giovedì 31 gennaio 2019

L'esame di maturità


 A proposito dell’esame di maturità 2019
In diversi anni passati ho fatto parte  della commissione che sceglieva i brani di greco e quelli di latino per la seconda prova scritta dell’esame di maturità al liceo classico. Ci convocava e coordinava l’ispettore Luciano Favini.
Leggo oggi, 31 gennaio 2019, su “la Repubblica” (p. 18) queste parole del ministro Marco Bussetti il quale risponde all’intervistatore che gli ha domandato se serva ancora questa maturità.
“Certo che serve. Dobbiamo insegnare ai ragazzi ad affrontare le prove, a faticare per superare la crisi, altrimenti non cresceranno mai. La vita dà problemi e ti chiede di risolverli”.
Approvo queste parole e posso farlo senza che si possa pensare a piaggeria dato che sono in pensione dal 2010 e non faccio più parte di alcuna commissione ministeriale. Le approvo dunque e le confermo con il terzo capitolo della mia metodologia che ho elaborato negli anni (2000-2010) in cui insegnavo, a contratto, didattica della letteratura greca come supervisore nella SSIS dell’Università di Bologna.
Questa metodologia, che mi capita ancora di presentare in conferenze tenute in biblioteche, licei e università, si trova intera nel Punto Edu Neoassunti Indire. Metodologia per l’insegnamento del greco e del latino.  Si trova in parte in Essere e Divenire del “Classico”. Atti del Convegno Internazionale (Torino-Ivrea 21-22-23 Ottobre 2003). L’arte dei luoghi nella didattica del latino (pp. 241-256). Utet, Torino, 2006.

3. Elogio della tradizione e necessità della faticaPovno~ e laborEsiodo. Sofocle. Eracle al bivio.  Orazio. Il sogno di Alessandro Magno in Arriano. Il discorso del condottiero macedone sul fiume Ifasi. Alessandro avrebbe procurato fatica anche ai poeti. Dante e il “poema sacro”. Machiavelli e il dovere di “insudare nelle cose”. Leopardi e il prezzo di un’opera egregia (Il Parini ovvero della gloria).

 L'autore di La terra desolata in un precedente scritto di critica[1] aveva pure  affermato che la tradizione non è un patrimonio che si eredita ma, "if you want it, you must obtain it by great labour ", se uno vuole impossessarsene, deve conquistarla con grande fatica.
Questa è una dichiarazione topica: Esiodo  dice che davanti al valore gli dei hanno posto il sudore: "th'" d j ajreth'" iJdrw'ta qeoi; propavroiqen e[qhkan" (Opere, 289).
 Nell'Elettra di Sofocle la protagonista dice alla mite sorella Crisotemi: "o{ra, povnou toi cwri;" oujde;n eujtucei'''" (v. 945), bada, senza fatica niente ha successo.

 Nei Memorabili[2] di Senofonte la donna virtuosa, la Virtù personificata, avvisa Eracle al bivio che gli dèi niente di buono concedono agli uomini senza fatica e impegno:"tw'n ga;r o[ntwn ajgaqw'n kai; kalw'n oujde;n a[neu povnou kai; ejpimeleiva" qeoiv didovasin ajnqrwvpoi"" (II, 1, 28).
così Cleante stoico in Diogene Laerzio (VII 172): “quando uno spartano gli disse o{ti oJ povno~ ajgaqovn, lui raggiante di gioia esclamò: “ai{mato~ ei\~ ajgaqoi`o, fivlon tevko~, sei di buon sangue, ragazzo mio!”   
Si assiste a un eterno ritorno di questa affermazione e di non poche altre. “Tipico atteggiamento della “cultura” greca. Una volta coniata una forma, essa rimane valida anche in stadi ulteriori e superiori, e ogni elemento nuovo deve cimentarsi con essa”[3].
Sappiamo che la cultura greca non si limita ai Greci.

 In tutt'altro contesto, il garrulus che attenta alla vita di Orazio gli fa: " nihil sine magno/vita labore dedit mortalibus"[4], niente senza grande fatica la vita ha mai dato ai mortali.

