Seconda versione dei versi da recitare del Prometeo incatenato
Ho tolto quasi tutte le mie note per rendere più agevole la lettura dell’attore e ho invece aggiunto per voi che mi seguite un riuso dei versi 88-92 di Eschilo fatto da Gabriele D’Annunzio.
Il Titano incatenato invoca l’intera natura perché lo assista nelle sue pene.
“o etere divino e venti dalle ali veloci,
e sorgenti dei fiumi, e innumerevole sorriso
delle onde , e terra madre di tutte le cose
e il disco del sole che vede tutto, invoco:
guardate quali pene soffro, io che sono un dio, da parte degli dèi”(88-92).
(…)
Sentite il riuso che ne fa D’Annunzio in Elettra delle Laudi del cielo del mare della terra degli eroi:
“Ahi, chi mai lo consolerà?”
dicemmo noi nello spavento.
Chi consolerà
“ Colui ch’ebbe a sé testimoni
il Sole, il Vento,
le sorgenti dei Fiumi, il riso
innumerevole delle onde marine
la madre di tutte le cose, la Terra?
Chi mai lo consolerà nel dì supremo?
L’antico Oceano?
(…)
Il canto delle Oceanine?
Il lamento delle pie donne?
Qual parola nata
dal sale del mare e del pianto
lenirà l’insonne?”
Che cosa dico? Conosco in anticipo con esattezza
Tutto quanto accadrà, né alcuna pena
Mi giunge inaspettata. La sorte destinata comunque è necessario
che la sopporti nel modo più spavaldo possibile chi ha coscienza
che la forza della necessità è invincibile.
Ma non mi è possibile tacere né non tacere
su queste mie sventure: ai mortali infatti ho procurato
dei doni e mi trovo, infelice, aggiogato a questo destino.
Sono andato a caccia della sorgente
del fuoco l’ho rubata e ne ho riempito
il cavo di una canna, e questo furto si è rivelato maestro
di ogni tecnica e grande risorsa per tutti i mortali
Di queste colpe pago le pene
sotto il cielo aperto inchiodato in catene.
Ahimé, ahi, ahimé
Quale suono, quale odore vola verso di me indistinto
mosso dagli dèi, o mortale, o misto?
E’ giunto alla vetta ai confini del mondo
per assistere allo spettacolo delle mie pene? O che cos’altro vuole?
Guardate me incatenato, un dio dal destino difficile,
il nemico di Zeus, quello che è venuto in odio
a tutti gli dèi quanti frequentano la corte di Zeus
per il troppo amore dei mortali (101-123).
Prometeo non si limita al lamento; minaccia anche:
"Eppure il presidente dei beati avrà ancora
bisogno di me, sebbene tormentato
nei forti ceppi,
perché gli sveli il nuovo piano con il quale
si cerca di spogliarlo dello scettro e degli onori"
(vv. 167-171).
Il coro delle Oceanine avverte il ribelle:
"il figlio di Crono ha un carattere inaccessibile
e un cuore implacabile"(vv. 184-185);
Prometeo non si lasciar spaventare e ribadisce che il tiranno ha bisogno di lui, quindi dovrà scendere a patti. Poi comincia un suo racconto poiché:
"doloroso è per me raccontare queste cose,
ma doloroso è anche tacere, e dappertutto ci sono sventure"(vv. 197-198).
Prometeo però deve riconoscere che i mortali sono stati anche illusi da quanto hanno ricevuto:
“ ho fatto smettere ai mortali di prevedere il destino di morte"
La corifea domanda:
“E quale rimedio hai trovato a questo malanno?
Prometeo risponde:
“ho infuso in loro cieche speranze” (vv. 248-250).
Comunque il Titano rivendica dignità alla sua trasgressione
"io sapevo tutto questo:
di mia volontà, di mia volontà ho trasgredito, non lo negherò
aiutando i mortali ho trovato io stesso le pene "(265-267).
L' inventore si scopre inventore di pene.
Prometeo elenca i tanti doni elargiti agli uomini
“Io inventai per loro il numero, eccellente
fra le trovate ingegnose, e le combinazioni delle lettere,
memoria di tutto, operosa madre delle muse.
E per primo attaccai ai carri gli animali selvatici
sottomessi ai gioghi e ai cavalieri,
asserviti ai mortali nelle più dure fatiche.
E ho portato sotto il cocchio i cavalli resi amanti delle briglie,
immagine del lusso ricchissimo.
Nessun altro all'infuori di me ha inventato i veicoli dalle ali di lino
Che vagano per i mari percorsi dai marinai
E dopo avere trovato tali invenzioni per i mortali,
io infelice non ho un espediente che mi liberi dalla pena presente
(vv. 459- 471)
Il Coro delle Oceanine lo compatisce.
