Dovranno essere recitati da un’attrice scelta dall’associazione
La traduzione è mia
Versi 214-266 dal Primo episodio
Medea
Donne di Corinto, sono venuta fuori dal palazzo 214
perché non abbiate da rimproverarmi qualche cosa: so infatti che molti mortali
diventano altezzosi, gli uni lontani dagli sguardi,
altri invece all'esterno; altri ancora per il muoversi riservato
si procurarono cattiva fama di indifferenza.
Giustizia infatti non sta negli occhi dei mortali,
se qualunque individuo, prima di avere conosciuto gli affetti di un uomo con chiarezza,
lo odia appena lo ha visto, senza averne ricevuto offesa alcuna.
D'altra parte lo straniero deve adeguarsi per forza alla città: 222
nemmeno approvo il cittadino che, divenuto arrogante,
è duro verso i concittadini per ignoranza.
Questa faccenda inaspettata piombatami addosso
mi ha rovinato la vita; sono distrutta e, buttata via
la gioia di vivere, desidero morire, amiche.
Quello nel quale per me c'era tutto, lo so bene,
si è rivelato il peggiore degli uomini, il mio sposo. 229
Fra tutti gli esseri, quanti sono vivi e hanno raziocinio,
noi donne siamo la creatura più tribolata:
noi che innanzitutto dobbiamo comprare un marito
con gran dispendio di ricchezze, e prenderlo come padrone
del corpo, e questo è un male ancora più doloroso del male. 234
E in questo sta la gara massima, prenderlo cattivo
o buono. Infatti non danno buona fama le separazioni
alle donne, e non è possibile ripudiare lo sposo.
Quella poi giunta tra nuovi costumi e leggi,
bisogna che sia un'indovina, se non ha appreso da casa
con quale atteggiamento tratterà nel modo più appropriato il marito. 240
E se con noi che ci affatichiamo in questo con successo,
il coniuge convive, sopportando il giogo non per forza,
la vita è invidiabile; se no, bisogna morire.
Un uomo poi , quando gli pesa stare insieme a quelli di casa,
uscito fuori, depone la noia dal cuore 245
(volgendosi a un amico o a un coetaneo);
per noi al contrario è necessario mirare su una sola persona.
Dicono di noi che viviamo una vita senza pericoli
in casa, mentre loro combattono con la lancia,
pensando male: poiché io tre volte accanto a uno scudo
preferirei stare che partorire una volta sola “. 251
Però non vale proprio lo stesso discorso per te e per me;
tu hai questa tua città e la casa paterna
e comodità di vita e compagnia di amici,
io, poiché sono isolata e senza città, devo subire oltraggi
da un uomo, dopo essere stata rapita da una terra barbara, 256
senza avere la madre, né un fratello, né un congiunto
per trovare un ancoraggio fuori da questa sventura.
Tanto dunque io vorrò ottenere da te,
se trovo una qualche via e mezzo
per far pagare allo sposo il fio di questi mali
(e a chi gli ha dato la figlia e a quella che ha sposato),
ti prego di tacere. La donna infatti per il resto è piena di paura
e vile davanti a un atto di forza e a guardare un'arma;
ma quando sia offesa nel letto,
non c'è non c'è altro cuore più sanguinario. 266
Primo Stasimo vv. 410-445 cantato da donne corinzie
Prima strofe (vv. 410-420)
Verso l'alto scorrono le sorgenti dei sacri fiumi,
e giustizia e ogni diritto a rovescio si torcono.
Sono di uomini i consigli fraudolenti, e la fede
negli dèi non è più ferma.
La fama
cambierà la mia vita al punto che avrò gloria:
arriva onore al genere femminile;
non più una rinomanza infamante screditerà le donne.
Prima antistrofe (vv 421-430)
E le Muse degli antichi poeti smetteranno
di celebrare la mia infedeltà.
Infatti Febo signore del canto
non accordò nel nostro spirito
suono ispirato di lira: poiché avrei intonato un inno di risposta
alla razza dei maschi. Una lunga età ha
molte cose da dire sul nostro ruolo e quello degli uomini. 430
Seconda strofe (vv. 431-438)
Tu hai navigato lontano dalle patrie case
con il cuore furente, attraversando le duplici rupi
del mare: e ora abiti
in terra straniera, dopo avere perduto
l'unione del letto senza marito
disgraziata, e profuga, sei
cacciata dal paese senza onore.
