lunedì 21 gennaio 2019

"Elettra" di Euripide. Parte 1


Commento dei primi 59 versi dell'Elettra di Euripide

Recita il prologo il contadino-autourgov"-, un personaggio positivo.
 Vedi la “teoria della classe media”.

Il senso della misura e la teoria della classe media.
In fondo la differenza tra Caos e Cosmo è data dall’apparire della misura.
In principio, fu Voragine. I Greci la chiamarono Chaos. Che cosa è Voragine?  E’ un vuoto, un vuoto oscuro. Dove niente può essere distinto” (J. P. Vernant, L’Universo, gli dèi, gli uomini, p. 9).
La formulazione più chiara e sintetica del valore della misura è quella del Solone di Plutarco. Quando Creso, il pacchiano re barbaro  gli fece vedere i suoi smisurati tesori e gli chiese se conoscesse qualcuno più felice di lui,  nominò personaggi non famosi e non ricchi, ma "belli e buoni".  Allora Creso lo giudicò strambo (ajllovkoto") e zotico (a[groiko"), tuttavia volle  domandargli se lo mettesse in qualche modo nel novero degli uomini felici. Il legislatore ateniese quindi rispose: "Ai Greci, o re dei Lidi, il dio ha dato di essere misurati (metrivw" e[cein e[dwken oJ qeov"), e per questa misuratezza ci tocca una saggezza non arrogante ma popolare, non regale né splendida "[1]. Erodoto e Sofocle, in quanto seguaci della religione delfica del “nulla di troppo”, condannano spesso la dismisura. Diamo la formula del Secondo Stasimo dell'Antigone:" Sia nel tempo prossimo sia nel futuro/come nel passato  avrà vigore/ questa legge: nulla di smisurato/ si insinua nella vita dei mortali senza rovina (ejkto;" a[ta")" (vv. 611-614). Anche il "sacrilego" Euripide considera santo questo valore:"ajcalivnwn stomavtwn-ajnovmou t& ajfrosuvna"-to; tevlo" dustuciva", cantano le Menadi  nel primo Stasimo ( Baccanti, vv. 387-389), di bocche senza freno, di stoltezza senza misura, il termine è sventura.
Il Coro della Medea nella prima strofe del secondo stasimo  biasima l'eccesso anche nel campo erotico:"Gli Amori che arrivano all'eccesso (a[gan) non procurano/buona reputazione né virtù agli uomini: ma se Cipride/giungesse/con moderazione (a{li" ), nessun'altra dea sarebbe così gradevole./Non scagliare mai, o signora, contro di me dal tuo arco d'oro/il tuo dardo inevitabile dopo averlo intinto di desiderio (vv. 627-635).
Nietzsche mette in rilievo il valore della misura nella sfera dell'apollineo:"Apollo, come divinità etica, esige dai suoi la misura e, per poterla osservare, la conoscenza di sé. E così, accanto alla necessità estetica della bellezza, si fa valere l'esigenza del "conosci te stesso" e del "non troppo", mentre l'esaltazione di sé e l'eccesso furono considerati i veri demoni ostili della sfera non apollinea, dell'età titanica, e del mondo extraapollineo, cioè del mondo barbarico"[2].

