lunedì 7 ottobre 2019

Figure femminili nella tragedia greca. Prima parte

John William Godward, In the Days of Sappho
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Inizio della conferenza che terrò lunedì 14 ottobre dalle 17, 30 nella biblioteca Ginzburg di Bologna

Le figure femminili nella tragedia classica

Vediamo quali sono le figure femminili più significative nelle tragedie greche e perché lo sono.

La prefigurazione di tutte queste può essere Saffo (la cui ajkmhv, massima fioritura va collocata poco prima dell’anno 600 a. C.) con la sua lirica a per mio più identitaria quella chiamata “La cosa più bella”.
Saffo nacque a Ereso di Lesbo nella seconda metà del VII secolo, visse a Mitilene, il centro più importante dell'isola, quale maestra di musica, canto, danza e belle maniere, in una comunità o tiaso di ragazze; fu costretta ad un periodo di esilio siciliano in conseguenza dei rivolgimenti sociali che si conclusero con la sconfitta del suo ceto, l'aristocratico, e la vittoria della classe mercantile guidata da un tiranno, come vedremo meglio da Alceo, contemporaneo e conterraneo della poetessa.
Traduco letteralmente la lirica menzionata sopra
Si tratta dell'ode più ideologica della produzione di Saffo (fr.27aD):

"alcuni una schiera di cavalieri, altri di fanti,
altri di navi dicono che sulla terra nera
sia la cosa più bella, io quello
che uno ama.

Ed è facile assai rendere questo
comprensibile a ognuno: infatti quella che di gran lunga superava
nella bellezza gli esseri umani, Elena, dopo avere lasciato il marito
che pure era il più valoroso di tutti
andò a Troia navigando
e non si ricordò per niente della figlia
né dei suoi genitori, ma Cipride la
trascinò, in preda all'amore.
Anche a me ora ha fatto ricordare
di Anattoria assente.
Di lei ora vorrei vedere l'amabile
passo e il fulgido scintillio del volto
piuttosto che i carri dei Lidi e i fanti
che combattono nell'armatura"

Strofe saffiche

Fromm in Marx e Freud (1962) afferma che l’intelligenza è espressione di indipendenza, coraggio, vitalità, mentre la stupidità è sottomissione. Per l’intelligente vivere è un’avventura, non è solo evitare il dolore. Gli intelligenti sono indipendenti intraprendenti, innamorati della vita. Si progredisce soltanto sviluppando la propria razionalità e la propria capacità affettiva (p. 176).
Saffo afferma il proprio gusto di persona e di donna: al mondo maschile della guerra, quando la Lidia era la grande potenza militare dell'epoca, ella contrappone quello femminile dell'amore, e non dell'amore matrimoniale, bensì dell'Eros come rapimento dei sensi e dell'anima travolti da Afrodite.
Comincia di qui la palinodia su Elena (la quale nell'Odissea , IV, 145, tornata a Sparta, buona moglie, brava regina e avveduta padrona di casa, pentita dei propri trascorsi, chiama se stessa kunw'pi~, "faccia di cagna"). Una rivalutazione questa di Saffo che non ha bisogno, come quelle operate da Stesicoro e da Euripide di affermare che la bella donna in realtà rimase fedele a Menelao, siccome a Troia andò solo un fantasma, né adduce il motivo patriottico, come farà Isocrate (Elena , 67) sostenendo che la splendidissima fu la causa dell'unità del mondo greco contro la barbarie asiatica in una guerra che prefigurò quella preparata da Filippo di Macedonia, né deve accumulare una caterva di giustificazioni come Gorgia, il maestro di Isocrate, nell'Encomio di Elena :" ella in ogni caso sfugge all'accusa poiché fu presa da amore, fu persuasa dalla parola, fu rapita con la violenza, e fu costretta da necessità divina"(20); infatti la riabilitazione di Saffo è semplice e diretta: la poetessa approva la scelta amorosa della donna che ha seguito il richiamo della cosa più bella, senza tenere conto di convenzioni sociali, convenienze economiche o pastoie di qualsiasi genere[1].
“Come si vede, si tratta di una riabilitazione di Elena basata su una vera e propria rivoluzione di valori etici e però ben maggiore della riabilitazione razionalistica operata da Stesicoro, che nasce semplicemente da una variante narrativa”[2].
La conclusione di Saffo del resto anticipa quanto scriverà Virgilio nella decima bucolica:"omnia vincit Amor, et nos cedamus Amori "(v. 69), l'amore vince tutto, cediamo all'amore anche noi.