Seconda antistrofe (vv.439-445)
Se n'è andato il rispetto dei giuramenti, né più il pudore
nell'Ellade grande rimane, ma in aria è volato.
Né a te sventurata rimane la casa
del padre, per trovare un altro approdo
dalle pene, e un'altra regina più forte
del tuo letto
sulla casa impera.
L’Esodo della tragedia
Medea di Euripide Esodo (vv. 1293-1419).
Giasone
Donne, che state vicino a questa dimora,
è ancora dentro questa casa colei che ha compiuto
atti terribili, Medea, oppure è fuggita?
Bisogna infatti che quella davvero si nasconda sotto terra
o alato sollevi il corpo nell’altezza del cielo,
se non vuole pagare il fio alla casata dei sovrani.
E' convinta che dopo avere ammazzato i signori del paese
fuggirà con i propri mezzi da questa casa, impunita? 1300
Ma in effetti non mi do pensiero di lei quanto dei figli:
a quella faranno del male coloro ai quali l'ha fatto,
io invece sono venuto a salvare la vita dei miei bambini,
perché i miei congiunti di stirpe non facciano loro del male,
facendo pagare l'empio delitto materno.
Coro
O infelice, non sai a quale punto dei mali sei arrivato,
Giasone: infatti non avresti detto queste parole.
Giasone
Che c'è? Forse vuole uccidere in qualche modo anche me?
Coro
I figli tuoi sono morti per mano materna.
Giasone
Ahimé che cosa vuoi dire? come mi hai distrutto, donna.
Coro
Dei tuoi figli pensa appunto che non ci sono più.
Giasone
Dove di fatto li ha uccisi? Dentro o fuori casa?
Coro
Apri le porte e vedrai la strage dei tuoi figli. 1313
Giasone
Aprite i chiavistelli al più presto, servi,
togliete i paletti, perché veda il duplice male 1315
Medea
(appare su un carro dove sono stesi i cadaveri dei figli. Questo era sospeso sopra la scena dalla mhcanhv, una specie di gru che negli esodi di altre tragedie teneva in alto una divinità: il deus ex machina. In questo esodo la parte è di Medea[1]).
Perché scuoti e vuoi forzare queste porte,
cercando i cadaveri e me che ho compiuto l'atto? 1318
Risparmiati questa fatica. Se di me hai bisogno ,
di’ quello che vuoi, ma non mi toccherai mai con le mani;
tale carro mi dà il Sole padre
del padre mio, una difesa da mano nemica. 1322
Giasone
Oh abominio, o donna odiosissima al massimo
agli dèi e a me e a tutto il genere umano,
tu che hai avuto l'ardire di gettare la spada sulle tue
creature dopo averle partorite e hai annientato me nei miei figli. 1326
E dopo avere fatto questo guardi il sole
e la terra, avendo osato il misfatto più empio?
Possa tu morire: io ora capisco, non capivo allora,
quando dalla tua dimora e da una terra barbara
ti portavo con me in una casa greca, grande male,
traditrice del padre e della terra che ti aveva nutrito.
Gli dèi hanno scagliato contro di me il tuo demone vendicatore;
infatti dopo avere ammazzato tuo fratello sul focolare di casa
ti imbarcasti sullo scafo di Argo dalla bella prua. 1335
Cominciasti da tali scelleratezze: sposata poi
Con me e dopo avermi generato dei figli ,
per un letto e un talamo matrimoniale, li hai uccisi.
Non c'è donna greca che avrebbe osato
questo, mai, e a preferenza di loro io ritenni degna
di matrimonio te, parentela ostile e letale per me,
leonessa, non donna, con una natura
più crudele della Tirrenia Scilla. 1343
Scilla è la satanessa primordiale che Omero descrive come un mostro con sei colli lunghissimi su ciascuno dei quali c’è una testa spaventosa. I piedi sono dodici tutti deformi.
Ma di fatto neppure con insulti infiniti
potrei morderti: tale sfrontatezza è innata in te;
va’ in malora, operatrice di obbrobri e sporca della strage dei figli.
Resta da piangere il mio destino a me
che non trarrò vantaggio dalle nuove nozze,
né ai figli che ho generato e allevato
potrò rivolgere la parola da vivi, ma li ho perduti. 1350
Medea
L’avrei fatta lunga contro queste
parole, se Zeus padre non sapesse
quali cose hai ricevuto da me e quali hai compiuto.
