Nelle Tesmoforiazuse (del 411 a. C.) di Aristofane che rappresenta le donne alla festa di Demetra, una battuta attribuita al personaggio del tragediografo manifesta il suo timore delle femmine umane decise a vendicarsi per tutte le maldicenze, più o meno giustamente, subite: “mevllousi m j aiJ gunai'ke~ ajpolei'n thvmeron - toi'~ Qesmoforivoi~, o[ti kakw'~ aujta;~ levgw "(vv. 181-182), oggi alle Tesmoforie le donne vogliono uccidermi poiché dico male di loro[1].
Invero nell’opera di Euripide come nella vita si trova una varietà, una vasta gamma di donne.
Donne tremende come Medea, miti come Andromaca che è sottomessa a Ettore eppure rinfaccia ai Greci di essere loro i veri barbari, generose fino all’abnegazione come Alcesti, frivole, sfacciate e bugiarde come Elena, coraggiose e nobili come Polissena, cangianti come Ifigenia, quella in Aulide, mentre in Tauride è sororale con Oreste, dolenti come Ecuba e Deianira . E altre ancora.
Nemmeno gli uomini sono tutti uguali. Nelle tragedie si trovano dei miserabili calcolatori come Giasone, degli stupidi egoisti come Admeto, altri scemi e morbosi come Penteo, poi dei demagoghi che pescano nel torbido come Odisseo, dei fanatici e pazzi come Ippolito, dei prepotenti come Polinice, degli irrisoluti come Agamennone.
Oppure uomini generosi e coraggiosi come Teseo, il paradigma mitico di Pericle, giovani amici fino al sacrificio di sé come Oreste e Pilade, Achille che vuole salvare Ifigenia opponendosi alla folla montata da Odisseo.
Mi fermo qui.
In effetti non è facile trovare maschi ammirevoli nelle tragedie di Euripide e la fama di nemico delle donne è del tutto immeritata come quella di affossatore del mito e della tragedia: un’incomprensione critica da Aristofane a Nietzsche.
Bologna 8 ottobre ore 11, 14
giovanni ghiselli
p. s
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[1] Il parente che si reca alla festa travestito da donna per difendere Euripide, risponde all’accusatrice la quale lo rimprovera poiché fa il paladino di un tragediografo che non ha rappresentato mai una Penelope, gunh; swvfrwn (Tesmoforiazuse, v. 548), una signora per bene :"io infatti conosco la causa: ché, tra le donne di ora, non potresti menzionarmi una sola Penelope, sono tutte Fedre, dalla prima all'ultima"( vv. 549-550). Con questo nome si intende la moglie infedele, anzi sgualdrina come viene chiamata Fedra in compagnia di Stenebea nelle Rane (v. 1043). Ma la creatura di Euripide è un'altra cosa. Casomai donna favorevole ai facili costumi nell’Ippolito è la nutrice di Fedra che cerca di favorire il soddisfacimento della libidine della sua signora in varie maniere: prima spingendola a non curarsi dell'integrità morale: "chi è nato per morire non deve passare la vita affaticandosi troppo" (Ippolito, v. 467); quindi tentando di chiarirle di quale cosa veramente necessiti:"tu non hai bisogno di parole piene di decoro, ma di quell'uomo"(490-491); e infine
rivelando quell'amore a Ippolito il quale, dedito principalmente a intrecciare ghirlande con fiori colti da prati immacolati (vv.73-74) per donarle ad Artemide, una dea vergine, dà in escandescenze, e si scaglia contro le femmine umane tutte, biasimate in ogni possibile versione, tanto che per ciascuna viene auspicata come naturale la convivenza con le bestie mute (v.646).
Leggiamo l’intera invettiva: “:
"O Zeus perché ponesti nella luce del sole le donne,
un male ingannatore per gli uomini?
Se infatti volevi seminare la stirpe mortale,
non era necessario ottenere questo dalle donne , ma bastava che i mortali mettendo in cambio nei tuoi templi oro e ferro o un peso di bronzo, comprassero il seme dei figli, ciascuno del valore del dono offerto, e vivessero in case libere, senza le femmine. Ora invece quando dapprima stiamo per portare in casa quel malanno, sperperiamo la prosperità della casa. Con questo è chiaro che la donna è un gran malanno: infatti il padre che l'ha generata e allevata, dopo avere aggiunto la dote la colloca altrove, per liberarsi da un male. Quello che ha preso in casa la pianta perniciosa invece, gode nel caricare di ornamenti belli l'idolo pessimo e si affatica per i pepli, infelice, distruggendo la ricchezza della casa. Ma è costretto al punto che, se si è imparentato bene, si tiene lieto un letto amaro, mentre, se ha preso buoni letti ma parenti inutili stringe con il bene una sciagura. E' più facile per quello con il quale si è messa in casa una nullità, che del resto è una donna inutile per la stoltezza. La saccente poi la detesto; che non stia in casa con me una donna la quale pensi più di quanto a una donna convenga. Infatti l'operare malvagio Cipride lo fa nascere più nelle saccenti; mentre una donna sprovveduta è sottratta alla pazzia dalla sua mente corta. Bisognerebbe poi che dalla donna non andasse una serva ma che con loro vivessero le mute bestie feroci tra i bruti, affinché non potessero parlare ad alcuno né ricevessero a loro volta voce da quelle. Ma ora le scellerate che sono in casa filano tele scellerate e le serve le portano fuori. Come anche tu, certo, scellerata testa, sei venuta da me per trafficare il letto inviolabile del padre, infamie che io ripulirò con acque correnti, versandole nelle orecchie. Come dunque potrei essere cattivo io che avendo udito tali infamie ritengo di essere impuro? Sappi bene o donna che ti salva la mia religiosità: se infatti non fossi stato preso alla sprovvista da giuramenti sugli dèi, non mi sarei mai trattenuto dal rilevare questo al padre. Ma ora me ne vado al palazzo finché Teseo è lontano dalla regione, e terrò la bocca in silenzio. Poi, tornato con il piede del padre, osserverò come lo guarderai tu e la tua padrona; e mi renderò conto, avendola assaggiata, della tua sfrontatezza. Possiate morire! Non mi sazierò mai di odiare le donne, neppure se uno dice che io lo ripeto sempre; infatti quelle appunto sono sempre malvagie in una maniera o nell'altra. Dunque o qualuno insegna loro a essere sagge, oppure lasci che io le calpesti sempre (Ippolito vv. 616-668).
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