lunedì 21 ottobre 2019

Medea di Euripide: nessuno è felice

Anthony Frederick Augustus Sandys
Medea

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Medea di Euripide seconda scena del V atto (vv. 1116 - 1250).
Medea annuncia alle donne del Coro l’arrivo di un messaggero affannato. Arriva dalla parte di Giasone. Il messo esorta la donna barbara a fuggire. Medea chiede quale sia il motivo dell’esortazione; l’a[ggelo" risponde che la principessa e Creonte sono morti. La donna esulta, e il messaggero le domanda se sia impazzita. Medea allora chiede al messo di raccontare l’orribile morte dei suoi nemici: vuole ricavarne gioia.
Segue la rJh'si" ajggelikhv che si estende per 114 versi (1116 - 1230).
Il sopraggiungere dei bambini con i doni sembrò ai servi affezionati un segno buono: che i loro genitori si erano riappacificati. La novella sposa intanto guardava estasiata Giasone, ma, vedendo arrivare i figli di Medea, lì per lì provò un moto di ribrezzo; allora lo sposo intervenne chiedendole di porre fine al risentimento del quale non aveva motivo. La ragazza venne convinta dalla vista dei doni che prese in mano quasi subito, e, ancor prima che Giasone con i figli si fossero allontanati, cominciò a metterseli addosso. Se ne compiacque e fece gesti teatrali, ma, subito dopo, la sua gioia mutò in dolore e strazio. Assai presto anzi ella si trasfigurò in una creatura orribile e raccapricciante, cambiando colore, spargendo bava dalla bocca, torcendo gli occhi. Le ancelle corsero a cercare aiuto. Intanto la situazione peggiorava: la corona d’oro posata sulla testa della sposa emanava un torrente di fuoco, mentre il peplo le divorava le carni. La ragazza cercava di fuggire e scuotersi il tormento di dosso, ma, dopo vani tentativi, crollò a terra, diventata una cosa irriconoscibile tranne che dal padre suo: appariva infatti come un tronco bruciato. Creonte crollò sul cadavere sfigurato cercando di rianimarlo, invano, quindi pregando di morire con la sua figliola. Poi il re di Corinto rimase avvinghiato alla figlia morta, come l’edera a una pianta, e non poté più sollevarsi. Infine spirò. Il messo conclude che le cose mortali sono soltanto ombra e gli uomini che ne cercano le ragioni sono solo dei folli. L’unica cosa sicura è che non esistono mortali felici: al massimo possiamo stare per qualche breve tempo sulla cresta di un’onda di prosperità.
Quindi il Coro compiange la figlia di Creonte, la quale ha subito la catastrofe in quanto presa nel tessuto delle trame maligne di Giasone.
Riporto la mia traduzione dei versi 1223 - 1230
Le cose mortali non ora per la prima volta considero ombra - ta; qnhta; d j ouj nu'n prw'ton hjgou'mai skiavn - ,
e senza timore potrei dire che gli uomini i quali si credono
 pieni di sapere sofouv" - e indagatori di ragioni - merimnhta;" lovgwn -
proprio costoro meritano l'accusa della più grande follia.
Tra i mortali infatti non c'è nessun uomo che sia felice - qnhtw'n ga;r oujdeiv" ejstin eujdaivmwn ajnhvr
quando passa un'ondata di prosperità, uno può diventare
più fortunato di un altro - eujtucevstero" - ma felice nessuno - eujdaivmwn d j a]n ou[.

Sentiamo il coro dei morti nello studio di Federico Ruysch

Sola nel mondo eterna, a cui si volve
Ogni creata cosa,
in te, morte, si posa
nostra ignuda natura;
lieta no ma sicura
dall’antico dolor (…)
Lieta no ma sicura;
però ch’essere beato
nega ai mortali e nega a’ morti il fato[1].

Infine Medea annuncia la propria decisione: andrà via da Corinto dopo avere ammazzato i figli. Visto che devono morire, dice, mi sobbarcherò, e sarò io ad ammazzarli. E’ un atto tremendo ma necessario. La donna si rivolge al proprio cuore e alla propria mano perché osino compiere l’orrendo misfatto che la renderà infelice per sempre.
Sentiamo alcuni versi (1240 - 1250 traduzione sempre mia)

