domenica 20 ottobre 2019

Alessandro il Grande. Parte sesta. Alessandro Magno nelle fonti antiche

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Alessandro Magno nelle fonti antiche

Conferenza tenuta il 18 ottobre 2019 nella Biblioteca Civica di Pordenone

Arriano: Al. bevve fino a notte inoltrata. Quando stava per ritirarsi nella sua stanza, Medio lo invitò a fare baldoria da lui.

Il giorno seguente tornò da Medio a fare baldoria bevendo fino a notte inoltrata - povrrw tw'n nuktw'n (7, 24, 4 3e 25, 1)

Arriano scrive pure che il veleno favrmakon per uccidere Alessandro fu mandato da Antipatro - ejpevmfqh para; jAntipavtrou - e preparato da Aristotele il quale temeva il suo ex discepolo a motivo di Callistene.
Fu Cassandro figlio di Antipatro a portare il liquido micidiale ejn hJmiovnou oJplh'/, in uno zoccolo di mulo, poi lo diede al fratello minore Iolla che era oijnocovo" basilikov", coppiere del re e aveva subito qualche affronto da Alessandro poco prima. Medio, ejrasthv" di Iolla, avrebbe partecipato all’azione introducendo Alessandro alla baldoria (7, 27, 1 - 2)
C’è chi ha scritto che A. voleva gettarsi nell’Eufrate per accreditare una sua sparizione da dio. Alla moglie Rossane che lo tratteneva disse che lo privava della gloria di essere nato dio (7, 27, 3).
Morì il 10 giugno 323 a 32 anni e otto mesi, regnò dodici anni e otto mesi come dice Aristobulo[1] (7, 28, 1)
Queste notizie sono registrate per dovere ma non credute da Arriano

Era sw'ma kavllisto", kai; filoponwvtato" kai; ojxuvtato" acutissimo kai; th;n gnwvmhn ajndreiovtato" - coraggiosissimo - kai; filotimovtato" kai; filokindunovtato" kai; tou' qeivou ejpimelevstato" (7, 28, 1 - 2)

Vedi Ciro il Giovane nell’Anabasi di Senofonte.


Era capace di dominare i piaceri del corpo, ma ajplhstovtato" insaziabile dell’elogio dello spirito (7, 28, 2), deinovtato" nel vedere quello che bisognava fare in una situazione e[ti ejn tw'/ ajfanei', ancora oscura, e ci azzeccava nel congetturare il verosimile partendo dalle apparenze ejk tw'n fainomevnwn to; eijko;" xumbalei'n ejpitucevstato".


Cfr. Temistocle in Tucidide, I, 138, 3.

Temistocle è il primo l'eroe di questa intelligenza laica: egli che "oijkeiva/ xunevsei" appunto, con la sua facoltà di capire, era "tw'n te paracrh'ma di j ejlacivsth" boulh'" kravtisto" gnwvmwn", ottimo giudice della situazione presente attraverso un rapidissimo esame" e "tw'n mellovntwn ejpi; plei'ston tou' genhsomevnou a[risto" eijkasthv""(I, 138, 3), e ottimo a congetturare il futuro per ampio raggio in quello che sarebbe accaduto.

"Per questo più che lo stesso Pericle", secondo Canfora[2]" è Temistocle il politico per eccellenza, il modello e insieme l'ideale.


Al. era bravissimo come stratego. Eccellente nel sollevare il morale delle truppe: to;n qumo;n toi'" stratiwvtai" ejpa'rai, riempirle di buone speranze e fare sparire la paura nei pericoli con il suo ardimento to; dei'ma ejn toi'" kinduvnoi" tw'/ ajdeei' tw'/ auJtou' ajfanivsai . (7, 28, 2). Rispettava gli accordi, era parsimonioso per sé e generoso con gli altri. L’ira può essere addebitata alla giovane età e l’arroganza agli adulatori che stanno accanto ai re per loro disgrazia. Ma per sua nobiltà si pentì degli errori commessi. Infatti il solo rimedio di un errore movnh i[asi" aJmartiva" (7, 29, 2) è ammettere di avere sbagliato e mostrare il pentimento. Non è stata una grave colpa nemmeno avere ricondotto la sua nascita a un dio. L’abbigliamento persiano mostrava ai barbari la sua non estraneità, ai Macedoni il distacco dalla superbia e dalla rozzezza macedone. Il vino lo beveva per amicizia verso i suoi compagni.