 Alessandro Magno, che si riteneva discendente di Achille e di Eracle, quando si preparava ad assediare Tiro (estate del 332 a. C.), sognò che Eracle stesso lo introduceva in città. L’indovino Aristandro interpretò la visione onirica dicendo che Tiro sarebbe stata presa “xu;n povnw/…o{ti kai; ta; tou`   JHraklevou~ e[rga xu;n povnw/ ejgevnetw. Kai; ga;r kai; mevga e[rgon th`~ Tuvrou hJ poliorkiva ejfainevto[5] con fatica… poiché anche le imprese di Eracle erano avvenute con fatica. E in effetti anche l’assedio di Tiro si presentava come una grande impresa.
 Quando, giunti al fiume Ifasi[6], i soldati di Alessandro Magno, si rifiutarono di attraversarlo e di procedere verso il Gange, il condottiero macedone, per convincere l’esercito esausto a proseguire, parlò ai soldati dicendo: “Pevra~ de; tw`n povnwn gennaivw/ me;n ajndri; oujde;n dokw` e[gwge o{ti mh; aujtou;~ tou;~ povnou~, o{soi aujtw`n ej~ kala; e[rga fevrousin” (Anabasi di Alessandro, 5, 26, 1), il limite delle fatiche per l’uomo valoroso non credo siano altro che le fatiche stesse, quante di esse li portano a grandi imprese”. Ma non riuscì a convincere quella gente stremata.

Alessandro Magno non solo si sobbarcò personalmente fatiche immani, e, ovviamente, le impose alle sue truppe, ma le procurò anche ai poeti: Arriano racconta che dopo la distruzione di Tebe (335), poco prima di partire per la sua spedizione, il giovane re di Macedonia celebrò giochi e sacrifici. Allora gli fu annunciato che la statua di Orfeo nella Pieride ijdrw`sai xunecw`~ sudava continuamente; quindi l’indovino Aristandro disse che cantare le gesta di Alessandro sarebbe costato polu;~ povno~ ai poeti (Anabasi di Alessandro, I, 11, 2-3).. 
Dante mette in rilievo la grande fatica che gli è costata l’opera grandiosa della sua Commedia: il “poema sacro/al quale ha posto mano e cielo e terra/sì che m’ha fatto per più anni macro” (Paradiso, XXV, 1-3).

Machiavelli nota che molti uomini attribuiscono alla Fortuna un potere eccessivo nella vita umana e per questo ritengono “che non fussi da insudare molto nelle cose, ma lasciarsi governare dalla sorte”.
 Il segretario fiorentino non condivide questo parere: “perché el nostro libero arbitrio non sia spento, iudico poter essere vero che la fortuna sia arbitre della metà delle azioni nostre, ma che ancora lei ne lasci governare l’altra metà, o presso, a noi”. La Fortuna come certi “fiumi rovinosi…dimostra la sua potenzia dove non è ordinata virtù a resisterle, e quivi volta li sua impeti, dove la sa che non sono fatti li argini e li ripari a tenerla”. Dunque non bisogna adagiarsi sulla Fortuna: “ quel principe che s’appoggia  tutto in sulla fortuna, rovina, come quella varia” (Il principe, 25).

Leopardi nell’Operetta morale Il Parini ovvero della gloria[7] immagina che il poeta di Bosisio parli a un giovane “d’indole e di ardore incredibile ai buoni studi, e di aspettazione meravigliosa”, e gli dica che pochi sono capaci di intendere “che e quale sia propriamente il perfetto scrivere”. Chi non intende questo “non può né anche avere la debita ammirazione agli scrittori sommi”. La conclusione del ragionamento dunque è: “ Or vedi a che si riduca il numero di coloro che dovranno potere ammirarli e saper lodarli degnamente, quando tu con sudori e con disagi incredibili, sarai pure alla fine riuscito a produrre un’opera egregia e perfetta”.

giovanni ghiselli

p. s.
La mia metodologia in 70 capitoli propone e insegna oltretutto il metodo comparativo che si addice a un brillante superamento della seconda prova.




[1] Tradition and the Individual Talent (del 1919)Tradizione e talento individuale.
[2] Scritto socratico in quattro libri che presenta il maestro come un uomo probo e onesto, rispettoso della religione e delle leggi, valida guida morale nella vita pratica
[3] W. Jaeger, Paideia  1, p. 191.
[4] Sermones, I, 9, 59-60-
[5] Arriano (età di Traiano e di Adriano), Anabasi di Alessandro, 2, 18, 1.
[6] Nell’estate del 326 a. C.
[7] Scritta nel 1824, pubblicata nel 1827.

