli dèi (qew'n uJphrevtou, v. 954).

La signoria di Zeus, avverte è nuova, e non è detto che durerà eterna:"ho già visto cadere due sovrani da questi fastigi" (957).

Si tratta di Urano, spodestato dal figlio Crono, e di questo stesso dio detronizzato da Zeus.

Prometeo giunge a dire: “con parola schietta (lovgw/ aJplw`/) odio tutti gli dèi/quanti, dopo avere ricevuto del bene, mi maltrattano ingiustamente”(vv. 975-976). E confida nel tempo che invecchiando insegna proprio tutto (“ajll j ejkdidavskei pavnq  j oJ ghravskwn crovno" " (v. 981).

 

Prometeo ribadisce ancora che non si piegherà. 

 Ermes replica accusandolo di arroganza con debole ragione:"

 

Ma tu riponi fiducia su un debole sofisma:

la presunzione infatti per chi non  ragiona bene,

 di per sé ha meno forza del nulla.

(vv. 1211. 12131).

Presto, minaccia Ermes, sarai subissato da una tempesta, poi :

 “il cane alato di Zeus, l'aquila sanguinaria

 farà voracemente a brani il grande straccio del tuo corpo (swvmato~ mevga rJavko~) (vv.1021-1022),

quindi"divorerà il tuo fegato, nero pasto "(v.1025).

 Prometeo è avvisato.

Ma, almeno per il momento, non dà segni di resipiscenza, anzi leva la voce ripetendo la sfida con l’evocare il Caos:

"ora il ricciolo di fuoco a due tagli (puro;" ajmfhvkh" bovstruco")/

sia scagliato pure contro di me, e l'etere/

sia irritato dal tuono e dalla convulsione/

dei venti selvaggi; i soffi scuotano/

la terra dalle fondamenta con le stesse radici,/

l'onda del mare con aspro fragore/

copra le vie degli/astri del cielo; e getti il mio corpo/

dopo averlo alzato, nel buio Tartaro/

tra i vortici duri della necessità (ajnavgkh~ sterrai`~ divnai~ )

 non mi farà morire del tutto"(vv. 1043-1053).

 Infatti, non bisogna dimenticarlo, Prometeo non è un uomo ma un dio.

Il fuoco che il Titano ha rubato è invitato a sconvolgere il mondo nella confusione universale.

Ermes, il messo di Zeus,  minaccia le Oceanine che ribadiscono la loro solidarietà al Titano. Le coreute sono cugine di Prometeo poiché il padre loro Oceano è un Titano fratello di Crono e di Giapeto, padre di Prometeo

 

 Ermes

Ricordate però le cose che io predìco/

e, braccate dall'acciecamento (pro;" a[th" qhraqei'sai), non/

biasimate la sorte, e non dite mai/

che Zeus vi cacciò in una sofferenza/

imprevista; no certo, ma voi/

vi ci siete cacciate da sole. Infatti sapendolo/

e non all'improvviso né di nascosto/

sarete implicate per dissennatezza/

nella inestricabile rete dell'acciecamento (eij" ajpevranton divktuon a[th", vv.1071-1079).

Le ultime parole del Prometeo incatenato  sono pronunciate dal Titano che descrive la tempesta già scoppiata, "correlativo oggettivo" della sua anima sconvolta, ed emblema del Caos , il disordine cosmico e umano, che egli ha cercato di ripristinare confutando l'autorità e l'ordine di Zeus:

"Certo di fatto e non più soltanto a parole/

la terra si è messa ad ondeggiare,/

e mugghia il profondo rimbombo/

del tuono, e le spire del lampo

/brillano (e{like~ d  j ejklavmpousi steroph`~[3]) ardenti, e i turbini fanno girare/

la polvere (strovmboi de; kovnin[4]-eiJlivssousi), e saltano i soffi/

di tutti i venti dichiarandosi/

una guerra (stavsin[5]) reciprocamente contraria/

e sono sconvolti insieme il cielo e il mare ( xuntetavraktai d  j aijqh;r povntw/",vv. 1080-1088).

Ci sono rimandi alla sterilità della polvere, alla guerra civile, alla confusione.

Tale assalto che vuole creare paura/

avanza chiaramente da Zeus contro di me./

O maestà della madre mia, o etere/che fai girare la luce comune a tutti (koino;n favo~ eiJlivsswn)/

tu vedi come ingiustamente io soffro" (vv. 1089-1093).

Nel penultimo verso del Prometeo incatenato c’è un segno positivo: la luce (favo~, 1092) che l’etere fa girare. E’ un segno di resurrezione: “un augurio di più sereno dì”

 

Concludo mettendo in evidenza un arcanum imperii: per sottomettere il ribelle, qualsiasi ribelle, la regola è quella di farlo soffrire.

 

 

Bologna 25 aprile 2023 giovanni ghiselli

p. s.

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[1] L’altro è Bia (Violenza), kwfo;n provswpon, personaggio muto

[2] Il suo nome significa quello che pensa in anticipo, al contrario del fratello  Epimeteo che"non era saggio per niente" secondo il Protagora  di Platone, 321b-c, e favoriva gli animali privi di ragione.

 

[3]  Ecco l’elettricità, un altro “di quegli agenti terribili” menzionati da Leopardi nello Zibaldone (p. 3645).

[4] La polvere, come la cenere, nei drammi Greci è spesso un simbolo negativo di sterilità e morte. Nell' Antigone, per esempio, il segno positivo  della luce viene contrapposto a quelli negativi della polvere, del sangue e della pazzia:"Ora infatti sull'estrema/ radice si era distesa una luce ( favo" ) nella casa di Edipo/ma poi la polvere macchiata di sangue (foiniva...kovni") /degli dei infernali la falcia,/e pazzia della parola ed Erinni della mente" (vv.599-603). La polvere fa paura forse  perché prefigura l'inevitabile esito della nostra vita:"what is this quintessence of dust? " (Amleto, 2, 2), che cosa è per me questa quintessenza di polvere? domanda il principe di Danimarca. Naturalmente l'uomo, e pure la donna, dei quali Amleto non si prende alcun piacere. Insomma:"I will shaw you fear in a handful of dust" ( The waste land, v.30), in un pugno di polvere vi mostrerò la paura.

 

 

 

[5] E’ la guerra civile che confonde i ruoli, come fa l’incesto, trasformando i fratelli in nemici. Secondo Tucidide cambia anche il significato delle parole. Lo afferma a proposito della guerra civile (stavsi") di Corcira (427-425):"Kai; th;n eijwqui'an ajxivwsin tw' ojnomavtwn ej" ta; e[rga ajnthvllaxan th'/ dikaiwvsei. Tovlma me;n ga;r ajlovgisto" ajndreiva filevtairo" ejnomivsqh" (III, 82, 4), e cambiarono arbitrariamente l'usuale valore delle parole in rapporto ai fatti. Infatti l'audacia irrazionale fu considerata coraggio devoto ai compagni di partito. “Sinistro carnevale, mondo a rovescio, in cui è necessario lottare con ogni mezzo per superarsi e in cui nessuna neutralità è ammessa. Così appare, a Corcira, per la prima volta tra gli Elleni, la più feroce di tutte le guerre (Tucidide, III, 82-84)”, M. Cacciari, Geofilosofia dell'Europa, p.43 

 

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