domenica 31 gennaio 2016

La Commedia antica. Aristofane. XI parte

Le Vespe al teatro greco di Siracusa

PER VISUALIZZARE IL GRECO CLICCA QUI E SCARICA IL FONT HELLENIKA


Le Vespe di Aristofane
Nelle Vespe del 422, il commediografo mette in rilievo la parzialità dell’Eliea che in origine era una corte d’appello istituita da Solone, poi ampliata fino a seimila giudici.
 All’Eliea erano affidati i processi che non venivano attribuiti ai tribunali del sangue, all’Areopago,
 I 6000 eliasti erano sorteggiati in numero di 600 per tribù. Unici requisiti avere compiuto 30 anni e il possesso dei diritti politici. Aristofane mette in ridicolo un vecchio eliasta (Filocleone) fanatico dei processi e di Cleone che del resto gli dà solo le briciole.
Filhliasthvς ejstin (87).
Il figlio, Bdelicleone che ha schifo (bdeluvssw, provo disgusto) di Cleone, lo chiude in casa.
Il vecchio spasima perché vuole fare del male (kako; n ti poih̃sai, 320 e cfr. 340),
Cerca di fuggire nascosto sotto un asino (178) e in altri modi ma i servi di Bdelicleone, suoi carcerieri, lo bloccano
Il vecchio chiama in aiuto i colleghi eliasti, un gruppo di vecchi che diventano come un nido di vespe se qualcuno li stuzzica: hanno un pungiglione acutissimo (e[cousi ga; r kai; kevntron ojxuvtaton 225 - 226) con il quale pungono (w\ kentou'si) e con grandi salti urlano.
Filocleone chiede aiuto contro il figlio che non vuole lasciargli fare del male (340)
Il Coro minaccia i servi carcerieri
 Schifacleone viene accusato di aspirare alla tirannide
Il giovane ribatte che per loro tutto è tirannide e congiura.
La tirannide è assai più a buon mercato del pesce salato (pollw̃/ toũ tarivcouς ejstin ajxiwtevra, 491) tanto che il suo nome gira per tutta la piazza (w{ste kai; dh; tou[nomj aujth̃ς ejn ajgorã/ kulivndetai, 492)
Se uno che va a comprare il pesce chiede scorfani (ojrfwvς) e non vuole sardelle (membravdaς, 493), quello che vende sardelle dice: “quest’uomo ha l’aria di fare provviste per la tirannide” 495)
Se uno chiede della cipolla (ghvteion) per condire le alici, l’ortolana lo guarda di traverso e fa: “ di’ un po’: chiedi della cipolla per la tirannide?
Il secondo servo dice che il giorno prima una puttana cui aveva chiesto di cavalcarlo, gli aveva chiesto se voleva ristabilire la tirannide di Ippia.
La città dunque è piena di delatori e Bdelicleone non vuole che il padre si alzi all’alba per frequentare sicofanti e tribunali.

Filocleone dice al figlio quali sono i vantaggi della sua carica: gli eliasti ricevono favori anche sessuali e non devono rendere conto a nessuno (ajnupeuvqunoi drw'men, 587). Cfr. il dibattito costituzionale di Erodoto
Anzi, davanti ai giudici dell’Eliea se la fanno sotto i ricchi e i potenti ( ejgkecovdasiv m j oiJ ploutou''nteς (627) - ejgcevzw, me la faccio addosso.

Ma il figlio di Filocleone esorta il “babbino”(pappivdion, 655) a calcolare qual è il tributo (to; n fovron) che Atene riceve dalle città alleate poi tutte le altre rendite (tevlh, imposte indirette, miniere, mevtall j, mercati, porti, confische 649). Sono duemila talenti.
Gli stipendi dei 6000 eliasti arrivano a 150 talenti (un talento equivalgono a 6000 dracme a 36 mila oboli)
Il vecchio ci rimane male: nemmeno la decima parte?
E gli altri quattrini?
Il figlio risponde che vanno ai demagoghi che adulano la folla e prendono cinquanta talenti alla volta dagli alleati terrorizzandoli prima, poi facendosi corrompere
Tu ti accontenti di rosicchiare i rimasugli del tuo potere (672) dice Bdelicleone a suo babbo.
Tu sei calcolato quasi niente (tre oboli) mentre i demagoghi si pappano vasi di pesce marinato, vino, tappeti, cacio (turovn), miele, sesamo, cuscini, coppe, mantelli, corone, collane, tazze, abbondanza e buona salute e quelli cui tu credi di comandare nemmeno ti danno un capo (skorovdrou kefalhvn, v. 679) d’aglio per i tuoi pesciolini -
Insomma, demagoghi e adulatori traggono grandi profitti, tu, se uno ti dà quei tre oboli (treĩς ojbolouvς) sei felice. Eppure hai combattuto e hai faticato per la città
Ti lasci dare ordini da un giovincello rotto in culo ( meiravkion katapuvgwn, 687) che ti fa fretta, mentre lui non ha orari e prende una dramma (dracmhvn, 6 oboli). Inoltre prende denaro dagli accusati che assolve.
Filocleone comincia a pensarci su
Il figlio continua: sei sempre stato raggirato da questi atteggiati ad amici del popolo (ujpo; tw'n dhmizovntwn, 699).
Vogliono che tu sia povero e arrabbiato per aizzarti contro i loro nemici.
Potrebbero sostenere il popolo nel benessere con i tributi delle città alleate. Con le mille città che pagano, potrebbero mantenere 20 mila ateniesi a carne di lepre e formaggio, fra le corone, un tenore di vita degno di Maratona.
Io ti tenevo chiuso volendo nutrirti e perché non ti beffassero questi enfatici parolai dalla bocca aperta bovskein ejqevlwn kai; mh; touvtouς - ejgcavskein soi stomfavzontaς (720 - 721)

I vecchi eliasti oramai sono convinti da Bdelicleone il quale per giunta promette di dare al babbo quanto giova a un vecchio: farinata da leccare (covndron leivcein) un mantello soffice (claĩnan malakhvn) e una puttana che gli strofinerà il bischero (povrnhn h{tiς to; pevoς trivyei, 739) e i lombi.
Il vecchi pare rinsavito.

