Esiste nella storia della letteratura un caso di menage a trois fra donne intellettuali che per tre epoche hanno intessuto una relazione spirituale di libertà contro la società reazionaria dei loro tempi. Ci riferiamo a Karoline von Günderrode, Bettina Brentano sua amica del cuore e a Christa Wolf, che della prima in pieno '900 fece un commosso ricordo personale. Trio di donne che rappresentano un singolare episodio di eredità culturale, che nel momento attuale merita di essere valorizzato a difesa dei diritti civili seriamente aggrediti da politicanti solleticati da una domanda elettorale superficiale e temporanea.
Cominciamo dunque con Bettina. Siamo nel periodo d'oro del primo romanticismo tedesco (1798-1830). Non è ancora sposata allo scrittore romantico Achim von Arnim, ma appartiene a una famiglia medio borghese, i Brentano. Figlia di seconde nozze di un commerciante italiano, Pietro Brentano e soprattutto nipote di una vecchia fiamma del giovane Goethe, Sofia La Roche, una alsaziana di origine francese, amica della famiglia Goethe - erano gli anni '60 del '700. Erano tutti residenti a Francoforte sul Meno, piccolo borgo feudale al centro dei commerci con la Francia. La nonna alla piccola nipotina narrava le fiabe di Perrault con molte varianti tedesche. Il fratello Clemente, poi si specializzò nelle ricerche sui canti popolari, stimolato dal filosofo Herder. Ne aveva pubblicato, con l'aiuto del giovane von Arnim, una raccolta - Das Knabe Wunderhorn, il corno magico del fanciullo (1806-1808). L'amica del cuore - Karoline von Günderrode - poetessa incompresa, anche per il suo amore respinto dall'archeologo Creuzer e perciò suicida come si dirà - era stata pure influenzata dalla famiglia Brentano, solleticata com'era dalle fantasie più sfrenate di Bettina, sfociata in una quasi psicosi compulsiva che assillerà Goethe, Beethoven e perfino Guglielmo di Prussia. Ma alla famiglia apparterrà anche il grande giurista, fondatore della scuola storica del diritto naturale, Friedrich Carl Savigny, che sposò la sorella Munda, terza figlia del vecchio Brentano. Bettina civettava pure con il commediografo Tieck - quello della fiaba Il gatto con gli stivali - e nel 1806 assistette al suicidio dell'amica von Günderrode. Poco dopo andò a vivere, quasi in fuga per le sue evidenti responsabilità per quella tragica morte, col fratello Clemens a Winkiel sul Reno, forse provocando la morte della cognata Sofia, altrettanto vittima del suo spirito avventuroso e romanzesco. Qui ascolta gli ultimi racconti della nonna Sofia e nel 1810 si fidanza ufficialmente con Von Arnim, però di carattere opposto, tanto rigido e poco socievole, per non dire misogino, come emerge dal suo atto di accusa contro la società del suo tempo, un programma culturale inascoltato della cerchia liberale prussiana, il Wunderhorn, cioè Il corno magico, nazionalista ma di tenore pacifista (1806). Nel 1811, lo sposa improvvisamente e va a vivere con lui a Berlino, in quella Prussia molto lontana dallo spirito esotico della sua originale formazione. Ma da queste poche battute sulla giovinezza di Bettina è già possibile ricavare la sua straordinaria versatilità e la pari capacità di manipolazione che la contraddistinse al punto da condizionare, quasi a plagiare tanti di coloro che l'avvicinarono, prima fra tutte la povera Karoline Günderrode che sarà da spunto fino ad oggi per le pagine della Ferrante nel suo famosissimo ciclo di romanzi L'amica geniale. Influenza romantica che riprese dal contemporaneo Goethe nel caso altrettanto noto del “giovane Werther”, quando si scatenò una catena di suicidi assi rilevante nella Germania di fine '700.
