domenica 17 gennaio 2016

La Commedia antica. Aristofane. VI parte

Jusepe de Ribera, Il filosofo (Cratete)

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Nell'Antiope di Euripide, i due fratelli Anfione e Zeto sostengono rispettivamente il vivere contemplativo e quello attivo. Lo ricorda Callicle nel Gorgia di Platone, assimilando Socrate ad Anfione e riferendo a lui la critica di Zeto al fratello: "tu trascuri o Socrate, le faccende di cui dovresti avere cura, e la natura così nobile dell'anima nascondi dietro atteggiamenti puerili"(485e). Queste parole di Euripide vengono citate a memoria e adattate a Socrate; nella tragedia Zeto cerca di risvegliare Anfione, l' amico delle Muse, da un'esistenza di sognatore ozioso ad una vita di azione. Puerilità è, secondo Callicle dedicarsi, in età adulta, alla filosofia: "per un ragazzo non è una vergogna studiare la filosofia; ma quando uno divenuto più anziano continua a filosofare, la cosa diventa ridicola, o Socrate, e io di fronte ai filosofanti mi sento come davanti a gente che balbetta e bambineggia"( Gorgia, 485a, b).

Questa ostilità contro i filosofi diviene violenta poco più avanti (485d): "quando vedo un uomo avanti con gli anni che non la smette di filosofare, mi sembra, o Socrate, che costui abbia bisogno di bastonate". E' questa contro i filosofi un'antipatia di cui possiamo trovare una forte ripresa ne L'uomo senza qualità di Musil: " I filosofi sono dei violenti che non dispongono di un esercito e perciò si impadroniscono del mondo rinchiudendolo in un sistema"(243).

 Fidippide dunque non ha simpatia per i socratici ma il padre vuole mandarcelo poiché quei filosofi insegnano a vincere senza avere ragione, e:
"se tu impari questo discorso ingiusto,
quello che io devo per causa tua, di questi debiti
non restituirei nemmeno un soldo a nessuno"(116 - 118).
Il ragazzo non se la sente di entrare in quell'ambiente dI facce scolorite (120); allora il padre, pur consapevole di essere "vecchio, lento e smemorato"(129), decide di andare personalmente a imparare quei "trucioli di discorsi sottili"(130).
E' la novità della sofistica, cui Aristofane assimila la filosofia di Socrate.

Su Socrate vicino ai sofisti non tace Leopardi: “E Socrate stesso, l'amico del vero, il bello e casto parlatore, l'odiator de' calamistri[1] e de' fuchi[2] e d'ogni ornamento ascitizio[3] e d'ogni affettazione, che altro era ne' suoi concetti se non un sofista niente meno di quelli da lui derisi? ” (Zibaldone, 3474).

Nietzsche ha messo tra i corruttori decadenti Socrate e Wagner. Nel romanzo di T. Mann I Buddenbrook c’è un organista, una testa conservativa, e un poco svigorita, che definisce la musica di Wagner, precisamente la riduzione per pianoforte del Tristano e Isotta" demagogia, bestemmia, pazzia!... un fumo profumato attraversato da lampi…la fine di ogni morale nell'arte"(p. 319).
Strepsiade dunque va a bussare al pensatoio di Socrate. Risponde un discepolo: il maestro è impegnato nella misurazione del salto di una pulce; altro problema trattato dalla scuola è se le zanzare ronzino dalla bocca o dal deretano (158). La risposta a tanto dilemma è che "il culo fa rumore per la violenza del soffio"(164). Come si vede sono questioni di nessuna importanza, almeno per l'uomo comune il quale infatti deve rimanere ingannato dall'astruseria che serve a nascondere i grandi problemi reali: la guerra o la pace, l'educazione o la corruzione dei giovani ad opera di maestri e poeti, il rapporto tra i sessi e così via.
Di questi si occupa Aristofane, mentre gli studi di Socrate arrivano al dunque che "il culo della zanzara è una tromba"(165).
Questa è la conclusione capita da Strepsiade che aggiunge:
"o tre volte beato per questa investigazione delle interiora!"(166). L'aspirante discepolo, abbindolato da queste e altre stranezze del genere, vuole vedere il maestro: si apre la scena, appare il pensatoio e in alto si vede Socrate dentro un corbello appeso al soffitto. Altri discepoli con lo sguardo fisso al suolo: "investigano le cose di sotterra"(188) secondo quello che li presenta. Strepsiade però capisce che "cercano cipolle"(189) e offre il suo aiuto: "non preoccupatevi per questo: io infatti so dove ce ne sono di grandi e belle" (190).
Altri tutti curvi "scrutano i misteri della tenebra sotto il Tartaro"(192), mentre oJ prwktov", il culo "guarda il cielo"(193) poiché "impara l'astronomia per conto suo"(194).
Ma Strepsiade vuole conoscere "lui" in persona e lo chiama: "Socrate, Socratuccio!"(224). Il maestro domanda con prosopopea:
"perché mi chiami, creatura effimera? ", e il discepolo chiede che cosa stia facendo. Allora Socrate rivela tutta la sua cosmica, sconfinata importanza:
"vado per l'aria e guardo dall'alto il sole"(225).
 Questo tipo di indagine però non interessa Strepsiade il quale, rovinato dalla "malattia cavallina" gli chiede:
" insegnami l'altro dei tuoi discorsi
quello che non restituisce niente"(244 - 245). In cambio, lo giura sugli dèi, gli darà il compenso che vuole.
"Su quali dei vuoi giurare tu? ", gli domanda allora Socrate.
E aggiunge: "innanzitutto infatti gli dèi per noi non sono moneta in corso"(247).
 Ecco dunque già formulate, sia pure solo comicamente per ora, le accuse che porteranno Socrate a bere la cicuta. Poiché le nostre divinità, afferma il miscredente maestro subito dopo, sono le Nuvole (253).
Segue una preghiera alle "Nuvole molto venerande"(269) che formano il coro di "vergini piovose"(299) e rispondono a Socrate mentre si muovono verso Atene, "terra di eroi, amabile dimora di Cecrope"(300) dove c'è il culto di riti ineffabili e si celebrano feste con danze e suono di flauti.

