giovedì 31 ottobre 2019

Donne e uomini nell’"Ecuba" (224) di Euripide. Prima parte

Pietro Liberi (?), Ecuba e Priamo
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Presenterò questo percorso il 4 novembre nella biblioteca Ginzburg di Bologna

Eroismo e nobiltà di Polissena. Infuriamento di Ecuba che punisce Polimestore che uccise suo figlio Polidoro

Giacerò al buio con i morti, continua Polissena, eppure con
questi lamentosi canti funebri piango la tua sorte madre, non
la mia vita lwvban luvman t j , oltraggio e vergogna, per me morire e
l’accidente migliore - qanei'n moi - xuntuciva kreivsswn (214 - 215)
Quindi la madre supplica Odisseo di non ammazzare la fglia
con un verso che è un'alta espressione di umanesimo in
favore della vita:"mhde; ktavnhte: tw'n teqnhkovtwn a{li" " (v. 278),
non ammazzatela: ce ne sono stati abbastanza di morti.
Grazie a lei io giosco - gevghqa - e dimentico i mali kajpilhvqomai
kakw'n (279), lei per me è la consolazione moi parayuchv di
molte sventure, lei è povli", tiqhvnh, bavktron, hjgemw;n oJdou' (281)
patria, nutrice, bastone, guida della strada.
Torniamo a Ecuba la quale deplora i propri lovgoi pro;" aijqevra - frou'doi mavthn (334 - 335) e consiglia alla figlia giovane e bella –ei[ ti meivzw duvnamin h] mhvthr e[cei" (336) di provare ad autodifendersi : impegnati per non essere privata della vita a lanciare trilli come la bocca di un usignolo - ws{ t j ajhdovno" stovma fqogga;" iJei'sa (337 - 338). Convinci Odisseo ad avere pieta.
Polissena dice a Odisseo che non deve temere di venire importunato da suppliche. Ti seguiro per via della necessita, poi sono io che voglio morire qanei'n te crhv/zomai (347).
Se non lo volessi, continua Polissena, kakh; fanou'mai kai;
filovyuco" gunhv (348) apparirò quale donna vile e attaccata
alla vita. Vengo da una condizione principesca, una ragazza h|/
path;r h\n a[nax - Frugw'n ajpavntwn (349 - 350) e dovevo sposare un
re. Avevo molti pretendenti. Ero i[sh qeoi'si plh;n to; katqanei'n
movnon (356), simile alle dèe a parte che sarei dovuta morire,
nu'n dj eijmi; douvlh, ora sono una schiava. Basta questo nome cui
non sono avvezza a farmi amare il morire. Posso essere
comprata per denaro, io, la sorella di Ettore e di molti altri
eroi, addetta alla necessità di fare il pane, - prosqei;" d j ajnavgkhn sitopoiovn ejn dovmoi", 362, di spazzare la casa - saivrein
te dw'ma - e stare al telaio 363.
Uno schiavo comprato da qualche parte dou'lo" wjnhtov" povqen
insozzerà il mio letto - levch de; tajma; cranei' - craivnw - che una volta era
considerato degno di principi. Mando fuori dagli occhi una luce
libera attribuendo il mio corpo all’Ade (367). Polissena chiede
alla madre di non impedirle quanto ha deciso: mhde;n ejmpodwvn
gevnh/ (372), anzi di condividere la sua volontà: morire è meglio
che subire turpitudini immeritate (374). Chi non è abituato ad
assaggiare i mali li porta sul collo con sofferenza e si sente
più fortunato morendo.
La giustifcazione estetica della vita umana, il culto della
bellezza, è un'altra delle ragioni per cui i Greci sono nostri
padri spirituali.
Soltanto nella bellezza si può tollerare il dolore di vivere,
afferma Polissena quando antepone una morte dignitosa a
una vita senza onore:"to; ga;r zh'n mh; kalw'~ mevga~ povno~, (Ecuba ,
v. 378), vivere senza bellezza è un grande tormento".
Il coro commenta queste parole dicendo che nascere da
persone nobili lascia un forte e chiaro segno - carakthvr - , ma il
nome della nobiltà diventa più grande per chi se ne fa degno
(380 - 381)
Ecuba si rivolge a Odisseo e prova a stornare la morte dalla
