mercoledì 20 gennaio 2016

La Commedia antica. Aristofane. VII parte

Le Nuvole
al teatro greco di Siracusa

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Ma quell'etica è oramai roba vecchia e superata: le Nuvole approvano "l'anima l'ardita e pronta" di Strepsiade (458). Socrate dunque comincia a istruire l'anziano allievo, quindi entra il coro ed espone la prima Parabasi (vv. 510 - 626) nella quale Aristofane presenta se stesso e la sua opera cercando di farsi approvare dagli spettatori, non senza rivolgere loro qualche lusinga:
"o spettatori, dirò davanti a voi la verità,
parlando sinceramente, in nome di Dioniso che mi ha allevato.
Così possa io vincere ed essere stimato bravo,
siccome vi considero spettatori favorevoli
e vi ho ritenuti degni di assaggiare per primi
quest'ottima tra le mie commedie"(518 - 523).
Quali sono le sue qualità secondo l'autore? Non è scollacciata o volgare:
"guardate com'è morigerata per natura: ella che prima di tutto
non è venuta dopo essersi cucito un pezzo di cuoio pendulo,
rosso in punta, grosso, per fare ridere i ragazzini".
Questi versi (537 - 539) ci danno un'indicazione sul costume degli attori comici. Inoltre questa commedia dai buoni costumi:
"non sfotte i calvi né balla il cordace"(540), una danza licenziosa; il poeta per giunta rivendica il merito di presentare tutte le volte storie nuove e diverse:
"né cerco di ingannarvi portando in scena due e tre volte la stessa storia,
ma sempre mi ingegno di inventare nuove situazioni
per niente uguali tra loro e tutte belle"(546 - 548).

Le tragedie invece presentavano poche storie che si ripetevano, sia pure con sottolineature e tagli diversi: le Coefore di Eschilo, l'Elettra di Sofocle e l'Elettra di Euripide drammatizzano lo stesso mito. Aristotele nella Poetica ricorda che "le tragedie si aggirano attorno i casi di non molte famiglie"(1454a).

Quindi Aristofane ricorda il coraggio e la lealtà manifestati nei suoi drammi:
"io che colpii al ventre Cleone quando era al colmo della potenza
e viceversa quando era a terra non ebbi la sfrontatezza di calpestarlo"(549 - 550).

 Cleone in effetti venne attaccato dai Cavalieri del 424 quando il demagogo era al culmine del successo, mentre questa Parabasi, modificata per la seconda rappresentazione dopo l'insuccesso del 423, non infierisce sull'avversario caduto ad Anfipoli nel 422.

Tuttavia alcuni versi più avanti, che evidentemente risalgono alla prima redazione, infamano Cleone chiamandolo "il gabbiano"590, per indicare un animale vorace e consigliano i cittadini di processarlo per "corruzione e furto"(591).
Poi le Nuvole invocano varie divinità tradizionali con il nuovo dio filosofico Etere e mettono in guardia gli Ateniesi dal nuovo demagogo Iperbolo.
Questi sarà il beniamino del popolo per diversi anni, finché nel 411 verrà messo a morte dagli oligarchi. Lo seguirà Cleofonte.
Finita la Parabasi, entra Socrate invocando le divinità sofistiche e lamentandosi della cattiva qualità del vecchio studente:
"Per la Respirazione, per il Caos, per l'Aria
non ho mai visto da nessuna parte un uomo così zotico
e impacciato e ignorante e smemorato,
uno che quando cerca di imparare alcune piccole bazzecole
se le dimentica prima di averle imparate"(627 - 631).
Dopo averlo presentato così male lo chiama fuori e gli fa delle domande, ma le risposte non cambiano in meglio l'opinione del maestro:
"rustico sei e scemo", gli dice (655). Strepsiade però insiste poiché vuole imparare: "il discorso più ingiusto che ci sia"(657).
Socrate allora lo imbriglia con astruse questioni che fanno soffrire il discepolo torturato pure dalle cimici e sempre più refrattario a imparare finché viene ripudiato in malo modo dal maestro:
"non te ne vai in malora,
tu che sei il più smemorato e stupido dei vecchi? "(789 - 790).
Strepsiade, avvilitissimo, chiede consiglio alle Nuvole le quali rispondono:
"noi, o vecchio, ti consigliamo,
se hai un figlio già cresciuto,
di mandare quello al posto tuo, a imparare" (794 - 796).
Il ragazzo veramente "non vuol saperne di imparare" risponde Strepsiade (798) ma "è robusto e vigoroso
ed è nato da donne con belle ali come Cesira"(800).

E' interessante notare che l'alto lignaggio della madre è designato da un vocabolo (eu[ptero") che significa proprio dalle belle ali o dalle belle piume, come se le nobili costituissero una speciale razza divinamente ornitologica. Degna di nota mi sembra ancora di più la circostanza che tale considerazione è stata fatta da Proust a proposito delle donne Guermantes, nobili di antica nobiltà, nella Parigi del primo Novecento, non meno delle Alcmeonidi nell'Atene di Pericle. Scrive dunque Proust: "I tratti della duchessa di Guermantes... il naso a becco di falco e gli occhi penetranti... quei tratti (sono) caratteristici.. di quella razza rimasta così speciale in mezzo a un mondo in cui non si è confusa e resta isolata, nella sua gloria divinamente ornitologica: perché essa sembra nata, in un'età favolosa, dall'unione d'una dea con un uccello"[1].

