venerdì 11 gennaio 2019

Il potere della passione. Parte 4

Le vespe di Aristofane al Teatro Greco di Siracusa, 2014
fotografia di Tommaso Le Pera

Il potere della passione

Quarta parte del percorso che presenterò nel liceo Aldo Moro di Manfredonia durante la notte dei licei, 11 gennaio 2019

La passione del potere (pp. 15-21)

“Nulla era più strano di questo popolo sovrano di Atene. Sempre geloso della sua democrazia, sempre febbrilmente ansioso a ogni grido d’allarme contro le minacce oligarchiche e tiranniche, esso si abbandonava ciecamente alla guida capricciosa, interessata e spesso irragionevole dei demagoghi. Così, mentre libertà e uguaglianza valevano al di sopra di ogni cosa, il demos stesso esercitava malignamente l’oppressione più dura e più dispotica sui ricchi e sui nobili, ai quali imponeva senza riguardo liturgie e incombenze d’ogni sorta; anzi il massimo piacere dei giurati era comminare condanne severe, perfino ingiuste, agli imputati più illustri, nonostante la loro nobiltà e la loro ricchezza. Gli ottimati ricorsero allora al mezzo che appariva più a portata di mano: associazioni o eterie furono allargate fino a diventare clubs politici, destinati a promuovere il sostegno reciproco fra i loro membri in caso di elezioni e di processi” (Droysen, Aristofane, p. 114).

Aristofane denuncia, ridendo, la parzialità, contraria ai ricchi, dei tribunali popolari ateniesi, nella commedia Sfh`ke~ (le Vespe, del 422). Un giudice dell’Eliea, il vecchio Filocleone. che prende la modesta paga di tre oboli al mese, esulta per il potere che il suo ruolo gli conferisce: tutti lo adulano e corteggiano, in casa e fuori, e “quando io fulmino - dice - schioccano con le labbra per paura e se la fanno adosso ricchi e nobili (vv. 626 - 628). E anche tu – rivolto al figlio Bdelicleone - mi temi. Ma il giovane, che ha schifo di Cleone, lo convincerà che il demagogo usa lui e altri stupidi vecchi fanatici compensandoli con una misera paga rispetto ai propri colossali profitti.

“l’istanza fatta valere dalla demoktratia ateniese (“il popolo sia al di sopra di tutto col suo deliberare (boulesthai) viene in parte vanificata (o contenuta) attraverso il meccanismo della circolarità masse - capi. E’ Teramene il grande regista del processo delle Arginuse! Il demo crede di imporre il proprio volere ma è lui che lo pilota, anche attraverso i “retori minori”… Quella circolarità riemerge, sulla scala dei millenni, ogni volta che un moto di popolo, un ridestarsi del “popolo”, prende corpo e dà forma a uno Stato”1.
Sentiamo quindi Polibio: “paraplhsivw~ oujde; dhmokrativan, ejn h|/ pa'n plh'qo~ kuvriovn ejsti poiei'n o[ ti pot j a]n aujto; boulhqh'/ kai; proqh'tai” (6, 4 , 4), similmente non è democrazia quella in cui la massa sia padrona di fare tutto ciò che voglia e preferisca; invece, continua Polibio, lo è quella presso la quale è tradizionale e abituale venerare gli dèi, onorare i genitori, rispettare gli anziani, obbedire alle leggi; presso tali comunità, quando prevale il parere dei più (o{tan to; toi'~ pleivosi dovxan nika'/), questo bisogna chiamare democrazia. Il fatto che Polibio più avanti scriva (9, 23, 8) che ai tempi di Pericle ad Atene gli atti crudeli erano pochi (ojlivga me;n ta; pikrav) mentre prevalevano quelli buoni e santi (polla; de; ta; crhsta; kai; semnav) fa pensare che lo storico considerava se non “vanificata”, certo “contenuta” e limitata da Pericle, la prepotenza del plh'qo~ nel primo periodo della democrazia radicale.