fglia su se stessa: thvnde me;n mh; kteivnete (385), non
ammazzate questa, ejgw; jtekon Pavrin io ho partorito Paride
che ha ucciso il fglio di Tetide tovxoi" balwvn, colpendolo con le
frecce (388).
Ecuba replica che sente grande necessità pollh; ajnavgkh di
morire con la figlia, ma Odisseo risponde sprezzantemente
che non sapeva di avere dei padroni.
La madre allora dice che vuole attaccarsi alla fglia ojpoi'a kisso;" druov", come l’edera alla quercia (398).
Polissena suggerisce a Ecuba di non opporsi per non suscitare
la violenza dei più forti - suv tj w\ tavlaina toi'" kratou'si mh; mavcou
(404). Farebbero scempio del tuo vecchio corpo. La figlia
chiede alla madre piuttosto un gesto di affetto: hJdivsthn cevra - dov",
dammi la tua dolcissima mano e lascia che accosti la mia guancia alla tua (410) poiché non succedera piu ma presto io vedrò il radioso cerchio del sole per l’ultima volta (412). Il sole come sempre e la vita. Poi a[peimi kavtw, me ne vado di sotto - a[numfo" ajnumevnaio" w|n m j ejcrh'n tucei'n (416) senza sposo né i canti nuziali che avrei dovuto ottenere.
 Cfr. Sofocle, Antigonea[gamo"...ajnumevnaio" vv. 867 e 876).
Polissena chiede alla madre cosa debba dire a Ettore e Priamo.
Riferisci che io sono la piu disgraziata di tutti - a[ggelle pasw'n
ajqliwtavthn ejmev (423). La ragazza menziona con gratitudine i seni della madre mastoiv che l’hanno nutrita con dolcezza hjdevw" (424)
Quando Neottolemo ebbe impugnato la spada, Polissena parlò in maniera davvero nobile, da sorella di Ettore e principessa di Troia: ejkou'sa qnhvskw: mh; ti" a{yhtai croov" - toujmou' (548 - 549), di mia volonta muoio, nessuno tocchi la pelle mia, offrirò infatti la gola con cuore saldo.
Ovidio:
Vos modo, ne Stygios adeam non libera manes,
este procul, si iusta peto, tactuque viriles
Virgineo removete manus! Acceptior illi
Quisquis is est, quem caede mea placare paratis,
liber erit sanguis; …” (Metamorfosi, XIII, 465 - 469),
ora voi, perche io non scenda non libera alle ombre Stigie
state lontani, se chiedo il giusto, e allontanate le mani
di maschi dal contatto con la vergine! Piu gradito a quello
chiunque lui sia, che vi accingete a placare ammazzandomi,
sarà il sangue libero…
Ammazzatemi lasciandomi libera, perche muoia libera - wJ" ejleuqevra qavnw
(Ecuba, 550), io che sono di stirpe regale basiliv" non voglio essere
chiamata schiava (douvlh, 552)
Polissena ha osservato persino l’etichetta della principessa pur in un momento che avrebbe sconvolto chiunque ma, come si dice, noblesse oblige. La folla apprezzò e aplaudi. Agamennone ordinò ai guardiani di scostarsi. Polissena lacerò il proprio peplo dalla spalla all’ombelico e scopri le mammelle e il petto bellissimo come di statua - mastouv" t j e[deixe stevrna q j wJ" ajgavlmato" - kavllista (560 - 561).
Poi la principessa posò a terra il ginocchio.
(cfr.Lucrezio e la sua Ifigenia, molto diversa muta metu genibus summissa petebat, I, 92)
Quindi Polissena disse parole piene di coraggio: ecco, giovane pai'son, colpisci il petto se vuoi, o la gola che è qui pronta - laimo;" eujtreph;" o{de (565).
Lui per compassione della ragazza non volendo e anche volendo - o[ d j ouj qevlwn te kai; qevlwn oi[ktw/ kovrh" (566), taglia con il ferro i canali del respiro tevmnei sidhvrw/ pneuvmato" diarroav" (567).
Sgorgavano sorgenti di sangue.
 Mentre moriva la principessa comunque si dava molta cura di cadere in bella forma pollh;n provnoian ei\cen eujschvmwn pesei'n (569) con decoro , coprendo cio che si deve coprire rispetto agli occhi degli uomini - kruvptous j a} kruvptein ommat j ajrsevnwn crewvn (570).