A questa idea della misura è collegabile  la teoria della classe media.  La troviamo nelle Supplici [3] di Euripide. Qui Teseo[4] non è il vile seduttore di Arianna, ma l'eroe patrio garante dei valori della povli", il fondatore della democrazia e la prefigurazione di Pericle. I fautori della tirannide invece sono personaggi negativi.
Teseo si oppone all'araldo tebano il quale sostiene il vantaggio di una città governata da un solo uomo ( che poi è Creonte) ponendo, tra l'altro, una domanda retorica:" Come potrebbe il popolo, che non ragiona rettamente, reggere uno Stato?" (vv. 417-418).
Il capo degli Ateniesi "non controbatte  l'araldo per quel che riguarda la critica ai demagoghi"[5], ma propugna  la teoria della classe media.
Tre sono le classi dei cittadini: i ricchi sono inutili e desiderano avere sempre di più, quelli che non hanno mezzi di sussistenza sono temibili ("deinoiv", v. 241) poiché si lasciano prendere dall'invidia e, ingannati dalle lingue dei capi malvagi, lanciano strali contro i possidenti. Questa parte della teoria che vede nei poveri dei potenziali  delinquenti si trova anche nella Costituzione degli Ateniesi dello Pseudo Senofonte. L’anonimo autore chiamato  “il vecchio oligarca”, da August Boeck identificato con Crizia, cervello e capo politico dei “Trenta tiranni”, sostiene che nel popolo c’è il massimo di ignoranza , di disordine e malvagità: la povertà infatti spinge piuttosto alle turpitudini, come la mancanza di educazione e l’ignoranza che in alcuni nasce dall’indigenza (1, 5).
In conclusione:"Triw'n de; moirw'n hJ  jn mevsw/ sw/zei povlei"-kovsmon fulavssous j o{ntin j  a]n tavxh/ povli"",  ( Supplici, vv. 244-245), delle tre parti quella che sta in mezzo salva le città, custodendo l'ordine che essa dispone. Anche Plutarco nella Vita di Teseo mette in rilievo la cura del figlio di Egeo per l’ordine: egli unificò la popolazione e fondò la democrazia dell’Attica ma non permise che questa, risultante da una massa indistinta riversatasi là, fosse disorganizzata e confusa (ouj mh;n a[takton oujde; memeigmevnhn periei'den, 25, 2).  
 La teoria della bontà della via di mezzo e della classe media si ripropone  negli  anni successivi.  Nell'Elettra[6] di Euripide Oreste considera la ricchezza un giudice cattivo, ma, aggiunge, la povertà ha una malattia:"didavskei d ' a[ndra th'/ creiva/ kakovn "(v. 375), nel bisogno insegna all'uomo a fare il male
 Concludo con l’Oreste  (del 408). (p. 191) “Egli[7] vede negli aujtourgoiv, nei lavoratori in proprio, coloro che soli sono in grado di salvare la polis . Il v. 920 dell'Oreste - "un lavoratore in proprio, di quelli che appunto sono i soli a salvare la patria"[8]-ricorda da vicino Suppl. 244:"delle tre parti quella che sta in mezzo salva le città". La classe media era quindi per Euripide costituita essenzialmente dai contadini che lavorano il fondo di loro proprietà"[9].-
Questo marito in bianco di Elettra, reclusa con lui in una zona montuosa dell’Argolide al confine con la Laconia, ricorda quando Agamennone e[pleuse salpò nausi; cilivai"  contro la Troade ( Elettra, vv. 2 e 3)

Tucidide tende a sfatare il mito della grande guerra di Troia,
Agamennone invero raccolse la flotta poiché superava in potenza i potenti di allora (tw'n tovte dunavmei prouvcwn, I 9, 1).
Il lidio Pelope infatti aveva portato dall'Asia immense ricchezze venendo in Grecia tra gente povera (ej" ajnqrwvpou" ajpovrou", I 9, 2) e proprio per questo si costruì una potenza politica (duvnamin I, 9, 2) e divenne eponimo di quella terra, poi chiamata Peloponneso appunto Il figlio di Pelope, Atreo, continua Tucidide, ereditò la potenza paterna e la lasciò, accresciuta, ad Agamennone, il quale, divenuto più forte degli altri anche per la flotta, poté guidare la spedizione dopo avere raccolto l'armata non con l'amore più che con la paura:"th;n strateivan ouj cavriti to; plevon h] fovbw/ xunagagw;n"(I, 9, 3).
 Questa tesi viene autorizzata con l'attestazione di Omero e la citazione di un verso dell'Iliade  (II, 1O8):"pollh'/sin nhvsoisi kai;  [Argei panti; ajnavssein", su molte isole e su l'Argolide tutta a regnare[10]. Dunque l'Atride aveva una flotta e da questa spedizione si deve congetturare (eijkavzein de; crhv, I, 9, 4)) quanto (meno) grandi siano state le precedenti.
Quella guerra del  resto non poté essere tanto grande  quanto l'ultima combattuta dai Greci. Lo stesso Omero che, siccome poeta, ingrandisce, racconta di 1200 navi con un carico di uomini non innumerevoli: dai 120 delle imbarcazioni dei Beoti, ai 50 dei vascelli di Filottete. La conclusione del ragionamento è che, per chi considera la media, non sembrano molti quelli andati a Troia, visto che erano stati mandati  da tutta la Grecia in comune:"to; mevson skopou'nti ouj polloi; faivnontai ejlqovnte", wJ" ajpo; pavsh" th'" jEllavdo" koinh'/ pempovmenoi"(I, 10, 5). H. Strasburger ne deduce una volontà emulativa dello storiografo:"Ciò che indusse Tucidide alla sua opera fu piuttosto, come abbastanza chiaramente egli stesso lascia capire, la speranza di poter superare la guerra di Troia e quella contro i persiani con la sua guerra , e conseguentemente Omero ed Erodoto con la sua narrazione"[11].

