sabato 5 gennaio 2019

Plutarco in Shakespeare. Parte 3

Giulio Cesare interpretato da John Gielgud


Shakespere,
Giulio Cesare (1599-1600)
   Cesare dice ad Antonio: “Let me have men about me that are fat/sleek-headed men, and such as sleep a-nights.-Yond Cassius-has a lean and hungry look;/he thinks too much; such men are dangerous”, grassi con la testa curata e che dormano la notte ( Giulio Cesare,  I, 2, 191-194), quel Cassio ha l’aria dello snello affamato; pensa troppo; uomini del genere sono pericolosi.
 
Quindi   Cesare aggiunge: Would he were fatter” (I, 2), vorrei che fosse più grasso. Legge molto, è un grande osservatore, sa scrutare. Non lo temo ma se il mio animo fosse soggetto al timore, non conosco uomo che eviterei più prontamente di quell’asciutto Cassio as that spǎre Cassius. Tra l’altro he loves no plays, as tou dost, Antony; he hears no music.

Forse anche Cassio la considera “politicamente sospetta”, come Settembrini di T. Mann
 Disse che non gli piaceva ascoltare la musica a comando e quando puzzava di farmacia e veniva inflitta per ragioni sanitarie.- La musica è qualcosa di non completamente articolato, di ambiguo, di irresponsabile, di indifferente. Nutro nei confronti della musica un’avversione politica: l’ho in sospetto di quietismo. Settembrini è un cultore della parola doppiamente articolata in significanti e significati.
 La  musica deve essere preceduta dalla letteratura. Da sola è pericolosa e non fa progredire il mondo. E’ ambigua e politicamente sospetta
Può fare l’effetto degli oppiacei che provocano servile ristagno[1].

Del resto Platone nella Repubblica sostiene che l’educazione deve constare di ginnastica e musica perché il ragazzo non rimanga più molle o più rozzo del necessario. (tou' devonto").

Cesare non teme Cassio anche se Cassio è da temere: I rather tell thee what is feared-rather than I fear; for always I am Caesar (I, 2, 197)
Cfr. Medea superest ( Seneca, Medea, v. 166) , e I am Antony yet ( Antonio e Cleopatra  III, 13)

Sentiamo Plutarco. Cesare sospettava di lui. Una volta disse agli amici: “ tiv faivnetai boulovmenoς uJmi'n Kassioς ; ejmoi; me;n ga;r ouj livan ajrevskei, livan wjcro;ς w[n(Vita di Cesare, 62, 10), che cosa vi sembra che Cassio mediti? A me infatti non piace troppo, è troppo pallido.
Un’altra  volta che sentì accusare di sedizione Antonio e Dolabella, Cesare disse: “ouj pavnu touvtouς devdoika tou;ς pacei'ς kai; komhvtaς , ma'llon de; tou;ς  wjcrou;ς kai; leptou;ς ejkeivnouς”, Kavssion levgwn kai; Brou'ton (62, 10), non ho paura di questi che sono grassi e con i capelli curati, ma piuttosto di quelli pallidi e magri, intendendo Bruto e Cassio.
 Lo stesso concetto, con parole non tanto diverse scrive Plutarco nella Vita di Bruto (8, 2): kai; prw'ton me;n  j Antwnivou kai; Dolobevlla legomevnwn newterivzein, oujk e[fh pacei'"  kai; komhvta" ejnoclei'n aujto;n ajlla; tou;" wjcrou;" kai; ijscnouv" , di Antonio e Dolabella si diceva che complottavano, e Cesare disse subito che non lo turbavano gli uomini grassi e capelluti ma quelli pallidi e snelli

All’inizio del II atto, Bruto dice: th’abuse of greatness is when it disjoins-disiungo- remors from power, l’abuso della grandezza avviene quando essa disgiunge la pietà dal potere (Giulio Cesare, II, 1, 18-19).
Cfr. l’ Aiace di Sofocle  quando Odisseo dice che non odia più il nemico morto, lo faceva quando odiarlo era cosa nobile in quanto Aiace era nemico “  [egwg j  ejmivsoun d’ hJnivk j h\n misei'n kalovn (1347).
Agamennone risponde: to;n toi tuvrannon eujsebei'n ouj rJa/dion” 1350), non è facile che un uomo di potere abbia pietà.

