domenica 10 gennaio 2016

l'estate del 1979 a Debrecen. IV parte

La sera del 25 luglio

Fino alle 10 di sera passai le ore del 25 luglio 1979 in funzione della scuola e dell’amante italiana, studiando, correndo, nuotando, abbronzandoni e salmodiando tanti Osanna piuttosto che tripudiare con Dioniso e le sue menadi  gridando Evoè.
Suonata la ventiduesima ora del giorno però decisi di uscire con l’intenzione non equivoca di andare all’Aranybika per farmi un bicchiere di vino, uno solo. Quindi sarei tornato e avrei studiato fino all’una di notte. Dopo avere gioito innocentemente del “Sangue di toro di Eger[1]”, avrei versato del sangue mio nell’impegno  scrittorio, perché, o purché, mi apparisse l’immagine di Ifigenia la bella, la buona, la santa.
 La mia follia era assai meno saggia della saggezza del mondo.
Mi incamminai dunque tacito e senza compagnia lungo la strada compresa tra il prato delle abbronzature, dell’antica attesa di Helena[2], e il collegio delle baldorie ancora più antiche[3], dell’ascesi appena compiuta.
 Un’ascesi piuttosto cristiana che pagana.
Sul prato c’erano diversi giovani: tra gli altri la bionda ninfa della fontana piena di luci. Quando mi vide passare, si separò dal gruppo, mi raggiunse e mi chiese se volevo andare a bere del vino con lei.
Rimasi un attimo incerto, ci pensai un momento e decisi che non dovevo superare la giusta misura: quel giorno infatti non avevo sacrificato un ariete e una pecora nera come aveva fatto Odisseo per vitalizzare le teste svigorite dei morti[4], ma il tempo oramai quasi estremo della mia gioventù a un idolo che poteva non essere integralmente  sacro.
Dopo tante  ore di studio, di corse, nuotate,  riflessioni, sempre da solo, mi ero conquistato il diritto di concedermi un poco di compagnia, di svago, di deconcentrazione da me stesso, da Ifigenia e dal nostro rapporto non garantito del tutto.
Si apriva uno spiraglio per la santa equivocazione gesuitica.
Ma si richiuse presto per  Mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa. Una colpa dell’intelligenza, un errore erotico, efferato quasi quanto  un crimine. Non c’è cosa più amara della stupidità
Pensai, del resto senza sbagliarmi, che la bionda belloccia non doveva essere una persona triviale, se non altro per il fatto che aveva visto qualche cosa di strano, di  buono e forse perfino di bello, nella mia persona non volgare. Anche Ifigenia dopo tutto aveva detto che, salva la fedeltà dovuta e promessa, la sera sarebbe uscita in compagnia se avesse incontrato persone interessanti. Neppure lei sdegnava il vino, vero “equivocator with lechery[5].



continua     

p.s

il blog è arrivato a 299694.
In vista dei 300mila che mi faranno gridare evoè.
Con tutti voi danzerò la danza sacra

Letture dell’ultimasettimana
Stati Uniti
1200
Italia
555
Portogallo
41
Russia
17
Germania
16
Francia
14
Ucraina
14
Irlanda
11
Polonia
9
Svizzera
2




[1] Vino ungherese già ricordato più volte.
[2] Cfr. La storia di Helena in diversi capitoli presenti qui nel blog, una storia d’amore bella assai.
[3] Le prime risalgono al 1966 (cfr. L’arrivo a Debrecen, qui nel blog)
[4] Cfr, Odissea, XI; 49 ajmenhna; kavrhna.
[5]  Equivocatore della lussuria, ne crea gli equivoci. Cfr. Shakespeare, Macbeth, II, 3

1 commento:

Ifigenia CLX. L’ospedale di Debrecen. Il delicato corteggiamento del vecchio dentista.

  Nei giorni seguenti, intorno al ferragosto,   vissi alcune ore di buona speranza: una serie intermittente di minuti nei quali immagi...