Luogo simile in Cicerone: “Si vero populus plurimum potest omniaque eius arbitrio reguntur, dicitur illa libertas, est vero licentia” (de rep., 3, 23), se poi il popolo ha il massimo potere e tutto viene retto secondo il suo arbitrio, quella si chiama libertà, ma è piuttosto licenza.
Secondo Cicerone il buon governo è quello degli optimates dei quali nell’orazione Pro Sestio (del 56 a. C.) dà questa definizione: “Omnes optimates sunt qui neque nocentes sunt, nec natura improbi nec furiosi, nec malis domesticis impediti” (97), sono tutti ottimati quelli che non sono nocivi, né per natura malvagi né squilibrati, né inceppati da difficoltà familiari
“E appunto qui riesce opportuna la lettura diretta e attenta dei testi: perché ne risulterà che la democrazia della quale parlano gli scrittori greci del V e del IV secolo non è quella democrazia che consiste nel regime di libertà e di uguaglianza, bensì quella che ci rappresenta efficacemente Aristotele quando la definisce il governo dei poveri nel loro particolare interesse. Dei poveri, si badi, e non, come si ode spesso ripetere a proposito di questa definizione aristotelica, dei molti o della maggioranza… Ora, è perché la democrazia è il governo di classe nel quale i poveri - noi oggi diremmo il proletariato - hanno il potere, che Aristotele la considera forma di governo degenere: e non certo perché in essa regnino la parrhesìa e l’isonomìa, la libertà e l’uguaglianza. Anzi, ciò che Aristotele deplora nella democrazia è che il popolo - cioè, ripeto, il proletariato - vi tenda ad essere “kuvrio~ tw'n novmwn” (Politica, 1298b), padrone delle leggi e non soggetto ad esse, e conseguentemente non vi siano la libertà e l’uguaglianza, che soltanto dall’assoluta sovranità della legge, e non da quella di un uomo o di una classe, sono assicurate. In altre parole, Aristotele condanna la demokratìa perché è un regime di classe socialistico, e contrappone ad essa come corrispondente forma retta di governo quella - la politèia - in cui governa la maggioranza sì, ma sono sovrane le leggi: lo Stato di diritto insomma, lo Stato di democrazia liberale”2.
Invero Aristotele nel passo citato sopra da Fassò “kuvrio~ tw'n novmwn” (Politica, 1298b), non si riferisce solo alla democrazia ma pure a un ordinamento oligarchico estremo: quando poi coloro che detengono la sovranità nei corpi deliberativi si scelgono gli uni con gli altri, quando il figlio succede al padre nel posto che questi ha lasciato libero, quando costoro pretendono di essere padroni delle leggi, allora è necessario che questo sia un ordinamento oligarchico estremo (ojligarcikwtavthn tavxin). Dove il potere dunque si perpetua attraverso la cooptazione.

Il potere delle leggi
Nella Politica, Aristotele afferma che dove le leggi non sono sovrane appaiono i demagoghi, in quanto allora diventa sovrano il popolo. Un popolo del genere diventa dispotico in quanto non è governato dalla legge. In questa situazione sono reputati gli adulatori, e una democrazia di tale fatta corrisponde alla tirannide. Infatti le decisioni dell’assemblea corrispondono agli editti del tiranno e il demagogo corrisponde all’adulatore. Il popolo è sovrano di tutto di nome, ma di fatto il demagogo è padrone dei sentimenti del popolo. Dunque ha ragione chi dice che tale democrazia non è una vera costituzione, poiché non c’è costituzione dove non comandano le leggi ( o[pou ga;r mh; novmoi a[rcousin, oujk e[sti politeiva, 1292a).
Nella democrazia radicale c’è l’oppressione sui migliori attraverso i decreti (yhfivsmata) che prevalgono sulle leggi (novmoi). Così nella tirannide gli editti ejpitavgmata prevalgono sulle leggi.
Si può pensare al khvrugma di Creonte nell’Antigone di Sofocle (v. 8)

Nella Costituzione degli Ateniesi , scritta negli ultimi anni di vita, il filosofo di Stagira (384 - 322 a. C.) passa in rassegna gli 11 regimi che si sono succeduti ad Atene e nota gli errori seguiti alla riforma di Efialte che abbatté il potere dell’Areopago: da allora il governo commise più errori a causa dei demagoghi dia; th;n th'~ qalavssh~ ajrchvn (41, 2), per il potere sul mare. Dopo la spedzione in Sicilia ci fu la costituzione oligarchica dei Quattrocento e la tirannide dei Trenta, quindi, con la restaurazione democratica, il popolo ha reso se stesso padrone assoluto di ogni cosa: “aJpavntwn ga;r aujto;~ auJto;n pepoivhken oJ dh'mo~ kuvrion” (41, 2).

La teoria della classe media. Tre voci diverse: Euripide, Aristotele, Salvatorelli
Troviamo la teoria della classe media nelle Supplici 3 di Euripide: “triw'n de; moirw'n hj jn mevsw/ sw9zei povlei". Sono parole di Teseo che in questo testo non è il perfido seduttore e profittatore di Arianna4, ma l'eroe patrio garante dei valori della povli", il fondatore della democrazia e la prefigurazione di Pericle.
Questa teoria torna nell'Oreste (del 408) dove Euripide " vede negli aujtourgoiv, nei lavoratori in proprio, coloro che soli sono in grado di salvare la polis . Il v. 920 dell'Oreste - "un lavoratore in proprio, di quelli che appunto sono i soli a salvare la patria"5 - ricorda da vicino Suppl. 244:"delle tre parti quella che sta in mezzo salva le città". La classe media era quindi per Euripide costituita essenzialmente dai contadini che lavorano il fondo di loro proprietà"6.