CONTINUA

Il diritto allo studio è sacrosanto

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Lo studio deve essere un diritto garantito a tutti, non un privilegio lasciato ai fortunati pochi, e tra questi, oltretutto, pure ad alcuni che non sanno cosa farsene.
Incollo qui sotto un messaggio che mi è stato mandato da Francesco Scozzaro già alumnus optimus del liceo Pirandello di Bivona e da un paio di anni studente studioso nella facoltà di lettere classiche dell’Università di Palermo. Segue il mio commento

STUDIO: DIRITTO O PRIVILEGIO?
Il 17 ottobre 2019 sono uscite le graduatorie pubblicate dall’Ente Regionale per il Diritto allo Studio di Palermo degli studenti di primo anno (triennale, magistrale e magistrale a ciclo unico).
I richiedenti risultati idonei sono 1343, mentre gli assegnatari sono solamente 232, il 17% del totale.
Il primo idoneo non assegnatario, il numero 233, ha un ISEE di 2870,69 euro.
Questo vuol dire che, all’83% degli idonei di PRIMO ANNO, non verrà garantito dall’ERSU un tetto sopra la testa, inoltre affrontando i primi mesi di lezione in condizioni disumane.
Si riconoscono le difficoltà degli studenti di pagarsi una stanza, rinunciare a seguire le lezioni, o ancora di più abbandonare gli studi.
Un paese, una Regione, che tutt’ora non sostiene i deboli, li priva del diritto allo studio. Li costringe alla povertà e alla marginalità.
Violare il diritto allo studio, vuol dire minare l’uguaglianza sostanziale tra i cittadini.
Ci sembra che la politica non abbia studiato a fondo la situazione del mondo universitario, nonostante i segnali di allarme persistano da tanti anni.
Abbiamo collezionato solo tagli.
Inoltre le disparità tra gli atenei, che in alcune città riescono ad erogare e coprire il 100% degli idonei, evidenzia una grave discriminazione territoriale.
Nessuno di noi ha deciso se nascere a Palermo o a Verona.
Non possiamo concepire che a Palermo, l’Ente Regionale per il Diritto allo Studio Universitario è gestito come una qualunque impresa commerciale: i posti letto, già carenti rispetto al numero delle domande; il numero di pasti presso le mense che riesce a coprire 6 mesi dell’anno accademico; le borse di studio vengono assegnate più o meno al 60% degli aventi diritto e in tempi che le fanno diventare un rimborso spese più che un sostegno.
Così si forma la categoria NON PROTETTA degli IDONEI NON ASSEGNATARI, in possesso di tutti i requisiti ma esclusi comunque da ogni sostegno economico.
Si sono, inoltre, succeduti 3 commissari nell’Ente. Solo quest’anno si è giunti a nuove elezioni, con una componente studentesca nel consiglio di 3 studenti, come designato dalla legge regionale, ma si continua a perdere tempo per ragioni politiche, giocando sulla pelle degli studenti.
Per l’ennesima volta chi dovrebbe garantire un diritto fa di tutto per negarlo.
Negandoci di formare il nostro presente, ci stanno togliendo il futuro e noi non possiamo e non dobbiamo permetterlo.
Per questo da un gruppo di studenti presente nelle varie residenze e non, nasce il COMITATO SPONTANEO DI MOBILITAZIONE STUDENTESCA, con un hashtag ben preciso: IDONEI ALLO STUDIO.