mercoledì 30 gennaio 2019

Le menzogne dei giornali



Elogio della mosca, del caldo e del buon senso. Giuliano Augusto e il dio Sole

Le menzogne e le montature dei giornali: titolo di “la Repubblica” di oggi 30 gennaio: "Usa - Australia, i due volti del clima pazzo. E Trump ci scherza su".
Il clima pazzo sarebbe dato dal freddo con lastre di ghiaccio a Chicago nel mese più freddo dell'anno e dal gran caldo in Australia nel mese più caldo. Intanto questo è sempre accaduto, e, comunque, il freddo che patiamo anche qui a Bologna sbugiarda quelli del "riscaldamento globale". Poi anche se questo ci fosse, a parer mio non sarebbe male: il caldo favorisce la vita. Due giorni fa c'era il sole già potenziato, non per il riscaldamento globale, ma per via dell'attuale posizione di Helios nel suo moto annuale: siamo a più di un mese dal solstizio, la fermata del sole, e il primo fra tutti gli dèi, tornando verso ovest, è risalito nel cielo: le ombre si stanno accorciando, fa ancora freddo ma è cresciuta la luce simbolo di beatitudine
Ebbene, sul tavolo assolato dove gioivo dell'offerta dei raggi benefici, abbronzandomi, poiché bello non sono bello però mi piacciono molto le donne, ho visti volazzare una mosca. "Che tu sia benedetta", ho detto con le lacrime agli occhi, annunciatrice, angelo della buona stagione. Nunc ver venit meum, mox faciam uti chelidon ut tacere desinam" .
Quanto a Trump lo disapprovo per molte altre ragioni, quasi tutte, ma se in un intervallum insaniae, quando non è trasognato, dice durante un inverno gelido con le città coperte da lastre di ghiaccio: "pensate che freddo sarebbe se non ci fosse il riscaldamento globale!" fa una battuta dettata dal buon senso.
Il pezzo è “politicamente scorretto: me ne prendo tutta la responsabilità. Mi va bene che questo tipo di negazionismo non è ancora vietato

Ora sentiamo Giuliano Augusto e il suo discorso A Helios re.

42 Popoli diversi hanno celebrato l’inizio dell’anno in momenti differenti. Alcuni hanno scelto th;n ejarinh;n ijshmerivan - l’equinozio di primavera; altri il culmine dell’estate th;n ajkmh;n tou' qevrou" - altri ancora fqivnousan h[dh th;n ojpwvran - la fine dell’autunno.
Alcuni celebrano la primavera, la stagione più adatta ai lavori agricoli quando la terra fiorisce ed è lussureggiante qavllei kai; gauria'/, orgogliosa poiché tutti i suoi frutti stanno venendo alla luce, il mare offre sicurezza alla navigazione e la tetraggine dell’inverno - to; tou' ceimw'no" ajmeidev" -  il non sorriso cfr meidivaw to smile - l’uggiosità l’oscurità skuqrwpovn - si muta, cambia in una maggiore lucentezza - ejpi; to; faidrovteron meqivstatai.

Insomma finisce l’inverno del nostro scontento per dirla con Shakespeare (Riccardo III now the winter of our discontent –made glorious summer by the son of York, I, 1, 1 - 2).

Torniamo a Giuliano imperator romano
Altri preferiscono la piena estate. Ma altri komyovteroi, più raffinati scelsero la fine dell’anno tenendo conto della perfetta maturazione di tutti i frutti e della fine del ciclo.
Ma i nostri antenati oiJ hjmevteoi propavtore" fin dall’epoca del divinissimo re Numa - ajp j aujtou' tou' qeiotavtou basilevw" tou' Nouma', lasciavano da parte le questioni utilitarie ta; th'" creiva" ajpevlipon - e tributavano grandi onori a Elio – a[te oi\mai fuvsei qei'oi kai; perittoi; th;n diavnoian - poiché, credo, erano religiosi per natura e straordinari per intelligenza.

Un intermezzo con Petronio. Dice il liberto Ganimede nel Satyricon: :"ego puto omnia illa a diibus fieri. nemo enim caelum caelum putat, nemo ieiunium servat, nemo Iovem pili facit, sed omnes opertis oculis bona sua computant. antea stolatae ibant nudis pedibus in clivum, passis capillis, mentibus puris, et Iovem aquam exorabant. itaque statim urceatim plovebat: aut tunc aut numquam: et omnes redibant udi tamquam mures. itaque dii pedes lanatos habent, quia nos religiosi non sumus, agri iacent…" (44, 17 - 18), io credo che tutto questo derivi dagli dèi. Nessuno infatti considera il cielo cielo, nessuno rispetta il digiuno, nessuno stima un pelo Giove, ma tutti a occhi chiusi fanno il conto dei loro possessi. Prima le matrone in stola salivano a piedi nudi sul colle del Campidoglio, con i capelli sciolti, i cuori puri, e supplicavano Giove per l'acqua. E così subito pioveva a catinelle: o allora o mai più: e tutti tornavano bagnati come topi. ora gli dèi hanno i piedi felpati. Poiché non abbiamo religione, i campi sono abbandonati.