Ma rimpiange i processi. Ora vorrebbe processare Cleone
Il figlio gli propone di fare il giudice in casa. Il salario (misqovς, 784) glielo darà il lui e non dovrà dividerlo con nessuno
Filocleone gli dà anche il pitale (urinale, ajmivς) come favrmakon straggourivaς, rimedio della stranguria (stravgx, goccia, ou\ron, urina). Stenosi delle vie urinarie. Poi gli offre il fuoco e un piatto di lenticchie (fakh') da ingollare.
Il cane Labes (deformazione caricaturale di Laches, lo stratego sconfitto in Sicilia ) ha rubato una caciotta siciliana.
Il figlio prega Apollo che tolga l’ortica all’ira del padre e metta il miele al posto della mostarda. L’ojrghv nella tragedia caratterizza il tiranno
Viene introdotto il cane accusato, Laches. Un altro cane lo accusa.
Lo stratego Lachete combattè in Sicilia fu processato per furto, e morì nel 418 a Mantinea.
Lacbes - Laches il cane accusato, secondo il vecchio è il furto in persona. Il gallo messo lì per tenere sveglio Filocleone sembra confermare. Il vecchio chiede il pitale e piscia (oujreĩ, 940)
Il cane non sa difendersi come Tucidide che accusato rimase paralizzato nelle mascelle (v. 947).
Lo storiografo venne esiliato nel 425 per la perdita di Anfiboli.
Ma potrebbe essere Tucidide figlio di Melesia, l’antico avversario politico di Pericle.
Il figlio difende il cane dicendo che non ha avuto una buona educazione; “non sa suonare la cetra” kiqavrizein ga; r oujk ejpivstatai” (959)
Bdelicleone fa anche entrare i bambini (cuccioli di cane) per impietosire il giudice
Il vecchio si commuove e piange
Il figlio fa in modo che il padre assolva, oujc eJkwvn, contro voglia, il cane facendogli sbagliare l’urna del voto.
Il vecchio non si capacita: ha assolto a[kwn (1002, senza volere)

Il figlio promette assistenza al padre che non verrà più ingannato da Iperbolo, altro demagogo.


continua

venerdì 29 gennaio 2016

La Commedia antica. Aristofane. X parte

J. G. Droysen

PER VISUALIZZARE IL GRECO CLICCA QUI E SCARICA IL FONT HELLENIKA


Appendice con appunti non ordinati


J. G. Droysen
“Droysen stesso istituiva un’analogia fra Cleone e il “selvaggio Mario”, o peggio ancora il “sanguinario Robespierre”[1].
Droysen dà il via a una rivalutazione del demagogo ateniese tanto infamato da Tucidide e da Aristofane: “Si può dire quel che si vuole del carattere di Cleone, ma in ogni modo egli era l’anima del sistema democratico ateniese in quel periodo…Frattanto le eterie dovevano impegnarsi non poco nelle trattative allacciate con Sparta; un accenno contenuto nelle Vespe ci fa capire che in quei circoli si pensava seriamente già allora di limitare la democrazia…Cleone appariva il vero difensore contro tali intrighi; ecco perché il coro delle Vespe lo chiama subito in sua difesa, non appena crede di fiutare qualche congiura” (p. 140).

“Aristofane aveva dinnanzi agli occhi il tesoro della poesia ellenica, considerata in tutta la sua ampiezza, ma sempre solo allo scopo di parodiare qui e là un verso, una situazione, una figura”[2].
“In nessuno Stato al mondo l’opinione pubblica ha mai esercitato un potere legale così immediato ed esplicito come in Atene; gran parte degli istituti statali ateniesi si riduceva essenzialmente alla consultazione dell’opinione pubblica. Si giungeva al punto di dibattere ogni anno se vi fosse nello Stato qualche personalità significativa della quale liberarsi” (p. 132).

Droysen sa che rischia “di essere trattato da eretico, per aver difeso un uomo abitualmente esecrato come concentrato di spregevolezza e di abiezione demagogica, insomma come una specie di mostro della politica” (p. 65).

Il comico di Woody Allen: “If you play your cards right, you could have my body”, Crimini e misfatti, 1989.

The sleeper 1973
My brain is my secound - favorite organ

 Gli Uccelli del 414.
Alata e allegra utopia costruita per fuggire dalla dura realtà politica sociale e militare del 414.
 Dopo che è stata fondata la nuova città dei cuculi tra le nuvole (Nefelokokkugiva), da Pistetero ed Evelpide, i due Ateniesi disgustati dei concittadini e guidati dai volatili, arriva, con altri sgraditi ciarlatani, fanfaroni e assassini anche un sicofante il quale reclama delle ali (1420): gli servono per denunziare, sostenere l'accusa e tornare indietro volando (1455). Naturalmente Pistetero lo caccia non senza averlo prima picchiato perché impari quanto "amara è l'arte di stravolgere la giustizia"(1468).

