venerdì 29 gennaio 2016

La Commedia antica. Aristofane. X parte

J. G. Droysen

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Appendice con appunti non ordinati


J. G. Droysen
“Droysen stesso istituiva un’analogia fra Cleone e il “selvaggio Mario”, o peggio ancora il “sanguinario Robespierre”[1].
Droysen dà il via a una rivalutazione del demagogo ateniese tanto infamato da Tucidide e da Aristofane: “Si può dire quel che si vuole del carattere di Cleone, ma in ogni modo egli era l’anima del sistema democratico ateniese in quel periodo…Frattanto le eterie dovevano impegnarsi non poco nelle trattative allacciate con Sparta; un accenno contenuto nelle Vespe ci fa capire che in quei circoli si pensava seriamente già allora di limitare la democrazia…Cleone appariva il vero difensore contro tali intrighi; ecco perché il coro delle Vespe lo chiama subito in sua difesa, non appena crede di fiutare qualche congiura” (p. 140).

“Aristofane aveva dinnanzi agli occhi il tesoro della poesia ellenica, considerata in tutta la sua ampiezza, ma sempre solo allo scopo di parodiare qui e là un verso, una situazione, una figura”[2].
“In nessuno Stato al mondo l’opinione pubblica ha mai esercitato un potere legale così immediato ed esplicito come in Atene; gran parte degli istituti statali ateniesi si riduceva essenzialmente alla consultazione dell’opinione pubblica. Si giungeva al punto di dibattere ogni anno se vi fosse nello Stato qualche personalità significativa della quale liberarsi” (p. 132).

Droysen sa che rischia “di essere trattato da eretico, per aver difeso un uomo abitualmente esecrato come concentrato di spregevolezza e di abiezione demagogica, insomma come una specie di mostro della politica” (p. 65).

Il comico di Woody Allen: “If you play your cards right, you could have my body”, Crimini e misfatti, 1989.

The sleeper 1973
My brain is my secound - favorite organ

 Gli Uccelli del 414.
Alata e allegra utopia costruita per fuggire dalla dura realtà politica sociale e militare del 414.
 Dopo che è stata fondata la nuova città dei cuculi tra le nuvole (Nefelokokkugiva), da Pistetero ed Evelpide, i due Ateniesi disgustati dei concittadini e guidati dai volatili, arriva, con altri sgraditi ciarlatani, fanfaroni e assassini anche un sicofante il quale reclama delle ali (1420): gli servono per denunziare, sostenere l'accusa e tornare indietro volando (1455). Naturalmente Pistetero lo caccia non senza averlo prima picchiato perché impari quanto "amara è l'arte di stravolgere la giustizia"(1468).