Partiamo quindi da Eschilo (Eleusi 525 - 456 Gela).
Nelle Supplici (rappresentata nel 463) il coro è il vero protagonista ed è formato dalle 50 Danaidi che fuggono dai cugini Egittidi aborriti come persone e in quanto maschi
Il Manifesto del Partito Comunista [3] di Marx - Engels inizia con l’affermazione che “La storia di ogni società esistita fino questo momento, è storia di lotte di classi”. Ebbene, in Eschilo la storia è piuttosto lotta di sessi, di religioni[4], di culture, di regimi.
Le J Iketivde~, eponime e protagoniste del dramma, formano il Coro secondo il modulo arcaico. Questa è l’unica tragedia con un protagonista collettivo.
Esse sono le cinquanta figlie di Danao le quali, aujtogenei' fuxanoriva/ (v.8), per connaturata avversione all'uomofuggono accompagnate dal padre, volendo evitare le aborrite nozze con i cinquanta cugini figli di Egitto i quali le inseguono. Le fanciulle, giunte ad Argo, invocano la protezione del re del luogo Pelasgo, siccome sono di origine argiva: discendono infatti da quella Io, figlia del re di Argo Inaco, che era stata resa pazza e trasfigurata in una mucca[5] assillata da un tafano in conseguenza dell'amore di Zeus e della gelosia di Era. Una storia raccontata nel Prometeo incatenato.
Queste odiatrici delle nozze vedono nei cugini pretendenti uno sciame violento, denso di maschi ( ajrsenoplhqh' d j - eJsmo;n uJbristhvn, vv. 30 - 31) lanciato al loro inseguimento.
Le cinquanta femmine costituiscono una folla impaurita, giunta ad Argo con rami avvolti in bende di lana[6] (ejriostevptoisi klavdoisin, v. 23).
Esse chiedono l'aiuto dell’antenato, Epafo, il divino torello oltremarino (Supplici, vv.43 - 44) nato in Egitto dal tocco[7] di Zeus alla giovenca. Un semidio teriomorfo, identificabile, forse, con il dio - toro egiziano Api.
Il matrimonio per le Danaidi è sinonimo di orrori [8]: le fanciulle in preda al terrore assimilano la loro voce a quella di Procne, la sposa di Tereo (v. 61) trasformata in usignolo dopo che ebbe ucciso il figlio Iti per punire il marito il quale le aveva violentato la sorella Filomela. Tereo fu a sua volta mutato in upupa, e la cognata, così barbaramente stuprata, in rondine. Questo mito raccapricciante, raccontato o richiamato da diversi autori in varie altre versioni[9] è emblematico per significare l'orrore di un matrimonio andato a male.
Sono ricorrenti i paragoni con gli uccelli: nel primo episodio Danao assimila i maschi inseguitori a falchi, "stirpi di nemici consanguinei e profanatori" (vv. 225), mentre le ragazze fuggiasche sembrano colombe atterrite. Viene ripetuto il motivo dell'inimicizia mortale tra gli uomini e le donne che pure appartengono alla stessa specie.
Un odio empio, nota subito Eschilo:"come può restare puro l'uccello che divora l'uccello?" (o[rniqo" o[rni" pw'" a]n ajgneuvoi fagwvn; v. 226).