Chi lo denigra, pensi alle sue imprese e alla propria pochezza che si affatica per piccole cose e non riesce a risolvere nemmeno quelle.

Un uomo del genere, simile a nessun altro, non mi sembra che sia potuto nascere e[xw tou' qeivou (7, 30, 2), fuori da un intervento divino. Io che lo ammiro, talora l’ho biasimato ajlhqeiva" te e{neka th'" ejmh'" kai; a{ma wjfeleiva" [3]th'" ej" ajnqrwvpou", per il rispetto che porto alla verità e per l’utilità degli uomini; per questo mi sono messo a scrivere quest’opera, neanche io senza la divinità: “ ejf j o{tw/ wJrmhvqhn oujde; aujto;" a[neu qeou' ej" thvnde th;n xuggrafhvn” (7, 30, 3). Ecco dunque il mito di Alessandro e il mito di Arriano. Fine Arriano.


La morte di Al. in Curzio dopo una lacuna.
Diede l’anello a Perdicca e chiese che il suo corpo venisse traslato presso Ammone (10, 5, 5). Il regno doveva andare al migliore, disse, pensando alla competizione dei giochi funebri. Onori divini dovevano attribuerglieli cum ipsi felices essent (10, 5, 6). Vinti e vincitori erano accomunati dal dolore “nec poterant victi a victoribus in communi dolore discerni” (10, 5, 9). Alcuni erano sdegnati del fatto che un giovane tanto dotato “tam viridem et in flore aetatis fortunaeque invidiā deum ereptum esse rebus humanis” (10, 5, 10). Tratto erodoteo.
 I soldati si prefiguravano nelle menti le guerre civili che ci sarebbero state per la successione: “bella deinde civilia, quae secuta sunt, mentibus augurabantur” 10, 5, 13.
Anche i Persiani lo piangevano: comis suo more detonsis, in lugubri veste (17). Nessun re era stato più degno del comando. La madre di Dario “omnium suorum mala Sisisgambis ună capiebat” (21).
Come Ecuba nelle Troiane o come Edipo.
 Chi si sarebbe preso cura delle sue ragazze? Topos della tragedia (Edipo re, Alcesti). Ricordava tutti i suoi lutti. Infine la vecchia ex regina madre si lasciò morire di fame.

Giustino invece sostiene che i vinti lo piansero ma i Macedoni ne furono contenti poiché ne biasimavano la crudeltà eccessiva e il fatto che li esponesse ai pericoli (Storie Filippiche, 13, 1, 7).

Tolomeo, alla fine del film Alexander, confessa che furono loro, gli amici a non impedirne l’assassinio poiché non potevano più andare avanti: io non ho mai creduto al suo sogno, e i sognatori devono morire prima che ci uccidano.

