venerdì 25 gennaio 2019

Introduzione a Plutarco. Parte 2

Biblioteca multimediale Roberto Ruffilli

Testo della conferenza che tenuta il 9 gennaio 2019 - leggendo il meno e ricordando il più possibile - nella biblioteca Ruffilli di Bologna

Introduzione a Plutarco biografo di modelli e contromodelli umani.
Introduzione a Plutarco come antidoto contro la mediocrità e l'indifferenza dell'uomo moderno. L'informazione dei giornali, e la cultura quale potenziamento della fuvsi"

Le opere
Il Corpus Plutarcheum  comprende 260 titoli: la Suda  ne fornisce 227 che costituiscono il cosiddetto catalogo di Lampria, un presunto figlio dell'autore che avrebbe compilato un elenco degli scritti paterni. In realtà Lampria si chiamavano il nonno e un fratello di Plutarco. L'attribuzione dunque è errata e il catalogo incompleto, poiché non contiene tutti i titoli delle opere delle quali abbiamo i testi o le testimonianze: ce ne sono altre 33, quindici delle quali  andate perdute. Di questa numerosissima produzione ci è arrivato un terzo: centoventi opere, intere o frammentarie, che si possono dividere in due grandi gruppi: le cinquanta biografie delle Vite parallele  (Bivoi paravllhloi) e i settanta scritti[37] che vengono designati come Moralia , ossia Scritti etici  (in greco  jHqikav) poiché il tono prevalente, come d'altra parte anche nel resto dell'opera, è quello della filosofia morale, o, per dirla con Platone, il massimo maestro riconosciuto da Plutarco con devozione quasi assoluta, dell' ajnqrwpivnh sofiva[38]. Montaigne, che era un grande estimatore di Plutarco, scrive che egli "è ammirevole in tutto, ma principalmente là dove giudica delle azioni umane"[39], e che gli Opuscoli  dello scrittore di Cheronea "da quando è divenuto francese" sono, come le Lettere  di Seneca, "la parte più bella dei suoi scritti, e la più utile", in quanto, afferma, l'autore dei Saggi :"hanno tutti e due questo vantaggio notevole per la mia indole, che la scienza che vi cerco vi è trattata a brani scuciti, che non richiedono l'obbligo di un lungo lavoro"[40]

 Le biografie parallele sono ventidue coppie formate tutte dalle vite di un greco e di un romano, tranne una coppia doppia, ossia costituita da due Greci (i re spartani Agide e Cleomene) e due Romani (i tribuni Tiberio e Caio Gracco). Inoltre ci sono pervenute quattro biografie singole: quelle di Arato, di Artaserse (unica figura esterna al mondo greco-romano), di Galba e di Otone. Il catalogo di Lampria riporta titoli di altre vite che non ci sono arrivate: per esempio la coppia Epaminonda-Scipione.
Poiché, come si è visto, si tratta di un'opera assai vasta e varia (dia; to; plh'qo" tw'n uJpokeimevnwn pravxewn[41], data la massa dei fatti, dice Plutarco dovendo operare una selezione nella gran quantità delle azioni grandi degli uomini grandi, mentre noi dobbiamo scegliere tra la grande abbondanza delle parole e delle idee di questo autore) è piuttosto imbarazzante fare una scelta che metta in luce le quintessenze del plutarchismo: dovrò limitarmi ad alcune Vite parallele  antologizzando le parti che possono considerarsi dichiarazioni programmatiche dell'autore; quindi seguirò il criterio di scegliere alcunii passi utili a integrare le storie dei personaggi o ad ampliare i temi che ho evidenziato studiando negli autori precedenti. Partiamo dunque dal proemio "metodologico" della Vita di Alessandro  dove l'autore, tra l'altro, dichiara di non scrivere storie ma biografie.
La lingua di Plutarco ha una base attica che ammette gli influssi della koinhv. I suoi periodi sono ampi ma non "difficili" per la regolarità e la chiarezza logica con cui sono costruiti. Per quanto riguarda lo stile, c'è una costante attenzione a evitare lo iato e, più in generale, all'armonia del suono e all'equilibrio della struttura dei periodi. Nel complesso la lettura è agevole e gradevole, dunque, ancora una volta, :"Lector, intende; laetaberis ".     