Di nuovo l’Augusto Giuliano: “i nostri antenati dunque stabilirono di celebrare l’inizio del nuovo anno ejn th' parouvsh/ tw'n wJrw'n - nella presente stagione - siamo nel dicembre del 362 - , quando Elios torna a noi lasciando gli estremi limiti del sud ajfei;" th'" meshmbriva" ta; e[scata - e avanza verso nord pro; to;n borra'n e[rcetai - per renderci partecipi dei suoi doni annuali - metadwvswn hJmi'n tw'n ejpeteivwn ajgaqw'n.
Essi scelsero per la festa non il giorno esatto nel quale il dio fa la sua svolta e comincia a tornare verso nord (ouj ga;r kaq j hJmevran oJ qeo;" trevpetai) - il 21 - ma il giorno - il 25 - nel quale diventa visibile la crescita della luce e la sua conversione ajpo; th'" meshmbriva" ej" ta;" a[rktou", dal sud al nord. Gli antichi fissarono il Natale krivnonte" aijsqhvsei giudicando dalla percezione e seguivano quanto si vede toi'" fainomevnoi" hjkolouvqoun. Ecco dunque perché celebriamo la festa j Helivw/ ajkinevtw/ al Sol invictus poco prima dell’inizio dell’anno.

43 Giuliano chiede di poter celebrare e santificare spesso queste feste e prima di tutti gli altri Elios oJ basileuv" tw'n o[lwn, il re dell’Universo, che è scaturito dal Bene, e ricolma la totalità del cielo degli dèi che possiede intellettualmente in sé. Egli veglia sull’intero genere umano ma soprattutto sulla nostra città e ha designato la nostra anima come sua seguace. Giuliano chiede al dio di poter dedicare la sua esistenza alla politica, all’interesse pubblico - zh'n kai; ejmpoliteuvesqai tw'/ bivw/ doivh fino a quando sarà vantaggioso per lo Stato.

giovanni ghiselli

martedì 29 gennaio 2019

"Elettra" di Euripide. Parte 3



Continua il prologo
La propaganda entra dappertutto.
Entra in scena Elettra la quale si rivolge alla nera notte nutrice di stelle d’oro - w\ nuvx mevlaina, crusevwn a[strwn trofev (Elettra, 54). Dice che scende alle sorgenti del fiume phga;" potamiva" metevrcomai (56) portando questa brocca tovd j a[ggo" fevrousa, posata sul capo  jefedereu'on kavra/. Non lo fa perché ridotta a tal punto di indigenza, ma per la volontà di mostrare agli dèi l’ybris di Egisto (59). La propaganda entra in molti comportamenti umani: dalla politica, alla religione, alla guerra (cfr. fama bella constant)
Alessandro Magno giustifica anche dal punto di vista laico la propria vanteria di essere figlio non di Filippo, bensì di Zeus.  Ricevere il nome di figlio di Giove aiuta a vincere le guerre, dice il giovane eroe macedone : “Famā[30] enim bella constant, et saepe etiam, quod falso creditum est, veri vicem obtinuit” (Historiae Alexandri Magni  VIII, 8, 15), Le guerre sono fatte di quello che si fa sapere (attraverso la propaganda), e spesso anche quanto si è creduto per sbaglio, ha fatto le veci della verità.
Cfr. 3, 8, 7 dove Dario III dice “fama bella stare”.    

