NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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mercoledì 12 aprile 2023

Donne romane : Sempronia, Messalina, Agrippina, Lucrezia.


 

In una donna l'audacia ben difficilmente viene considerata una virtù: si pensi alla Sempronia sallustiana:"quae multa saepe virilis audaciae facinora commiserat " (Bellum Catilinae, 25) che spesso aveva perpetrato misfatto di audacia virile.

Sentite i virilis audaciae facinora quali sono: “litteris Graecis, Latinis docta, psallere, saltare elegantius quam necesse est probae, multa alia, quae instrumenta luxuriae sunt. Sed ei cariora semper omnia quam decus atque pudicitia fuit; pecuniae an famae minus parceret, haud facile discerneres; lubido sic accensa, ut saepius peteret viros quam peteretur”, sapeva di latino e di greco, e suonare e danzare con eleganza maggiore di quanto si chiede a una onesta, e conosceva molte altri mezzi che sono strumenti di lussuria. Ma tutto le fu sempre più caro che il decoro e la pudicizia, non avresti potuto facilmente decidere se avesse meno riguardo del denaro o della reputazione: la libidine era così ardente che cercava gli uomini più spesso di quanto venisse cercata.

 

Faceva insomma parte della risma dei seguaci di Catilina, uomini di ogni tipo e donne che da giovani si erano prostituite, poi riempite di debiti. Era  gente con la quale il caporione contava di sollevare gli schiavi, incendiare Roma, arruolare i loro mariti o ucciderli.

Il ritratto paradossale di Sempronia-donna piena di vizi e di capacità, termina con queste parole: “Sed ea saepe antehac fidem prodiderat, creditum abiuraverat, caedis conscia fuerat : luxuria atque inopia praeceps abierat.  Verum ingenium eius haud abssurdum : posse versus facere, iocum movere, sermone uti vel modesto vel molli vel provaci; prorsus multae facetiae multusque lepos inierat (25) ma già prima ella aveva spesso tradito  la fede, negato con spergiuro un debito, era stata complice di un delitto: per il lusso e il bisogno era caduta in rovina. Tuttavia il suo ingegno non era rozzo: era capace di versificare, di scherzare, di conversare con parole modeste o tenere o licenziose: insomma in lei c’era molto spirito e molto fascino.

Di sicuro più che in tante oche.

 

Messalina viene presentata da Giovenale attraverso un ritratto espressionistico e deformante : quando si accorgeva che Claudio dormiva, la meretrix Augusta (VI, 119) lo lasciava, indossato un cappuccio notturno, e accompagnata da una sola ancella. Poi, nascondendo il nigrum crinem (v. 120) sotto una parrucca bionda, entrava nel lupanare, riparato dal freddo con una vecchia tenda fatta di stracci cuciti insieme ("veteri centone [1] ", v. 121). Lì aveva una cella riservata:"tunc nuda papillis/prostitit auratis titulum mentita Lyciscae/ostenditque tuum, generose Britannice, ventrem! " (vv. 122-124), allora si metteva in vendita nuda  con i capezzoli dorati facendo passare per suo il cartello di Licisca[2], e mostrava il ventre da cui eri nato tu, nobile Britannico![3]. Si faceva pagare e rimaneva nel bordello uscendone solo dopo avere ingoiato i colpi di tutti-cunctorum absorbuit ictus (126).

Infine ultima cellam clausit ma era ancora ardens rigidae tentigine volvae (128-129)  per l’erezione della vulva dura.

 

L'incognita ed estrema libido però fu quella di sposare   Silio, e non a Claudio morto. L'amante la incalzava (urgebat) con l'argomento che "flagitiis manifestis subsidium ab audacia petendum "

Messalina era dubitosa e accoglieva quelle proposte segniter (con indifferenza) non amore in maritum, non per amore verso il marito, ovviamente, bensì per timore che Silio, summa adeptus , afferrato il potere, poi disprezzasse l'adultera e valutasse col prezzo reale quella scelleratezza accettata nel pericolo. "Nomen tamen matrimonii concupivit ob magnitudinem infamiae cuius apud prodigos novissima voluptas est " (Tacito, Annales , XI, 26), nondimeno desiderò la rinomanza del matrimonio per l'enormità della cattiva fama il cui piacere è l'estremo per gli scialacquatori del buon nome.

Svetonio racconta un fatto che ha dell’incredibile: Claudio appose anche il suo sigillo al documento della dote per le nozze che Messalina aveva contratto con l’amante Silio- nuptiis quas Messalina cum adultero Silio fecerat tabellas dotis et ipse consignaverit  (Claudii Vita, 30) poiché gli avevano fatto credere che questo matrimonio avrebbe allontanato da lui il pericolo di attentati presagiti da alcuni segni

 

Messalina viene uccisa "quando si vota alla trasgressione suprema, cioè quando chiede la dote per sposarsi con Silio, descritto come il più bell'uomo della Roma del tempo, appartenente a un circolo aristocratico ostile all'imperatore, mentre è ancora la moglie di Claudio"[4]. 

 

L'ostensione del ventre sembra un estremo tovpo" gestuale di queste auguste donne: Agrippina (15-59)successiva moglie di suo zio Claudio  e mamma di Nerone, fa uccidere Britannico poi entra in conflitto con il proprio figlio che manda due sicari ad ammazzarla. Già colpita in testa con un bastone da uno di questi mandati da Nerone perché ammazzino sua madre  scampata a un precedente attentato, si volse all'altro, un centurione della flotta  che stringeva un pugnale e "protendens uterum "ventrem feri" exclamavit multisque vulneribus confecta est" (Tacito, Annales , XIV, 8),  mettendo davanti il ventre materno gridò 'colpisci qui', e fu finita con molti colpi.