Il contadino racconta il successo di Agamennone a Troia-kakei' me;n eujtuvchsen- (Elettra, 8). Ma l’eujtuciva il successo non è eujdaimoniva, felicità[12].

Cfr. Medea dove il messo racconta la morte di Creonte e della figlia Glauce quindi commenta;
 Le cose mortali non ora per la prima volta considero ombra, 1223
e senza timore potrei dire che gli uomini i quali si credono
 pieni di sapere e indagatori di ragioni
proprio costoro meritano l'accusa della più grande follia.
Tra i mortali infatti non c'è nessun uomo che sia felice, cercal il greco
quando passa un'ondata di prosperità, uno può diventare
 più fortunato di un altro, ma felice nessuno. 1230
Euripide esprime simile negazione della felicità anche in un verso del prologo della perduta Stenebea  citato da Aristofane :" oujk e[stin o{sti" pavnt j ajnh;r eujdaimonei'" ( Rane  , v. 1217).

Agamennone dunque, se ebbe successo nella Troade, ejn de; dwvmasin-qnh/skei, muore ucciso nel palazzo in aggiunta all’inganno di Clitennestra- pro;" Klutaimnhvstra" dovlw/ (9) e di Egisto, figlio di Tieste. Ammazzato il marito, i due amanti si sono sposati.
Partendo per Troia il re lasciò nel palazzo a[rsena tj  jOrevsthn, qh'luv t jj Hlevktra" qavlo" (Elettra, 15) un maschio Oreste e una femmina il germoglio di Elettra.

Dalla radice qal- deriva il sostantivo qavlo" che indica il "germoglio" cui verrà assimilata Nausicaa da Ulisse nel VI canto (v. 157).-qavllw, fiorisco. La fioritura è collegata alla giovane età e al correlativo celibato; così come qavlo" viene chiamata Nausicaa da Odisseo quando vuole ingraziarsela (v. 157),

vv. 153-157:"se invece sei uno dei mortali, che dimorano sulla terra,/tre volte felici certo per merito tuo il padre e la veneranda madre,/tre volte felici i fratelli: molto, credo, a loro l'animo/tutte le volte di letizia si scalda per te/quando vedono un tale germoglio entrare nella danza".-qh'lu" , femminile, femmina, è imparentato etimologicamente  con femina, felix, felicitas, da una radice indoeuropea *dha-/dhe che ha dato come esito in greco qh-, in latino fe-


CONTINUA

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[1] Plutarco , Vita di Solone , 27.
[2] La nascita della tragedia, p. 37.
[3] Del 422 a. C.
[4] Alcuni personaggi del mito, come Teseo appunto, o Eracle, possiedono una pluralità di significati. Più avanti vedremo lo stesso di Orfeo.
[5]V. Di Benedetto, Euripide: teatro e società , p. 180.
[6] Probabilmente degli anni intorno al 415.
[7] Euripide.
[8]Aujtourgo;", oiJvper kai; movnoi sw/zousi gh'n.
[9]Di Benedetto, op. cit., p. 208.
[10] Omero fa la storia dello scettro che Agamennone tiene in mano. Era di origine divina e glielo aveva lasciato Tieste da portare come simbolo del potere (“a regnare”, appunto).
 [11] La storia secondo i Greci: due modelli storiografici, in La storiografia greca , p. 18.
[12] "Gianni Agnelli è stato un uomo fortunato, nel senso che gli dei gli procurarono, all'apparenza, tutto quanto si può desiderare nella vita. Ma non è stato un uomo felice" scrive Piero Ottone pochi giorni dopo la morte di questo personaggio molto noto, invidiato e corteggiato (in Il Venerdì di "la Repubblica" del 31  gennaio 2003, p. 19).

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