lunedì 28 ottobre 2019

Sceneggiatura del film Medea di Pasolini. Prima parte



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28 Ottobre 2019. Oggi, dalle 17, 30 alle 19, racconterò questo e molto altro ai miei “allievi” della biblioteca Ginzburg di Bologna via Genova, 10)

Sceneggiatura del film Medea di Pasolini (1969)

Nel film di Pasolini Chirone, ancora Centauro bimembre e mitico dice a Giasone tredicenne: “Tutto è santo, tutto è santo, tutto è santo. Non c’è niente di naturale nella natura, ragazzo mio, tientilo bene in mente… Eh sì, tutto è santo, ma la santità è insieme una maledizione.
Gli dei che amano - nel tempo stesso - odiano[1]

(v. 5 devra~ cfr. devrma)
Anche Pasolini nel suo film usa la parola “pelle” invece di “vello”. Pelia dice al nipote: “Esiste un segno della perennità del potere e dell’ordine, questo segno è la pelle d’oro di un caprone divino, essa si trova in una terra lontana, oltre il mare, dove nessuno è mai stato. Se tu porterai nella nostra città quella pelle d’oro io te lo restituirò, il tuo regno”[2].
Il potere del resto è malvagio: quando riceve il vello d’oro Pelia dice a Giasone: “penso che oggi dovrai fare un’esperienza inaspettata: comprendere che i re non sempre sono obbligati a mantenere le loro promesse” (scena 59).
Nel XVIII capitolo di Il Principe Machiavelli ricorda "come Achille e molti altri di quelli principi antichi furono dati a nutrire a Chirone centauro, che sotto la sua disciplina li costudissi". E ne deduce:"Il che non vuol dire altro, avere per precettore uno mezzo bestia et uno mezzo uomo, se non che bisogna a uno principe sapere usare l'una e l'altra natura; e l'una sanza l'altra non è durabile. Sendo dunque uno principe necessitato sapere usare la bestia, debbe di quelle pigliare la golpe et il lione; perché il lione non si difende da' lacci, la golpe non si difende da' lupi. Bisogna adunque essere golpe a conoscere e' lacci, e lione a sbigottire e' lupi. Coloro che stanno semplicemente in sul lione, non se ne intendano. Non può, per tanto, uno signore prudente né debbe osservare la fede, quando tale osservanzia li torni contro e che sono spente le cagioni che la feciono promettere (…) Et hassi ad intendere questo, che uno principe, e massime uno principe nuovo, non può osservare tutte quelle cose per le quali li uomini sono tenuti buoni, sendo spesso necessitato, per mantenere lo stato, operare contro alla fede, contro alla carità, contro alla umanità, contro alla relligione (….) Debbe, adunque, avere uno principe gran cura che non li esca mai di bocca una cosa che non sia piena delle soprascritte cinque qualità, e paia, a vederlo et udirlo, tutto pietà, tutto fede, tutto integrità, tutto religione”."
Riccardo III di Shakespeare è “un principe che ha letto il principe”[3]. Sentiamo le sue parole sulla necessaria ipocrisia dell’uomo di potere: “But then I sigh, and, with a piece of Scripture, - Tell them that God bids us do good for evil: - And thus i clothe my naked villainy - With odd old ends stol’n forth of Holy Writ, - And seem a saint, when most I play the devil” (Richard III, I, 3), ma allora io sospiro, e, con una citazione della Scrittura, dico loro che Dio ci ordina di rendere bene per male: e così io rivesto la mia nuda scelleratezza con occasionali vecchi ritagli sottratti alla Sacra Scrittura, e sembro un santo quanto più faccio il diavolo.
Queste parole costituiscono il codice dell’uomo di potere.

Sceneggiatura
“Giasone si spoglia, e nasconde la sua pretesa e la sua incertezza dietro un sorriso di ragazzino, fiero della propria virilità. Medea lo guarda incantata, e perduta in lui. E’ un vero, completo amore ecc. In questo momento a prevalere è la virilità di Giasone. Medea ha perso la propria atonia di bestia disorientata: nell’amore trova, di colpo (umanizzandosi) un sostituto della religiosità perduta; nell’esperienza sessuale ritrova il perduto rapporto sacrale con la realtà”[4].