II Ipotesi
Negli Uccelli, Aristofane immagina qualche cosa di grandioso poiché la città è oramai malata di un male inguaribile e ridotta in rovina dai governanti, egli si inventa un’altra città che abbia anche nuovi dèi. Aristofane immagina una città fuori dalla terra (peri; to; n ajevra ) con assemblee delibranti di uccelli, per disgusto di quelle degli ateniesi. Gli Ateniesi vengono beffati anche per la mania dei processi e delle liti, per la loro bellicosità.
Viene canzonato Sofocle che descrisse la metamorfosi di Tereo e Procne in uccelli. Poi Aristofane deride i parricidi e la mania di dare ai figli nomi di uccelli. Evelpide e Pistetero sono affascinati dal fatto che gli uccelli vivono facendo a meno del denaro, e mangiano menta e mirti. Quindi gli uccelli fondano Nefelokokkugivan, Nubicuculia, in mezzo al cielo e intimano agli uomini di sacrificare a loro, non agli dèi. Si presentano i soliti farabutti e imbroglioni: un poeta, uno spacciaoracoli, un geometra, un ispettore e uno scrivano e tutti i più molesti. Arrivano sicofanti e parricidi. Pistetero li manda a combattere. Gli dèi affamati devono scendere a patti. Zeus deve promettere scettro sovranità agli uccelli.
Entrano i due ateniesi in luogo deserto con un corvo e una cornacchia. Devono portarli da Tereo trasformato in upupa. I due uccelli mordicchiano. Sono disgustati dal fatto che gli Ateniesi cantano sui processi per tutta la vita (v. 41). Cfr. i processi di Berlusconi. Arriva un servo di Upupa. Tutti hanno paura.
Esce un personaggio con ciuffi e penne: è Tereo - Upupa. Lo ha conciato così Sofocle. I due dicono di essere antieliasti (110)
Vogliono una città adatta a loro. Non Atene e nemmeno una aristocratica. Una città senza vizi. Non sul mare poiché dal mare arriva la Salaminia, la nave di Stato che era andata a prendere Alcibiade. Gli uccelli vivono a[neu ballantivou (v. 157), senza borsa. Gli uccelli mangiano sesamo bianco, bacche di mirto, semi di papavero. Pistetero consiglia a Tereo di fondare una città.
Comanderanno sugli uomini e faranno morire gli dèi con una fame da Melii. (185 - 186)
Nella Parodo (209 - 351) Tereo chiama l’usignolo che venga piangendo Iti. La voce dell’uccellino riempie di miele tutta la boscaglia (223). L’Upupa chiama a raccolta gli uccelli.
Il corifeo proclama che l’uomo è dolerovn, creatura ingannevole (v. 451) ma consente a Pistetero di parlare.
Il quale dice che gli uccelli sono più antichi (ajrcaiovteroi) di Zeus, di Crono, dei Titani e perfino della Terra. Sicché la sovranità appartiene a loro. Il gallo era potentissimo: ancora il suo canto fa alzare gli uomini dal letto.
Il cuculo che era re d’Egitto dà il segno della mietitura ai Fenici circoncisi. I re avevano un uccello sullo scettro. Zeus ha l’aquila, Atena la civetta, Apollo l’avvoltoio.
Ora invece gli uomini mangiano gli uccelli. Il corifeo si fida di Pistetero. Allora: bisogna fondare questa città e murarla e proclamare la guerra santa contro Zeus e impedire agli dèi di andare e venire sulla terra a cazzo ritto (toi`si qeoi`sin ajpeipei`n ejstukovsi, da stuvw, ho un’erezione, 557) come quando venivano a sedurre le Alcmene e le Semele
"bisogna proclamare la guerra santa contro Zeus e impedire agli dèi/
di andare e venire per la vostra terra a cazzo ritto
come una volta quando scendevano a sedurre le Alcmene
le Alopi e le Semele"(vv. 556 - 559).
Una menzione ridicola del dongiovannismo di Zeus, e di Poseidone, si trova anche nelle Nuvole.
Prima di sacrificare un montone a Zeus gli uomini dovranno sacrificare allo scricciolo (ojrcilo~ o[rni~) un moscerino coi coglioni (sevrfon ejnovrchn, v. 569).
Se gli uomini non obbediranno, un nugolo di passeri e di cornacchie (struvqwn nevfo~ ajrqe; n - kai; spermolovgwn) si leveranno per beccare le sementi dai campi, ejk tw`n ajgrw`n to; spevrm j, 579 (cfr. uno sciopero dei lavoratori agricoli, moscerini per quanto poco vengono pagati). E i corvi (kovrake~) caveranno gli occhi ai buoi.
Gli uccelli ricambieranno la venerazione degli uomini mangiando le locuste (pavrnope~, cfr. S. Giovanni Battista) poi bruchi e mosconi. Inoltre gli uccelli profetici indicheranno commerci vantaggiosi ta; ~ ejmporiva~ kerdaleva~ (v. 594) Diranno quando è tempo e non è tempo di navigare (nuni; mh; plei`, ceimw; n e[stai, 597). Non avranno bisogno di templi. Dunque non è più il momento di sonnecchiare (nustavzein) e indugiare a vincere, essere Nicia, (mellonikia`n) come fa Nicia.
Viene chiamata Prone una flautista carina, Pistetero dice che le aprirebbe volentieri le cosce ( ejgw; diamhrivzoim j a]n aujth; n hJdevw~, v. 669).
Parabasi Il coro contrappone gli uomini tenebrosi, simili alle foglie (cfr. Iliade, VI, 146), pasticci di fango (plavsmata phlou`, 686), ombre vane, senza ali, agli uccelli, celesti creature immuni da vecchiezza. La stirpe degli uccelli è nata dall’unione tra Eros e Caos, prima che nascessero gli uomini e gli dèi. Discendono da Eros e favoriscono l’amore. Regalando una quaglia (o[rtuga) o un’oca infatti si possono ottenere favori sessuali. Con i loro versi gli uccelli danno i segni delle stagioni, di seminare (quando la gru gracchia e vola verso la Libia, 710) o di non navigare più. La rondinella avverte che si può indossare la tunica leggera. Cfr. le previsioni del tempo. Noi siamo profetici, veri oracoli e Muse vaticinanti (v. 724) Cfr. Ettore nell’Iliade XII, e Sofocle, Edipo re Antigone - noi uccelli stiamo in mezzo a voi e vi infondiamo la vita.
Il coro emette canti in onore di Pan e di Cibele, la montana madre.
 Frinico, il tragediografo precedente Eschilo trae i suoi dolci canti, come un’ape, dalle cime montane. Scrisse le Fenicie, rappresentato nel 476. Raccontava la vittoria dei Greci a Salamina e il dolore delle donne di Sidone per i loro uomini. Nel 492 Frinico aveva portato sulla scena La presa di Mileto. Era arconte Temistocle che voleva la costruzione di una grande flotta. Ma la tragedia di Frinico fece piangere gli Ateniesi che multarono il poeta di mille dracme e vietarono che la tragedia venisse rappresentata di nuovo. Scrisse anche Alcesti e Danaidi. I suoi canti corali vennero ammirati per la loro dolcezza.

Gli uccelli hanno dei privilegi
Niente è più utile e piacevole che avere le ali. Tra voi spettatori chi avesse le ali potrebbe volare a casa per mangiare o per fottere se ha visto il marito dell’amante a teatro. Il nome della città. La divinità protettrice non può essere Atena poiché Nefelokokkugiva non sarebbe bene ordinata se rappresentata da una donna armata fino ai denti e da un uomo, Clistene, con la spola (829 - 831).
Arriva un poeta. Ha composto ditirambi e parteni e canti alla maniera di Simonide. Fa però una parodia di Pindaro.
Si fa dare degli indumenti. Glieli danno purché se ne vada.
Arriva poi uno spacciaoracoli. Anche questo vuole dei regali. E’ uno non invitato, un cialtrone, avido di salsicce. Gli danno un libro che lo sbugiarda e lo cacciano. Arriva l’astronomo Metone che vuole misurare l’aria. Traccia un piano urbanistico simile a quello disegnato da Ippodamo di Mileto per Turi. Ma Pistetero lo minaccia: hanno deciso di ridurre in cenere tutti gli impostori. E lo picchiano
Arriva un ejpivskopo~, un ispettore. Lo picchiano
Poi uno che vende decreti (yhfismatopwvlh~, 1038). Lo insultano. Nella seconda parabasi gli uccelli esaltano il loro ruolo benefico nei confronti dei frutti. Poi c’è il makarismov~ degli uccelli che d’inverno non indossano mantelle clai`na~ oujk ajmpiscou`ntai (1090)


continua



[1] J. G. Droysen, Aristofane (del 1835), (a cura di Giovanni Bonacina), p. 33 dell’introduzione.
[2] J. G. Droysen, Aristofane, Prefazione del 1835, p. 72 

giovedì 28 gennaio 2016

Twitter, CCXXVII antologia

Nerone
Il matricida assolto

Apollo nelle Eumenidi di Eschilo dice che un figlio può nascere senza la madre (v. 658), come accadde ad Atena. Applaudite omofili!