Assimilazione o dissimilazione dello scrittore e del lettore rispetto al personaggio raccontato. L'educazione impartita attraverso esempi positivi e negativi. Plutarco, Omero e Platone
All'inizio della Vita di Alessandro ,  Plutarco annuncia il suo intento di raccontare la biografia del re usando il pluralis maiestatis  "gravfonte""  e assimilandosi così in qualche modo al sovrano di cui vuole narrare le vicende. In effetti uno degli scopi del biografo di Cheronea è l'assimilazione all'eroe. Nel proemio alle vite  di Timoleonte ed Emilio Paolo  (1) egli dichiara: all'inizio mi è capitato di mettere mano a scrivere le vite per gli altri, ma oramai continuo e insisto anche per me stesso, poiché, scrutando attraverso la storia come in uno specchio ("wJvsper ejn ejsovptrw/ th'/ iJstoriva/ peirwvmenon") mi avviene in qualche modo di adornare e uniformare la  vita alle virtù di quegli illustri personaggi ("kosmei'n kai; ajformiou'n pro" ta;" ejkeivnwn ajreta;" to;n bivon") . "E' una concezione che ha qualche punto in comune con l'idea aristotelica della catarsi-commenta Canfora[42]-, dell'analogia che lo spettatore (in questo caso il lettore) istituisce tra se medesimo ed i paqhvmata dell'eroe al quale si accosta".
 Così del resto faceva Machiavelli leggendo. Lo racconta nella Lettera a Francesco Vettori  :"Venuta la sera, mi ritorno in casa et entro nel mio scrittoio; et in su l'uscio mi spoglio quella veste cotidiana, piena di fango e di loto, e mi metto panni reali e curiali; e, rivestito condecentemente, entro nelle antique corti delli antiqui uomini, dove, da loro ricevuto amorevolmente, mi pasco di quel cibo, che solum  è mio, e che io nacqui per lui; dove io non mi vergogno parlare con loro e domandarli della ragione delle loro azioni. E quelli per loro umanità mi rispondono; e non sento per quattro ore di tempo alcuna noia, sdimentico ogni affanno, non temo la povertà, non mi sbigottisce la morte: tutto mi tranferisco in loro...Die 10 Decembris 1513  ".
La lettura dei classici dunque per il segretario fiorentino aveva un valore catartico. Lo stesso significato positivo ha per Plutarco lo scrivere biografie: nella prefazione alla coppia Timoleonte - Emilio Paolo  infatti l'autore procede dicendo: il mio lavoro mi appare proprio come un conversare, un vivere quotidianamente in intimità con costoro, quando, per narrarne le vicende, io li ricevo quasi e li accolgo a turno come ospiti uno per uno, e considero  quanto  grande e quale sia ("o{sso" e[hn oi|ov" te"[43]), scegliendo fra le loro azioni quelle che furono le più importanti e le belle per la conoscenza:"ta; kuriwvtata kai; kavllista pro;" gnw'sin ajpo; tw'n pravxewn lambavnonte"". Insomma "il biografo si rimira nello specchio della storia per accordare la propria esistenza ai grandi paradigmi di virtù fornitigli dai suoi personaggi, vive anzi con loro (come poi Montaigne), desideroso di preservare nell'animo la memoria fragrante di ciò che varrà poi ad espellere l'ignobile sentore della quotidianità. Gli exempla virtutis  costituiscono il più sicuro esercizio di virtù per l'autore"[44].
Quindi Plutarco cita un frammento di Sofocle[45]:"feu' feu', tiv touvtou cavrma mei'zon a]n lavboi"", ah, ah, quale gioia potresti prendere maggiore di questa, e, aggiunge, quale più efficace per il raddrizzamento dei costumi? Lo studio della Storia allora infonde gioia in chi lo coltiva, come  la poesia: Erodoto narra che in attesa del canto di Arione, nel cuore dei pur spietati marinai corinzi che lo avevano condannato a morte per derubarlo, si insinuò il piacere [46]; per giunta l' attività intellettuale dello storiografo-biografo migliora il carattere di chi la pratica, come faceva l'educazione reciproca intercorrente tra i bambini e il principe Myskin, L'idiota  di Dostoevskij, il quale racconta:" Essi ci curano l'anima...venivano spesso da me pregandomi che raccontassi loro qualche cosa; credo che lo sapessi fare bene, giacché mi ascoltavano sempre con grande piacere. In seguito, presi l'abitudine di studiare e di leggere, con l'unico scopo di potere intrattenerli"[47]. La catarsi avviene non solo assimilando il valore, ma anche respingendo i vizi, e questo accade sia imitando la virtù degli uomini grandi e buoni, il cui esempio aiuta a respingere quella dose di pochezza (" ti fau'lon") o malvagità ("hj; kakovhqe"") o volgarità ("hj; ajgennev"", ) che le compagnie di coloro con i quali si deve  vivere  insinuano ("aiJ tw'n sunovntwn ejx ajnavgkh" oJmilivai prosbavllousin"[48]),  sia prendendo quali contromodelli uomini grandi e cattivi.