Strepsiade dunque si reca dal figlio per convincerlo a frequentare la scuola di Socrate. Invero usa parole aspre contro il ragazzo riluttante ad entrare nel pensatoio:
"mi accorgo che sei un bamboccio e che la pensi all'antica"(820). Quindi prova a dargli anche i primi rudimenti della sofistica:
"non esiste Zeus, o Fidippide"(826); e alla domanda del figlio:
"ma allora chi? ", risponde quanto ha imparato da Socrate:
"Il Vortice regna dopo avere scacciato Zeus"(828).
Il ragazzo manifesta scetticismo e ostilità verso quei presunti maestri:
"e tu sei giunto a tal punto di follia
 da credere a quei matti? "(831 - 832), ma il vecchio oramai è infatuato e replica:
"stai attento a come parli
e non dire male di uomini bravi
e pieni di intelligenza: di loro, per economia,
nessuno si fa mai tagliare i capelli né si unge il corpo
né va al bagno per lavarsi. Tu invece
 scialacqui la mia roba come se io fossi morto"(833 - 838).

Questo biasimo per la povertà e la trascuratezza fisica veniva rivolto a Socrate anche da Antifonte sofista il quale accusava Socrate di essere maestro di miseria, ma egli ribatteva che "non avere bisogno di niente è divino, di pochissimo è assai vicino al divino”[2].
Così Euripide nell'Eracle (1345 - 1346) scrive: " non ha bisogno di niente il dio, se è davvero un dio".
Del resto nell'Apologia scritta da Platone, Socrate sostiene che "non dalle ricchezze nasce la virtù, ma dalla virtù le ricchezze e tutti gli altri beni per gli uomini"(30b).
Altri passi dei suoi discepoli mostrano che le ristrettezze di Socrate non arrivavano al disprezzo del corpo: nel Gorgia di Platone, il maestro insegna che"la bellezza autentica si ottiene solo attraverso la ginnastica"(465b) e, nei Memorabili, Senofonte ricorda pure che Socrate "non si disinteressava al corpo... e disapprovava chi, mangiando troppo, si sottoponeva a una fatica eccessiva"(I, 2, 4).
Concludo la panoramica sul rapporto di Socrate con l’igiene citando le ultime parole del Simposio di Platone: "Recatosi al Liceo si lavò e trascorse il resto della giornata come altre volte; a sera andò a casa a riposare"(233d).

 Strepsiade dunque insiste perché Fidippide vada a scuola da Socrate; il ragazzo obbedisce, però avverte il padre:
"va bene, ma con il tempo te ne dispiacerai"(865).
Il vecchio comunque lo presenta a Socrate chiedendogli che gli insegni subito il modo di fare prevalere l'ingiustizia sulla giustizia:
"fai che egli impari quei due ragionamenti,
il forte quale è, e il debole
che pur dicendo cose ingiuste abbatte il forte"(882 - 884).
 Insomma al padre preme soltanto che il figlio:
"diventi capace di confutare qualsiasi argomento giusto"(888).

 Molto simile a questa parodia aristofanesca è l'accusa giudiziaria che ventiquattro anni più tardi costerà la condanna a morte al filosofo: " Socrate commette ingiustizia e si adopera indagando i fenomeni sotterranei e quelli celesti e rendendo più forte il discorso più debole e insegnando agli altri queste medesime cose"( Platone, Apologia di Socrate, 19b - c).

Quindi Aristofane personifica i due discorsi e li fa parlare in un agone oratorio.
 Il Discorso Giusto premette che dirà il giusto (900), ma Il Discorso Ingiusto ribatte che:
"la Giustizia non esiste affatto"(902).
Il Giusto replica che invece esiste e si trova"presso gli dèi"(903). "Come mai - domanda allora l'Ingiusto -, se c'è la Giustizia, Zeus che ha messo in catene suo padre non è andato in rovina? "(904 - 905).
 Vediamo che, in questo stravolgimento dei valori, il paradigma mitico viene utilizzato per avallare l'ingiustizia. Il Giusto non sa ribattere e viene preso da una crisi di nervi cui seguono improperi reciproci finché interviene il Coro a imporre la fine della rissa(934): il Giusto dovrà mostrare in che cosa consiste la sua educazione tradizionale e l'Ingiusto di che cosa è fatta la nuova; il ragazzo, udito il contraddittorio, sceglierà da chi andare a scuola (938). Stiamo per assistere a uno di quei dissoi; lovgoi, discorsi contrapposti che si trovavano nelle Antilogie di Protagora il cui annuncio programmatico era appunto: "rendere più forte il discorso più debole".
Insomma Aristofane fa il verso ai sofisti che erano combattenti della parola.
“L’idea di “ discorso giusto” stravolto in discorso ingiusto si ricollega al principio protagoreo di “fare forte il discorso debole” (to; n h{ttw lovgon kreivttw poiei`n, fr. A 21 Diels - Kranz)”[3].


continua



[1] I Guermantes, p. 82.
[2] Senofonte, Memorabili, I, 6, 10. 
[3] Avezzù - Guidorizzi, Edipo a Colono, p. 302. 

1 commento:

  1. Che bella fotografia,che natura benigna.Che voglia di sole. Giovanna Tocco

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