Forse la Günderrode cadde nella stessa rete. Fu il Savigny ad introdurre Karoline fra i giovani romantici del medio Reno fra il 1798-1800, costituitosi a Jena e di cui faceva anche parte il filosofo Hegel. Alla amica del cuore, Karoline confessò: io l'amo e spero che forse mi sposerà, benché a lui non si fosse dichiarata per pudicizia e più perché la società che ci governa, ci circonda come l'aria del mattino, che ci limita ad andare in Paradiso. Saranno parole riportate da Bettina nella biografia del 1840, quando decise di rimettersi in gioco nella società prussiana, fondando a Berlino un circolo culturale femminile all'avanguardia dei tempi. Anzi, dalle frasi poetiche messe in bocca all'amica traspariva un certo desiderio di solitudine, tale da invocare la morte per non aver potuto ottenere un amore omoerotico irraggiungibile perché innaturale in quella società. Per di più, la famiglia Brentano - specialmente il fratello Clemente, divenuto un poeta romantico secondo solo a Goethe - non le diede alcun consenso per un altro giovane amico della comitiva romantica, il filologo Friederich Creuzer (1771-1858) che come vedremo sottovaluterà l'affetto di Karoline e si sposerà con Sophie Müller, benché tollererà la presenza della giovane in un ambiguo rapporto a tre che accentuerà il desiderio di morte della ragazza, di certo poco confortata dalla diabolica Bettina che da tale tormento prenderà esempio per la predetta biografia. Del resto, era senza padre e con una famiglia di sette fratelli a carico, con una scarsa rendita e la madre poco proclive a seguirla, anche perché impegnata come dama di Corte del Granducato d'Assia fin dal 1806. Karoline solo a 24 anni poté pubblicare - peraltro con lo pseudonimo di Tion (cioè “cielo” in cinese) - poiché la attività poetica per una donna all'epoca appariva socialmente sconveniente. Si trattava di una piccola raccolta di poesie fantastiche, che Goethe approvò su segnalazione del fratello (1804). In esse, come dirà Bettina, comparirà uno struggente senso di amore, di morte, di solitudine e di passione omoerotica rivolto al fantastico, in una prospettiva che oggi diremmo distopica. Una “Saffo romantica”, che Christa Wolf saprà far rivivere nel '900 della Germania est. Per esempio, esaminiamone un frammento: “Voglio stare sotto il cielo stellato/amo è vero le distanze sconfinate/ma non godo quando taccio le mie idee di amore assoluto/Dolci siano le mie catene/anche se la mia Patria mi tiene in carcere/E allora, mi faccio forza e corro per il mondo! Resuscito per amore e abbandono questa vita di fanciulla senza speranza... E seguendo la narrazione di Bettina, nel 1801, da studentessa a Heidelberg, scriveva alla sorella Cunegonda, futura moglie di Savigny: “Il mio essere donna mi pervade non senza dolore. Però la mia volontà trasgressiva convive nel mio animo. E se una cosa mi rende infelice, è la lotta dei miei sentimenti interiori che mi assale. Altro non soffro che essere una donna piuttosto che un uomo, di cui non ho le forze né la presenza. Perciò sono a corrente alterna con me stessa”. E qui nasce nella biografa l'enigma del suo esistere, al pari di quello che il pubblico all'epoca si poneva per il campione omoerotico della poesia protoromantica, August von Platen, che proprio in quegli anni, da paggio alla Corte Bavarese, cominciava a soffrire analoghe pulsioni. Ma nei cinque anni successivi le apparvero il superficiale Savigny che la preferì alla Cunegonda, mentre il professore Creuzer, già maturo docente di mitologia e lettere classiche, optò per la più giovane Sophie. Creuzer apprezzava le poesie di Karoline, ma al termine del corso di studi che lo seguì come assistente, Creuzer si trasferì nella sua nuova residenza universitaria di Leiden in Olanda. La nostra poetessa lo subissava di lettere d'amore e più volte lo implorava: “io non riesco più a subire questa tua lontananza”. Il professore si ammalò di tisi e Karoline continuò nella speranza di un futuro matrimonio impossibile. Dirà Bettina come essa fosse taciturna nei pranzi di nozze fra il fratello Clemente e l'altra grande amica Charlotte, fra la sorella Cunegonda e il sempre più magnifico Savigny, idolo dei liberali vicini alle scuole nazionaliste di Jena e Berlino. Poi Creuzer e la moglie tornarono a Heidelberg e continuò ad essere una sua assistente, poetando d'amori fatui, ma anche a fornendo al professore notizie sul mitico popolo dei Pelagi, fra Omero e Esiodo, una etnia del mediterraneo orientale che nelle rarissime iscrizioni da Lei tradotte, anticipavano preghiere analoghe alla religione giudaica - cristiana e che Hegel lodò nella sua “Filosofia del Diritto”.