Persiani del 472 drammatizza la battaglia di Salamina: è dunque un dramma di guerra dove scarseggiano le donne
L’unica che parla anzi è la regina madre Atossa la vedova di Dario la quale racconta una sua visione notturna: le appariva in sogno il figlio Serse, il grande re, che, ponendo le cinghie sotto il collo a due donne (vv. 190 - 191), le aggiogava al carro: di queste una era vestita con pepli dorici, l'altra abbigliata alla persiana. Simboleggino la Grecia e la Persia. La seconda si sottomette, mentre la prima recalcitra, spezza il giogo e travolge il carro. Serse, anche se sconfitto, comunque non è "uJpeuvquno" povlei" (Persiani, v. 213), tenuto a rendere conto alla città, come uno stratego eletto dal popolo. Eschilo contrappone al potere assoluto, cui sottostanno i Persiani, il sistema democratico di Atene, quando la regina Atossa, dopo avere raccontato il sogno, domanda ai vecchi dignitari chi sia il pastore e il padrone dell'armata di Salamina. Allora il corifeo risponde:"ou[tino" dou'loi kevklhntai fwto;" oujd j uJphvkooi" (Persiani, v. 242), di nessun uomo sono chiamati servi né sudditi.
“L’opposizione tra Europa e Asia è rappresentata da Eschilo nei Persiani (472a. C.) con l’immagine delle due sorelle nemiche, la Dorica e la Persiana. Questa visione sarà proiettata sulla guerra di Troia, facendo apparire retrospettivamente i Troiani come “Barbari”[10].
Non certo nelle Troiane di Euripide dove Andromaca dirà ai Greci che le ammazzano il figlio: "i veri barbari siete voi!".

Una donna eroica
Artemisia regina di Alicarnasso vedova del re partecipò a questa II guerra persiana distinguendosi per il valoreQuando Serse I di Persia invase la Grecia nel 480 a.C., dando inizio alla seconda guerra persiana, Artemisia partecipò alla spedizione in quanto alleata e vassalla del grande re Sersa. La regina partì al comando delle sue cinque triremi e si unì al resto dell'imponente flotta persiana, che contava oltre mille navi. Secondo Erodoto (VII, 99; VIII, 58 - 69 - 87 sgg., 101 - 107 ), Artemisia era l'unica comandante di sesso femminile di tutte le forze armate radunate da Serse e le sue triremi avevano la miglior reputazione di tutta la flotta, seconda solo a quella delle navi provenienti da Sidone. Artemisia partecipò alla battaglia di Capo Artemisio “con ardire e valore” (Erodoto, VII, 99, 2) contro la coalizione ellenica, guidata dall'ateniese Temistocle e dallo spartano Euribiade. Questa battaglia navale, che fu combattuta contemporaneamente alla battaglia delle Termopili nell'agosto del 480 a.C., si risolse senza né vinti né vincitori. Artemisia, secondo Erodoto, si distinse in essa in modo "non inferiore" agli altri comandanti persiani.

I Sette a Tebe del 467 ripropongono il conflitto tra i sessi nel duro discorso di Eschilo contro il coro di fanciulle tebane e contro le donne in generale
Il difensore di Tebe lancia una vera e propria invettiva contro il genere femminile in quanto è disturbato dal gridare delle ragazze terrorizzate: “so;n d j au\ to; siga'n kai; mevnein ei[sw dovmwn" (v. 232), il tuo compito invece è tacere e rimanere dentro casa. Questa espressione fa parte della misoginia di Eteocle sulla quale possiamo fermarci un poco
Il Coro della tragedia è formato da ragazze tebane che nella Parodo lanciano grida di spavento, non da comari del resto, ma ricche di metafore:"attraverso le mascelle equine/le briglie arpeggiano strage"(vv.122 - 123). Sono invocati gli dèi olimpii:"ascoltate, ascoltate come è giusto/le preghiere dalle mani tese delle ragazze" (171 - 172).
Le suppliche delle giovani donne però non incontrano l'approvazione del re difensore della città che anzi prorompe in una delle più aspre tirate antifemministe della letteratura greca:
"domando a voi, animali insopportabili (qrevmmat ' oujk ajnascetav - trevfw - creature),/sono forse questi gli incoraggiamenti migliori/ per questo popolo assediato ed è la salvezza della città/il vostro urlare e gridare, cadute davanti alle statue/degli dèi protettori, odio dei saggi che siete?/Che io non conviva, né in brutte situazioni/e nemmeno nel caro benessere con la razza delle donne./Infatti quando prende il sopravvento è di un'audacia intrattabile,/quando ha paura è un male ancora più grande nella casa e nella città".(vv.181 - 189).
Lo spavento delle ragazze diffonde viltà tra i difensori: dunque si chiudano nelle case:"infatti stanno a cuore agli uomini le faccende di fuori,/non le decida la donna: e tu, rimanendo dentro, non fare danno"(vv. 200 - 201). Eteocle esige di essere obbedito subito, senza repliche: "la disciplina infatti è madre del successo /che salva, o donna; il discorso sta in questi termini"(vv. 224 - 225).