Viene data una visione dell'Atena classica non molto diversa dall'idea dell'imperatore Giuliano di Ibsen: "Esiste un mondo splendido che voi galilei non vedete; un mondo dove la vita è una festa solenne fra belle statue e inni nei templi, con calici colmi di vino e rose fra i capelli. Ponti vertiginosi vengono gettati fra spirito e spirito"(L'apostasia di Cesare, atto primo, p. 428).

In Aristofane però questa serenità olimpica è messa in parodia: infatti Socrate spiega che a cantare non sono "delle eroine"(315) come aveva supposto Strepsiade ma
"le nuvole celesti, grandi divinità per gli uomini oziosi"(316).

 Con queste parole l'autore vuole denunciare la fumoseria di certi filosofi a lui poco graditi. E' quello che fa Schopenauer in Parerga e Paralipomena (p. 210, Tomo I) nei confronti della pseudofilosofia delle università, soprattutto quella hegeliana fatta di: " ghirigori che non dicono nulla, e offuscano con la loro verbosità persino le verità più comuni e più comprensibili".

Anche Strepsiade, sebbene vecchio e tardo, ha capito di cosa si tratta: già la mia anima, dice, si è levata a volo e
"già ha voglia di sottilizzare e sofisticare sul fumo
e trafiggendo un concetto con un concettuzzo ribattere con un altro discorso"(vv. 320 - 321).

 Nietzsche trarrà spunto da queste parole per la sua malevola critica ad Euripide che annienta il mito e la tragedia con ragioni e controragioni.

Socrate quindi torna a fare l'elogio delle Nuvole le quali
"nutrono fior di sapienti:
indovini di Turi, medici, fannulloni zazzeruti pieni di unghie e capelli"(332) e così via con un biasimo tipico del conservatore nei confronti del giovane trasandato e anticonformista o, se si preferisce, conformista dell'anticonformismo.
Le nuvole, continua a spiegare Socrate, "divengono tutto ciò che vogliono"(348). Sono anche simbolo di trasformismo dunque: si adeguano alle persone che osservano, e
"ieri vedendo Cleonimo quel gran vigliacco
che gettò via lo scudo per questo divennero cervi"(353 - 354).

Ho riportato questi versi perché ci sembrano espressivi del conservatorismo di Aristofane che, come un eroe omerico o germanico, addita al ludibrio il gesto di abbandonare lo scudo, mentre Archiloco, quasi tre secoli prima, aveva scritto che di un fatto del genere non gli importava niente.

Altra vergogna è l'omosessualità: viene infatti schernito anche il noto invertito Clistene: le nuvole vedendolo" divennero donne"(355).