Tu non dovevi, dopo avere disonorato il mio letto,
passare una vita piacevole deridendomi, 1355
né la principessa, né quello che ti aveva proposto le nozze,
Creonte, doveva cacciarmi senza danno da questa terra.
Di fronte a questo chiamami pure leonessa, se vuoi,
e Scilla che abitò la landa Tirrenica:
infatti io ho contrattaccato il tuo cuore come si deve. 1360
Giasone
Ma anche tu soffri e sei partecipe delle sciagure.
Medea
Sappilo bene: mi giova il dolore se tu non ridi. 1362
Giasone
O figli, che madre malvagia vi è capitata!
Medea
O figli, come siete morti per la follia del padre!
Giasone
Invero non è stata certo la mia mano destra a ucciderli.
Medea
Bensì l’oltraggio e le tue nozze appena contratte.
Giasone
E per il letto hai ritenuto giusto ucciderli ?
Medea
Pensi che questa sia una sofferenza piccola per una donna? 1368
Giasone
Se una è giudiziosa; ma tu sei impastata di male.
Medea
Questi qui non ci sono più: questo fatto ti roderà.
Giasone
Sono questi, ahimé, i vendicatori sulla tua testa. 1371
Medea
Sanno gli dèi chi ha dato inizio alla sciagura.
Giasone
Sanno certamente che il tuo animo è ributtante.
Medea
Odiami: io detesto la tua voce sgradevole.
Giasone
E io la tua: facile sarà separarsi l’uno dall’altra.
Medea
E come ? Che cosa devo fare? Stai certo che lo voglio anche io. 1377
Giasone
Lasciami seppellire e piangere questi morti.
Medea
No davvero, poiché li seppellirò io con questa mano,
portandoli al santuario della dea Era Acraia
affinché nessuno dei nemici li oltraggi
rovesciando le tombe; e a questa terra di Sisifo
attribuiremo una festa solenne e riti
per il futuro in cambio di questa empia strage. 1383
E io andrò alla terra di Eretteo,
a convivere con Egeo, figlio di Pandione.
E tu, come è naturale, vigliacco morirai da vigliacco,
colpito al capo da un rottame di Argo,
dopo avere visto l'amaro esito delle mie nozze.
Anapesti di uscita 1389-1419.
Giasone
Ma ti uccida l'Erinni dei figli
e la Giustizia degli ammazzati. 1391
Medea
Quale dio o demone ascolta te,
spergiuro e ingannatore degli ospiti?
Giasone
Ahi, ahi, abominevole e assassina dei figli.
Medea
Vai a casa e seppellisci la tua compagna di letto. 1394
Giasone
Vado, privato dei due figli.
Medea
Ancora non piangi: aspetta un po' la vecchiaia.
Giasone
O figli carissimi.
Medea Alla madre solo, a te no.
Giasone
Per questo li hai ammazzati?
Medea. Per infliggere pene a te.
Giasone
Ahimé infelice voglio baciare
la cara bocca dei figli. 1400
Medea
Ora li chiami, ora vuoi baciarli,
dopo averli respinti allora.
Giasone Concedimi in nome degli dèi
di toccare la tenera carne dei figli.
Medea
Non è possibile. Invano le tue parole sono buttate via. 1404
Giasone
Zeus tu senti questo: come vengo respinto
e quali ferite subisco da questa femmina abominevole
e leonessa assassina dei figli?
Ma per quanto almeno è possibile e ce la faccio,
piango questo scempio e invoco gli dèi
chiamando a testimonio la potenza divina del fatto che tu,
dopo avermi ammazzato i figli, mi impedisci
di toccarli con le mani e seppellirne i cadaveri,
che io non avrei voluto vedere mai,
dopo averli generati, ammazzati da te.
Coro
Di molti casi Zeus è dispensatore sull’Olimpo;
e molti eventi in modo insperato compiono gli dèi;
e i fatti aspettati non vennero portati a compimento,
mentre per quelli inaspettati un dio trovò la via.
Così è andata a finire questa azione 1419.
Bologna 25 aprile 2023 ore 17, 04
p. s.
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[1] Nell’Ifigenia fra i Tauri appare Atena ex machina, nell’Elettra i Dioscuri, nell’Elena di nuovo i Dioscuri, nello Ione Atena, nell’Oreste Apollo.
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