E' assolutamente necessario che muoiano - pavntw'" sf j ajnavgkh katqanei'n - : e poiché deve avvenire
li ucciderò io che li ho generati.
Su, avanti, armati, cuore - ojplivzou, kardiva - . Perché indugiamo
a compiere un male tremendo e necessario?
Avanti, o infelice mano mia - w\ tavlaina cei;r ejmhv - , prendi la spada,
prendila, vai verso il traguardo doloroso della vita,
e non essere vile, non ricordarti dei figli,
che sono carissimi, che li generavi, ma, almeno per questo
breve giorno, dimenticati dei tuoi figli
e dopo piangi; anche infatti se li ucciderai, comunque
sono per natura tuoi cari : ed io sono una donna disgraziata - dustuch;" d j ejgw; gunhv
(vv. 1240 - 1250)

Argomenti
L’infelicità nel successoL'ira e la beffa sono signorili; l'elegia, la querimonia, no. Omero, Sofocle, Euripide, Tacito, Nietzsche, Il GattopardoLa significazione particolare degli occhi. Il legame dello sguardo con l'amore. Gli occhi come simbolo dei genitali. Suggerimenti per evitare la derisione. L’audacia criminale di Medea e quella di Alessandro Magno, non senza qualche cosa di eroico. Elogio leopardiano dell’eroismo difettoso.
La gioia è connaturata all’anima sana. Pessimismo e ottimismo pedagogico. Pindaro (Olimpica II). Euripide e il pessimismo dell’ Ecuba e l’ottimismo non solo pedagogico delle Supplici. Protagora nel dialogo di Platone. La consolazione di Seneca a una madre (Ad Marciam) che ha perduto un figlio. Pan.
Ancora Pindaro: Sogno di ombra è l’uomo (Medea 1224 e Pindaro).

Pindaro chiama l'uomo "sogno di ombra" (skia'" o[nar /a[nqrwpo" ", Pitica VIII, vv. 95 - 96 ).
Nell'Aiace di Sofocle Odisseo esprime la convinzione che l'ombra sia la quintessenza dell'uomo e manifesta la compassione del poeta per tutte le creature umane cadute sulle spine della vita:"oJrw' ga;r hJma'" oujde;n o[nta" a[llo plh;n - - ei[dwl j o{soiper zw'men h] kouvfhn skiavn", io infatti vedo che non siamo se non immagini quanti viviamo, o inconsistente ombra (Aiace, vv.125 - 126). “Pulvis et umbra sumus”, polvere e ombra siamo, secondo Orazio (Odi, IV, 7, v. 16). Nel Macbeth il protagonista afferma: "Life's but a walking shadow " (V, 5), la vita non è che un'ombra che cammina.
Proust:"Ci si accanisce a cercare i rottami inconsistenti d'un sogno, e intanto la nostra vita con la creatura amata continua: la nostra vita, distratta dinanze a cose di cui ignoriamo l'importanza per noi, attenta a quelle che forse non ne hanno, succube di esseri senza nessun rapporto reale con noi, piena di oblii, di lacune, di ansietà vane; la nostra vita simile a un sogno" (La prigioniera, p. 147).

Esortazioni e apostrofi ad alcune parti del corpo: Medea 1242, 1244 e Satyricon
Per quanto riguarda le apostrofi indirizzate a un membro o a un organo del corpo, ricordo, del Satyricon, l'invettiva di Encolpio contro la mentula che ha disertato: "erectus igitur in cubitum hac fere oratione contumacem vexavi: quid dicis - inquam - omnium hominum deorumque pudor? nam nec nominare quidem te inter res serias fas est." (132, 9 - 10), drizzatomi dunque sul gomito strapazzai il renitente con queste parole più o meno:" che cosa dici - faccio - vergogna degli uomini tutti e degli dèi? Infatti sarebbe un sacrilegio perfino nominarti tra le cose serie. Quindi il giovane si rammarica di avere questionato con quella parte del corpo che non si dovrebbe nemmeno menzionare. Però poi ci ripensa: allora gli vengono in mente anche l'Odissea e l'Edipo re:" quid? non et Ulixes cum corde litigat suo, et quidam tragici oculos suos tamquam audientes castigant?" (132, 13) e che? non litiga anche Ulisse con il suo cuore e certi personaggi tragici non se la prendono con gli occhi come se ascoltassero? Nell’Odissea il protagonista parla con il cuore che latra di sdegno di fronte al gozzovigliare dei proci, esortandolo a sopportare: "tevtlaqi dhv, kradivh: kai; kuvnteron a[llo pot j e[tlh"" ( XX, 18), sopporta, cuore: anche sofferenze più da cane hai già sopportato.


[1] Leopardi Dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie. (1824)

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