Malgrado la vicinanza di Karoline, Creuzer confessava - sempre a detta di Bettina - che “mia moglie desidera essere la guida di casa come ogni buona madre di famiglia. Mentre Karoline altro non è che una ottima allieva e una breve poetessa... Il regno di un amore “in condominio” - altra “fiction” di Bettina, un segnale di novità familiare a tre attuativo di una teoria di Saint Simon, diffusa nella Parigi libertaria ed imperiale di Napoleone. Ma la cosa terminò presto, tanto che il fratello Clemente, in modo forse impietoso, scriveva nel suo diario, “il destino di Karoline è proprio quello di non sposarsi...” Del resto, nell'estate del 1806, il male sottile di Creuzer ebbe un forte aggravamento e la moglie ne ebbe la scusa per allontanare la sempre più presente poetessa, visto che il successo del marito si era concretizzato in un grado ancora più elevato che lo porterà a Stoccarda, dove il Granduca del Baden lo nominò Consigliere segreto. Bettina ci informa che Karoline cadde nella disperazione. Prima tentò di pugnalarsi e un chirurgo la salvò a stento. Poi, anche di fronte alla vergogna dei suoi parenti e amici, non resse più: tornò a pugnalarsi e si gettò nel Reno, come aveva narrato per “Loreley” il fratello Clemente. Nel suo testamento, insieme all'ultima opera mai pubblicata fino all'inizio del '900 - “il Milete” – la figura ambigua di Creuzer emerge nella sua crudezza, all'interno di una società filistea e conservatrice che del pari portò von Platen a fuggire dalla Germania, dopo la polemica con un apparente esponente di tale società, Heinrich Heine - nei famosi “Bagni di Lucca” - fino a morire, forse non solo di colera, a Siracusa, dove ancora riposa. Abbiamo dunque più volte sottolineato come Bettina Brentano abbia avuto una notevole presenza nella tragica storia della Günderrode. Sappiamo della natura curiosa e fantastica della giovane Brentano, della sua enorme capacità di immedesimarsi nella vita di cui si occupava, come quella offerta dal controverso amore per Goethe, che ad una delle sue prime amanti - Lili Schönemann nel 1775 - e in un nuovo incontro nel 1807, dichiarava: Bettina era piena di vita.... E poi, sul letto di morte, il Vegliardo aveva di lei pure soggiunto: durante la mia povera gioventù, quando fui solo legato a un solo amore, non fui capace di essere un artista.... ma ora a tarda età potrei... Del resto, nel 1810 era ormai matura moglie di Achim von Arnim ed ebbe un burrascoso incontro a casa di Goethe con la di lui moglie Christiane. Bettina incontrò un'altra volta il Maestro, episodio che Milan Kundera narrerà nel suo libro L'immortalità del 1990, peraltro descritto con piccanti momenti erotici. Episodio che a dire del Riemer (1774-1845), segretario del Vate, nulla di più e molto di meno sarebbe stato fino alla morte di Goethe. Tuttavia Bettina riscatenò la sua ansia di notorietà, pubblicando un Carteggio di Goethe con una bimba (1835), che sua volta produsse un pandemonio nella cerchia intellettuale dei classicisti, anche se Riemer provò la falsità di molte lettere d'amore attribuite a Goethe. Ma l'indomita Bettina non finiva di stupire.