Il Comitato si propone i seguenti obiettivi:
 - Non accettare ostacoli all’ingresso degli assegnatari nelle residenze universitarie
 - Intestare la mobilitazione alla popolazione studentesca
 - Promuovere le nostre istanze con metodi pacifici, civili e condivisi
 - Ottenere la massima copertura finanziaria, il 100% degli idonei
 - Ottenimento di una norma nazionale e regionale che tuteli il diritto allo studio classificandolo come Investimento strategico irrinunciabile
 - Ottenere la ristrutturazione delle residenze universitarie esistenti
 - Riportare il numero dei pasti erogati ad un numero sufficiente
 - Ottenere la pubblicazione del bando Ersu entro l’inizio della sessione estiva, in maniera tale da anticipare la pubblicazione delle graduatorie
Aggiungo un commento a questa denuncia.
Personalmente ho frequentato dal 1958 al 1963, con ottimi risultati, il liceo Mamiani di Pesaro dove vivevo. Dopo la maturità, sono venuto a Bologna per studiare nella facoltà di Lettere classiche. I primi mesi dovetti adattarmi a viveri da un’affittacamere che contava anche le ore di luce e di stufa elettrica da me tenute accese. Erano i mesi invernali e mi erano quasi sempre necessarie dato che sono molto miope e freddoloso. Questa era solo una delle tante vessazioni subite. Naturalmente la voglia di studiare a Bologna e perfino quella di vivere non traeva impulso da tale sistemazione. La ricordo come orribile.
Nemmeno durante il servizio militare, quando dovevo preparare l’abilitazione, sono stato tanto ostacolato nello studio.
Ma negli anni Sessanta c’era il presalario per chi, senza essere ricco se non di volontà e capacità negli studi, avesse preso un’ottima maturità, sicché ebbi la possibilità di convertirlo in un posto in uno dei due collegi universitari: Irnerio e Morgagni.
Negli anni seguenti fui ospite nell’uno e nell’altro. Erano entrambi confortevoli. Avevo come gli altri studenti - electi ex optimis, si leggeva in una iscrizione murale dell’atrio del Morgagni dove entrai nel marzo del 1964 - una camera singola con molto spazio per i libri, riscaldata adeguatamente per una città dove freddi e lunghi erano allora gli inverni, illuminata quando e come volevo. Questa sistemazione provvidenziale favoriva non solo lo studiare ma anche la socializzazione, lo scambio di idee, e in tanti casi pure l’amicizia con ragazzi di altre facoltà e di altre città, fatto che contribuiva ad accrescere le conoscenze e il buon umore. Isomma fu la mia salvezza. Di studente e di persona.
Un altro ricordo personale: il penultimo rettore dell’Alma Mater Studiorum, Ivano Dionigi, un Pesarese pure lui, durante il suo mandato, disse pubblicamente, e signorilmente, che se non ci fosse stato il presalario non avrebbe potuto studiare a Bologna.
Ora aggiungo, come di consueto, una citazione dai classici che ho conosciuto da studente prima a Pesaro, poi a Bologna dove li ho pure fatti conoscere a tanti giovanissimi e meno giovani continuando a studiare per potenziare la mia vita, per amore dell’umanità e per gratitudine di quella humanitas che mi è stata insegna dagli auctores.
Sentiamone un paio.
L'araldo tebano delle Supplici di Euripide (del 422 a. C.) discute con Teseo sostenendo che il governo di un solo uomo non è male: infatti il monarca esclude i demagoghi, i quali, gonfiando la folla con le parole, la volgono di qua e di là a proprio profitto. Del resto come potrebbe pilotare uno Stato il popolo che non è in grado di padroneggiare un discorso? Chi lavora la terra non ha tempo né per imparare né per dedicarsi alle faccende pubbliche:" oJ ga;r crovno" mavqhsin ajnti; tou' tavcou" - kreivssw divdwsi (vv. 419 - 420), è infatti il tempo che dà un sapere più forte, invece della fretta.
Il punto di vista di questo personaggio è contrario alla democrazia propugnata da Teseo, il quale ribatte al kh'rux mandato da Creonte che quando c’è un tiranno non esistono più leggi comuni (novmoi - koinoiv, vv. 430 - 431). E procede: “gegrammevnwn de; tw'n novmwn o{ t’ ajsqenh;~ - oJ plouvsiov~ te th;n divkhn i[shn ecei ” (vv. 433 - 434), quando ci sono le leggi scritte il debole e il ricco hanno gli stessi diritti.
Tra questi diritti dunque per chi ama studiare il primo deve essere il diritto allo studio che accresce la visione mentale e potenzia la vita. Teseo nelle tragedie è il paradigma mitico di Pericle al quale Tucidide attribuisce il logos epitafios.
Ne ricordo alcune parole:
“In effetti ci avvaliamo di una costituzione che non cerca di emulare le leggi dei vicini, ma siamo noi di esempio (paravdeigma) a qualcuno piuttosto che imitare gli altri. Di nome, per il fatto di essere amministrata non per pochi ma per la maggioranza, essa è chiamata democrazia; e di fatto secondo le leggi, riguardo alle controversie private, c’è una condizione di uguaglianza (to; i[son) per tutti, però secondo la reputazione, per come ciascuno viene stimato in qualche campo, non per il partito di provenienza (oujk ajpo; mevrou") più che per il suo valore, viene preferito alle cariche pubbliche, e d’altra parte secondo il criterio della povertà (oujd j au\ kata; penivan), se uno può fare qualche cosa di buono per la città, non ne è mai stato impedito per l’oscurità della sua posizione sociale (ajxiwvmato" ajfaneiva/ kekwvlutai II, 37, 1).
Questa parte del discorso sui caduti nel primo anno della Guerra del Peloponneso si riverbera nell’Articolo 3 della Costituzione della Repubblica Italiana:
 “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di religione, di condizioni personali e sociali.
 E’ compito della repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori alla organizzazione politica, economica e sociale del paese”.
Quale ostacolo (provblhma) più grande di quello che impedisce lo studio a chi ne è desideroso e capace? Quale problema chiede una soluzione più rapida? Probabilmente quello della fame di cibo ma chi vuole studiare e ne viene impedito è comunque uno che patisce la fame.