Appunti
Demagogo e tiranno
L'araldo tebano delle Supplici di Euripide ribatte che il governo di un solo uomo non è male: infatti il monarca esclude i demagoghi, i quali, gonfiando la folla con le parole, la volgono di qua e di là secondo la loro convenienza.  Del resto come potrebbe pilotare uno Stato il popolo che non è in grado di padroneggiare un discorso? Chi lavora la terra non ha tempo né per imparare né per dedicarsi alle faccende pubbliche: "oJ ga;r crovno" mavqhsin ajnti; tou' tavcou" - kreivssw divdwsi (vv. 419-420), è infatti il tempo che dà un sapere più forte, invece della fretta.
Teseo non controbatte la critica ai demagoghi, che condivide, ma risponde che il tiranno è l'entità più ostile alla polis: "oujde;n turavnnou dusmenevsteron povlei" (Euripide, Supplici, v. 429). Egli infatti uccide i migliori, quelli dei quali considera la capacità di pensare, in quanto teme per il suo potere:"kai; tou;" ajrivstou" ou{" a]n hJgh'tai fronei'n-kteivnei, dedoikw;" th'" turannivdo" pevri" (vv. 444-445). Sicché la città si indebolisce: come potrebbe essere forte quando uno miete i giovani come da un campo di primavera si porta via la spiga a colpi di falce? (vv. 447-449).
Inoltre il despota si impossessa dei beni altrui rendendo vane le fatiche di chi voleva acquistare ricchezze per i propri figli. Per non parlare delle figlie che l'autocrate vuole rendere strumenti del suo piacere.
l'Elettra di Euripide recitando il biasimo funebre di Egisto allude, con pudica e verginale aposiopesi, alle porcherie che l'usurpatore faceva con le donne: "ta; d j eij" gunai'ka", parqevnw/ ga;r ouj kalo;n-levgein, siwpw'" (Elettra, vv. 945-946) Il potere dunque può essere funzionale al soddisfacimento di varie brame, compresa quella sessuale inclusiva del libertinaggio.
Nell’Elettra di Euripide il coro sentenzia: “tuvch gunaikw'n ej~ gavmou~(v. 1100), è  il caso delle deonne nelle nozze: vedo che alcuni eventi dei mortali vanno bwne, altri cadono non bene
Passiamo all’Elettra  di Euripide del 413.
Il coro, composto da contadine argive considera Elena pollw`n kakw`n aijtivan (v. 213). Oreste svaluta la bellezza in generale: le carni vuote di intelletto, dice, sono ajgavlmat j ajgora`~ (v. 388), statue di piazza.
Più avanti Elettra gli fa da eco biasimando la bellezza molle di Egisto: le cose speciose sono solo ornamento per le danze: “ta; d j eupreph` dh; kovsmo~ ejn coroi`~ movnon” (v. 951).
Clitennestra poi si giustifica dell'assassinio di Agamennone davanti ai figli in procinto di ucciderla, ricordando loro i torti subiti dal marito, giustiziato dunque per le sue numerose malefatte. Intanto uccise la primogenita in maniera spietata:"leukh;n dihvmhs j [31]  jIfigovnh" parhΐda " (v. 1023), lacerò la bianca guancia di Ifigenia. E non lo fece per difendere la sua città o per salvare altri figli, ma per recuperare Elena che schiumava di lussuria (mavrgo~ h\n, era dissoluta, v. 1027) e Menelao era incapace di punire una moglie infedele. Inoltre tornò a casa dalla moglie portandosi dietro una menade invasata[32] e la infilò nel letto   ("mainavd j e[nqeon kovrhn-levktroi" t j ejpeisevfrhke[33]", vv. 1032-1033).

Elettra replica che Elena e Clitennestra sono “ a[mfw mataivw Kavstorov~ t j oujk ajxivw” (v. 1064), entrambe stolte e non degne di Castore. Elena infatti venne rapita ejkou`~  j (1064) e andò in rovina, mentre l’altra, che avrebbe potuto fare una bella figura al confronto con Elena, assassinò il marito.

Alla fine della tragedia tuttavia Castore annuncia a Oreste che Elena sta arrivando, insieme con Menelao, dall'Egitto, dalla casa di Proteo, poiché a Troia non è mai andata, “Zeu;~ d  j,  wJ" e[ri" gevnoito kai; fovno" brotw'n,- ei[dwlon JElevnh~  ejxevpemy j ej~  [Ilion ” ( Elettra, vv. 1282-1283),  ma Zeus mandò a Ilio un'immagine (ei[dwlon) di lei, affinché ci fosse guerra e strage dei mortali.
Il Paride di Ovidio scrive a Elena che non deve temere una guerra come conseguenza del suo adulterio: Teseo rapì Arianna e Giasone Medea senza che ne conseguissero guerre (Heroides, XVI, 347 ssg). Ma se un ingens bellum (353) dovesse scoppiare, Menelao non avrà più coraggio (plus animi, 357) di Paride.
I fatti dell’Iliade  (III canto) smentiranno questa previsione.
Insomma se ci sarà la guerra la vinceremo io e mio fratello Ettore, sostiene Paride.

  
FINE


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[30] Cfr. fhmiv. La gente non solo vive e mangia ma pure fa e interpreta la guerra seguendo il “si dice”. Seneca:"nulla res nos maioribus malis implicat quam quod ad rumorem componimur " (De vita beata , 1, 3), nessuna cosa ci avviluppa in mali maggiori del fatto di regolarci secondo il "si dice".
[31]     Aoristo di diamavw. Un sostituto simbolico della deflorazione.
[32]      Cassandra ovviamente.
[33]     Aoristo di ejpeisfrevw. Si noti ancora la presenza del letto.

Epicuro e l'invidia. L'eterna congiura dei mediocri contro le persone dotate



Un pensiero di Epicuro che voglio condividere con chi mi legge, in particolare con i belli e i buoni gli happy few che frequentemente suscitano l'invidia degli sfortunati molti, e stupidi molto. Non dobbiamo curarcene, casomai (o caso mai) cercare di curare quei poveracci malati.
Leggiamo dunque questo maestro antico
Oujdeni; fqonhtevon, non bisogna invidiare nessuno: i buoni infatti non meritano l’invidia-ajgaqoi; ga;r oujk a[xioi fqovnou ; i malvagi quanto più hanno successo tanto più si insozzano ponhroi; de; o{sw/ a]n ma'llon eujtucw'si,tosouvtw/ ma'llon auJtoi'" lumaivnontai. (Gnomologium Vaticanum Epicureum 53).
 Lasciamo dunque ai mediocri l’invidia che è l’anima della loro eterna congiura comtro le persone non ordinarie. Personalmente ne ho suscitata molta, indegnamente del resto.

