NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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venerdì 28 aprile 2023

D'Annunzio a scuola da Eschilo.

 Seconda versione  dei versi da recitare del Prometeo incatenato

Ho tolto quasi tutte le mie note per rendere più agevole la lettura dell’attore e ho invece aggiunto per voi che mi seguite un riuso dei versi 88-92 di Eschilo fatto da Gabriele D’Annunzio.

 

Il  Titano incatenato invoca l’intera natura perché lo  assista nelle sue pene.

 

o etere divino e venti dalle ali veloci,

e sorgenti dei fiumi, e innumerevole sorriso

delle onde  , e terra madre di tutte le cose

e il disco del sole che vede tutto, invoco:

guardate quali pene soffro, io che sono un dio, da parte degli dèi”(88-92).

(…)

Sentite il riuso che ne fa D’Annunzio in Elettra delle Laudi del cielo del mare della terra degli eroi:

“Ahi, chi mai lo consolerà?”

dicemmo noi nello spavento.

Chi consolerà

“ Colui ch’ebbe a sé testimoni

il Sole, il Vento,

le sorgenti dei Fiumi, il riso

innumerevole delle onde marine

la madre di tutte le cose, la Terra?

Chi mai lo consolerà nel dì supremo?

L’antico Oceano?

(…)

Il canto delle Oceanine?

Il lamento delle pie donne?

Qual parola nata

dal sale del mare e del pianto

lenirà l’insonne?”

 

 

 

 

Che cosa dico? Conosco in anticipo con esattezza

Tutto quanto accadrà, né alcuna pena

Mi giunge inaspettata. La sorte destinata comunque è necessario

 che la sopporti nel modo più spavaldo possibile chi ha coscienza

che la forza della necessità è invincibile.

Ma non mi è possibile tacere né non tacere

su queste mie sventure: ai mortali infatti ho procurato

dei doni e mi trovo, infelice, aggiogato a questo destino.

 Sono andato a caccia della sorgente

del fuoco l’ho rubata e ne ho riempito

il cavo di una canna, e questo furto  si è rivelato maestro

di ogni tecnica e grande risorsa per tutti i mortali

Di queste colpe pago le pene

sotto il cielo aperto inchiodato in catene.

Ahimé, ahi, ahimé

Quale suono, quale odore vola verso di me indistinto

mosso dagli dèi,  o mortale, o misto?

E’ giunto alla vetta ai confini del mondo

per assistere allo spettacolo delle mie pene? O che cos’altro vuole?

Guardate me incatenato, un dio dal destino difficile,

il nemico di Zeus, quello che è venuto in odio

a tutti gli dèi quanti frequentano la corte di Zeus

per il troppo amore dei mortali (101-123). 

 

Prometeo non si limita al lamento; minaccia anche:

"Eppure il presidente dei beati avrà ancora

bisogno di me, sebbene tormentato

nei forti ceppi,

perché gli sveli il nuovo piano con il quale

si cerca di spogliarlo dello scettro e degli onori"

(vv. 167-171).

 

 

Il coro delle Oceanine  avverte il ribelle:

"il figlio di Crono ha un carattere inaccessibile

e un cuore implacabile"(vv. 184-185);

 

 Prometeo non si lasciar spaventare e ribadisce che il tiranno ha bisogno di lui, quindi dovrà scendere a patti. Poi comincia un suo racconto poiché:

 

"doloroso è per me raccontare queste cose,

ma doloroso è anche tacere, e dappertutto ci sono sventure"(vv. 197-198).

 

Prometeo però deve riconoscere che i mortali sono stati anche illusi  da quanto hanno ricevuto:

“ ho fatto smettere ai mortali di prevedere il destino di morte"

La corifea domanda:

“E quale rimedio hai trovato a questo malanno?

Prometeo risponde:

 “ho infuso in loro cieche speranze” (vv. 248-250).

 

 

Comunque  il Titano rivendica dignità alla sua trasgressione

 

"io sapevo tutto questo:

di mia volontà, di mia volontà ho trasgredito, non lo negherò

 aiutando i mortali ho trovato io stesso le pene "(265-267).

 

 

L' inventore si scopre inventore di pene.

 

 

 

Prometeo elenca i tanti  doni elargiti agli uomini

“Io inventai per loro il numero, eccellente

fra le trovate ingegnose, e le combinazioni delle lettere,

memoria di tutto,  operosa madre delle muse.

E  per primo attaccai ai carri gli animali selvatici

sottomessi ai gioghi e ai cavalieri,

asserviti ai mortali nelle più dure fatiche.

E  ho portato sotto il cocchio i cavalli resi amanti delle briglie,

immagine del lusso ricchissimo.

Nessun altro all'infuori di me ha inventato i veicoli dalle ali di lino

 Che vagano per i mari percorsi dai marinai

E dopo avere trovato tali invenzioni per i mortali,

io infelice non ho un espediente che mi liberi dalla pena presente

(vv. 459- 471)  

 

Il Coro delle Oceanine lo compatisce.