Segue in Curzio Rufo un elogio di Claudio (o di Vespasiano): lui ha spento le scintille di guerra illuminando il mondo (novum sidus inluxit, 10, 9, 3) e ha riportato il sereno: “Non ergo revivescit solum, sed etiam floret imperium” (Curzio, 10, 9, 5), l’impero non solo rinverdisce ma è anche fiorente. Sembra riferirsi a Claudio, e contro Caligola, questa espressione: “Huius, hercules, non solis ortus, lucem caliganti reddidit mundo, cum sine suo capite discordia membra trepidarent” (10, 9, 4), la sua salita, per Ercole, non quella del sole rese la luce al mondo coperto di caligine, mentre senza la sua testa le membra discordi vacillavano. Un passo della Consolatio ad Polybium di Seneca (del 43) adula Claudio come “sidus hoc, quod praecipitato in profundum et demerso in tenebras orbi refulsit, semper luceat!” (13, 1).
Curzio Rufo, un uomo nuovo, “nato da se stesso”… è uomo grato alla corte, è legato di Germania superiore; egli ha ricambiato Claudio, dedicandogli nelle sue Historiae Alexandri Magni (di quell’Alessandro che Caligola ammirava), alcune righe tra le più note della letteratura panegiristica antica”[4].

Gianni Cipriani preferisce l’ipotesi che colloca Curzio Rufo nell’età di Vespasiano il quale “nell’anno dei “quattro imperatori” (69 d. C.), prese il potere giungendo da Oriente, al pari del sole che sorge (quindi, novum sidus). Sulla base di osservazioni linguistiche e di altro genere gli studiosi tendono in prevalenza a collocare Curzio Rufo nell’età di Vespasiano”[5].

Quindi l’impero venne diviso: a Tolomeo l’Egitto, a Laomedonte Siria e Fenicia, a Filota la Cilicia, Antigono monoftalmo ebbe Licia, Panfilia e Frigia maggiore, Cassandro la Caria, Menandro la Lidia, Leonnato la Frigia minore. Eumene Cappadocia e Paflagonia, Pitone la Media, Lisimaco la Tracia.
Per quanto riguarda l’Oriente il dettaglio si trova in Giustino 13, 4, 19 - 26. Perdicca rimase con il re al comando delle sue truppe (10, 10, 4). Sed difficile erat eo contentos esse, quod obtulerat occasio: quippe sordent prima quaeque, cum maiora sperantur (10, 10, 8) valgono poco i primi acquisti quando se ne sperano di più grandi.
Il cadavere di Al. giaceva nel sarcofago da sei giorni, trascurato. Nonostante il caldo, il corpo non era degenerato. Traditum magis quam creditum refero (10, 10, 12) Egiziani e Caldei lo imbalsamarono. Molti pensarono che Al. fosse morto di veleno propinatogli da Iolla, figlio di Antipatro. In effetti Al. era stato critico verso Antipatro che si era montata la testa per la vittoria sugli Spartani. Al., secondo alcune voci, aveva mandato Cratero a uccidere Antipatro. Cassandro avrebbe portato al fratello Iolla il veleno della fonte Stige (fiumiciattolo dell’Arcadia del nord) e Iolla lo avrebbe messo nella coppa di Al. Ma è un veleno che corrode persino il ferro. Comunque spense quelle voci la potentia (10, 10, 18) eorum quos rumor asperserat di quelli che le voci avevano
Antipatro prima, poi (dal 304) Cassandro divenne re di Macedonia. Cassandro fece uccidere tutti i consanguinei di Al. Olimpiade, Roxane e il figlio.
Il corpo di Al. fu trasportato a Menfi poi ad Alessandria da Tolomeo cui era toccato l’Egitto. Fine Curzio Rufo.

Diodoro conclude il suo racconto su Al. scrivendo che la madre di Dario, Sisisgambi, si lasciò morire di fame per il dolore della morte del vincitore di suo figlio, mentre Olimpiade fu fatta assassinare da Cassandro il quale ne gettò via il corpo senza sepoltura. Cassandro per giunta fece ricostruire Tebe con grande impegno (17, 118).

 Fine

giovanni ghiselli


[1] FG Gr Hist 139 F61
[2]Antologia Della Letteratura Greca , II vol., p. 459.
[3] Questo è un tratto tucidideo.
[4] Mazzarino, L’impero romano 1, p. 216
[5] Giovanni Cipriani, Letteratura latina. Storia e antologia di testi, Einaudi, Torino, 2003, p. 380.

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