"Elettra" di Euripide. Parte 2

Frederic Leighton
Electra at the Tomb of Agamemnon

Commento dei primi 59 versi dell'Elettra di Euripide

Recita il prologo il contadino-autourgov"-, un personaggio positivo.
Vedi la “teoria della classe media”

Il contadino prosegue con il racconto dell’antefatto
Il vecchio precettore geraio;" trofeuv" (Elettra, 16) salvò Oreste insidiato da Egisto mandandolo da Strofio, sovrano di Crisa nella Focide. Aveva sposato Anassibia, sorella di Agamennone. Elettra rimase nella casa del padre ed ebbe molti pretendenti mnhsth're" prw'toi JEllavdo" che la chiedevano in sposa (h[/toun) quando la teneva il tempo fiorente della giovinezza-tauvthn ejpeidh; qalero;" ei\c  jh{bh" crovno" (20)
Ma Egisto temeva che la ragazza avrebbe generato a uno di quei valorosi un figlio vendicatore di Agamennone-pai'd  j   jAgamevmnono" poinavtor (22-23) la teneva in casa ei\cen ejn dovmoi" e non la accordava a nessuno sposo oujd j h{rmoze numfivw/ tiniv (23-24)

Stare chiusa in casa era il destino normale della donna comune di Atene
Nella Lisistrata di Aristofane, Cleonice ribatte alla protagonista eponima che lamenta l’assenza delle donne calephv toi gunaikw'n e[xodo" (Lisistrata, 16) è difficile per noi donne uscire. Infatti, spiega, una di noi deve stare china sul marito, l'altra deve svegliare lo schiavo, l'altra mettere a letto il bambino, l’altra lavarlo, l'altra imboccarlo (vv. 17-20).

Cfr. quanto dice la Medea di Euripide

E se con noi che ci affatichiamo in questo con successo,

il coniuge convive, sopportando il giogo non per forza,

la vita è invidiabile; se no, bisogna morire.

Un uomo poi , quando gli pesa stare insieme a quelli di casa,

uscito fuori, depone la noia dal cuore 245

(volgendosi a un amico o a un coetaneo);

 per noi al contrario è necessario mirare su una sola persona (Medea, 241-247).

Nella Danae  di Nevio leggiamo:" Desubito famam tollunt, si quam solam videre in via " (fr. 6 Marmorale) se hanno visto una donna sola per strada, la coprono subito di infamia.
Al modello di moglie chiusa in casa assomiglia la sfortunata Andromaca delle Troiane (del 415) di Euripide:" Io che mirai alla buona fama (ejgw; de; toxeuvsasa[13] th'" eujdoxiva", v.643) /dopo averla ottenuta in larga misura, fallivo il successo (th'" tuvch" hJmavrtanon [14], v. 644 )./Infatti quelle che sono le qualità conosciute di una sposa saggia/io le mettevo in pratica nella casa di Ettore./Là dunque per prima cosa- che vi sia o non vi sia/motivo di biasimo per le donne (yovgo" gunaixivn, v. 648)- la cosa in sé attira/cattiva fama  se una donna non rimane in casa[15],/io, messo via il desiderio di questo, rimanevo in casa (" e[mimnon ejn dovmoi"", v. 650);/e dentro casa non facevo entrare scaltre chiacchiere di donne/, ma avendo come maestro il mio senno (to;n de; nou'n didavskalon, v. 652)/ buono per natura, bastavo a me stessa./E allo sposo offrivo silenzio di lingua[16] e volto/ calmo ("glwvssh" te sigh;n o[mma q& hJvsucon povsei-parei'con", vv. 654-655); e sapevo in che cosa dovevo vincere lo sposo,/e in che cosa bisognava che lasciassi a lui la vittoria" (vv. 643-656).

Per la paura di Egisto della vendetta dei figli di Elettra (Elettra, 23)  cfr. ancora le Troiane dove i Greci decidono di ammazzare Astianatte e cruciali sono i versi con i quali Andromaca li accusa di essere loro i veri barbari: “w\ bavrbar j ejxeurovnte~   [Ellhne~ kakav-tiv tonde pai`da kteivnet j oujde;n ai[tion; (eziologia- discorso sulle cause764-765), o Greci inventori della barbarie, perché uccidete questo bambino che non è colpevole di niente? Ammazzare un bambino per paura di suo padre è la viltà e la barbarie più grande che ci sia.

