martedì 8 ottobre 2019

Diversità di culture


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Le culture diverse non vanno eliminate o criminalizzate: devono essere comprese. A proposito della diversità delle culture si può ricordare che Franz Grillparzer nella sua Medea[1] mette in rilievo "la storia di una terribile difficoltà o impossibilità di intendersi fra civiltà diverse, un monito tragicamente attuale su come sia difficile, per uno straniero, cessare veramente di esserlo per gli altri"[2].
In una intervista a J. Duflot Pasolini dichiara che nel suo film Medea ha voluto mettere in evidenza il contrasto tra la cultura razionale e pragmatica di Giasone e quella arcaica e ieratica della barbara:" Ho riprodotto in Medea tutti i temi dei film precedenti (...) Quanto alla pièce di Euripide, mi sono semplicemente limitato a qualche citazione (...) Medea è il confronto dell'universo arcaico, ieratico, clericale, con il mondo di Giasone, mondo invece razionale e pragmatico. Giasone è l'eroe attuale (la mens momentanea) che non solo ha perso il senso metafisico, ma neppure si pone ancora questioni del genere. E' il "tecnico" abulico, la cui ricerca è esclusivamente intenta al successo (...) Confrontato all'altra civiltà, alla razza dello "spirito", fa scattare una tragedia spaventosa. L'intero dramma poggia su questa reciproca contrapposizione di due "culture", sull'irriducibilità reciproca delle due civiltà (...) potrebbe essere benissimo la storia di un popolo del Terzo Mondo, di un popolo africano, ad esempio[3]".
Il classico aiuta a comprendere l'altro tanto per via delle analogie quanto delle diversità rispetto al nostro mondo di oggi. "Evocare l'altro - da - sé che è dentro di noi (il "classico") può allora essere un passo essenziale per intendere le alterità che sono fuori di noi (le altre culture), se sapremo ripetere con piena consapevolezza le parole di Rimbaud." 'Je est un autre"…Quanto più sapremo guardare al "classico" non come una morta eredità che ci appartiene senza nostro merito, ma come qualcosa di profondamente sorprendente ed estraneo, da riconquistare ogni giorno come un potente stimolo a intendere il "diverso", tanto più da dirci esso avrà nel futuro"[4].
La conoscenza rispettosa dell’altro, della sua diversità, è necessaria per comprendere se stesso, secondo il principium individuationis :"Nel voler superare la distanza degli opposti consiste la u{bri" di Serse, quando pretende di aggiogare le due cavalle o le due rive dell'Ellesponto, e cioè terra e mare. Ma perché la differenza sia 'salva', dovrà essere compreso che il differire è to; Xunovn - che proprio l'assolutamente distinto abbisogna sempre, per esser 'salvo' in quanto tale, dell'altro e della distanza dall'altro"[5]. Con l'aggiogamento delle due cavalle Cacciari allude al sogno di Atossa dei Persiani di Eschilo: la regina madre descrive la sua visione notturna: le apparvero due donne (vv. 180 ss.), una munita pepli dorici, l'altra adorna di vesti abiti persiani, entrambe grandi, belle e sorelle di stirpe. Simboleggino la Grecia e la Persia. Tra le due scoppiò una lite: quindi il re Serse cercava di ammansirle e le aggiogava al carro con le cinghie sotto il collo. Una delle due si esaltò per questa bardatura e porgeva la bocca docile alle briglie, mentre l’altra recalcitrava (ejsfavda/ze, v. 194), con le mani spezza le redini del carro, e lo trascina a forza senza freni e rompe il giogo a metà. Allora, continua la regina, cade il figlio mio, e gli si accosta Dario e lo compiange; e Serse, come lo vede, si lacera le vesti addosso al corpo (pevplou~ rJhvgnusin ajmfi; swvmati, v. 199).
Per quanto riguarda l'Ellesponto il riferimento è ancora ai Persiani di Eschilo, quando lo spettro di Dario denuncia la temerarietà (qravso" ) del figlio il quale sperò di trattenere con delle catene il sacro Ellesponto, come fosse uno schiavo, e il Bosforo, fluida corrente sacra al dio; e mutava forma al passaggio: avvintolo con ceppi martellati, preparò una grande via a un grande esercito (vv. 744 - 748).
Nella Parodo il Coro rammenta che “l’esercito distruttore di città è passato nella terra vicina, situata sulla riva opposta, dopo avere varcato per mezzo di zattere legate con funi lo stretto di Elle Atamantide, e avere gettato intorno al collo del mare il giogo di un sentiero dai molti chiodi ( zugo;n ajmfibalw;n aujcevni povntouPersiani, vv. 65 - 72). Si tratta di un ponte di barche descritto da Erodoto (VII, 36).


[1] Che compone e conclude la trilogia Il vello d'oro con L'ospite e Gli argonauti del 1821.
[2]C. Magris in Euripide, Grillparzer, Alvaro, Medea Variazioni sul mito a cura di M. G. Ciani, p. 17.
[3]J. Duflot, Pier Paolo Pasolini. Il sogno del centauro, Roma 1983, in Naldini, Pasolini, una vita , p. 81.
[4] S. Settis, , Futuro del "classico", p. 11o e p. 114.
[5] M. Cacciari, Geofilosofia dell'Europa, p. 27.

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