Nel 1840 pubblicò un ulteriore romanzo epistolare proprio sull'amica del cuore, obliando come più di 30 anni prima avesse svalutato la situazione della povera Karoline, addirittura inventando colloqui d'amore distese su un letto di rose a guardare le stelle... Hermann Grimm (1828-1901) - amico di famiglia e erede dei famosi favolisti, peraltro difesi dalla stessa Bettina di fronte all'accusa di essere liberali fautori di una Costituzione più democratica di quella concessa dal re di Prussia Federico Guglielmo IV - romanzò sia il presunto amore senile di Goethe, sia l'amore saffico per Karoline, scelte che Bettina aveva soltanto poeticamente immaginato. Oggi diremmo una “fiction”, se non una “fake new”, cioé una sapiente sovrapposizione di eventi non misurabili con riga e compasso. Era una testimonianza accorata di un’amica suicida per una libertà negata.
Benché la critica novecentesca abbia insistito sulla malafede di Bettina - per esempio, Friedrich Gundolf (1880-1931) riprese in modo più rigido le conclusioni di Riemer e perfino Rilke e Kundera non negarono le invenzioni di Bettina - tuttavia solo la scrittrice Christa Wolf (1929-2011), nel 1979, in un suo breve romanzo Kein Ort. Nirgends (Nessun luogo. In nessun luogo), in stile conforme al metodo di Bettina, ha rilanciato la sua figura che dopo varie polemiche letterarie con gli epigoni di Goethe fin dal 1848 non era stata più ricordata. Operazione che però non poteva non passare da un ulteriore espediente estetico. Infatti, la Wolf, già 10 anni prima della caduta del Muro di Berlino, da intellettuale che ancora credeva nel Comunismo, si rendeva conto - come Bettina e la stessa Günderrode - che molte realtà di quella nuova Germania popolare andavano riviste, dove l'intellettuale non poteva più tacere e notava come alcune situazioni andavano denunziate. Ecco perché riprese il metodo fantasioso di Bettina: inserire in una realtà storica il rigetto del reale illiberale e burocratico qual era il regime comunista della DDR.
Un po' di finzione non guastava, nel caso della relazione romanzesca della Günderrode con un altro disadattato, cioè il poeta Heinrich von Kleist (1777-1811). Il dissidio col reale era storicamente tipico dei due, un irriducibile contrasto con la società e la cultura di quel tempo e del nostro tempo, tale da rendere impossibile la loro normale esistenza. Quindi riunì due gruppi di intellettuali, gli “integrati” (per esempio, Savigny, Clemente Brentano, Creuzer, ecc.) e gli “apocalittici” (cioè von Kleist e la Günderrode) in una villetta sul Reno. I “sani”, dal giurista allo storico, dallo scienziato al politico; gli “ammalati”, proprio i due suicidi che davvero mai riconobbero il mondo che li circondava. Neppure la figura olimpica di Goethe rimase esclusa in quel teorico consesso. La Wolf si pronunzia sul Vate: mai la vita lo ha lasciato sognare, opprimendolo perché quello che voleva era sempre irrealizzabile, perché ogni desiderio veniva meno prima ancora di venire in essere e questo distruggeva la speranza che é a fondamento della poesia. E la Günderrode per la Wolf - ma anche per Bettina - non faceva che nullificare il meglio di sé, mantenendo una escapistica insoddisfazione, lasciando libero corso alla fantasia di fronte alle miserie della vita”. Un tragico destino che accomuna ogni artista che oscilla in ogni tempo fra il tradimento dei valori e il naturale senso di straniamento e di libertà personale contro un mondo ondivago spesso incapace di capire il nuovo che avanza.
Articolo molto interessante, mi riporta indietro nel tempo. Ho scritto la mia tesi di Laurea in Germanistica suo tema "Le lettere di Karoline von Günderrode, coscienza discontinua e identità sociale".
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