Bologna 31 ottobre 2019 giovanni ghiselli


mercoledì 30 ottobre 2019

Logica machiavelliana e logica hegeliana. Il manierismo politico




Il clima di questo tempo richiede una logica dilemmatica,  machiavelliana : o…o, non quella hegeliana che tende alla sintesi la quale costituisce l’unità e l’inveramento di tesi e antitesi. Allora, “se vi piacque mai alcun mio ghiribizo, questo non vi dovrebbe dispiacere”: Di Maio o ci fa, o, più probabilmene, ci è, siccome non ha capito che un partito non può essere neutro ossia come dice lui “né di destra né di sinistra” ora che un centro non esiste dato che quello di una volta ora si è posto a destra guidato da Renzi. Ha detto bene ieri Emiliano che, finita la paura dell’armata rossa, il capitalismo si è scatenato e tende a trasformare i lavoratori in schiavi. Dunque chi dice di essere neutrale di fatto è dalla parte degli schiavisti.
  Oggi abbiamo il manierismo politico. La maniera è l’impossibilità di procedere oltre le categorie e le forme che si sono affermate e sono prevalse fino a diventare stereotipate.

I due Mattei e la Borgonzoni destinata a perdere in Emilia





 La Borgonzoni non ha la possibilità di vincere le elezioni in Emilia.
Perché il vincente Salvini l’ha scelta?

Salvini non è dalla parte del giusto secondo me, però non è stupido.
Allora mi chiedo come abbia potuto candidare al governatorato dell’Emilia una donna che parla continuamente senza raccogliere parole ricche di significato dai solchi della mente, evidentemente infruttuosi.
Per fare questa scelta, l’occhio della lega deve essersi offuscato o addirittura acciecato, a meno che l’abbia fatta con il proposito di perdere la satrapia dell’Emilia per un arcanum imperii che non ci è dato conoscere. Ma forse, più semplicemente, sebbene non sia stupido, a Salvini manca un pensiero profondo capace di vedere a fondo nella realtà, simile a un palombaro con occhio vigile e non ebbro.
Probabilmente questo Matteo, vista la fine dei 5 stelle andati al governo, preferisce tuonare dall’opposizione. Per tale motivo ha scelto una candidata a presidente (o presidentessa ?) dell’Emilia che quasi sicuramente perderà. Se la lega vincesse anche in questa regione infatti l’attuale governo si sfascerebbe. Ma con la Borgonzoni perderà.
Così il capo leghista potrà seguitare a farsi bello denunciando errori del governo che, colpito ai fianchi da lui e alle spalle da Renzi, l’altro Matteo, continuerà a perdere forza. I cinque stelle spariranno presto. Non sono di destra né di sinistra ha detto quel genio del loro  sovrintendente. Chi può votarli? Il centro della società è caduto nella voragine della povertà e i  poveri  ora votano la destra.   

martedì 29 ottobre 2019

L'amore viene calunniato spesso e talora riabilitato

Brugel, Amore e Psiche

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L’amore viene spesso calunniato perfino dalla madre sua
Nel romanzo di Apuleio, Psiche è adorata più di Venere la quale si risente e convoca il figlio pinnatum et satis temerarium. Costui ferisce, corrompe et nihil prorsus boni facit (Metamorfosi, 4, 30).

Ricordiamo altre calunnie.
Apollonio Rodiodaivmwn ajlginovei~ (IV, 64) il dio del dolore.
 La Luna vide Medea correre verso Giasone, gioì con malizia e disse tra sé: non solo io brucio per il bell’Endimione, io che ho dovuto obbedire ai tuoi riti: ora il daivmwn ajlginoveiς (64), il dio del dolore ti ha dato il penoso Giasone per la tua angoscia. Vai a sopportare dolori infiniti.
Esecrazione dell’amore come nel finale dell’Ippolito di Euripide dove Teseo maledice Afrodite dicendo: wJς polla;, Kuvpri, sw'n kakw'n memnhvsomai (1461), quante volte Cipride mi ricorderò dei tuoi delitti.
Cfr. anche “nequiquam quoniam medio de fonte leporum/ surgit amari aliquid quod in ipsis floribus angat (De rerum natura, IV, vv. 1131 - 1134).
Altra apostrofe contro Eros nelle Aronautiche: “ atroce amore - scevtlie [ Erwς, grande sventura, mevga ph'ma, grande abominio per gli uomini, mevga stuvgoς ajnqrwvpoisin ( IV, 445), da te nascono travagli e dolori. Vieni armato sui figli dei miei nemici a gettare rovina come hai fatto con Medea.
VirgilioEneide IV 412: improbe amor, quid non mortalia pectora cogis!