Quanto alla citazione manzoniana tratta dal “barbaro che non era privo d’ingegno” (“tra il primo pensiero d’una impresa terribile, e l’esecuzione di essa l’intervallo è un sogno pieno di esecuzione e di paure VII cap,), l’inglese di Shakespeare in certi momenti è più vicino al latino di quanto lo sia l’italiano di Manzoni il codificatore della lingua media scritta: “between the acting (ago, actus) of a dreadful thing and the first motion (cfr. motio e motus), all the interim (cfr l’avverbio latino interim=nell’intervallo) is like  a phantasma (greco favntasmalat phantasma)  or a hideous (lat. hispidus) dream, orrendo sogno (Giulio Cesare, II, 1, 63-65)
E’ Bruto che ha parlato a se stesso.

Entrano poi altri congiurati e decidono di tenere fuori Cicerone
Bruto dice che non seguirà mai una cosa iniziata da altri, e  Casca: “indeed he is not fit”-factus (II, 1, 153) non è adatto.

Plutarco racconta  che a Cicerone il progetto non fu reso noto poiché era ejndeh;ς tovlmhς fuvsei difettoso di audacia  per natura   e con l’età aveva assunto per giunta la tipica cautela dei vecchi gerontikh;n eujlavbeian. (Vita di Bruto, 12, 2).
 
Poi escono i congiurati ed entra Porzia cugina e moglie di Bruto, e pure figlia di Catone. Chiede a Bruto di essere messa al corrente di quanto hanno tramato quei sei o sette uomini who hide their faces-even from darkness (277-278) che nascondevano i volti perfino all’oscurità.
Domanda al marito: “dwell I but in the suburbs-of your good pleasure”?, abito io solo alla periferia del tuo piacere?
Dice dunque al marito: “ sono una donna, ma una donna ben reputata (well reputed-repǔto). Sono figlia di Catone.
Non credi che sia più forte del mio sesso con un tale padre e un tale marito? Ho dato una forte prova della mia costanza (I have made strong proof –proba, probo- of my constancy- procurandomi una ferita volontaria sulla coscia giving myself a voluntary-voluntarius- wound –here. in the tigh. Posso sopportare questa con coraggio e non i segreti di mio marito?”. Bruto allora disse: o dei rendetemi degno di questa nobile moglie! (Giulio Cesare, II, 1, 299-301).

Cfr. La Vita di Bruto di Plutarco (13). Porzia si era ferita a una coscia con uno di quei coltelli che usano i barbieri per tagliare le unghie. Disse: sono figlia di Catone e moglie di Bruto e dicendo così deivknusin aujtw'/ to; trau'ma kai; dihgei'tai thn pei'ran, gli mostra la  ferita e gli racconta la prova (13, 11).
 
Per quanto riguarda il darsi animo dei personaggi tragici, Giulio Cesare dice alla moglie Calpurnia spaventata dai presagi: “The things that threatened (lat trudotrusi, trusum,  spingo) me-ne’er looked but on my back; when they shall see-the face (lat. facies), of Caesar, they are vanished” (lat. vanesco) (II, 2, 10-12), le cose che mi hanno minacciato, hanno visto soltanto la mia schiena, quando vedranno la faccia di Cesare saranno svanite
E poco dopo Cesare dice che non resterà a casa: “Danger knows full well –that Caesar is more dangerous than he” (II, 2, 44-45)

Cesare dice all’indovino: The ides of March are come- e quello risponde: “Ay Caesar, but not gone”, sì ma non sono passati. (III, 1, 1-2)
 E in Plutarco:  Cesare entrando in senato salutò l’indovino dicendogli aiJ me;n dh; Mavrtiai Eijdoi; pavreisin, e quello con calma (hJsuch'/) naiv, pavreisin, ajll j ouj parelhluvqasi (63) sì, ma non sono trascorse.

A III 1 78 c’è in latino” Et tu Brute? Then fall Caesar!  
 In Svetonio Cesare dice Kai; su; tevknon ; (Caesaris Vita, 82)
. Forse allude al fatto che Servilia, la madre di Bruto, sorella di Catone Uticense era stata amante di Cesare e Cesare era convinto che Bruto, nato quando Servilia impazziva per lui, si era persuaso che Bruto fosse suo figlio ( Plutarco, Vita di Bruto, 5, 2.).

