NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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lunedì 17 ottobre 2022

Satyricon. Un colmo di volgarità. Trimalchione il latifondista

Trimalchione si allontana poi rientra esibendo una colossale volgarità con il  lamentare i propri disturbi intestinali, poi dare licenza a tutti di non badare troppo all'etichetta trattenendo le flatulenze:"alioquin circa stomachum mihi sonat, putes taurum. itaque si quis vestrum voluerit sua re causa facere, non est quod illum pudeatur. nemo nostrum solide natus est. ego nullum puto tam magnum esse tormentum quam continere. nemo nostrum solide natus est " (Satyricon, 47), del resto intorno allo stomaco ho dei rumori, un toro, fate conto. Se qualcuno di voi volesse fare i suoi comodi, non ha di che vergognarsi. Nessuno di noi è nato senza fessure. Io penso che non ci sia tormento tanto grande quanto trattenersi.
Ho riferito queste frasi sgradevoli poiché hanno una corrispondenza abbastanza puntuale nella Vita di Claudio di Svetonio:"Dicitur etiam meditatus edictum, quo veniam daret flatum crepitumque ventris in convivio emittendi, cum periclitatum quendam prae pudore ex continentia repperisset " (32), si dice pure che avesse preparato un editto con il quale concedeva licenza di emettere flatulenze e crepiti di ventre durante la cena, avendo saputo che un tale aveva corso pericolo in seguito al fatto di essersi trattenuto per la vergogna. A proposito di edicta ignobili e di festini senza gioia. 
 
 Quindi il padrone di casa vanta i suoi smisurati e imperscrutabili latifondi:"deorum beneficio non emo, sed nunc quicquid ad salivam facit, in suburbano nascitur eo, quod ego adhuc non novi. dicitur confine esse Tarraciniensibus et Tarentinis. nunc coniungere agellis Siciliam volo, ut cum Africam libuerit ire, per meos fines navigem" (48, 2), grazie a dio non compro niente, ma ora tutto quanto fa venire l'acquolina in bocca nasce in quel podere vicino alla città che io ancora non conosco. Si dice che fa da confine con le terre di Terracina e quelle di Taranto. Ora con dei campicelli  voglio unire la Sicilia, in modo che, quando mi andrà di recarmi in Africa, possa navigare lungo le mie terre.
 
Il problema dei latifondi
Qui si trova il problema del latifondo che si estende dal I secolo d. C. a partire dall'Africa.
"Ma indubbiamente anche in Italia le grandi tenute divennero sempre più estese e a poco a poco assorbirono le fattorie di media estensione e i poderetti contadineschi. Seneca lo dice esplicitamente ; ed egli poteva ben saperlo, essendo uno degli uomini più ricchi d'Italia, se non addirittura il più ricco, sotto Claudio e Nerone, e proprietario egli stesso di vaste tenute…Le tenute di media estensione furono a poco a poco rovinate dalla mancanza di vendita e vennero acquistate a buon mercato da grandi capitalisti. Questi ultimi naturalmente desideravano di semplificare la gestione delle loro proprietà, e, paghi di ottenerne un reddito sicuro se pur basso, preferivano dare la loro terra ad affittuari e produrre prevalentemente grano"[1].
 In Italia vengono meno le culture intensive di vite e olivo poiché le province, divenute autarchiche, non assorbono più questi prodotti. Quindi si torna a coltivare il grano con metodi non razionali: i braccianti, schiavi o liberi, non forniscono un lavoro di qualità; i proprietari assenteisti del resto non se ne occupano.
 