Platone nella Repubblica fa dire a Sofocle che è contento della vecchiaia, w{sper luttw`nta tivna kai; a[grion despovthn ajpodrav~ come se fossi fuggito da un padrone furioso e e selvaggio. Ab domino agresti ac furioso profūgi (Cicerone, De senectute, 14).
Venere vuole che Psiche si innamori di un homo extremus (4, 31

Vediamo una riabilitazione rispetto alle tante calunnie dei detrattori di Eros.
 il discorso di Agatone nel Simposio platonico (194e 4 - 197e 8). dove c’è una rivalutazione del dio calunniato da molti poeti
 Agatone parla dopo Fedro, Pausania, Erissimaco, Aristofane. Dopo di lui Socrate poi Alcibiade.
Amore come concordia, pace, delicatezza felicità, stenebramento, arte, virtù in tutte le sue forme (coraggio, temperanza, giustizia)
 Amore è il più bello e nobile tra gli dèi. E' anche il più giovane: infatti fugge di corsa la vecchiaia. Egli genera concordia: e se ci fosse stato lui nei tempi primordiali non ci sarebbero state amputazioni né incatenamenti :" ejktomai; oujde; desmoiv"(195c).
Amore è delicato (aJpalov"), ma gli manca un poeta come Omero che rappresenti la sua delicatezza. Egli si insedia nelle anime delicate, mentre si allontana dalle anime dure. Inoltre è bello e cerca bellezza: infatti tra amore e bruttezza c'è una guerra continua. Passa la sua esistenza in mezzo ai fiori. La sua virtù sta nel fatto che il dio non fa e non riceve torti (ou[t j ajdikei' ou[t j ajdikei'tai). Oltre che di giustizia è dotato di somma temperanza (196c): infatti, essendo più forte di tutti gli altri piaceri e istinti, li domina. Quanto a coraggio, neppure Ares resiste ad amore.
Inoltre Eros rende poeta chi lo prova. Amore insegna tutte le arti. Ciò che amore non tocca rimane nella tenebra (Simposioskoteinov" 197a). Dall'amore della bellezza ha preso origine ogni cosa buona fra gli dèi e fra gli uomini. Egli ci vuota di ogni ostilità e ci riempie di ogni fratellanza e "prepara tali incontri tra noi per metterci insieme e diventa nostra guida nelle feste, nei cori, nei sacrifici" (197d), ispira mitezza, è timoniere, compagno e salvatore supremo nella fatica, nella paura, nel desiderio, nella parola (197e).
Sembra che Agatone sia in procinto di anticipare la canzone di Cherubino (Le nozze di Figaro, II, 3) “Voi che sapete/che cosa è amor/ donne, vedete/s’io l’ho nel cor”

Altre riabilitazioni
Shakespeare in Pene d’amore perduto, dice che il sentimento d’amore è più lieve e sensibile delle tenere antenne di chiocciole increspate (IV, 3).

Il mondo senza Eros e Venere è una colossale immondizia enormis eluvies
Nell’Asino d’oro di Apuleio, Psiche punisce le sorelle attirandole in una trappola e facendole morire. Ha perso la sua santa semplicità. Poi va a cercare Amore e intanto avis peralba illa gavia, va a parlare a Venere.
Il gabbiano dice che nell’assenza delle due divinità dell’amore, il mondo sta precipitando nell’età del ferronon voluptas, non gratia, non lepos, sed incompta et agrestia et horrida cuncta; non nuptiae coniugales, non amicitiae sociales, non liberum caritates, sed enormis eluvies, una colossale inondazione di immondizia et squalentium foederum insuāve fastidium (5, 28) e una sgradevole noia di rapporti squallidi.
La verbosa et satis curiosa avis borbottava queste parole .
Credo che l’immondizia che si accumula in alcune nostre città sia simbolica proprio della mancanza di concordia e simpatia tra gli esseri umani

La nutrice rinfaccia a Ippolito di essere uno truculentus et silvester (Fedra, v. 462), truce e selvatico, in quanto passa una gioventù senza Venere, una dea che colma i vuoti della razza umana. Se la escludi, il mondo rimane senza vita: “Excedat… rebus humanis Venus…vacuum sine ullis piscibus stabit mare/alesque caelo derit et silvis fera (v. 469 ss.), mancherà l’uccello al cielo e la fiera ai boschi.
Insomma: orbis iacebit squalido turpis situ (471), il mondo giacerà brutto in uno schifoso squallore. 
Proinde vitae sequere naturam ducem (v. 481), segui dunque la guida della natura.