Le metafore nautiche sono frequenti nella letteratura antica.
Sentiamone una nel Giulio Cesare (IV, 3, 217-220): “There is a tide in the affaire of men, c’è una marea nelle cose degli uomini (qui tide del resto svolge pure la funzione di kairovς) which taken at the flood, leads on to fortune, che presa nel flusso, conduce al successo, omĭtted (lat. omitto lascio perdere) all the voyage of their life is bound in shallows and in miseries, tutto il viaggio della loro vita è arenato in secche e disgrazie (miseriae).
E’ Bruto che parla con Cassio il quale vorrebbe procrastinare.
I due Cesaricidi hanno fatto una discussione nella quale il mio maestro Carlo Izzo ha rilevato una “drammaticità tonale” quando Bruto accusa Cassio di avere affermato di essere miglior soldato di lui e Cassio risponde
You wrong me every way; you wrong me, Brutus/I said an elder soldier, non a better:/did I say better?” (Giulio Cesare, IV, 3, 55-56)
L’uomo teme di essersi lasciato trasportare dall’ira e la battuta contiene il tono con cui va pronunciata,

Una notte in cui Bruto non riusciva a dormire, vide una mostruosa apparizione (monstruos apparition,  IV, 3, 276). Le chiede se fosse some angel or some devil, che rende freddo il sangue e fa rizzare i capelli.
Lo spirito risponde Thy evil  (probably allied to over, über, uJpevr,  super, quindi eccessivo) spirit-spiritus soffio, Brutus, il tuo cattivo genio (281)
 Bruto gli chiede Why com’st thou?
E The Ghost: To tell thee thou shalt see me at Philippi.
E Cesare“Why, I will see thee at Philippi then” (Giulio Cesare, IV, 3, 282-283 )

In Plutarco, Bruto ebbe la visione spaventosa di un uomo orribile
 per grandezza e dall’aria feroce   o[yin ei\de fobera;n ajndro;ς ejkfuvlou to; mevgeqoς kai; calepou' to; ei\doς ( Vita di Cesare, 69, 10, cfr. Bruto, 36
Gli chiese chi fosse, e il fantasma rispose:
oJ so;ς w\ Brou'te daivmwn kakovς: o[yei dev me peri; Filivppouς”   ( Vita di Cesare 69, 11).
Allora Bruto coraggiosamente rispose ti vedrò. Tovte me;n ou\n Brou'toς eujqarsw'ς –“o[yomai” ei\pe.

Parole molto simili si trovano nella Vita di Bruto ( kai; oJ Brou'to"  ouj diataracqei;" oyomai” ei\pen 36, 7)

In Giulio Cesare V, 1, 10 Antonio usa un efficace ossimoro: fearful bravery, pauroso ardire a proposito dei nemici, i Cesaricidi che vogliono fare credere di avere coraggio
Poco dopo ( 34-35) Cassio dice ad Antonio venuto a parlamentare your words-verba- they rob the Hybla bees and leave them honeyless, le tue parolr derubano le api di Ibla e le lasciano senza miele

La fioritura di Ibla è ricordata nel Pervigilium Veneris (vv. 49-52), un carme anonimo di 93 settenari trocaici, forse del IV secolo   Hybla totos funde flores, quidquid annus adtulit/ Hybla florum sume vestem, quantus Aetnae campus est (51-52),  Ibla diffondi tutti i fiori che il nuovo anno portò, Ibla prendi una veste di fiori per quanto si distendono i campi dell’Etna. Venere assistita dalle Grazie vuole che il suo tribunale sia colmo di fiori iblei

Antonio ribatte che alle api ha lasciato il pungiglione.
Ma Bruto replica che ha preso anche quello e pure il loro ronzio e minaccia astutamente prima di pungere,

Bruto salutando Cassio suicida dice: “The last of all the Romans, fare the well! (V, 3)
Cassio è stato definito l’ultimo dei Romani da Cremuzio Cordo.

Tacito negli Annales ricorda gli orrori della tirannide di Tiberio quando i libri degli oppositori venivano condannati: “Cornelio Cosso Asinio Agrippa consulibus, Cremutius Cordus postulatur novo ac tunc primum audito crimine, quod editis annalibus,  laudatoque M. Bruto,  C. Cassium Romanorum ultimum dixisset” ( IV, 34), sotto il consolato di Cornelio Cosso e Asinio Agrippa[2] viene citato in giudizio Cremuzio Cordo per un delitto nuovo e sentito allora per la prima volta: pubblicati degli Annali con la celebrazione di M. Bruto, egli aveva chiamato Cassio l'ultimo dei Romani.
Si ricordino anche i casi di Tito Labieno sotto Augusto e di Trasea Peto con Nerone (cap. 31).

 Bruto dice a Clito che gli ha riferito della cattura o dell’uccisione di Statilio avvicinatosi al campo nemico per contare i morti: “slaying is the word;- it is deed in fashion” (V, 5, 6-7), uccidere è la parola; è un’azione che va di moda.
Quindi Bruto si uccide aiutato da Stratone, e Antonio ne fa l’elogio funebre: era il più nobile di tutti quelli, tutti cospiratori tranne lui: “This was the noblest Roman of them all-all the conspirators save only he”  (Giulio Cesare, V, 5, 68-69)

Nella Vita di Bruto, Plutarco scrive che molti sentirono dire da Antonio che Bruto tra i cesaricidi era l’unico spinto da nobili ideali; gli altri avevano ordito il complotto misou'ntaς kai; fqonou'ntaς (Vita di Bruto, 29, 7) per odio e per invidia.