Poi Egisto voleva uccidere Elettra  per paura che di nascosto-laqraivw"  (Elettra26- generasse dei figli a un nobile. Ma la madre sebbene wjmovfrwn,  crudele, comunque o{mw" (27) la salvò fdalle mani di Egisto
Clitennestra aveva una acusa skh'yin ei\c j per lo sposo morto ammazzato (29) ma temeva che sarebbe stata odiata per l’assassinio dei figli.
La scusa è l’uccisione delle figlia

Vediamo la premessa dell’assassinio di Agamennone nrll’ Ifigenia in Aulide
Quarto episodio  (vv. 1098-1282)
Clitennestra   Agamennone e Ifigenia si incontrano.
 La ragazza piange. Il padre continua a mentire, ma la moglie gli pone la domanda diretta: è vero che vuoi uccidere nostra figlia? (1131)
Il padre tenta di eludere la risposta ma poi è costretto ad ammettere.
Clitennestra lo accusa : hai ucciso il mio primo marito, Tantalo[17]  e  hai strappato dal mio seno e sfracellato al suolo il bambino avuto da lui
I miei fratelli Dioscuri volevano punirti, ma mio padre Tindaro ti salvò e così mi sposasti. Quindi sono stata una moglie irreprensibile (a[mempto~ gunhv). Una fortuna per te: una moglie siffatta è spavnion qhvreum j (1162) raro bottino, mentre non c’è spavni~, penuria di spose cattive.
Ti ho dato un maschio e  3 figlie: Ifigenia, Elettra, Crisotemi.
Come credi che reagirò se me ne  toglierai una; quali sentimenti pensi che avrò, vedendo vuoti i seggi di Ifigenia ?. Lascerai odio (mi`so~, 1179) partendo, e al ritorno basterà un lieve pretesto per farti avere l’accoglienza che meriti.

Allora Egisto, continua il contadino, promise dell’oro a chi avesse ucciso l’esule Oreste e diede Elettra in sposa a me, nobile discendente da Micenei, una famiglia di lamproiv , persone distinte, illustri,  ma pevnhte" , e[nqen huJgevnei j ajpovllutai (Elettra, 38) da quando la nobiltà non conta nulla.

Conta dunque solo il denaro
"il denaro è l'uomo e nessun povero resta nobile né viene onorato", sospira Alceo (Fr.360 LP).
Teognide dovrà scrivere:
"o Pluto[18], tu he sei  il più bello e desiderato di tutte gli dei,/ con te anche un uomo vile diventa nobile"(Silloge , 1117-1118).
Questi portavoce dell'aristocrazia denunciano il punto di vista che diverrà considerato caratteristico del plebeo arricchito, per quanto si può ricavare dal Satyricon  di Petronio dove l'ignobile, ricchissimo Trimalcione sentenzia:"assem habeas, assem valeas; habes, habeberis "(77), hai un soldo, vali un soldo; hai e sarai considerato. Essendo questo liberto arricchito un personaggio negativo, è evidente che l'autore[19] non condivide l'equiparazione del denaro al valore.
L'altro maestro di Nerone, Seneca, non crede che il denaro renda nobile chicchessia:"opes autem et lenoni et lanistae contingunt; ergo non sunt bona ", ora la ricchezza può capitare a un ruffiano e a un maestro di gladiatori; dunque non è un bene (Ep. 87, 15).   Così Proust nel descrivere l'aristocratica finezza dei Guermantes,  sottolinea con ammirazione non il loro potere economico ma il loro stile:" i Guermantes erano veramente diversi...erano più preziosi e più rari" (p. 474). Gli atti comuni "fatti da loro, diventavano graziosi come il volo d'una rondine o l'inclinazione della rosa sul suo stelo" (p. 475). Molte qualità dell'aristocratico sono presenti in Robert di Saint Loup:"una sicurezza di gusto..una nobile liberalità..qualità tutte essenziali alla aristocrazia che attraverso quel corpo, non opaco e oscuro..ma limpido e significativo, trasparivano"(447).
 Musil in L'uomo senza qualità  mette in evidenza che lo stile nobile è contrassegnato dal "senso della tradizione e di una magnifica negligenza"(p. 269).

 Egisto dunque dà la figliastra a uno privo di forza per prendersi una paura priva di forza (Elettra, 39) 
Se l’avesse sposata uno di alta condizione sociale- ajxivwm j e[cwn ajnhr (40)  , avrebbe risveglisto il sangue versato di Agamennone, e la giustizia sarebbe arrivata su Egisto. Io non l’ho mai violata nel letto, Cipride lo sa con me, mi è testimone. aijscuvnomai ga,r ujbrizein (45-46) mi vergogno infatti a eccedere prendendo figli di uomini ricchi- ouj katavxio" gegwv", non ne sono degno-46-Quest’uomo accetta le convenzioni sociali
Compiango il mio parente solo a parole to;n lovgoisi khdeuvont j  ejmoiv (47),  l’infelice Oreste, se giunto ad Argo dovesse vedere le infelici nozze della sorella
Chi dice che sono nw'ro" (50) per il fatto che presa in casa una vergine non la tocco, sappia che invece è tale lui che misura l’essere assennato con metri perversi di intelligenza ( gnwvmh" ponhroi'" kavnosin ajnametrouvmeno", v. 53)