 

Nell'Octavia pseudosenecana, Agrippina prega il sicario :"utero dirum condat ut ensem:/'hic est, hic est fodiendus', ait,/ 'ferro, monstrum qui tale tulit'./Post hanc vocem cum supremo/mixtam gemitu/animam tandem per fera tristem/vulnera reddit" (vv. 359-365), affinché affondi la spada crudele nell'utero. "Questo, dice, va scavato con il ferro questo che portò un mostro del genere". Dopo questa frase finalmente rese l'anima triste mescolata con un gemito attraverso le ferite atroci.

 

Tacito afferma che su questa parte della storia c’è il consenso delle fonti. Però non tutti sono d’accordo a proposito degli elogi che il figlio ha espresso sulla bellezza della madre morta.

 

Svetonio per esempio racconta che Nerone vedendo il cadavere della madre “contrectasse membra, alia vituperasse, alia laudasse, sitique interim obortā bibisse” (34), ne tastò le membra, alcune le abbia criticate, altre elogiate, e che abbia bevuto perché nel frattempo aveva sentito sete.

 

Lucrezia

 Per contrasto sentiamo il racconto di Tito Livio sulla pudicizia di Lucrezia che fu minacciata e ricattata dal principe Lucio Tarquinio, il quale, entrato nella stanza della casta matrona con la spada sguainata, fece :"Tace, Lucretia-inquit - Sex. Tarquinius sum; ferrum in manu est; moriere, si emiseris vocem" (I, 58, 2), taci Lucrezia, sono Sesto Tarquinio: ho la spada in mano, morrai, se avrai fiatato. Quindi fu pregata, di nuovo minacciata, ricattata, e infine  violentata. Rimasta sola, la donna chiamò il padre Spurio Lucrezio e il marito Collatino il quale le  domandò se andasse tutto bene. Ella allora rispose:"Minime: quid enim salvi est mulieri, amissa pudicitia? (I, 58, 7) "per niente: quale bene infatti c'è per una donna una volta che ha perduto l'onore?

 Poi la donna racconta la sua disgrazia che le ha contaminato il corpo, mentre l'animo è rimasto innocente e la morte lo testimonierà:"corpus est tantum violatum, animus insons; mors testis erit ". Agli uomini, se sono tali (si vos viri estis), spetta il compito di punire l'adultero che così le avrà estorto un piacere rovinoso, pestiferum gaudium (I, 58, 8). Quanto a se stessa:"ego me etsi peccato absolvo, supplicio non libero; nec ulla deinde impudica Lucretiae exemplo vivet" (I, 58, 10), anche se mi assolvo dal peccato, non mi sottraggo alla pena; nessuna donna in futuro vivrà impura seguendo l'esempio di Lucrezia.

 Quindi si uccise ficcandosi nel cuore un coltello che teneva celato sotto la veste.    

Lucrezia ha voluto lasciare un esempio a tutte le Romane con il proprio suicidio.

Nel Satyricon questo tuttavia viene messo in ridicolo da una battuta di uno dei giovani del terzetto quando si ritrovano nella locanda: Gitone si lamenta con Encolpio delle avances erotiche di Ascilto:"tuus -inquit-iste frater seu comes paulo ante in conductum accucurrit coepitque mihi velle pudorem extorquere. cum ego proclamarem, gladium strinxit et:"si Lucretia es" inquit "Tarquinium invenisti" (9, 4), questo tuo fratello disse, o compagno di viaggio, poco prima di te è arrivato di corsa nella locanda e a cominciato ha volermi strappare il pudore. Siccome io protestavo a voce alta, sguainò la spada e disse."se sei Lucrezia, hai trovato Tarquinio".

Udito il racconto di Gitone, Encolpio reagisce infuriato contro Ascilto tendendo le mani verso gli occhi del rivale e gridando:"quid dicis-inquam-muliebris patientiae scortum, cuius ne spiritus <quidem> purus est?" (9, 6), che cosa dici sgualdrina di passività femminea, che non hai pulito nemmeno l'alito

 

 

Del  cattivo esempio che le donne importanti danno a tutte le altre donne, parla con serietà  di Fedra nell'Ippolito di Euripide: " wJ~ o[loito pagkavkw~-h{ti~ pro;~ a[ndra~ h[rxat j aijscuvnein levch-prwvth quraivou~ (vv. 407-409), fosse morta malamente colei che per prima disonorò i letti di casa con uomini esterni.  Infatti, continua, questo male ha cominciato a propagarsi dalle case nobili: "ejk de; gennaivwn dovmwn" (v. 409). Quando le turpitudini (aijscrav) sono reputate belle dalle persone di alta condizione, certo sembreranno belle anche al volgo (vv. 411-412). 

 

 Udito il racconto di Gitone, Encolpio reagisce infuriato contro Ascilto tendendo le mani verso gli occhi del rivale e gridando:"quid dicis-inquam-muliebris patientiae scortum, cuius ne spiritus <quidem> purus est?" (9, 6), che cosa dici sgualdrina di passività femminea, che non hai pulito nemmeno l'alito?    

 

Bologna 12 aprile 2023 ore 10, 24 giovanni ghiselli

p. s.

Sempre1342769

 

 

 

 

 



[1] Il cento e il titulus del v. 123 li abbiamo già trovati nel bordello del Satyricon

[2] . Licisca, ragazza lupa, era un nome comune per le prostitute che mettevano un cartello con il nome e il prezzo.

[3] Britannico era il figlio di Claudio e Messalina fatto uccidere da Nerone.

[4] Francesca Cenerini, La donna romana, il Mulino, Bologna, 2002, p. 84.

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