Livio Praefatio 10 Secondo Tito Livio la conoscenza della tradizione storica fornisce a chi la possiede il grande strumento dei modelli positivi da imitare e di quelli negativi da respingere:"Hoc illud est praecipue in cognitione rerum salūbre ac frugiferum, omnis te exempli documenta in inlustri posita monumento intuēri: indi tibi tuaeque rei publicae quod imitēre capias, inde foedum inceptu, foedum exitu quod vites"[49], questo soprattutto è salutare e produttivo nella conoscenza della storia, che tu consideri attentamente esempi di ogni tipo situati in una tradizione illustre: di qui puoi prendere modelli da imitare per te e per il tuo Stato, di qui contromodelli da evitare in quanto turpe nel movente, turpe nel risultato.

Nella prefazione alle Vite  Demetrio-Antonio,  Plutarco afferma che forse non è male inserire tra gli esempi le vite  di uomini che hanno fatto uso del loro ingegno in modo troppo sconsiderato, e sono divenuti celebri nel potere e nelle grandi imprese per i loro vizi ("eij" kakivan").
Nell’Antonio e Cleopatra di Shakespeare, Antonio è colpevole di avere sottoposto la ragione al piacere: dopo la vittoria di Ottaviano, Cleopatra domanda a Enobarbo : “Is Antony or we in fault for this?”, la colpa è di Antonio o mia? E il collaboratore di Antonio, in procinto di abbandonarlo risponde: “Antony only, that would make his will-Lord of is reason” (III, 13), solo di Antonio che ha sottoposto la sua ragione al suo piacere.
Antonio era amato dai suoi soldati poiché amava gozzovigliare con loro. Fondamentale per lui era la figura di Ercole. Tendeva a indossare abiti che ricordavano Ercole e anche la barba a tutto viso. Il suo comportamento, cameratesco, generoso, passionale, era visto come Erculeo. 
Antonio ed Ercole godevano di una popolarità che Ottaviano/Augusto e Apollo non avrebbero mai raggiunto. Il loro comune discendente, Nerone, univa in sé i due opposti. Non a caso le due divinità con cui si identificava erano, come abbiamo visto, Apollo/Sole ed Ercole.
Nella tragedia Antonio e Cleopatra di Shakespeare si sente una musica in aria, o sotto terra, davanti al palazzo di Cleopatra; un soldato chiede: “It signs well, does it not?” E un altro “No”.  Allora “What should this mean?” E il pessimista: “’Tis the god Hercules, whom Antony loved, Now leaves him” (Shakespeare, Antonio e Cleopatra, 4, 3). Sentiamo T. S. Eliot: “the God Hercules/Had left him, that had loved him well” (Burbank with a Baedeker, Bleistein with a cigar (1920). Antonio, al pari di Alessandro, si vantava di discendere da Eracle e di essere parente di Dioniso poiché ne imitava il modo di vita (Plutarco, Vita di Antonio, 60, 4-5).