Nella scena 79 Giasone dice a Medea: “E’ ora che tu ti convinca infine, chiaramente, che io devo soltanto a me stesso la buona riuscita delle mie imprese. Anche se tu non vorrai riconoscere che, se hai fatto qualcosa per me, lo hai fatto solo per amore del mio corpo”[5].
Pasolini mette in grande risalto il corpo e la corporeità di Giasone.

Pasolini nel “trattamento” del suo film evidenzia gli sguardi che si scambiano Giasone e Medea senza parlare: “Egli avanza, lento, senza fretta, fin sotto l’albero: e guarda fisso Medea. La sua ironia (carezzevole) sembra volerla spogliare, e non solo materialmente: esprimendo qualcosa che a lei sfugge, e che pure le determina”[6].
Cfr. oculi Gli occhi, ribadisce più avanti Properzio, per chi ancora non l'avesse capito, sono i comandanti nella guerra amorosa:"si nescis, oculi sunt in amore duces " (II, 15, 12).
Cfr. anche La montagna incantata.

v. 305 - eijmi; d’ oujk a[gan sofhv (a Creonte che la teme)
Pasolini nel suo film evidenzia la diversità tra il sapere dei Greci civilizzati e la sapienza di Medea. Un’ancella le dice: “Ma forse, se tu volessi, tu potresti ricordarti del tuo Dio…”
 E Medea risponde: “…Forse hai ragione. Sono restata quella che ero. Un vaso pieno di un sapere non mio” [7](scena 62 D).
Più avanti Creonte le dice: “E’ noto a tutti in questa città che, come barbara venuta da una terra straniera, sei molto esperta nei malefici. Sei diversa da tutti noi: perciò non ti vogliamo tra noi”.
A queste parole Medea replica: “Invece è così povera questa mia sapienza” (scena 66). Cfr. Medea di Euripide, v. 305 eijmi; d’ oujk a[gan sofhv.

Il culto del sole. Medea è nipote del sole (lo invoca, v. 764)
Il sole è, come sappiamo, anche il nonno di Medea ed è un personaggio, nemmeno muto, del film di Pasolini. Vediamo come ne interpreta il sorgere e il tramontare l’autore nel “trattamento”: “Il sole, calando, prefigura la discesa nel Regno dei morti, e, risorgendo, prefigura la resurrezione: inoltre esso crea il ritmo temporale, e la sacralizzazione del tempo, su cui è fondato il mondo contadino, ecc. Il sole è insieme il Dio della Fecondazione e della Morte”[8].
Pasolini mostra anche la luna nel suo film (scena 96), immediatamente di seguito al tramonto del sole “Il sole sta tramontando: il suo disco splende, molle, in fondo al dolce orizzonte lagunare, in fondo a pioppeti e vigneti. E, straordinario, dall’altra parte del cielo, sorge, azzurrino - argentea la falce sottile della luna. Il sole e la luna sono dunque congiunti, come nelle tavolette sacre, nei simboli. E’ per essi che l’uomo ha potuto crearsi il senso del tempo, coi suoi ritorni (il nascere e il tramontare; il calare e il crescere). E’ per essi che l’uomo ha potuto convincersi della resurrezione (perché ogni sole cala nel buio - nel regno dei Morti - rinasce. E così la luna). Tutto ciò costituisce la Scienza di Medea, che rendeva giusta e necessaria la sua presenza nel mondo. Ora essa ha smarrito questa scienza, come una bestia strappata al suo pascolo, che non si orizzonta più. Guarda il Sole, guarda la Luna” (p. 505).


continua

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[1] P. P. Pasolini, Dialoghi definitivi di “Medea”, scena 7. In op. cit., p. 544 e p. 545.

[2] P. P. Pasolini, Il vangelo secondo Matteo, Edipo re, Medea, Dialoghi definitivi di “Medea”, scena 20., p. 546.
[3] Jan Kott, Shakespeare nostro contemporaneo, p. 42.
[4] P. P. Pasolini, Il vangelo secondo Matteo, Edipo re, Medea, “visioni della Medea” di P. P. Pasolini (trattamento), p. 507.
[5] Op. cit., p. 557
[6] P. P. Pasolini, Il vangelo secondo Matteo, Edipo re, Medea, “visioni della Medea” di P. P. Pasolini (trattamento), p. 497.
[7] Op. cit., p. 552.
[8] P. P. Pasolini, Il vangelo secondo Matteo, Edipo re, Medea, “visioni della Medea” di P. P. Pasolini (trattamento), p. 483.


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