Quindi  Febo aggiunge  (Eumenidi,v. 659) che la madre, anche quando c'è, non è la generatrice del figlio, ma solo la nutrice del seme.

In conclusione, Oreste, il matricida, deve essere assolto, in quanto chi genera davvero è il maschio che monta la donna (Eumenidi,v.660), o ne fa anche a meno, come Zeus. Che dite? Si arriverà all'autarchia di genere?

Al matricida Nerone piaceva recitare la parte di Oreste, il matricida giustificato da Apollo e assolto dal tribunale dell’Areopago presieduto da Atena.
Poi il lunatico imperatore interpretava l'incestuosa Canace e partoriva sulla scena. C’è proprio bisogno della donna per allevare e perfino per mettere al mondo i bambini?

Renzi strilla in parlamento come un fanciullo ossesso. Gli sarebbe più confacente andare a ingrossare un corteo di nostalgici arrabbiati.

Le statue sono state velate per creare un caso clamoroso e distrarre la gente dalle gravi difficoltà irrisolte dal governo



giovanni ghiselli

p. s.
il blog è arrivato a 305413.
Queste sono le visite della settimana


Stati Uniti
1406
Italia
615
Germania
11
Spagna
10
Portogallo
9
Irlanda
6
Russia
5
Belgio
4
Francia
4
Ucraina
4

mercoledì 27 gennaio 2016

La Commedia antica. Aristofane. IX parte

Ermes con Dioniso bambino
scultura di Prassitele

PER VISUALIZZARE IL GRECO CLICCA QUI E SCARICA IL FONT HELLENIKA


Poco dopo arriva il primo creditore: Strepsiade il quale ha imparato da Socrate che gli dèi non esistono, non si perita di giurare il falso "su Zeus Ermes e Poseidone" le tre divinità su cui si poteva esigere il giuramento dal debitore secondo la legge di Solone. Quindi, ricorrendo pure a un gioco di parole, ad un trabocchetto lessicale, Strepsiade non paga. Poi non dà retta a un secondo creditore poiché non sa nulla dei fenomeni celesti (1285) e per il fatto che il debito non è naturale in quanto cresce ogni giorno, mentre il mare che è naturale, pur con tutti i fiumi che vi corrono dentro, rimane sempre uguale (1293 - 1297). A questo sofisma il vecchio aggiunge minacce, infine rientra in casa. Allora le nuvole presagiscono guai all'attempato sofista (1310) che si è voluto e dovrà godersi
"un figlio abile nel sostenere argomenti
 contrari alla giustizia"(1314 - 1315).
L'ingiustizia insomma non paga mai. Infatti subito dopo il vecchio esce piangendo da casa: il figlio lo ha picchiato pesantemente:
"ahimé disgraziato: povera la mia testa e la mia mascella.
Oh scellerato, percuoti tuo padre? "(1322 - 1323).

Fidippide non è pentito e non nega, anzi si appresta a dimostrare che ha picchiato stando "nella giustizia"(1331).

Naturalmente si tratta della giustizia di un'umanità che nega i valori; Esiodo la chiama "stirpe ferrea"(Opere, 176) che vive un'età di violenza nella quale i figli disprezzano i genitori "quando cominciano a farsi vecchi"(185) e li insultano con parole dure usando il diritto del più forte (189).

 Del resto il padre della commedia di Aristofane non è incolpevole: infatti esclama:
"io però ti mandai a scuola, disgraziato,
perché trovassi argomenti contro la giustizia!"(1338 - 1339), senza comprendere quanto sia irrazionale quel "però".
Quindi Strepsiade racconta come è nata la contesa con il suo rampollo.
Padre e figlio erano a tavola quando il vecchio chiese al giovane di prendere la lira e cantare una canzone di Simonide. Fidippide si rifiutò perché si trattava di roba antiquata (1357).

Si ricorderà che il poeta è quello dell'encomio per gli eroi delle Termopili[1], un lirico che non può essere simpatico a una gioventù nichilista.

Il padre allora lo pregò di recitargli qualche cosa di Eschilo.
Ma il ragazzo si inalberò:
"io infatti considero Eschilo il primo tra i poeti
pieni di frastuono, incoerenti, ampollosi, pieno di dirupi"(1366 - 1367).

Fidippide con tale critica anticipa quanto dirà Euripide, personaggio delle Rane, contrò la poesia di Eschilo.
In questa commedia, Aristofane costruisce un agone letterario tra i due drammaturghi scesi nell'Ade:
"disse una dozzina di parole grosse come buoi
con cipiglio e cimiero, certi terribili spauracchi
incomprensibili agli spettatori"( Rane, 924 - 926).

 Il giovane dunque è un euripideo. Infatti quando il padre gli chiese:
"recitami qualche cosa di questi poeti nuovi"(1370), egli attaccò subito un passo di Euripide
"come un fratello, Dio ci scampi, sbatteva la sorella uterina"(1372). Allora il padre lo ingiuriò e il figlio lo picchiò duro.
 La scena torna in diretta, il ragazzo interviene e pretende pure di avere ragione. Il padre gli obietta che è un ingrato:
"io ti ho allevato
e capivo tutto quello che volevi quando ancora balbettavi.
Ogni volta che dicevi bru, io capivo e ti davo da bere;
se chiedevi la pappa io correvo e ti portavo il pane
e ancora prima che dicessi cacca ti portavo fuori dalla porta
e ti reggevo; tu invece poco fa mentre mi strangolavi
ed io gridavo e strillavo che
me la facevo sotto, hai osato
non portarmi fuori dalla porta,
 mascalzone, ma l'ho fatta lì
la cacca, mezzo strozzato"(1380 - 1390).

Il peccato capitale dunque, quello per il quale non c'è remissione ma si è dannati per sempre nel fango e nello sterco secondo lo stesso Aristofane nelle Rane (149) o tormentati dalle Furie secondo Virgilio (Eneide, VI, 608), picchiare il padre insomma, è un gesto di moda tra i giovani che hanno avuto cattivi maestri come Euripide e Socrate.

A questo punto interviene il coro e chiede al ragazzo di giustificare la sua iniquità cercando qualche argomento persuasivo che abbia almeno l'apparenza del giusto (1397). Fidippide esulta poiché ha imparato la capacità di "disprezzare le leggi stabilite"(1400).

Strano che ad insegnarla sia stato proprio il maestro di Platone il quale nel Critone rappresenta Socrate mentre preferisce morire obbedendo alle leggi, pur usate male dai giudici, che salvarsi con la fuga, rifiutando la giurisdizione sotto la quale è nato, cresciuto ed ha accettato durante l'intero corso della sua vita. Eppure questo suo presunto discepolo è tutto contento poiché Socrate gli ha insegnato ogni trasgressione, cominciando da quella ritenuta più grave:
"sono certo di dimostrare che è giusto punire il padre"(1405).