Leopardi nel Bruto minore del 1821 fa dire a Bruto in procinto di uccidersi “stolta virtù” (16)
Guerra mortale, eterna, o fato indegno,- teco il prode guerreggia,- di cedere inesperto (8-40)
 “ In peggio- precipitano i tempi; e mal  s’affida- a putridi nepoti- l’onor d’egregie menti”  (112-115).
Cfr.  Orazio Carm. I, 6, cedere nescii.
Cfr. il passaggio del Rubicone di Cesare in Svetonio, molto diversi dal quello raccontato nel De bello civili dove Cesare
Un uomo che suonava il flauto, afferrò una tromba, diede il segnale di battaglia e si diresse all’altra riva.
Allora Cesare : “eatur, inquit, quo deorum ostenta et inimicorum iniquitas vocat. Iacta alea esto” (Svetonio, Caesaris vita, 32).

Nella sua opera sulla Guerra civile, questo condottiero non fa cenno a quell’ispirazione divina a cui i suoi contemporanei ricondussero la sua grande decisione della notte fra il 10 e l’11 gennaio: il passaggio del Rubicone. Il Cesare di tutti noi, è, ancor oggi, l’uomo che disse allora: “il dado è tratto”; questo non è il Cesare del Bellum civile, ma il Cesare delle Historiae scritte dal suo ufficiale più “indipendente” e acuto: Asinio Pollione.
Nel suo racconto Cesare aveva voluto esporre le ragioni storico-giuridiche della decisione presa, “condensate” in un’arringa ai soldati (B. C. I, 7)”[3].
Ne De bello civiliCaesar apud milites contionatur , e denuncia il fatto che nella repubblica si sia introdotto novum exemplum…ut tribunicia intercessio armis notaretur atque opprimeretur” (I, 7), il veto dei tribuni veniva censurato e soffocato con le armi.  Perfino Silla che aveva spogliato la tribunicia potestas, tamen intercessionem liberam reliquisse. Bisognava dunque andare a Roma per ripristinare la legalità.    
Asinio, che ancora portava nell’animo il ricordo fascinoso del capo, e tuttavia voleva a suo modo esercitare una critica “indipendente”, dipinse invece un “passaggio del Rubicone” in cui il lettore ritrovava ancora l’ansia e la gravità di quella decisione suprema”. Il racconto di Asinio lo ricostruiamo attraverso storici più tardi[4]. “Tra il racconto di Cesare, scritto forse verso il 46 a. C., e quello di Asinio, che cominciò le sue Historiae verso il 30, corrono quindici anni, o più; ma la differenza non è solo nelle date; è più significativa e radicale; Cesare, scrittore “tucididèo”, ossia razionale, non poteva intendere abbastanza i momenti irrazionali della sua stessa impresa…le Historiae di Asinio potevano riflettere la vera situazione, in maniera più adeguata, senza preoccupazioni apologetiche…Il Cesare autentico è però un incontro della razionalità tucididèa…con la passione politica, che lo animò in questi momenti decisivi”[5].

Cesare “Non permetteva, anche se ciò possa deluderla, che il suo cuore disponesse della sua testa”[6].
Il fatto è che queste due componenti della persona sono intrecciate: il Giulio Cesare  di Plutarco (50-120 d. C.) nel momento di gettare il dado, ossia di infrangere le leggi lanciandosi oltre il Rubicone (gennaio del 49 a. C.), sintetizza emotività e calcolo: agisce "Tevlo" meta; qumou' tino" w[sper ajfei;" eJauto;n ejk tou' logismou' pro;" to; mevllon" (Vita di Cesare , 32), in definitiva con impulso, come se si lanciasse verso il futuro partendo dal ragionamento. Il pathos è un elemento della ragione nelle persone intelligenti



[1] T. Mann, La Montagna incantata, IV capitolo Politicamente sospetta! (p. 159)
[2] Nel 25 d. C.
[3] S. Mazzarino, Il pensiero storico classico, 2, p. 199-200.
[4] P. e. Svetonio, Caesaris vita, 32.
[5] S. Mazzarino, Il pensiero storico classico, 2, p. 201.
[6] B. Brecht, Gli affari del signor Giulio Cesare, p. 22.

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