II Ipotesi
Negli Uccelli, Aristofane immagina qualche cosa di grandioso poiché la città è oramai malata di un male inguaribile e ridotta in rovina dai governanti, egli si inventa un’altra città che abbia anche nuovi dèi. Aristofane immagina una città fuori dalla terra (peri; to; n ajevra ) con assemblee delibranti di uccelli, per disgusto di quelle degli ateniesi. Gli Ateniesi vengono beffati anche per la mania dei processi e delle liti, per la loro bellicosità.
Viene canzonato Sofocle che descrisse la metamorfosi di Tereo e Procne in uccelli. Poi Aristofane deride i parricidi e la mania di dare ai figli nomi di uccelli. Evelpide e Pistetero sono affascinati dal fatto che gli uccelli vivono facendo a meno del denaro, e mangiano menta e mirti. Quindi gli uccelli fondano Nefelokokkugivan, Nubicuculia, in mezzo al cielo e intimano agli uomini di sacrificare a loro, non agli dèi. Si presentano i soliti farabutti e imbroglioni: un poeta, uno spacciaoracoli, un geometra, un ispettore e uno scrivano e tutti i più molesti. Arrivano sicofanti e parricidi. Pistetero li manda a combattere. Gli dèi affamati devono scendere a patti. Zeus deve promettere scettro sovranità agli uccelli.
Entrano i due ateniesi in luogo deserto con un corvo e una cornacchia. Devono portarli da Tereo trasformato in upupa. I due uccelli mordicchiano. Sono disgustati dal fatto che gli Ateniesi cantano sui processi per tutta la vita (v. 41). Cfr. i processi di Berlusconi. Arriva un servo di Upupa. Tutti hanno paura.
Esce un personaggio con ciuffi e penne: è Tereo - Upupa. Lo ha conciato così Sofocle. I due dicono di essere antieliasti (110)
Vogliono una città adatta a loro. Non Atene e nemmeno una aristocratica. Una città senza vizi. Non sul mare poiché dal mare arriva la Salaminia, la nave di Stato che era andata a prendere Alcibiade. Gli uccelli vivono a[neu ballantivou (v. 157), senza borsa. Gli uccelli mangiano sesamo bianco, bacche di mirto, semi di papavero. Pistetero consiglia a Tereo di fondare una città.
Comanderanno sugli uomini e faranno morire gli dèi con una fame da Melii. (185 - 186)
Nella Parodo (209 - 351) Tereo chiama l’usignolo che venga piangendo Iti. La voce dell’uccellino riempie di miele tutta la boscaglia (223). L’Upupa chiama a raccolta gli uccelli.
Il corifeo proclama che l’uomo è dolerovn, creatura ingannevole (v. 451) ma consente a Pistetero di parlare.
Il quale dice che gli uccelli sono più antichi (ajrcaiovteroi) di Zeus, di Crono, dei Titani e perfino della Terra. Sicché la sovranità appartiene a loro. Il gallo era potentissimo: ancora il suo canto fa alzare gli uomini dal letto.
Il cuculo che era re d’Egitto dà il segno della mietitura ai Fenici circoncisi. I re avevano un uccello sullo scettro. Zeus ha l’aquila, Atena la civetta, Apollo l’avvoltoio.
Ora invece gli uomini mangiano gli uccelli. Il corifeo si fida di Pistetero. Allora: bisogna fondare questa città e murarla e proclamare la guerra santa contro Zeus e impedire agli dèi di andare e venire sulla terra a cazzo ritto (toi`si qeoi`sin ajpeipei`n ejstukovsi, da stuvw, ho un’erezione, 557) come quando venivano a sedurre le Alcmene e le Semele
"bisogna proclamare la guerra santa contro Zeus e impedire agli dèi/
di andare e venire per la vostra terra a cazzo ritto
come una volta quando scendevano a sedurre le Alcmene
le Alopi e le Semele"(vv. 556 - 559).
Una menzione ridicola del dongiovannismo di Zeus, e di Poseidone, si trova anche nelle Nuvole.
Prima di sacrificare un montone a Zeus gli uomini dovranno sacrificare allo scricciolo (ojrcilo~ o[rni~) un moscerino coi coglioni (sevrfon ejnovrchn, v. 569).
Se gli uomini non obbediranno, un nugolo di passeri e di cornacchie (struvqwn nevfo~ ajrqe; n - kai; spermolovgwn) si leveranno per beccare le sementi dai campi, ejk tw`n ajgrw`n to; spevrm j, 579 (cfr. uno sciopero dei lavoratori agricoli, moscerini per quanto poco vengono pagati). E i corvi (kovrake~) caveranno gli occhi ai buoi.
Gli uccelli ricambieranno la venerazione degli uomini mangiando le locuste (pavrnope~, cfr. S. Giovanni Battista) poi bruchi e mosconi. Inoltre gli uccelli profetici indicheranno commerci vantaggiosi ta; ~ ejmporiva~ kerdaleva~ (v. 594) Diranno quando è tempo e non è tempo di navigare (nuni; mh; plei`, ceimw; n e[stai, 597). Non avranno bisogno di templi. Dunque non è più il momento di sonnecchiare (nustavzein) e indugiare a vincere, essere Nicia, (mellonikia`n) come fa Nicia.
Viene chiamata Prone una flautista carina, Pistetero dice che le aprirebbe volentieri le cosce ( ejgw; diamhrivzoim j a]n aujth; n hJdevw~, v. 669).
Parabasi Il coro contrappone gli uomini tenebrosi, simili alle foglie (cfr. Iliade, VI, 146), pasticci di fango (plavsmata phlou`, 686), ombre vane, senza ali, agli uccelli, celesti creature immuni da vecchiezza. La stirpe degli uccelli è nata dall’unione tra Eros e Caos, prima che nascessero gli uomini e gli dèi. Discendono da Eros e favoriscono l’amore. Regalando una quaglia (o[rtuga) o un’oca infatti si possono ottenere favori sessuali. Con i loro versi gli uccelli danno i segni delle stagioni, di seminare (quando la gru gracchia e vola verso la Libia, 710) o di non navigare più. La rondinella avverte che si può indossare la tunica leggera. Cfr. le previsioni del tempo. Noi siamo profetici, veri oracoli e Muse vaticinanti (v. 724) Cfr. Ettore nell’Iliade XII, e Sofocle, Edipo re Antigone - noi uccelli stiamo in mezzo a voi e vi infondiamo la vita.
Il coro emette canti in onore di Pan e di Cibele, la montana madre.
 Frinico, il tragediografo precedente Eschilo trae i suoi dolci canti, come un’ape, dalle cime montane. Scrisse le Fenicie, rappresentato nel 476. Raccontava la vittoria dei Greci a Salamina e il dolore delle donne di Sidone per i loro uomini. Nel 492 Frinico aveva portato sulla scena La presa di Mileto. Era arconte Temistocle che voleva la costruzione di una grande flotta. Ma la tragedia di Frinico fece piangere gli Ateniesi che multarono il poeta di mille dracme e vietarono che la tragedia venisse rappresentata di nuovo. Scrisse anche Alcesti e Danaidi. I suoi canti corali vennero ammirati per la loro dolcezza.