La difesa dell'identità
 La  tragedia di Seneca gronda pessimismo nei confronti della storia e della società. Tale visione comporta il rifugiarsi e il chiudersi nel proprio spazio intimo. 
Tuttavia Antonio si tiene aggrappato alla sua identità.
Eliot trova delle analogie tra i personaggi di Seneca e quelli di Shakespeare  precisamente in questo loro arroccarsi  nella proprio individualità:"Nell'Inghilterra elisabettiana si hanno condizioni in apparenza affatto diverse da quelle di Roma imperiale. Ma era un'epoca di dissoluzione e di caos; e in tale epoca, qualsiasi attitudine emotiva che sembri dare all'uomo alcunché di stabile, anche se è soltanto l'attitudine di "io sono solo me stesso", è avidamente assunta. Ho appena bisogno di segnalare...quanto prontamente, in un'epoca come l'elisabettiana, l'attitudine senechiana dell'orgoglio, l'attitudine montaigniana dello scetticismo, e l'attitudine machiavellica del cinismo giunsero a una specie di fusione nell'individualismo elisabettiano. Questo individualismo, questo vizio d'orgoglio, fu, necessariamente, sfruttato molto a causa delle sue possibilità drammatiche...Antonio dice "Sono ancora Antonio [50]" e la Duchessa "Sono ancora Duchessa di Amalfi "[51]; avrebbe sia l'uno che l'altro detto questo se Medea non avesse detto Medea superest ?"[52].
Questa battuta di Medea ha un’eco anche in Il rosso e il nero di Stendhal: la giovinetta Mathilde de La Mole, innamorata di Julien Sorel è combattuta da dubbi atroci , come la Medea delle Argonautiche, e pensa: “ Quali non saranno le sue pretese, se un giorno avrà il diritto di esercitare intero il suo potere su di me? Ebbene, dirò come Medea: in mezzo a tanti pericoli, mi resto Io!.
Subito dopo c’è anche il “darsi animo” di Medea: “In quegli ultimi momenti di dubbio atroce scesero in campo dei sentimenti di orgoglio femminile. “Tutto deve essere straordinario nel destino di una ragazza come me” esclamò Matilde, snervata dal suo ragionare. L’orgoglio, che le avevano instillato fin dalla nascita, si mise in lotta contro la virtù”[53].
E questo, precisa, non lo faccio per offrire diversivi al piacere dei lettori ma per procedere didatticamente, come il flautista tebano Ismenia, facendo ascoltare ai discepoli quelli che suonavano bene e quelli che suonavano male il flauto, era solito dire:"ou{tw" aujlei'n dei',- kai; pavlin- ou{tw" aujlei'n ouj dei'", così bisogna suonare, e viceversa, così non bisogna suonare. Perciò, conclude Plutarco, a me sembra che anche noi saremo maggiormente desiderosi di essere osservatori e imitatori di uomini migliori se non rimarremo nell'ignoranza della storia di quelli viziosi e biasimati:"ouJvtw" moi dokou'men hJmei'" proqumovteroi tw'n beltiovnwn e[sesqai kai; qeatai; kai; mimhtai; bivwn, eij mhde; tw'n fauvlwn kai; yegomevnwn ajnistorhvtw" e[coimen". In effetti l'esempio , positivo e negativo, è la stella polare dell'educazione antica, il punto di orientamento più efficace. Già nel primo canto dell'Odissea  compaiono i paradigmi educativi:  Egisto è presentato dallo stesso Zeus quale contromodello, siccome è uno degli uomini che soffrono dolori contro il dovuto per  la loro follia:"sfh'/sin ajtasqalivh/sin ujpe;r movron a[lge& e[cousin"(v. 34), e viceversa Oreste più avanti  viene indicato a Telemaco da Atena-Mente quale paradigma positivo in quanto ha ucciso il negativo Egisto appunto, e ha vendicato il padre. Anche tu sii forte, lo incoraggia la dea, poiché ti vedo bello e grande assai:" "kai; suv, fivlo", mala gavr s& oJrovw kalovn te mevgan te-a[lkimo" e[ss&"(vv.  301-302)Senza l'esempio mancherebbe l'elemento concreto indispensabile per un elleno: "il realismo, in arte, è greco; l'allegorismo è ebraico", ebbe a scrivere Pavese[54]. Quando il figlio di Odisseo si reca a Pilo, Nestore gli ricorda lo stesso paradigma e gli rinnova l'incoraggiamento ( Odissea  III, vv. 193-200). La cultura greca tende a sviluppare organicamente le forme originarie: tra Omero e Plutarco l'uso dell'esempio concreto non viene mai meno, e pure "l'idealista" Platone utilizza modelli e contromodelli:  nel Gorgia  il filosofo presentato i tiranni tra gli incurabili ("ajnivatoi", 525c) diventati tali poiché hanno commesso i crimini più atroci e non espiabili: ebbene costoro, non potendo più redimersi, servono come paradeivgmata, esempi negativi per gli altri, stando sospesi nel carcere dell'Ade.
Del resto Plutarco  nel preambolo alla coppia Demetrio - Antonio  dice che questi due sono uomini adatti a testimoniare quanto Platone scrisse: "oJvti kai; kaiva" megavla" wJvsper ajreta;" aiJ megavlai fuvsei" ejkfevrousi", che le grandi nature producono grandi virtù come anche grandi vizi. Nella Repubblica  (491e) Socrate infatti spiega ad Adimanto
 che le anime di natura migliore, se ottengono un' educazione cattiva diventano straordinariamente cattive, poiché le grandi malvagità nascono da nature grandi.