Segue un altro sfoggio di cultura letteraria indirizzato dal padrone di casa  all'ospite colto, al retore Agamennone:"ego autem si causas non ago, in domusionem tamen litteras didici. et ne me putes studia fastiditum, tres bybliothecas habeo, unam Graecam, alteram Latinam. dic ergo[2], si me amas, peristasim declamationis tuae". Cum dixisset Agamemnon:"pauper et dives inimici erant", ait Trimalchio:"quid est pauper?" "Urbane" inquit Agamemnon, et nescio quam controversiam exposuit. Statim Trimalchio:"hoc" inquit "si factum est, controversia non est; si factum non est, nihil est". Haec aliaque cum effusissimis prosequeremur laudationibus:"rogo" inquit "Agamemnon mihi carissime, numquid duodecim aerumnas Herculis tenes, aut de Ulixe fabulam, quemadmodum illi Cyclops pollicem poricino extorsit? solebam haec puer apud Homerum legere. nam Sybillam quidem Cumis ego ipse oculis meis vidi in ampulla pendere, et cum illi pueri dicerent: "Sivbulla tiv qevlei" ;" respondebat illa: "  jApoqanei'n qevlw" (48, 8), io anche se non tratto cause, tuttavia ho studiato le lettere per uso della casa. E perché tu non pensi che sia schifato degli studi, ho tre biblioteche, una greca, l'altra latina. Dimmi allora, per piacere, il tema della tua declamazione'. Avendo detto Agamennone:' un povero e un ricco erano nemici', Timalchione fece:' che cosa è un povero?' 'Bravo' disse Agamennone ed espose non so quale controversia. E subito Trimalchione: 'questo' disse se è un fatto, non è una controversia; se non è un fatto, non è niente'. Mentre accompagnavamo con sperticatissimi elogi queste e altre battute:' ti prego' fece 'Agamennone mio carissimo, ti ricordi le dodici fatiche di Ercole, o la storia di Ulisse, come il Ciclope gli storse il pollice con la tenaglia? Io ero solito da ragazzo leggere questo e altro in Omero. Infatti la Sibilla di sicuro a Cuma l'ho vista io stesso con i miei occhi sospesa in un'ampolla, e dicendole i fanciulli:'Sibilla, cosa vuoi?' rispondeva lei.'morire voglio'.
 
-litteras didici: è il segno di riconoscimento degli scholastici (Et tu litteras scis et ego dice Encolpio ad Ascilto nel decimo capitolo, siamo tutti e due letterati) ed è l'ambizione, velleitaria e patetica, di questo cafone arricchito.-tres…Graecam…Latinam: sembra che il pover'uomo non sappia che uno più uno fa due, oppure pensa che una delle letterature, probabilmente la greca, valga per due.-declamationis: declamatio è l'orazione pronunciata dal retore in una sala per intrattenere i presenti facendo spettacolo.-urbane: una delle tante battute che si possono ascrivere a un nonsense anticipato e casuale rispetto a quello sistematico e programmato di Edward Lear[3].-controversia: è il dibattimento da posizioni contrapposte di una causa fittizia.  Abbiamo cinque libri di Controversiae (e uno di Suasoriae ) lasciati da Seneca padre[4].
Una controversia è il dibattito tra Ecuba ed Elena nelle Troiane.
-de Ulixe fabulam: sembra una storia strampalata, che sicuramente non si trova in Omero.
Il modello odissiaco degradato è ricorrente nel Satyricon che in questo senso anticipa l'Ulisse di Joyce dove "la vita moderna appare come una degradata ripetizione circolare dell'archetipo"[5].
 La presenza dell' Odissea nella letteratura europea è continua. Il poema omerico rimane uno di quei grandi modelli archetipici che nessuna innovazione può ignorare. In effetti "ogni atto d'innovazione, e di contestazione dei padri, avviene sempre attraverso il ricorso a un antenato, riconosciuto migliore del padre che si tenta di uccidere, e a cui ci si rifà"[6]. Omero è uno di quei giganti sulle cui spalle sono saliti in tanti; Petronio è  uno di questi osservatori dall'alto sebbene sicuramente non un nano.
Ricordo un aforisma che Giovanni di Salysbury (XII secolo) attribuisce a Bernardo di Chartres:"Dicebat Bernardus Carnotensis nos esse quasi nanos gigantum humeris insidentes, ut possimus plura eis et remotiora videre, non utique proprii visus acumine, aut eminentia corporis, sed quia in altum subvehimur et extollimur magnitudine gigantea" (Metalogicon III, 4), diceva Bernardo di Chartres  che noi siamo come dei nani che stanno sulle spalle di giganti, in modo tale che possiamo vedere più cose di loro e più lontane, comunque sia  non per l'acume della nostra vista o la statura del corpo ma poiché siamo portati  in alto ed elevati da quella grandezza gigantesca.
 