Il coro saluta Socrate quale"sacerdote di sottilissime ciance[4]"(359).
 Poco dopo seguono due versi nei quali vediamo, pur nella deformazione comica qualche cosa dell'immagine che il popolo aveva di Socrate:
"ti pavoneggi nelle strade e getti gli occhi qua e là
e, scalzo, sopporti molti disagi, e prendi un'aria seria davanti a noi"(363). Socrate dunque si dà arie da persona frugale, priva di bisogni[5], però, suggerisce Aristofane, è foriero di sovversione religiosa e ideologica.
 Infatti a Strepsiade che gli domanda:
"ma Zeus, quello dell'Olimpo, per voi non è dio? ", risponde:
"quale Zeus? non vaneggiare! Zeus non esiste!"(367).
Il vecchio però non è ancora così "illuminato", forse ha sentito cantare e ha preso alla lettera le parole di Alceo: "Fa piovere Zeus[6]"., e domanda: "chi fa piovere allora? "(369). Così offre una facile risposta al profeta delle nuvole indicandole dice: "queste senza dubbio".
 Infatti, sillogizza, quando mai si è visto piovere senza le nuvole?.
 A questo punto Strepsiade crede di vedere la luce e ringrazia il maestro:
" e io che prima credevo davvero che fosse Zeus a pisciare in un setaccio!"(372).
Poi il vecchio discepolo scopre che sono sempre le nuvole, muovendosi, a produrre i tuoni.
Gli resta comunque la forza di fare l'obiezione di fondo dell'uomo religioso: "
ma chi le costringe a muoversi, non è Zeus? "(379).
 Socrate lo contraddice ancora e ricorre a un'altra divinità che sembra suprema: " no, per niente ma è il vortice d'aria"(379).

Qui c’è un ricordo di Anassagora che considerava il cosmo come il prodotto di un vortice infinitamente forte, tanto da non essere intralciato dall'infinito.
 Platone nel Fedone (97C) fa dire a Socrate che abbandonò Anassagora quando si accorse che di fatto era un naturalista tutto intero: aveva sentito dire che secondo Anassagora è la mente (nou'") la causa e l'ordinatrice di tutto; ma dovette ricredersi: in realtà adduceva come causa l'aria, l'etere, l'acqua e molte altre cose strane.

 Nelle Nuvole invece a Socrate l'eliminazione di una mente dell'universo va bene; in fondo, se si elimina dio dal cielo: "tutte le vecchie concezioni e specialmente la vecchia morale cadranno da sé... e nascerà una vita nuova", come insegna Satana a Ivan Karamazov[7].

Così quel demone di Socrate insegna a non onorare più alcun dio "tranne Caos, Nuvole e la lingua"(424).

Strepsiade promette, e in cambio fa una sola richiesta:
"che io tra i Greci sia il più bravo a parlare con cento miglia di vantaggio "(430).
 Lo scopo del vecchio è disonesto:
"voglio stravolgere il diritto a mio vantaggio e scivolare dalle mani dei creditori"(433 - 434).
 E' disposto a subire anche la tortura pur di schivare i debiti e farsi una fama di mascalzone scaltro che susciti il rispetto della gente (440 - 450). E' lo stravolgimento della morale dell'Atene arcaica. Cfr. la tranvalutazione lessicale in Tucidide.

Cfr. l’ Elegia alle Muse di Solone, chiedeva agli dèi beati benessere accompagnato dalla buona reputazione e desiderava le ricchezze solo se acquistate con giustizia.


continua



[1] Da calamistrum, “ferro per arricciare i capelli” (ndr).
[2] Da fucus, “tintura rossa” (ndr).
[3] Da ascisco, “annetto” (ndr).
[4] Cfr "vaga di ciance, e di virtù nemica" di Leopardi (Il pensiero dominante, 61).
[5] Una testimonianza in questo senso la troviamo anche nei Memorabili di Senofonte dove Socrate si difende dall'accusa mossagli da Antifonte sofista di essere un pezzente con queste parole: “mi sembra Antifonte, che tu creda che la felicità sia lusso e la possibilità di spendere molto; io invece credo che sia tipico del divino non avere bisogno di niente (ejgw; de; nomivzw to; me; n mhdeno; ~ devesqai qei'on ei\nai) e l’avere bisogno del meno possibile è la condizione più vicina al divino"(I, 6, 10). Similmente nel De tranquillitate animi di Seneca: “Respice agedum mundum: nudos videbis deos, omnia dantes, nihil habentes” (8, 5), avanti, guarda l’universo: nudi vedrai gli dèi che tutto danno e nulla possiedono. 
[6] Frammento90 D
[7] Dostoevskij, I fratelli Karamazov, p. 771

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