Cfr. Il Pervigilium Veneris
Cras amet qui numquam amavit, quique amavit cras amet,
Ver novum ver iam canorum; vere natus orbis est,
Vere concordant amores vere nubunt alites,
Et nemus comam resolvit de maritis imbribus. (1 - 4)
(…)
Iam loquaces ore rauco stagna cygni perstrepunt,
adsonat Terei puella subter umbram populi,
ut putes motus amoris ore dici musico
et neges queri sororem de marito barbaro
Illa cantat, nos tacemus. Quando ver venit meum?
Quando faciam uti chelidon, ut tacere desinam? (85 - 90)
Sette trochei e mezzo: tetrametro trocaico catalettico in syllabam con un anceps finale

Cfr. amor omnibus idem di Virgilio
"Omne adeo genus in terris hominumque ferarum - que/et genus aequoreum, pecudes pictaeque volucres/ in furias ignemque ruunt: amor omnibus idem "( Georgica III, vv. 243 - 244) così ogni specie sulle terre di uomini e di animali, e la razza marina, il bestiame e gli uccelli colorati si precipitano in ardori furiosi, amore è lo stesso per tutti.

lunedì 28 ottobre 2019

Sceneggiatura del film Medea di Pasolini. Prima parte



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28 Ottobre 2019. Oggi, dalle 17, 30 alle 19, racconterò questo e molto altro ai miei “allievi” della biblioteca Ginzburg di Bologna via Genova, 10)

Sceneggiatura del film Medea di Pasolini (1969)

Nel film di Pasolini Chirone, ancora Centauro bimembre e mitico dice a Giasone tredicenne: “Tutto è santo, tutto è santo, tutto è santo. Non c’è niente di naturale nella natura, ragazzo mio, tientilo bene in mente… Eh sì, tutto è santo, ma la santità è insieme una maledizione.
Gli dei che amano - nel tempo stesso - odiano[1]

(v. 5 devra~ cfr. devrma)
Anche Pasolini nel suo film usa la parola “pelle” invece di “vello”. Pelia dice al nipote: “Esiste un segno della perennità del potere e dell’ordine, questo segno è la pelle d’oro di un caprone divino, essa si trova in una terra lontana, oltre il mare, dove nessuno è mai stato. Se tu porterai nella nostra città quella pelle d’oro io te lo restituirò, il tuo regno”[2].
Il potere del resto è malvagio: quando riceve il vello d’oro Pelia dice a Giasone: “penso che oggi dovrai fare un’esperienza inaspettata: comprendere che i re non sempre sono obbligati a mantenere le loro promesse” (scena 59).
Nel XVIII capitolo di Il Principe Machiavelli ricorda "come Achille e molti altri di quelli principi antichi furono dati a nutrire a Chirone centauro, che sotto la sua disciplina li costudissi". E ne deduce:"Il che non vuol dire altro, avere per precettore uno mezzo bestia et uno mezzo uomo, se non che bisogna a uno principe sapere usare l'una e l'altra natura; e l'una sanza l'altra non è durabile. Sendo dunque uno principe necessitato sapere usare la bestia, debbe di quelle pigliare la golpe et il lione; perché il lione non si difende da' lacci, la golpe non si difende da' lupi. Bisogna adunque essere golpe a conoscere e' lacci, e lione a sbigottire e' lupi. Coloro che stanno semplicemente in sul lione, non se ne intendano. Non può, per tanto, uno signore prudente né debbe osservare la fede, quando tale osservanzia li torni contro e che sono spente le cagioni che la feciono promettere (…) Et hassi ad intendere questo, che uno principe, e massime uno principe nuovo, non può osservare tutte quelle cose per le quali li uomini sono tenuti buoni, sendo spesso necessitato, per mantenere lo stato, operare contro alla fede, contro alla carità, contro alla umanità, contro alla relligione (….) Debbe, adunque, avere uno principe gran cura che non li esca mai di bocca una cosa che non sia piena delle soprascritte cinque qualità, e paia, a vederlo et udirlo, tutto pietà, tutto fede, tutto integrità, tutto religione”."
Riccardo III di Shakespeare è “un principe che ha letto il principe”[3]. Sentiamo le sue parole sulla necessaria ipocrisia dell’uomo di potere: “But then I sigh, and, with a piece of Scripture, - Tell them that God bids us do good for evil: - And thus i clothe my naked villainy - With odd old ends stol’n forth of Holy Writ, - And seem a saint, when most I play the devil” (Richard III, I, 3), ma allora io sospiro, e, con una citazione della Scrittura, dico loro che Dio ci ordina di rendere bene per male: e così io rivesto la mia nuda scelleratezza con occasionali vecchi ritagli sottratti alla Sacra Scrittura, e sembro un santo quanto più faccio il diavolo.
Queste parole costituiscono il codice dell’uomo di potere.

Sceneggiatura
“Giasone si spoglia, e nasconde la sua pretesa e la sua incertezza dietro un sorriso di ragazzino, fiero della propria virilità. Medea lo guarda incantata, e perduta in lui. E’ un vero, completo amore ecc. In questo momento a prevalere è la virilità di Giasone. Medea ha perso la propria atonia di bestia disorientata: nell’amore trova, di colpo (umanizzandosi) un sostituto della religiosità perduta; nell’esperienza sessuale ritrova il perduto rapporto sacrale con la realtà”[4].