In realtà Socrate analizzava e criticava i luoghi comuni contrari alla ragione e alla morale, come il vizio diffuso di trascurare l'anima per cercare solo il benessere materiale. Un altro dramma dove possiamo trovare un figlio che castiga il padre, ma con il consenso dell'autore, è la commedia successiva dello stesso Aristofane: le Vespe (del 422) nella quale il vecchio Filocleone, ossia amico del demagogo più noto di Atene, è un giudice che desidera solo recarsi nel tribunale popolare per fare un poco di male e prendere i tre oboli di paga; mentre il giovane Schifacleone lo chiude in casa a giudicare il cane che ha rubato un pezzo di cacio.

Fidippide dunque dà inizio alla dimostrazione e domanda al padre:
"quando ero bambino mi picchiavi? "(Nuvole, v. 1409).
Strepsiade risponde:
"Io sì perché ti volevo bene e avevo cura di te"(1409).
Dunque, ne inferisce il giovane
"evidentemente volere bene significa picchiare"(1412), quindi estende il ragionamento avvalendosi anche della letteratura, naturalmente quella dell'altro cattivo maestro, Euripide, con l'uso di un verso parodiato dell'Alcesti:
"piangono i figli; non pensi che debba piangere il padre? " che è il travestimento derisorio di: "Tu godi nel vedere la luce: credi che il padre non ne goda? " che Ferete dice al figlio Admeto (v. 691), un egoista il quale pretende il sacrificio della vita dei genitori per conservare la propria.
Ma tornando alla creatura di Aristofane, costui per coonestare la bastonatura al padre utilizza altri argomenti sofistici tra cui la relatività delle leggi e dei costumi e l'agire istintivo degli animali:
"osserva i galli ed altri animali del genere
come puniscono i padri: ebbene in che cosa sono diversi
da noi quelli, a parte il fatto che non scrivono decreti? "(1426 - 1428).

Allora il padre risponde con l'argomentazione che si trova nella favola dello sparviero e dell'usignolo di Esiodo (Opere, 202 e sgg. ): per le bestie è naturale la violenza e la legge del più forte; ma noi uomini siamo diversi dagli animali:
"allora, siccome imiti in tutto i galli, perché
non mangi anche sterco e non dormi su un asse? "(1430 - 1431).
Fidippide elude la risposta invocando l'autorità di Socrate.
Ma avere picchiato il padre non gli basta:
"io ho intenzione di picchiare la madre come ho fatto con te"(1442). Il vecchio inorridisce, ma l'allievo di Socrate preannuncia buoni argomenti tratti dal discorso debole per dimostrare la necessità di picchiare la madre.
Siamo così giunti all'Esodo (1452 - 1510).

Strepsiade accusa le Nuvole di avergli montato non bene la testa e queste si giustificano dicendo di avere voluto metterlo alla prova:
"noi ci comportiamo sempre così: quando capiamo che uno
è incline alle cattive azioni,
agiamo fino a gettarlo nel male,
perché impari a temere gli dèi"(1458 - 1461).
Strepsiade riconosce che è giusto: egli non doveva frodare il denaro preso a prestito. Ora ha capito. Troviamo anche qui, nella Commedia antica, come pure, vedremo, nella nuova di Menandro, la comprensione che nella tragedia salva l'uomo dall'annientamento (cfr. "ora comprendo" di Admeto nell'Alcesti, v. 940).
Però non è ancora finita: Strepsiade vuole punire Cherefonte e Socrate che hanno ingannato lui e il figlio. Vuole "dare fuoco alla casa di quei ciarlatani"(1484 - 1485). E tosto esegue, senza lasciarsi fermare dalle proteste dei discepoli. Le Nuvole lasciano l'orchestra mentre il Pensatoio crolla divorato dalle fiamme.
Così noi lasciamo Aristofane.


continua


[1] Per chi non lo conoscesse, riferisco l'encomio di Leonida e dei suoi opliti morti per ritardare l'avanzata di Serse nel 480 a. C. (fr. 5 D. ):
"dei morti alle Termopili
gloriosa è la sorte, bello il destino,
un altare è il sepolcro (bwmo; ~ d j o tavfo~), e invece dei lamenti c'è il ricordo, e il compianto un encomio (oi\kto~ e[paino~)/
Un sudario del genere né ruggine
né il tempo che tutto doma (oJ pandamavtwr crovno~[1]) oscurerà.
Questo recinto sacro di uomini prodi si prese
come custode la gloria dell'Ellade: lo testimonia anche Leonida/
re di Sparta che ha lasciato un grande ornamento
di valore, e fama perenne.

martedì 26 gennaio 2016

La Commedia antica. Aristofane. VIII parte

Scena di scuola in un vaso attico del V sec. a.C.

PER VISUALIZZARE IL GRECO CLICCA QUI E SCARICA IL FONT HELLENIKA


Comincia a parlare il Discorso Giusto spiegando
"com'era l'educazione antica"(961).
Allora la giustizia fioriva e
"Il ritegno (swfrosuvnh) era tenuto di conto.
In primo luogo non si doveva sentire il ragazzo bisbigliare anche una sola parola/
poi dovevano marciare in ordine nelle vie verso la casa del maestro di cetra/
tutti quelli del quartiere, nudi anche se veniva giù la neve come farina da uno staccio"(963 - 965).
Sembra che Aristofane sia nostalgico di un'educazione di tipo spartano che inculcava nei giovani la disciplina e il sacrificio, valori caduti in disuso e destinati a non risollevarsi, visto che Demostene li rimpiangerà ancora parecchi decenni dopo quando, cercherà di spingere gli Ateniesi a difendere la libertà da Filippo di Macedonia.

 La gioventù del buon tempo antico dunque "si stava in pace sobria e pudica" per usare parole di Dante (Paradiso, XV, 99) che esprime una nostalgia del genere per la Firenze dell'avo Cacciaguida.

I ragazzi ateniesi degli anni di Maratona erano rispettosi e riservati:
"nessuno, modulando mollemente la voce, si avvicinava
all'amante facendosi con gli occhi ruffiano di se stesso"(979 - 980). La musica insegnata era semplice e manteneva gli accordi tramandati dai padri.
Questa affermazione (v. 968) contiene l'idea sviluppata poi da Platone che le melodie diano un ritmo all'anima degli ascoltatori e che la musica pertanto non deve essere troppo sofisticata, sdolcinata o drogata come è quella che secondo filosofo deve essere bandita bandirsi (Repubblica, 607).
Fu questo sistema educativo, continua il Giusto, che educò "gli eroi di Maratona"(986), e conclude esortando il ragazzo a seguire quei buoni princìpi seguendo lui, il discorso più forte:
"così imparerai a odiare la piazza e a tenerti lontano dai bagni
e a vergognarti delle cose vergognose e, se qualcuno ti canzona, ad avvampare,
e ad alzarti e a cedere il posto se arriva un vecchio,
e a non essere sgarbato con i tuoi genitori, e a non fare
niente di turpe, tu insomma devi compiere l'immagine del pudore;
e non lanciarti da una ballerina perché non accada che mentre stai a bocca aperta davanti a queste cose
colpito con una mela dalla puttanella tu non venga infamato,
e non devi contraddire tuo padre, né chiamandolo Giapeto
rinfacciare l'età a un vecchio dal quale sei stato allevato come un pulcino"(991 - 999).