Sconcia è la pena che soffri: uscito di senno,
deliri, e poiché da cattivo medico sei caduto malato
ti perdi d’animo e non sai trovare con quali farmaci
tu sia curabile (472-475)
Prometeo elenca altre sue scoperte benefiche per i mortali:
i farmaci (vv. 480 sgg.), le tecniche dell'arte divinatoria, l'interpretazione dei sogni, del volo degli uccelli, delle viscere nelle vittime sacrificali.
Infine ha scoperto i metalli:
“Il bronzo, il ferro, l'argento e l'oro,
chi potrebbe dire di averli scoperti prima di me?
(vv. 502-503),
In conclusione;
“tutte le tecniche ai mortali derivano da Prometeo”
(v. 507),
Quindi il martire sfida il re dell'universo, sebbene la corifea gli ricordi che
"i saggi si inchinano davanti all'inevitabile"(v. 936).
Ma Prometeo è irremovibile nella sua opposizione ostinata; anzi quando vede sopraggiungere Ermes lo sbeffeggia
“Ecco, vedo il galoppino di Zeus,
il servo del nuovo tiranno” (v. 941- 942)
.
Poi il Titano arriva a dire:
“con parola diretta odio tutti gli dèi
quanti, dopo avere ricevuto del bene, mi maltrattano ingiustamente”(vv. 975-976).
Prometeo ribadisce che non si piegherà.
Ermes replica accusandolo di arroganza con debole ragione:
“Ma tu riponi fiducia su un debole sofisma:
la presunzione infatti per chi non ragiona bene,
di per sé ha meno forza del nulla”.
(vv. 1211- 1213).
Presto, lo minaccia Ermes, sarai subissato da una tempesta, poi :
“il cane alato di Zeus, l'aquila rosso sangue
farà voracemente a brani il grande straccio del tuo corpo
e insinuandosi ogni giorno quale commensale non invitato
divorerà il tuo fegato, nera vivanda "(vv. 1021-1025).
Prometeo è avvisato.
Ma non dà segni di resipiscenza, anzi leva la voce ripetendo la sfida con l’evocare il Caos:
"ora il ricciolo di fuoco a due tagli
sia scagliato pure contro di me, e l'etere
sia irritato dal tuono e dalla convulsione
dei venti selvaggi; i soffi scuotano
la terra dalle fondamenta con le stesse radici,
l'onda del mare con aspro fragore
copra le vie degli
astri del cielo; e getti il mio corpo
dopo averlo alzato, nel buio Tartaro
tra i vortici duri della necessità
non mi farà morire del tutto"(vv. 1043-1053).
Infatti, non bisogna dimenticarlo, Prometeo non è un uomo ma un dio.
Ermes, il messo di Zeus, minaccia le Oceanine che ribadiscono la loro solidarietà al Titano. Le coreute sono cugine di Prometeo, siccome Oceano, il padre loro è un Titano fratello di Crono e di Giapeto che è padre di Prometeo
Ermes al Coro delle Oceanine
“Ricordate però le cose che io predìco
e, braccate dall'acciecamento non
biasimate la sorte, e non dite mai
che Zeus vi cacciò in una sofferenza
imprevista; no certo, ma voi
vi ci siete buttate da sole. Infatti sapendolo
e non all'improvviso né di nascosto
sarete implicate per dissennatezza
nella inestricabile rete dell'acciecamento vv.1071-1079).
Le ultime parole del Prometeo incatenato sono pronunciate dal Titano stesso che descrive la tempesta già scoppiata, "correlativo oggettivo" della sua anima sconvolta, ed emblema del Caos , il disordine cosmico e umano, che egli ha cercato di ripristinare confutando l'autorità e l'ordine di Zeus:
"Certo di fatto e non più soltanto a parole
la terra si è messa ad ondeggiare,
e mugghia il profondo rimbombo
del tuono, e le spire del lampo
brillano ardenti, e i turbini fanno girare
la polvere, e saltano i soffi
di tutti i venti dichiarandosi
una guerra reciprocamente contraria
e sono sconvolti insieme il cielo e il mare.
Tale assalto che vuole creare paura
avanza chiaramente da Zeus contro di me.
O maestà della madre mia, o etere
che fai girare la luce comune a tutti
tu vedi come ingiustamente io soffro" (vv. 1080-1093).
Concludo mettendo in evidenza un arcanum imperii: per sottomettere il ribelle, qualsiasi ribelle, la regola è quella di farlo soffrire.
Bologna 28 aprile 2023 ore 9, 28 giovanni ghiselli
p. s.
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