Torniamo quindi ai due "eroi negativi" di Plutarco:"genovmenoi d& oJmoivw" ejrwtikoi; potikoi; stratiwtikoi; megalovdwroi polutelei'" uJbristaiv, kai; ta;" kata; tuvchn oJmoiovthta" ajkolouvqou" e[scon", divenuti ugualmente amatori, bevitori, bellicosi, munifici, sontuosi, violenti, ebbero anche somiglianze conseguenti di destino, ossia, spiega, con infime cadute nella polvere e sublimi salite sui fastigi del potere. E' da notare che il biografo platonico ricorda, nel rappresentare questi due uomini "uJbristaiv", alcune caratteristiche che Platone attribuisce al tiranno destinato a divenire paradigma negativo: il turanniko;" ajnh;r Repubblica  (573c) è , per natura, o per le abitudini, tra l'altro"mequstikov" te kai; ejrwtikov"incline al bere e anche al sesso. La seconda inclinazione invero a me non sembra tanto viziosa né deleteria, soprattutto se si pensa a coloro che in questi giorni di maggio, un "depraved May "[55], direbbe Eliot, fanno le code per  comprare, a caro prezzo, la pillola contro l'impotenza sessuale. Ma questo è tutt' altro discorso.


FINE INTRODUZIONE

Le restanti parti si trovano qui nel blog col titolo "Plutarco in Shakespeare"
ecco i link:
Plutarco in Shakespeare. Parte 1
Plutarco in Shakespeare. Parte 2
Plutarco in Shakespeare. Parte 3


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[37]Senza contare quelli molto probabilmente apocrifi.
[38]Apologia di Socrate , 20d.
[39]Saggi , II, 31, p. 947.
[40]Saggi , II, 10, pp. 532-533.
[41]Vita di Alessandro , 1, 1.
[42]Storia Della Letteratura Greca , Laterza, Bari, 1994, p. 562.
[43]Citazione dall'Iliade :"oJvsso" e[hn oi'Jov" te", 24, 630, detto di Achille.
[44]G. Camassa, Lo Spazio Letterario Della Grecia Antica , Vol. I, Tomo III, p. 329.
[45]Fr. 579 Nauck, v. 1.
[46] I, 24:"kai; toi'si ejselqei'n ga;r hjdonh;n eij mevvlloien ajkouvsesqai tou' ajrivstou ajnqrwvpou ajoidou'".
[47] Traduzione italiana, Garzanti, Milano, 1973, p. 84 e p. 88
 [48] E' sempre la prefazione a Timoleonte-Emilio Paolo
[49] Storie , Praefatio, 10.
[50] "I am Antony yet ", Antonio e Cleopatra (del 1606-1607) , III, 13.
[51]Da La duchessa di Amalfi (del 1614) , di J. Webster  (1580-1625).
[52]Shakespeare e lo stoicismo di Seneca, in T. S. Eliot Opere , p. 800..
[53] Stendhal, Il rosso e il nero (del  1830) in Stendhal  Romanzi e racconti, vol. I, , trad. it. Sansoni, Firenze, 1956,   p. 594
[54]Il mestiere di vivere , 29 settembre 1946.
[55]Maggio depravato, in Gerontion , v. 21.

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