Quindi: "il tuo compito è tacere e rimanere dentro le case" (so;n d’ au\ to; siga'n kai; mevnein ei[sw dovnwn, Sette232).
Ma non è finita: Eteocle inveisce ancora contro il Coro di ragazze:"vai in malora, non sopporterai queste difficoltà tacendo?"(v.252), e, poco più avanti, (v.256):"o Zeus, quale dono ci hai concesso, con la razza delle donne!".
Del resto, in confronto all’Ippolito di Euripide, l'Eteocle di Eschilo è un moderato. Infatti, quando, dopo l'ennesima richiesta di silenzio:"taci, disgraziata, non spaventare gli amici" (Sette a Tebe, v.262), la corifea glielo promette ("taccio: con gli altri sopporterò il destino", v. 263), il re e difensore di Tebe risponde placato:"io preferisco da te questa parola piuttosto che quelle di prima./Inoltre, stando lontana dalle statue,/rivolgi agli dèi la preghiera migliore: che ci siano alleati"(264 - 266).

Incerta, oltre la cronologia, è l'attribuzione del Prometeo incatenato.
Nel Prometeo Incatenato è menzionata la Magna Mater sconfitta con il figlio, il Titano che la invoca:"Qevmi" - kai; Gai'a, pollw'n ojnomavtwn morfh; miva"( vv. 209 - 210), Temide e Terra, una sola forma di molti nomi.
Alla fine della trilogia ci sarà una riconciliazione ma in questa il predominio rimarrà a Zeus e Prometeo con la Magna Mater resteranno subordinati.


CONTINUA


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[1]Questa prima affermazione di indipendenza della donna risuonerà nelle parole dei drammi greci, e procederà a mano a mano fino ad arrivare alla Nora di Ibsen (1879):"io devo, anzitutto, pensare ad educare me stessa. Ma tu non sapresti aiutarmi..per questo ti lascio." E quando il marito le obietta:"prima di ogni altra cosa, tu sei sposa e madre", ella risponde:"Non credo più a questi miti. Credo di essere anzitutto un essere umano, come lo sei tu..So che la maggioranza degli uomini ti darà ragione, e che anche nei libri dev'esserci scritto che hai ragione. Ma io non posso più ascoltare gli uomini, né badare a quello ch'è stampato nei libri. Ho bisogno di idee mie e di vederci chiaro" (Una casa di bambola , atto terzo).
[2] E. Rossi, R. Nicolai, Letteratura greca, 1 L’età arcaica, p. 361.
[3] Pubblicato nel febbraio del 1848.
[5] Cfr. Io…iam satis obsita, iam bos (Eneide, VII; 789 - 790), Io già coperta di peli, già vacca. 
[6] Questo è il segno dei supplici anche nell’incipit dell’Edipo re che comincia con queste parole del figlio di Laio: “ O figli, nuova stirpe dell'antico Cadmo/quali seggi mai sono questi dove state seduti/con i supplici rami incoronati?" (vv. 1 - 3).
[7] Cfr. ejfavptw, "metto la mano sopra".
[8] Cfr. la scheda Espressioni contrarie alle nozze successiva al v. 554 della Medea. Cfr. anche le Supplici Alcesti.
[9] Ne fa un lungo racconto in esametri Ovidio nelle Metamorfosi (VI, 426 - 674) cui allude Eliot per significare la decadenza del mito nella ricezione degli uomini moderni:"The change of Philomel, by the barbarous king/So rudely forced; yet there the nightingale/Filled all the desert with inviolable voice/And still she cried, and still the world pursues,/'Jug Jug' to dirty ears " (The Waste Land , vv. 99 - 103), la metamorfosi di Filomela, dal barbaro re così brutalmente forzata; eppure là l'usignolo riempiva tutto il deserto con voce inviolabile, e ancora ella piangeva e ancora il mondo continua 'Giag Giag' a orecchie sporche. Il canto della voce inviolabile di Filomela è degradato e dissacrato, poiché suona oramai solo naturalisticamente come un "giag giag" per le orecchie inquinate del mondo contemporaneo.
[10] In particolare nell’ Ifigenia in Aulide di Euripide (n.d. r).

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