Lisistrata, Prometeo, Ipsipile, Leopardi et ego ipse
Terminata la parabasi della Lisistrata (vv. 614-705) compare la protagonista eponima della commedia.
La corifea le domanda perché sia accigliata-skuqrwpov" (Lisistrata, 707)
Lisistrata cita un verso di Euripide (Telefo fr. 704): " aijscro;n eijpei'n kai; siwph'sai baruv” (712) turpe è parlare e tacere mi pesa.
Cfr. il Prometeo incatenato di Eschilo "ajlgeina; mevn moi kai; levgein ejsti;n tavde,-a[lgo" de; siga'n, pantach'/ de; duspotma” doloroso è per me raccontare queste cose,/ma doloroso è anche tacere, e dappertutto sono le sventure"(vv. 197-198).
Due versi questi, usati come epigrafe da Giuseppe Berto per il suo romanzo Il male oscuro (1964) che racconta la terapia di una nevrosi: “Il racconto è dolore, ma anche il silenzio è dolore”. Il racconto infatti è doloroso e pure terapeutico.
Così Enea racconta a Didone la distruzione di Troia: “Infandum, regina, iubes renovare dolorem (…) Sed si tantus amor casus cognoscere nostros/et breviter Troiae supremum audire laborem,/quamquam animus meminisse horret luctuque refugit,/incipiam” (Eneide, II, 3, 10-13), regina, mi ordini, di rinnovare un dolore indicibile…ma se tanto grande è il desiderio di conoscere la nostra caduta e di udire in breve l’estrema agonia di Troia, sebbene l’animo rabbrividisca a ricordare e rifugga dal pianto, comincerò.
Nella Tebaide di Stazio (45-96 d. C.) Ipsipile inizia la sua storia dolorosa affermando che raccontare le proprie pene è una consolazione per gli infelici:"dulce loqui miseris veteresque reducere questus" (V, 48), è dolce parlare per gli infelici e rievocare le pene antiche.
Lo scrive anche Leopardi che corteggia la luna
"O graziosa luna, io mi rammento
che, or volge l'anno, sovra questo colle
io venia pien d'angoscia a rimirarti:
e tu pendevi allor su quella selva
siccome or fai, che tutta la rischiari.
Ma nebuloso e tremulo dal pianto
che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci
il tuo volto apparia, che travagliosa
era mia vita; ed è, né cangia stile,
o mia diletta luna. E pur mi giova
la ricordanza, e il noverar l'etate
del mio dolore.
(Alla luna del 1820, vv. 1-12)
Sto correggendo le bozze del romanzo dove racconto l' apprendistato di un giovane, il mio.
A me pure "giova
la ricordanza, e il noverar l'etate
del mio dolore", certo, ma ancora di più giova ricordare la gioia. A chi scrive e a chi legge se chi scrive è molto bravo.
Bologna 30 aprile 2023 ore 18, 55 giovanni ghiselli
p. s
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