Nella scena 79 Giasone dice a Medea: “E’ ora che tu ti convinca infine, chiaramente, che io devo soltanto a me stesso la buona riuscita delle mie imprese. Anche se tu non vorrai riconoscere che, se hai fatto qualcosa per me, lo hai fatto solo per amore del mio corpo”[5].
Pasolini mette in grande risalto il corpo e la corporeità di Giasone.

Pasolini nel “trattamento” del suo film evidenzia gli sguardi che si scambiano Giasone e Medea senza parlare: “Egli avanza, lento, senza fretta, fin sotto l’albero: e guarda fisso Medea. La sua ironia (carezzevole) sembra volerla spogliare, e non solo materialmente: esprimendo qualcosa che a lei sfugge, e che pure le determina”[6].
Cfr. oculi Gli occhi, ribadisce più avanti Properzio, per chi ancora non l'avesse capito, sono i comandanti nella guerra amorosa:"si nescis, oculi sunt in amore duces " (II, 15, 12).
Cfr. anche La montagna incantata.

v. 305 - eijmi; d’ oujk a[gan sofhv (a Creonte che la teme)
Pasolini nel suo film evidenzia la diversità tra il sapere dei Greci civilizzati e la sapienza di Medea. Un’ancella le dice: “Ma forse, se tu volessi, tu potresti ricordarti del tuo Dio…”
 E Medea risponde: “…Forse hai ragione. Sono restata quella che ero. Un vaso pieno di un sapere non mio” [7](scena 62 D).
Più avanti Creonte le dice: “E’ noto a tutti in questa città che, come barbara venuta da una terra straniera, sei molto esperta nei malefici. Sei diversa da tutti noi: perciò non ti vogliamo tra noi”.
A queste parole Medea replica: “Invece è così povera questa mia sapienza” (scena 66). Cfr. Medea di Euripide, v. 305 eijmi; d’ oujk a[gan sofhv.

Il culto del sole. Medea è nipote del sole (lo invoca, v. 764)
Il sole è, come sappiamo, anche il nonno di Medea ed è un personaggio, nemmeno muto, del film di Pasolini. Vediamo come ne interpreta il sorgere e il tramontare l’autore nel “trattamento”: “Il sole, calando, prefigura la discesa nel Regno dei morti, e, risorgendo, prefigura la resurrezione: inoltre esso crea il ritmo temporale, e la sacralizzazione del tempo, su cui è fondato il mondo contadino, ecc. Il sole è insieme il Dio della Fecondazione e della Morte”[8].
Pasolini mostra anche la luna nel suo film (scena 96), immediatamente di seguito al tramonto del sole “Il sole sta tramontando: il suo disco splende, molle, in fondo al dolce orizzonte lagunare, in fondo a pioppeti e vigneti. E, straordinario, dall’altra parte del cielo, sorge, azzurrino - argentea la falce sottile della luna. Il sole e la luna sono dunque congiunti, come nelle tavolette sacre, nei simboli. E’ per essi che l’uomo ha potuto crearsi il senso del tempo, coi suoi ritorni (il nascere e il tramontare; il calare e il crescere). E’ per essi che l’uomo ha potuto convincersi della resurrezione (perché ogni sole cala nel buio - nel regno dei Morti - rinasce. E così la luna). Tutto ciò costituisce la Scienza di Medea, che rendeva giusta e necessaria la sua presenza nel mondo. Ora essa ha smarrito questa scienza, come una bestia strappata al suo pascolo, che non si orizzonta più. Guarda il Sole, guarda la Luna” (p. 505).


continua

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[1] P. P. Pasolini, Dialoghi definitivi di “Medea”, scena 7. In op. cit., p. 544 e p. 545.

[2] P. P. Pasolini, Il vangelo secondo Matteo, Edipo re, Medea, Dialoghi definitivi di “Medea”, scena 20., p. 546.
[3] Jan Kott, Shakespeare nostro contemporaneo, p. 42.
[4] P. P. Pasolini, Il vangelo secondo Matteo, Edipo re, Medea, “visioni della Medea” di P. P. Pasolini (trattamento), p. 507.
[5] Op. cit., p. 557
[6] P. P. Pasolini, Il vangelo secondo Matteo, Edipo re, Medea, “visioni della Medea” di P. P. Pasolini (trattamento), p. 497.
[7] Op. cit., p. 552.
[8] P. P. Pasolini, Il vangelo secondo Matteo, Edipo re, Medea, “visioni della Medea” di P. P. Pasolini (trattamento), p. 483.


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