Ricordo la fatica che costa meritarsi cose buone
Questa è una dichiarazione topica: Esiodo dice che davanti al valore gli dei hanno posto il sudore: "th'" d j ajreth'" iJdrw'ta qeoi; propavroiqen e[qhkan" (Opere, 289).
Nell'Elettra di Sofocle la protagonista dice alla mite sorella Crisotemi: "o{ra, povnou toi cwri;" oujde;n eujtucei'''" (v. 945), bada, senza fatica niente ha successo.
Nei Memorabili[1] di Senofonte la donna virtuosa, la Virtù personificata, avvisa Eracle al bivio che gli dèi niente di buono concedono agli uomini senza fatica e impegno: "tw'n ga;r o[ntwn ajgaqw'n kai; kalw'n oujde;n a[neu povnou kai; ejpimeleiva" qeoiv didovasin ajnqrwvpoi"" (II, 1, 28).
Si assiste a un eterno ritorno di questa affermazione e di non poche altre. “Tipico atteggiamento della “cultura” greca. Una volta coniata una forma, essa rimane valida anche in stadi ulteriori e superiori, e ogni elemento nuovo deve cimentarsi con essa”[2].
Dante mette in rilievo la grande fatica che gli è costata l’opera grandiosa della sua Commedia: il “poema sacro/al quale ha posto mano e cielo e terra/sì che m’ha fatto per più anni macro” (Paradiso, XXV, 1-3).
Machiavelli nota che molti uomini attribuiscono alla Fortuna un potere eccessivo nella vita umana e per questo ritengono “che non fussi da insudare molto nelle cose, ma lasciarsi governare dalla sorte”.
Il segretario fiorentino non condivide questo parere: “perché el nostro libero arbitrio non sia spento, iudico poter essere vero che la fortuna sia arbitre della metà delle azioni nostre, ma che ancora lei ne lasci governare l’altra metà, o presso, a noi”. La Fortuna come certi “fiumi rovinosi… dimostra la sua potenzia dove non è ordinata virtù a resisterle, e quivi volta li sua impeti, dove la sa che non sono fatti li argini e li ripari a tenerla”. Dunque non bisogna adagiarsi sulla Fortuna: “ quel principe che s’appoggia tutto in sulla fortuna, rovina, come quella varia” (Il principe, 25).
Leopardi nell’Operetta morale Il Parini ovvero della gloria[3] immagina che il poeta di Bosisio parli a un giovane “d’indole e di ardore incredibile ai buoni studi, e di aspettazione meravigliosa”, e gli dica che pochi sono capaci di intendere “che e quale sia propriamente il perfetto scrivere”. Chi non intende questo “non può né anche avere la debita ammirazione agli scrittori sommi”. La conclusione del ragionamento dunque è: “ Or vedi a che si riduca il numero di coloro che dovranno potere ammirarli e saper lodarli degnamente, quando tu con sudori e con disagi incredibili, sarai pure alla fine riuscito a produrre un’opera egregia e perfetta”.
Un commento mio
Pensiamo a una gara.
Perché il merito sia vero bisogna che nel momento del “via!” ci sia una condizione di parità, cioè che nessuno sia avvantaggiato in partenza in modo che il vincitore sarà tale per merito suo.
Allora bisogna intervenire sulle disuguaglianze. Chi parte avvantaggiato deve scattare dopo lo svantaggiato. Poi il merito risulterà dal talento, dall’impegno e dalla fatica impiegata nel valorizzare il merito.
Quando facevo l’Università c’era il presalario. Un aiuto sufficiente per studiare anche fuori casa: un’ottima cosa. Ivano Dionigi, un pesarese che dopo il liceo è venuto a Bologna, ha detto, signorilmente, che senza il presalario non avrebbe potuto studiare. Poi è diventato Rettore di questa Università.
Il presalario dunque era cosa ottima però non poteva essere dato a tutti. Bisognava meritarlo studiando e prendendo ottimi voti.
Il merito, il merito vero, dunque aiuta gli svantaggiati in partenza: i poveri, che, certo, non dovrebbero esserci ma ci sono e sono sempre di più e devono poter studiare se ne hanno voglia.
Secondo me, che mi sono meritato con fatiche e sudore queanto ho ottenuto nel campo del lavoro, dell’amore e della salute, quelli che vogliono negare il merito lo fanno perché non sanno che cosa sia, perché non ne hanno alcuno. Fanno parte dell’apparato e vogliono che invece del merito conti la raccomandazione, il potere della famiglia, l’appoggio mafioso.
p. s.
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Anche tutti questi lettori ho meritato con un serio impegno quotidiano di anni.
[1] Scritto socratico in quattro libri che presenta il maestro come un uomo probo e onesto, rispettoso della religione e delle leggi, valida guida morale nella vita pratica
[2] W. Jaeger, Paideia 1, p. 191.
[3]
Scritta nel 1824, pubblicata nel 1827.
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