La mela cotogna veniva offerta come segno di intenzione amorosa, e Giapeto, com'è facile comprendere, corrisponde al Matusalemme biblico.

Se il giovane eviterà l'impudicizia e la dissolutezza potrà crescere bene frequentando le palestre, evitando la piazza, schivando i tribunali e correndo veloce
"sotto gli olivi sacri incoronato di verde canna con un compagno per bene
odoroso di smilace e di tranquillità e di bianco pioppo dalle foglie tremule
lieto nel tempo di primavera, quando il platano sussurra con l'olmo"(1006 - 1008). La vita in mezzo alla natura dunque è contrapposta a quella guastata dalla corruzione e dall'intrallazzo. Se darà retta al Discorso Giusto, Fidippide verrà su sano e robusto tanto fisicamente quanto moralmente, altrimenti andrà in rovina.
Il coro approva gli argomenti sentiti, quindi dà la parola al Discorso Ingiusto. Il quale si autoproclama "discorso debole"(1038) e si appiglia a un particolare di quanto ha ascoltato per porre una domanda:
"con quale ragione tu biasimi i bagni caldi? "(1045).
Per il fatto che "rendono molle l'uomo" risponde l'avversario (1046). Allora l'Ingiusto pone una domanda capziosa:
"dimmi, tra i figli di Zeus, quale ritieni l'eroe più grande
per coraggio e che ha compiuto le fatiche più egregie? (1048 - 1049).
 La risposta è obbligata: non può essere che Eracle. Ebbene i bagni di Eracle non sono mai stati freddi (1050). L'ingiusto dunque segna un punto a suo vantaggio con l'uso sofistico e spregiudicato della mitologia. Anche la poesia del resto gli dà ragione: Omero elogia Nestore come arguto "agoreta"[1], ossia capace di persuadere parlando nell'agorà; allora cosa c'è di male se un giovane frequenta la piazza?

C’è però un equivoco: il Giusto biasima l'andare a chiacchierare in piazza, mentre Omero approva Nestore quale bravo parlatore nell'assemblea: l'Ingiusto dunque gioca sul doppio senso per fare un altro punto.
 Anche l'elogio della castità viene confutato con la mitologia: il casto Peleo venne piantato da Tetide:
"infatti non era sfrenato
né era piacevole passarci tutta la notte sotto le coperte.
La donna invece gode di essere sbattuta; e tu sei un vecchio ronzino"(1068 - 1070).

Un'eco seria e moderna di questa buffoneria antica si trova in Otto Weininger: la donna "non pretende dall'uomo bellezza ma pieno desiderio sessuale. Su di essa non fa mai impressione l'elemento apollineo nell'uomo (e perciò neppure quello dionisiaco), ma quello faunesco nella sua massima estensione; mai l'uomo, ma sempre il maschio"[2].

L'Ingiusto quindi si volge a Fidippide e lo invita a non pregiare la temperanza che priva di tutti i piaceri ( fanciulli, donne, giochi, leccornie, bevute, risate) senza i quali non vale la pena vivere (1074).

Se sottolineiamo l'aspetto sessuale del godimento, possiamo ricordarci di Mimnermo quando domanda, retoricamente, quale vita, quale piacere può esserci senza l'aurea Afrodite (fr. 1D).

Il Socrate di Platone, che qui fa da padrino al discorso dell'ingiustizia e della dissolutezza, nel Gorgia viceversa raccomanda la giustizia e la temperanza: "chi vuole essere felice evidentemente deve seguire ed esercitare la temperanza e scappare a gambe levate davanti alla sfrenatezza ( cercal 507d)... non deve lasciare che le sue passioni siano sfrenate né mettere mano a soddisfarle, male immedicabile, vivendo una vita da predone"(507e).

 Ma torniamo al cattivo maestro di Aristofane.
Se vuoi fare i tuoi comodi, continua l'Ingiusto, vieni a scuola da me: ti insegnerò a parlare in modo da avere sempre ragione:
"se vieni sorpreso in adulterio, rispondi al marito
che non hai fatto niente di male: quindi devi imputarne la colpa a Zeus, /
anche lui è sottomesso all'amore e alle donne;
e allora tu che sei mortale, come potresti essere più forte di un dio? "(1079 - 1082).

Una menzione ridicola del dongiovannismo di Zeus, e di Poseidone, si trova anche negli (Uccelli del 414):
"bisogna proclamare la guerra santa contro Zeus e impedire agli dèi/
di andare e venire per la vostra terra a cazzo ritto
(toi`si qeoi`sin ajpeipei`n ejstukovsi, da stuvw, ho un’erezione, 557)
come una volta quando scendevano a sedurre le Alcmene
le Alopi e le Semele"(vv. 556 - 559).
Prima di sacrificare un montone a Zeus, gli uomini dovranno sacrificare allo scricciolo (ojrcivlo~ o[rni~) un moscerino coi coglioni (sevrfon ejnovrchn, v. 569).
 Si noti la paronomasiva, il bisticcio, fondata sul termine o[rci~ (testicolo)

L'Ingiusto prosegue facendo battute sulla omosessualità di avvocati, tragediografi, uomini politici e perfino degli spettatori, chiamati tutti "culi aperti"(1100).
Il Giusto, non riuscendo a dimostrare che c'è qualcosa di male nell'essere tali, esclama:
"siamo vinti o culi rotti"(1103) ed entra nel pensatoio.

Quindi le nuvole pronunciano la seconda Parabasi (1114 - 1130) e promettono interventi mirati: favorevoli per chi aiuterà questa commedia della quale sono eponime, malevoli e distruttivi per chi non la approverà.

Poi si presenta Strepsiade che bussa al pensatoio cui ha affidato il figlio il quale si affaccia trionfante gridando:
"Viva la Frode, regina di tutto il mondo!"(1150).
Il padre ne è compiaciutissimo e già canta vittoria pensando di non pagare i creditori:
"piangete oh usurai,
voi e i capitali e gli interessi degli interessi!
Voi non potete più farmi male,
tal figlio ho fatto crescere
in questa casa,
fulgido di lingua a due tagli,
difesa mia, salvatore della casa, rovina per i nemici,
dissolvitore dei grandi affanni paterni!"(1155 - 1163).