Non capire  è considerata una delle massime sventure dai tre tragici
Un topos relativo all'intelligenza è quello che condanna la stupidità, connessa spesso all'empietà: si trova espresso chiaramente nell'Agamennone[20] di Eschilo dal protagonista che esita a calpestare il tappeto di porpora:" to; mh; kakw'" fronei'n-qeou' mevgiston dw'ron[21]" (vv. 927-928);
quindi nell'Antigone[22] di Sofocle le cui parole conclusive, del Coro, ovvero dell'autore che da questo "cantuccio" si esprime senza "introdursi nell'azione"[23], contengono la morale del dramma e presentano la  quintessenza del sofocleismo: "il comprendere (to; fronei'n[24]) è di gran lunga il primo requisito/della felicità; è necessario poi non essere empio/ in nessun modo negli atti che riguardano gli dèi (crh; de; tav  g j ej" qeou;" mhde;n ajseptei'n)" [25].
 Lo stesso Creonte, che pure non incarna il pensiero di Sofocle, alla fine lo capisce:"mh; fronei'n pleivsth blavbh" (v. 1051), non comprendere è il danno massimo.
La stupidità, per farsi rispettare, inventò l’ingiustizia”[26].
Nelle Troiane, la lucida follia di Cassandra dichiara che chi ha senno deve evitare la guerra: “feuvgein me;n oun crh; povlemon o{sti~ eu\ fronei`” (v. 400) 
Luogo simile nelle Baccanti[27] di Euripide[28]:" Essere equilibrati e venerare gli dèi /è la cosa più bella (To; swfronei'n de; kai; sevbein ta; tw'n qew'n-kavlliston"), e credo che questo sia anche il bene/più saggio per chi sa farne uso (vv.1150-1151).
Epicuro nell’Epistola a Meneceo afferma: “to; mevgiston ajgaqo;n frovnhsi"” (132, 5), il massimo bene è la saggezza.  
"La pietà suprema sarà per i Greci l'intelligenza"[29].
Capire significa anche amare.

CONTINUA

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[13] L'ottima sposa si presenta, metaforicamente, come un arciere toxovth" che con il suo arco (tovxon) mira alla buona reputazione cui si accompagna la felicità nella culture of shame
[14] Euripide sembra indicare l'insufficienza "della cultura di vergogna"
[15] Nell'Elettra di Euripide il contadino che ha sposato la figlia di Agamennone senza del resto consumare il matrimonio, dopo avere visto la moglie che parla con Oreste davanti alla casupola le dice:"gunaikiv toi-aijscro;n metajndrw'n eJstavnai neaniw'n" ( vv. 343-344), per una donna certo è una vergogna stare fuori con uomini giovani.
[16] Secondo Saffo il silenzio assoluto è uno degli effetti del mal d'amore :" allora non / è possibile più che io dica niente / ma la lingua mi rimane spezzata" (fr. 31 LP, vv.7-9).
[17] Un figlio di Tieste
[18] Il dio della ricchezza, ovviamente.
[19] "non ganeo et profligator ut plerique sua haurientium  sed erudito luxu ", non donnaiolo e dissipatore come la maggior parte di quelli che scialacquano il patrimonio, ma uomo di raffinata eleganza,  definisce Tacito in Annales  XVI, 18, l'elegantiae arbiter  cui si attribuisce la satira menippea.
[20] Del 458 a. C.
[21] Il non capire male/ è il dono più grande di dio.
[22] Del  442.
[23]Cfr.  A. Manzoni,  Prefazione  a Il conte di Carmagnola .
[24] "Con fronei'n, "saggezza", il coro non allude a qualità teoretiche, come la conoscenza o la sapienza, ma a un modo di pensare, di sentire e di agire misurato, equilibrato, improntato al rispetto degli dèi. Allude a qualità morali" , G. A. Privitera, R. Pretagostini,  Storie e forme della letteratura greca, p. 281.
[25] Vv. 1347-1349.
[26] J. Ortega y  Gasset, Idea del teatro, p. 30.
[27] Rappresentate postume
[28] 485 ca-406 a. C.
[29] M. Zambrano, L'uomo e il divino (1955),  p. 194.

Parole di pace nei testi sacri.

  Il personaggio Settembrini   parla contro la pena di morte: “citò persino il versetto “mia è la vendetta”. (cfr. Deuteronomio 32 n. ...