sabato 19 gennaio 2019

Ottimismo e pessimismo pedagogici



Si può insegnare a tutti il greco? Si possono rieducare i delinquenti reali come Battisti o potenziali come i politici che auspicano la pena di morte?
Alcune espressioni di ottimismo e altre di pessimismo pedagogico. 

E' chiaro che non tutti sono portati per le stesse materie; che il greco e il latino sono facili per alcuni, difficilissimi per altri. L’intuizione infatti è una qualità indispensabile, come la leggerezza e la potenza per un campione. Quelli predisposti alle nostre materie ci inducono all’ottimismo pedagogico, quelli maldisposti al pessimismo.
Sull’argomento riferisco le opinioni di tre  maestri.
Pindaro  nell’ Olimpica II chiarisce il suo pessimismo pedagogico: sofo;" oJ polla; eijdw;" fua'-maqovnte" dev, lavbroi - pagglwssiva/ kovrake" w{" a[kranta garuveton - Dio;" pro;" o[rnica qei'on (vv. 86-89), saggio è chi sa molto per natura, voi due[1] addottrinati invece, intemperanti, vaghi di ciance, come corvi di fronte al divino uccello di Zeus, gracchiate parole vuote.


Nel terzo episodio dell’Ippolito di Euripide Teseo legge le parole di accusa contro Ippolito  che Fedra prima di uccidersi ha lasciato scritte sulla tavoletta trovatale in mano, e grida eujnh'" th'" ejmh'" e[tlh qigei'n-biva / (886-886) ha osato toccare con violenza il mio letto! Quindi chiede a Poseidone di annientare il figlio ricordandogli le trei'" ajrav" (888)  che gli aveva concesso: mia'/ katevrgasai- touvtwn ejmo;n pai'd  j (888-889), con una di queste finisci mio figlio.
Poi Teseo pronuncia parole di pessimismo pedagogico; voi uomini errate in molte cose:  tutto escogitate e insegnate, ma c’è una sola cosa che non sapete e nemmeno cercate - fronei'n didavskein oi|sin oujk e[nesti nou (920), insegnare saggezza a quelli che non hanno senno.

Nell’Ecuba (del 424) di Euripide la protagonista sente raccontare da Taltibio il sacrificio di Polissena e prova “una strana consolazione” per la nobiltà con la quale  la ragazza è morta, splendendo di bellezza, come un’opera d’arte, e parlando con il coraggio di un eroe: “Non è strano che, se la terra è cattiva,/ma ottiene buone condizioni dagli dèi, produce buona spiga,/mentre se è buona, ma non riceve quanto essa deve ottenere,/ dà cattivi frutti; tra gli uomini invece, sempre/il malvagio non è nient'altro che cattivo / mentre il buono è buono, né per una disgrazia/guasta la sua natura, ma rimane sempre onesto? (oJ me;n ponhro;" oujde;n a[llo plh;n kakov",-oJ d  j ejsqlo;" ejsqlov", oujde; sumfora'" u{po-fuvsin dievfqeir j , ajlla; crhstov" ejst j ajeiv;)/Dunque i genitori fanno la differenza o l'educazione?/Certamente anche essere educati bene, porta/ un insegnamento di onestà; e se uno l’ha imparato  bene,/ sa che cosa è turpe, avendolo appreso con il metro del bello. /Ma questi pensieri la mente li ha scagliati invano",( Ecuba, vv. 592-603). In questa tragedia dunque prevale il pessimismo, come nell’ode di Pindaro. 

Nelle Supplici ,del 422, un dramma che è tutto un encomio degli Ateniesi, leggiamo invece l'espressione di un incondizionato ottimismo pedagogico, forse per il fatto che si stava preparando la pur malsicura pace di Nicia: Adrasto fa l'elogio funebre dei sette caduti nella guerra contro Tebe, poi conclude rivolgendosi direttamente a Teseo: “Non ti stupire dopo quanto ho detto,/ Teseo, che questi abbiano avuto il coraggio di morire davanti alle torri./Infatti essere educati non ignobilmente comporta il senso dell'onore: / e ogni uomo che ha esercitato il bene / si vergogna di diventare vile. Il coraggio è/ virtù insegnabile (hJ eujandriva-didaktovn), se è vero che il bambino impara/a dire e ad ascoltare quello di cui non ha cognizione./Ma quello che uno abbia imparato, suole conservarlo/fino alla vecchiaia. Così educate bene i vostri figli"(vv. 909-917).

Un’opinione diffusa, non solo ad Atene, di ottimismo pedagogico viene riportata nel Protagora di Platone.
Il sofista, personaggio eponimo del dialogo, sostiene che alcuni aspetti naturali degli uomini (piccolezza, bruttezza o debolezza, p. e.)  non si possono correggere, e dunque non suscitano irritazione e non provocano punizioni; mentre l’assenza delle qualità che derivano all’uomo dall’esercizio, provoca ire, ammonimenti e sanzioni. Ingiustizia, empietà e assenza di virtù politica vengono punite hJ ajdikiva kai; hJ ajsevbeia kai; sullhvbdhn pa'n to; ejnantivon th'ς politikh'ς ajreth'ς”,   “o{ti ge oi{ ge a[nqrwpoi hjgou'ntai paraskeuasto;n ei\nai ajrethvn (324), poiché gli uomini pensano che la virtù sia acquisibile. Si punisce per correggere e distogliere dal commettere ingiustizia: kai; toiauvthn diavnoian e[cwn dianoei'tai paideuth;n ei\nai ajrethvn (324b), e chi la pensa in questo modo crede che la virtù sia insegnabile. Se gli Ateniesi, come gli altri, puniscono i colpevoli di ingiustizia, ciò significa che anche loro sono tra quelli i quali considerano la virtù acquisibile e insegnabile.



[1] Simonide e Bacchilide, secondo gli scoliasti

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