 

Sconcia è la pena che soffri: uscito di senno,

deliri, e poiché da cattivo medico sei caduto malato

ti perdi d’animo e non sai trovare con quali farmaci

tu sia curabile (472-475)

 

Prometeo elenca altre sue scoperte benefiche per i mortali:  

i farmaci (vv. 480 sgg.), le tecniche dell'arte divinatoria, l'interpretazione dei sogni, del volo degli uccelli,  delle viscere nelle vittime sacrificali.

 

Infine ha scoperto i metalli:

Il bronzo, il ferro, l'argento e l'oro,

chi potrebbe dire di averli scoperti prima di me?

 (vv. 502-503),

 

 

In conclusione;

 tutte le tecniche ai mortali derivano da Prometeo”

 (v. 507),

 

 

Quindi il martire sfida il re dell'universo, sebbene la corifea gli ricordi che

"i saggi  si inchinano davanti all'inevitabile"(v. 936).

 

 Ma Prometeo è irremovibile nella sua opposizione ostinata; anzi quando vede sopraggiungere Ermes  lo sbeffeggia

“Ecco, vedo  il galoppino di Zeus,

il servo del nuovo tiranno” (v. 941- 942)

 

.

Poi il Titano arriva a dire:

“con parola diretta  odio tutti gli dèi

quanti, dopo avere ricevuto del bene, mi maltrattano ingiustamente”(vv. 975-976).

 

Prometeo ribadisce che non si piegherà. 

 

 Ermes replica accusandolo di arroganza con debole ragione:

 

“Ma tu riponi fiducia su un debole sofisma:

la presunzione infatti per chi non  ragiona bene,

 di per sé ha meno forza del nulla”.

(vv. 1211- 1213).

 

Presto, lo minaccia Ermes, sarai subissato da una tempesta, poi :

 “il cane alato di Zeus, l'aquila rosso sangue

 farà voracemente a brani il grande straccio del tuo corpo

e insinuandosi ogni giorno quale commensale non invitato

divorerà il tuo fegato, nera vivanda "(vv. 1021-1025).

 

 Prometeo è avvisato.

Ma non dà segni di resipiscenza, anzi leva la voce ripetendo la sfida con l’evocare il Caos:

 

"ora il ricciolo di fuoco a due tagli

sia scagliato pure contro di me, e l'etere

sia irritato dal tuono e dalla convulsione

dei venti selvaggi; i soffi scuotano

la terra dalle fondamenta con le stesse radici,

l'onda del mare con aspro fragore

copra le vie degli

astri del cielo; e getti il mio corpo

dopo averlo alzato, nel buio Tartaro

tra i vortici duri della necessità

 non mi farà morire del tutto"(vv. 1043-1053).

 

 Infatti, non bisogna dimenticarlo, Prometeo non è un uomo ma un dio.

 

Ermes, il messo di Zeus,  minaccia le Oceanine che ribadiscono la loro solidarietà al Titano. Le coreute sono cugine di Prometeo, siccome Oceano, il padre loro è un Titano fratello di Crono e di Giapeto che è padre di Prometeo

 

 Ermes al Coro delle Oceanine

Ricordate però le cose che io predìco

e, braccate dall'acciecamento  non

biasimate la sorte, e non dite mai

che Zeus vi cacciò in una sofferenza

imprevista; no certo, ma voi

vi ci siete buttate da sole. Infatti sapendolo

e non all'improvviso né di nascosto

sarete implicate per dissennatezza

nella inestricabile rete dell'acciecamento vv.1071-1079).

 

Le ultime parole del Prometeo incatenato  sono pronunciate dal Titano stesso che descrive la tempesta già scoppiata, "correlativo oggettivo" della sua anima sconvolta, ed emblema del Caos , il disordine cosmico e umano, che egli ha cercato di ripristinare confutando l'autorità e l'ordine di Zeus:

 

"Certo di fatto e non più soltanto a parole

la terra si è messa ad ondeggiare,

e mugghia il profondo rimbombo

del tuono, e le spire del lampo

brillano  ardenti, e i turbini fanno girare

la polvere, e saltano i soffi

di tutti i venti dichiarandosi

una guerra reciprocamente contraria

e sono sconvolti insieme il cielo e il mare.

Tale assalto che vuole creare paura

avanza chiaramente da Zeus contro di me.

O maestà della madre mia, o etere

che fai girare la luce comune a tutti

tu vedi come ingiustamente io soffro" (vv. 1080-1093).

 

Concludo mettendo in evidenza un arcanum imperii: per sottomettere il ribelle, qualsiasi ribelle, la regola è quella di farlo soffrire.

 

Bologna 28 aprile 2023 ore 9, 28 giovanni ghiselli

p. s.

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