Aristotele preferisce una costituzione fondata sulla supremazia della classe media che né i poveri né i ricchi potranno rovesciare poiché non vorranno mai accordarsi tra loro e non potranno trovare un’altra costituzione che valga per entrambi (Politica, 1296 b, 35). La clesse media oJ mevso" è l’arbitro nel quale si nutre la maggiore fiducia oJ diaiththv" pistovtato". Tanto più è stabile tosouvtw/ minimwtevra la costituzione, quanto meglio è stata miscelata o{sw/ d j a]n a[meinon hj politeiva meicqh'/ (1297a)

Viene in mente, mutatis mutandis, Luigi Salvatorelli che scrive: “il fascismo rappresenta “la lotta di classe” della piccola borghesia incastrata tra capitalismo e proletariato. La mentalità della piccola borghesia umanistica si riassume in una parola sola: retorica.
La piccola borghesia possiede la cosiddetta cultura generale che potrebbe definirsi “l’analfabetismo degli alfabeti” Questa consiste in una infarinatura storico - letteraria , in cui la parte letteraria è puramente grammaticale e formalistica, mentre quella storica si riduce a un cumulo di date e di battaglie e di nomi di sovrani. Tutto l’insegnamento è una congerie di nozioni generiche, astratte, da imparare meccanicamente, senza stimolo al senso critico e senza contatto con il processo storico e la realtà attuale. Di qui, nella piccola borghesia, il fanatismo per la formula indiscussa e indiscutibile.(Nazionalfascismo, 1923).
Oggi va anche peggio con la verifica della preparazione liceale e perfino universitaria fatta attraverso i quiz. Sono venute meno anche quelle parti tecnicistiche, grammaticali, formalistiche le quali potevano costituire il primo gradino, il più basso del sapere.
Vero è che pochi insegnanti procedevano oltre, e quanti lo facevano erano malvisti dai colleghi. Non dagli studenti per fortuna.
Ora nella maggior parte delle istituzioni che dovrebbero diffondere cultura c’è il nulla, il nichilismo culturale. Eppure ci sono tante persone cui la cultura manca nel senso che ne sentono il desiderio.

Nella Costituzione degli Ateniesi pseudosenefontea il dialogante A biasima la democrazia come prepotenza del popolo, e sostiene che essa è la conseguenza dell’impero marittimo: la canaglia ha preso il potere e ha reso forte la città in quanto è il popolo che fa andare le navi o{ti oJ dh'mo;~ ejstin oJ ejlauvnwn ta;~ nau'~ (1, 2).

Potere e impotenza delle leggi
Nella Vita di Solone di Plutarco troviamo una derisione delle leggi scritte attribuita ad Anacarsi che fu ospite e amico del legislatore Ateniese. Lo Scita dunque derideva l’opera del legislatore che pensava di frenare l’iniquità dei cittadini con parole scritte le quali, diceva Anacarsi, non differiscono affatto dalle ragnatele (mhde;n tw`n ajracnivwn diafevrein, 5, 4), ma come quelle trattengono le prede deboli e piccole, mentre saranno spezzate dai potenti e dai ricchi (uJpo; de; dunatw`n kai; plousivwn diarraghvsesqai).
Le leggi dunque colpirebbero solo i deboli.
Nietzsche: “Le leggi contro i ladri e gli assassini sono fatte a favore delle persone colte e ricche”7.
Sofocle nell’Antigone (secondo episodio, vv. 450 - 457) e nell’Edipo re (secondo stasimo, prima strofe, vv. 863 - 872) toglie valore alle leggi scritte di fronte a quelle divine che promanano dagli oracoli dei santuari, da Delfi, dal Parnaso e dall’Olimpo.


CONTINUA

-------------------------
1 Luciano Canfora, Legge o natura? In NOMOS BASILEUS, p. 59
2 G. Fassò, La democrazia in Grecia, p. 11.
3 Del 422 a. C.
4 Alcuni personaggi del mito, come Teseo appunto, o Eracle, possiedono una pluralità di significati.
5Aujtourgo;", oiJvper kai; movnoi swv/zousi gh'n.
6Di Benedetto, Euripide: teatro e società, , p. 208.

7 Frammenti postumi, 1876, 14

Nessun commento:

Posta un commento

La gita “scolastica” a Eger. Prima parte. Silvia e i disegni di una bambina.

  Sabato 4 agosto andammo   tutti a Eger, famosa per avere respinto un assalto dei Turchi e per i suoi vini: l’ Egri bikavér , il sangue ...