Quindi il ragazzo scende condotto per mano da Socrate, e Strepsiade, vedendolo da vicino, è ancora più contento poiché Fidippide ha preso anche l'aspetto malsano dei socratici:
"come sono contento vedendo quel colore!
Ora davvero solo a vederti sei negatore
e contenzioso"(1171 - 1172).
 Ecco dunque che il ragazzo ha preso quell'aria faziosa tipica dei fannulloni filosofeggianti, pieni di pretese e privi di merito.
Bene fa il ragazzo secondo il padre ad
"avere l'aria di essere offeso mentre offende e compie mascalzonate, "(1174 - 1175).

Vengono in mente alcune parole degli Scritti corsari di Pasolini(1975): " i ragazzi brutti, pallidi, nevrotici, hanno rotto l'isolamento cui li condannava la gelosia dei padri, irrompendo stupidi, presuntuosi e ghignanti nel mondo di cui si sono impadroniti, e costringendo gli adulti al silenzio o all'adulazione"(p. 181).


continua



[1] Iliade, I, 248
[2] Sesso e carattere, p. 258.

domenica 24 gennaio 2016

Twitter, CCXXVI antologia

La Boschi, come Giano, ha due facce: quella di dietro ci attira, quella davanti ci annoia. Ricorda troppo quella del padre suo che nell’affare della banca sta.

Non sono un gufo: oppongo il mio pessimismo, creativo, all'ottimismo falso e sciocco di Renzi e dei renziani dentoni.

Eppure una volta, tanto tempo fa, i sorrisi delle politiche callipigie ci commuovevano. Ma ora mi danno noia.
Il desiderio non riesce a drizzare i suoi tirsi verso le scimunite, callipigie o no. Rimpiange le parlamentari intelligenti del passato.

Gli eterosessuali difficilmente si sposano, i single non si sposano proprio: il matrimonio può rilanciarsi solo con gli omosessuali.

Ci sono discriminazioni e ingiustizie ben più gravi di quelle denunciate dagli omosessuali. La medicina che non garantisce la salute ai poveri, per esempio, o la scuola che non fa cultura e non educa. Ma di queste deficienze colossali e criminali si tace o non si parla abbastanza.

La nostra presunta democrazia di fatto è un'oligarchia senza il consenso della maggioranza del popolo



giovanni ghiselli

il blog è arrivato a 303798

questo è il pubblico dell’ultima settimana

Stati Uniti
1204
Italia
681
Portogallo
24
Germania
12
Polonia
8
Ucraina
7
Francia
5
Irlanda
4
Russia
4
Brasile
3




mercoledì 20 gennaio 2016

La Commedia antica. Aristofane. VII parte

Le Nuvole
al teatro greco di Siracusa

PER VISUALIZZARE IL GRECO CLICCA QUI E SCARICA IL FONT HELLENIKA


Ma quell'etica è oramai roba vecchia e superata: le Nuvole approvano "l'anima l'ardita e pronta" di Strepsiade (458). Socrate dunque comincia a istruire l'anziano allievo, quindi entra il coro ed espone la prima Parabasi (vv. 510 - 626) nella quale Aristofane presenta se stesso e la sua opera cercando di farsi approvare dagli spettatori, non senza rivolgere loro qualche lusinga:
"o spettatori, dirò davanti a voi la verità,
parlando sinceramente, in nome di Dioniso che mi ha allevato.
Così possa io vincere ed essere stimato bravo,
siccome vi considero spettatori favorevoli
e vi ho ritenuti degni di assaggiare per primi
quest'ottima tra le mie commedie"(518 - 523).
Quali sono le sue qualità secondo l'autore? Non è scollacciata o volgare:
"guardate com'è morigerata per natura: ella che prima di tutto
non è venuta dopo essersi cucito un pezzo di cuoio pendulo,
rosso in punta, grosso, per fare ridere i ragazzini".
Questi versi (537 - 539) ci danno un'indicazione sul costume degli attori comici. Inoltre questa commedia dai buoni costumi:
"non sfotte i calvi né balla il cordace"(540), una danza licenziosa; il poeta per giunta rivendica il merito di presentare tutte le volte storie nuove e diverse:
"né cerco di ingannarvi portando in scena due e tre volte la stessa storia,
ma sempre mi ingegno di inventare nuove situazioni
per niente uguali tra loro e tutte belle"(546 - 548).

Le tragedie invece presentavano poche storie che si ripetevano, sia pure con sottolineature e tagli diversi: le Coefore di Eschilo, l'Elettra di Sofocle e l'Elettra di Euripide drammatizzano lo stesso mito. Aristotele nella Poetica ricorda che "le tragedie si aggirano attorno i casi di non molte famiglie"(1454a).

Quindi Aristofane ricorda il coraggio e la lealtà manifestati nei suoi drammi:
"io che colpii al ventre Cleone quando era al colmo della potenza
e viceversa quando era a terra non ebbi la sfrontatezza di calpestarlo"(549 - 550).

 Cleone in effetti venne attaccato dai Cavalieri del 424 quando il demagogo era al culmine del successo, mentre questa Parabasi, modificata per la seconda rappresentazione dopo l'insuccesso del 423, non infierisce sull'avversario caduto ad Anfipoli nel 422.

Tuttavia alcuni versi più avanti, che evidentemente risalgono alla prima redazione, infamano Cleone chiamandolo "il gabbiano"590, per indicare un animale vorace e consigliano i cittadini di processarlo per "corruzione e furto"(591).
Poi le Nuvole invocano varie divinità tradizionali con il nuovo dio filosofico Etere e mettono in guardia gli Ateniesi dal nuovo demagogo Iperbolo.
Questi sarà il beniamino del popolo per diversi anni, finché nel 411 verrà messo a morte dagli oligarchi. Lo seguirà Cleofonte.
Finita la Parabasi, entra Socrate invocando le divinità sofistiche e lamentandosi della cattiva qualità del vecchio studente:
"Per la Respirazione, per il Caos, per l'Aria
non ho mai visto da nessuna parte un uomo così zotico
e impacciato e ignorante e smemorato,
uno che quando cerca di imparare alcune piccole bazzecole
se le dimentica prima di averle imparate"(627 - 631).
Dopo averlo presentato così male lo chiama fuori e gli fa delle domande, ma le risposte non cambiano in meglio l'opinione del maestro:
"rustico sei e scemo", gli dice (655). Strepsiade però insiste poiché vuole imparare: "il discorso più ingiusto che ci sia"(657).
Socrate allora lo imbriglia con astruse questioni che fanno soffrire il discepolo torturato pure dalle cimici e sempre più refrattario a imparare finché viene ripudiato in malo modo dal maestro:
"non te ne vai in malora,
tu che sei il più smemorato e stupido dei vecchi? "(789 - 790).
Strepsiade, avvilitissimo, chiede consiglio alle Nuvole le quali rispondono:
"noi, o vecchio, ti consigliamo,
se hai un figlio già cresciuto,
di mandare quello al posto tuo, a imparare" (794 - 796).
Il ragazzo veramente "non vuol saperne di imparare" risponde Strepsiade (798) ma "è robusto e vigoroso
ed è nato da donne con belle ali come Cesira"(800).