Facciamo qualche esempio di utilizzo dell’Odissea. La nave sulla quale Encolpio, Gitone ed Eumolpo si imbarcano (99) si rivela un luogo simile all'antro di Polifemo, e il proprietario, l'archipirata Lica, viene dunque chiamato Cyclops (101, 6) dal vecchio poeta che poi aggiunge:"fingite" inquit" nos antrum Cyclopis intrasse. quaerendum est aliquod effugium, nisi naufragium ponimus et omni nos periculo liberamus" (101, 7), immaginate, disse, che noi siamo entrati nell'antro del Ciclope. Bisogna cercare una via di scampo, se non mettiamo in conto un naufragio e ci liberiamo da ogni pericolo.
"La prima parte dell'episodio sulla nave di Lica, sino al momento del riconoscimento di Encolpio, presenta singolari analogie con la narrazione omerica di Odisseo nell'antro del Ciclope (Od. XI 181 sgg.): Eumolpo, come Odisseo, conduce inconsapevolmente i suoi compagni nella trappola (Od. IX 173 sgg. ; sat. 99 5: 101 3-4); i tre vengono a trovarsi, sulla nave, nella stessa condizione di Odisseo nell'antro del Ciclope; Polifemo, antagonista di Odisseo, si manifesta in un secondo momento, così come fa Lica, antagonista di Encolpio; la voce di Lica che improvvisamente atterrisce Encolpio (100 3-5), ricorda l'arrivo del Ciclope (Od. IX 240 sgg.), il cui fracasso improvviso impaurisce Odisseo e i suoi compagni. Per di più la nave di Lica si presenta enorme come l'antro di Polifemo (Od. 9 182-183; Petronio, 101 9: magna (…) navigia); ad essa i protagonisti del Satyricon si affidano senza sospettare nulla, così come con fiducia Odisseo e i suoi entrano nella grotta del Ciclope; per di più l'antro ha una sola uscita (102 3-4), bloccata come nell'antro di Polifemo (102 4), da cui non si può passare senza essere visti…insomma si può uscire solo con l'inganno"[7]. 
Più avanti, di fronte al cadavere del Ciclope Lica, Eumolpo dirà:"si bene calculum ponas, ubique naufragium est " (115, 17), se fai bene i conti, il naufragio è dappertutto.
 
Seguono altre trovate dei cuochi, portate stupefacenti e mirabolanti almeno per noi: infatti Apicio (età di Tiberio) nel trattato De re coquinaria ci fa sapere che era vanto degli esperti nell' arte culinaria  preparare pietanze mascherate; il motto di tale cucina era:" a tavola nessuno riconoscerà ciò che mangia".
Un maiale enorme viene portato intero su un vassoio. Trimalchione finge di adirarsi  poiché non è stato sventrato e sta per punire il cuoco, dopo avere ordinato di spogliarlo (despolia, 49, 5). I commensali intercedono per lui:"solet fieri; rogamus, mittas; postea  si fecerit, nemo nostrum pro illo rogabit" (49, 6), succede, ti preghiamo, lascialo andare; se lo farà ancora, nessuno di noi chiederà niente per lui. Encolpio preso da spietata severità dice all'orecchio di Agamennone che il servo sarebbe da punire ma Trimalchione cambia espressione e ordina al cuoco smemorato di sventrare il porco in presenza di tutti:"quia tam malae memoriae es, palam nobis illum exintera" (49, 8).
Sicché:" recepta cocus tunica cultrum arripuit porcique ventrem hinc atque illinc timida manu secuit. nec mora , ex plagis ponderis inclinatione crescentibus tomacula cum botulis effusa sunt" (49, 9-10), il cuoco, ripresa la tunica, afferrò un coltello e con mano  circospetta sventrò il maiale da una parte e dall'altra. Senza indugio, dai tagli che si allargavano per la pressione del peso, sgorgarono salcicce con involtini. 

 
Bologna 17 ottobre 2022 ore 11, 45
giovanni ghiselli
p. s
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[1]  M. Rostovzev, Storia economica e sociale dell'impero romano, p.115.
[2] "Ergo al secondo posto, dopo il verbo principale, è un modo prediletto da Petronio per presentare la nuova azione come conseguenza immediata, e logicamente inevitabile, del fatto precedente" (M. Barchiesi, I moderni alla ricerca di Enea, p. 122).
[3] 1812-1888.
[4] 55 ca a. C.-40 d. C.
[5] M. BaRCHIESI, OP. CIT., P. 144.
[6] U. Eco, Di fronte ai classici , p. 124.
[7] P. Fedeli, , Lo spazio letterario di Roma antica, vol I, p.352.

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