Gli uccelli hanno dei privilegi
Niente è più utile e piacevole che avere le ali. Tra voi spettatori chi avesse le ali potrebbe volare a casa per mangiare o per fottere se ha visto il marito dell’amante a teatro. Il nome della città. La divinità protettrice non può essere Atena poiché Nefelokokkugiva non sarebbe bene ordinata se rappresentata da una donna armata fino ai denti e da un uomo, Clistene, con la spola (829 - 831).
Arriva un poeta. Ha composto ditirambi e parteni e canti alla maniera di Simonide. Fa però una parodia di Pindaro.
Si fa dare degli indumenti. Glieli danno purché se ne vada.
Arriva poi uno spacciaoracoli. Anche questo vuole dei regali. E’ uno non invitato, un cialtrone, avido di salsicce. Gli danno un libro che lo sbugiarda e lo cacciano. Arriva l’astronomo Metone che vuole misurare l’aria. Traccia un piano urbanistico simile a quello disegnato da Ippodamo di Mileto per Turi. Ma Pistetero lo minaccia: hanno deciso di ridurre in cenere tutti gli impostori. E lo picchiano
Arriva un ejpivskopo~, un ispettore. Lo picchiano
Poi uno che vende decreti (yhfismatopwvlh~, 1038). Lo insultano. Nella seconda parabasi gli uccelli esaltano il loro ruolo benefico nei confronti dei frutti. Poi c’è il makarismov~ degli uccelli che d’inverno non indossano mantelle clai`na~ oujk ajmpiscou`ntai (1090)


continua



[1] J. G. Droysen, Aristofane (del 1835), (a cura di Giovanni Bonacina), p. 33 dell’introduzione.
[2] J. G. Droysen, Aristofane, Prefazione del 1835, p. 72 

1 commento:

  1. I processi troppo lunghi e leggi troppo complesse consentono ai criminali e ai furbi di nascondersi tra le loro pieghe come armi tra le vesti.Infatti i nostri politici quasi si vantano dei loro trascorsi giudiziari.Giovanna Tocco

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