E' interessante notare che l'alto lignaggio della madre è designato da un vocabolo (eu[ptero") che significa proprio dalle belle ali o dalle belle piume, come se le nobili costituissero una speciale razza divinamente ornitologica. Degna di nota mi sembra ancora di più la circostanza che tale considerazione è stata fatta da Proust a proposito delle donne Guermantes, nobili di antica nobiltà, nella Parigi del primo Novecento, non meno delle Alcmeonidi nell'Atene di Pericle. Scrive dunque Proust: "I tratti della duchessa di Guermantes... il naso a becco di falco e gli occhi penetranti... quei tratti (sono) caratteristici.. di quella razza rimasta così speciale in mezzo a un mondo in cui non si è confusa e resta isolata, nella sua gloria divinamente ornitologica: perché essa sembra nata, in un'età favolosa, dall'unione d'una dea con un uccello"[1].

Strepsiade dunque si reca dal figlio per convincerlo a frequentare la scuola di Socrate. Invero usa parole aspre contro il ragazzo riluttante ad entrare nel pensatoio:
"mi accorgo che sei un bamboccio e che la pensi all'antica"(820). Quindi prova a dargli anche i primi rudimenti della sofistica:
"non esiste Zeus, o Fidippide"(826); e alla domanda del figlio:
"ma allora chi? ", risponde quanto ha imparato da Socrate:
"Il Vortice regna dopo avere scacciato Zeus"(828).
Il ragazzo manifesta scetticismo e ostilità verso quei presunti maestri:
"e tu sei giunto a tal punto di follia
 da credere a quei matti? "(831 - 832), ma il vecchio oramai è infatuato e replica:
"stai attento a come parli
e non dire male di uomini bravi
e pieni di intelligenza: di loro, per economia,
nessuno si fa mai tagliare i capelli né si unge il corpo
né va al bagno per lavarsi. Tu invece
 scialacqui la mia roba come se io fossi morto"(833 - 838).

Questo biasimo per la povertà e la trascuratezza fisica veniva rivolto a Socrate anche da Antifonte sofista il quale accusava Socrate di essere maestro di miseria, ma egli ribatteva che "non avere bisogno di niente è divino, di pochissimo è assai vicino al divino”[2].
Così Euripide nell'Eracle (1345 - 1346) scrive: " non ha bisogno di niente il dio, se è davvero un dio".
Del resto nell'Apologia scritta da Platone, Socrate sostiene che "non dalle ricchezze nasce la virtù, ma dalla virtù le ricchezze e tutti gli altri beni per gli uomini"(30b).
Altri passi dei suoi discepoli mostrano che le ristrettezze di Socrate non arrivavano al disprezzo del corpo: nel Gorgia di Platone, il maestro insegna che"la bellezza autentica si ottiene solo attraverso la ginnastica"(465b) e, nei Memorabili, Senofonte ricorda pure che Socrate "non si disinteressava al corpo... e disapprovava chi, mangiando troppo, si sottoponeva a una fatica eccessiva"(I, 2, 4).
Concludo la panoramica sul rapporto di Socrate con l’igiene citando le ultime parole del Simposio di Platone: "Recatosi al Liceo si lavò e trascorse il resto della giornata come altre volte; a sera andò a casa a riposare"(233d).

 Strepsiade dunque insiste perché Fidippide vada a scuola da Socrate; il ragazzo obbedisce, però avverte il padre:
"va bene, ma con il tempo te ne dispiacerai"(865).
Il vecchio comunque lo presenta a Socrate chiedendogli che gli insegni subito il modo di fare prevalere l'ingiustizia sulla giustizia:
"fai che egli impari quei due ragionamenti,
il forte quale è, e il debole
che pur dicendo cose ingiuste abbatte il forte"(882 - 884).
 Insomma al padre preme soltanto che il figlio:
"diventi capace di confutare qualsiasi argomento giusto"(888).

 Molto simile a questa parodia aristofanesca è l'accusa giudiziaria che ventiquattro anni più tardi costerà la condanna a morte al filosofo: " Socrate commette ingiustizia e si adopera indagando i fenomeni sotterranei e quelli celesti e rendendo più forte il discorso più debole e insegnando agli altri queste medesime cose"( Platone, Apologia di Socrate, 19b - c).

Quindi Aristofane personifica i due discorsi e li fa parlare in un agone oratorio.
 Il Discorso Giusto premette che dirà il giusto (900), ma Il Discorso Ingiusto ribatte che:
"la Giustizia non esiste affatto"(902).
Il Giusto replica che invece esiste e si trova"presso gli dèi"(903). "Come mai - domanda allora l'Ingiusto -, se c'è la Giustizia, Zeus che ha messo in catene suo padre non è andato in rovina? "(904 - 905).
 Vediamo che, in questo stravolgimento dei valori, il paradigma mitico viene utilizzato per avallare l'ingiustizia. Il Giusto non sa ribattere e viene preso da una crisi di nervi cui seguono improperi reciproci finché interviene il Coro a imporre la fine della rissa(934): il Giusto dovrà mostrare in che cosa consiste la sua educazione tradizionale e l'Ingiusto di che cosa è fatta la nuova; il ragazzo, udito il contraddittorio, sceglierà da chi andare a scuola (938). Stiamo per assistere a uno di quei dissoi; lovgoi, discorsi contrapposti che si trovavano nelle Antilogie di Protagora il cui annuncio programmatico era appunto: "rendere più forte il discorso più debole".
Insomma Aristofane fa il verso ai sofisti che erano combattenti della parola.
“L’idea di “ discorso giusto” stravolto in discorso ingiusto si ricollega al principio protagoreo di “fare forte il discorso debole” (to; n h{ttw lovgon kreivttw poiei`n, fr. A 21 Diels - Kranz)”[3].


continua



[1] I Guermantes, p. 82.
[2] Senofonte, Memorabili, I, 6, 10. 
[3] Avezzù - Guidorizzi, Edipo a Colono, p. 302. 

La gita “scolastica” a Eger. Prima parte. Silvia e i disegni di una bambina.

  Sabato 4 agosto andammo   tutti a Eger, famosa per avere respinto un assalto dei Turchi e per i suoi vini: l’ Egri bikavér , il sangue ...