martedì 8 ottobre 2019

Alessandro il Grande


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Breve stralcio della conferenza che terrò il 18 ottobre a Pordenone 

Gli Sciti fanno un discorso saggio che smonta l’automitopoiesi di Alessandro (328 a. C.)
Se fossi grande quanto sei avido, il mondo non ti conterrebbe: sic concupiscis quae non capis ( Curzio Rufo, Historiae Alexandri Magni, 7, 8, 13), così desideri ciò che non arrivi a prendere.
Vide ne…decĭdas (7, 8, 14) Stai attento a non cadere dalla cima dell’albero con i rami cui ti sarai impigliato. Quid nobis tecum est?[1] (16). Noi non abbiamo invaso la tua terra: “Nec servire ulli possumus nec imperare desideramus [2] (7, 8, 16). “Dona nobis data suntne Scytharum gentem ignōres, iugum boum et aratrum, sagitta, hasta, patĕra[3] (7, 8, 17), sono contadini, guerrieri e sacerdoti. Offriamo i prodotti della terra agli amici, mentre i nemici li attacchiamo, da lontano con le frecce, da vicino con le lance. Tu che ti vanti di venire a caccia di predoni omnium gentium, quas adistis, latro es[4] (7, 8, 19). Il nostro paese è sconfinato, la tua fortuna no: “Prōīnde fortunam tuam pressis manibus tene: lubrĭca est nec invita teneri potest…impone felicitati tuae frenos, facilius illam reges” (7, 8, 25).
Noi diciamo che la Fortuna è senza piedi: possiede solo mani e ali: “cum manus porrĭgit, pinnas quoque comprehende” (7, 8, 25), quando ti porge le mani, afferrale anche le ali.
Denique, si deus es, tribuere mortalibus beneficia debes, non sua eripere; sin autem homo es, id quod es, semper esse te cogita: stultum est eorum meminisse, propter quae tui obliviscaris, ”, pensa sempre di esserlo: è da stolti ricordare le cose per le quali dimentichi il tuo stato (26).
Cfr. Seneca: Illi mors gravis incǔbat,/qui, notus nimis omnibus,/ignotus moritur sibi (Thyestes, vv. 401 - 403).

Noi non giuriamo sugli dèi: “nos religionem in ipsa fide ponimus: qui non reverentur homines, fallunt deos” (7, 8, 29), quelli che non rispettano gli uomini, ingannano gli dèi.
 La fides dunque come essenza della religio. Ha la forza del sacro. Questo valore forte degli Sciti è tale anche per i Romani e anche per il re macedone.


[1] Cfr : “Quid mihi et tibi mulier?” (Giovanni, 2, 4).
[2] Cfr Otane che nel dibattito costituzionale tra i nobili persiani, essendo prevalsa la monarchia, non entrò in lizza per diventare re, dicendo parole belle assai, una specie di manifesto dell'antisadismo:"ou[te ga;r a[rcein ou[te a[rcesqai ejqevlw" (III, 83, 2), infatti non voglio comandare né essere comandato
[3] Erodoto racconta tra le cose non credibili che durante il regno dei figli di Targitao, capostipite degli Sciti, caddero dal cielo degli oggetti d’oro: “a[rotro;n te kai; zugo;n kai; savgarin kai; fiavlhn” (4, 5, 3) un aratro, un giogo, un’ascia e una coppa. Simboleggiano probabilmente le caste di contadini, guerrieri e sacerdoti.
[4] I Romani secondo Calgaco sono: "Raptores orbis, postquam cuncta vastantibus defuere terrae, mare scrutantur: si locuples hostis est, avari, si pauper, ambitiosi, quos non Oriens, non Occidens satiaverit: soli omnium opes atque inopiam pari adfectu concupiscunt (Tacito, Agricola, 30). Così pure il Mitridate di Sallustio che nelle Historiae[4], scrive al re dei Parti Arsace una lettera anti - imperialista: "Namque Romanis cum nationibus populis regibus cunctis una et ea vetus causa bellandi est, cupido profunda imperi et divitiarum "( Epistula Mithridatis, 2), infatti i Romani hanno un solo e oramai vecchio e famoso motivo di fare guerra a nazioni, popoli, re tutti: una brama senza fondo di dominio e di ricchezze. Quindi aggiunge:" an ignoras Romanos, postquam ad Occidentem pergentibus, finem Oceanus fecit, arma huc convortisse? neque quicquam a principio nisi raptum habere, domum coniuges, agros imperium?" ( 4), come, non sai che i Romani dopo che l'Oceano ha posto termine alla loro marcia verso Occidente, hanno rivolto le armi da questa parte? E che fin dal principio non hanno nulla, patria, mogli, terra, potenza, se non frutto di rapina?

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