lunedì 11 agosto 2014

Debrecen VII





Kiev

Debrecen 1966 

La ragazza di Kiev. Mezzanotte a Mosca. La Britanna. Il primo bacio. La paralisi della Fiat Seicento. La solidarietà della coppia.  


Certamente mi ci vollero anni per trovare uno stile mio, ma avevo già cominciato a orientarmi. La sera di quel primo giorno intero di Debrecen entrai nella mensa e sedetti a tavola con i compagni di camera: così mi inserii tra loro a tutti gli effetti e un poco alla volta mi liberai dalla paura dell’emarginato. Mi sentivo già un poco meno preso di mira dai dardi ostili[1] della sorte. Nel petto non concepivo più solo  tristezze incombenti e sfaceli remoti.
 Con Helena Sarjantola  poi, nel  ’71,  Eros e il destino  si convertiranno e mi daranno  carezze benefiche. Con Helena  diventai quello che sono, quello che prima della Sarjantola ancora non ero
 Già nel ’ 68, con quell’altra Helena,  la ragazzina della primavera di Praga, la Sorte ridente mi aveva dischiuso l’uscio alla gioia.

 Alle due Elene, quindi a Päivi, a Ifigenia, e a ciascuna delle altre donne benefiche, da mia madre in poi,  devo dire: “ Carminibus vives tempus in omne meis[2], vivrai in eterno nella mia poesia.
Oujk e[st j ejrasth;ς o{stiς oujk ajei; fileĩ[3], non è amante quello che non ama sempre, e io voglio essere l’eterno  amante di tutte voi, donne mie.

Il quadro dell’estate propedeutica del ’66, introduttivo alle successive mensilità debrecine, è quasi completo. Stabiliti i contatti umani fondamentali, prendemmo queste abitudini: la mattina andavamo alle lezioni di lingua ungherese tenute in inglese, sicché si studiavano due lingue alla volta, dopo prendevamo il sole sul prato, o facevamo una passeggiata nel bosco, quindi si andava a mangiare. Il pomeriggio un po’ studiavamo, un po’ si andava in piscina a nuotare e a puntare ragazze. Volevo diventare puellis idoneus[4] anche a costo di essere scartato decine di volte prima di venire arruolato nella schiera dei non riformati dalla dea dell’amore, il legione eletta dei non falliti sessuali. Il più tragico dei fallimenti.
 I dinieghi, le ricuse mi avrebbero insegnato cosa dovevo fare per correggermi, minimizzare le deformità, valorizzare le qualità. Del resto non era difficile immaginarlo: cura del corpo e coltivazione dell’anima ci volevano. Poi l’usus, la pratica via via meno rozza e fallimentare. I successi col tempo, speravo, non sarebbero mancati e mi avrebbero indicato la via, quella del destino mio.
 Durante quel mese remoto conobbi una brunetta gentile di Kiev, cui arrivai ad accarezzare le mani cantando con lei Mezzanotte a Mosca. Niente di più, ma allora non era poco. Mi incoraggiò, mi incoraggiai.
Quando la ragazza scitica partì, mi dissi: “la vita continua”.
Altro coraggio me lo diede una biondina francese che mi fece un sorriso mentre in corriera cantavamo “Chevaliers de la table ronde-dites moi si ce vin est bon”. La fanciulla della Gallia mi infuse altro coraggio. A volte, pedalando la mia bicicletta da solo, canto quella canzone antica e, ripensando a quel sorriso spontaneo e gratuito, piango, piango
 di gioia. Anche tu francesina, creatura benedetta da Dio e da me, vivrai nei miei carmi.
 In Italia all’epoca nessuno mi trattava bene, tanto ero diventato disgustoso e spregevole, prima, al liceo, con l’arroganza, poi con l’autoumiliazione.
 A una creatura degradata e disperata, e non ancora del tutto incattivita,  un segno di gentilezza, di simpatia, di umana solidarietà, può dare molto, può addirittura salvargli la vita. 
 Dopo questo sorriso della Sorte,  avvicinai una britanna, Elizabeth, a dire il vero un po’ cavallina, cioè con i denti alquanto in fuori, ma non orribile come avevo letto non senza curiosità e stupore  in Catullo[5].
In ogni caso questa britanna ventenne fu  importante per il mio apprendistato, poiché fu la prima femmina umana che baciai di mia iniziativa: ricordo che quando uscimmo dal cinema dove lei aveva appoggiato la testa sulla mia spalla destra riempiendomi di commozione, lanciai nervosamente la scassata Fiat Seicento verso il margine del grande bosco; come mi trovai davanti un albero, frenai di colpo, spensi il motore, e senza dire verbo né lanciarle un’occhiata, audacemente la baciai sulla bocca. Il commovente abbraccio di due ventenni destinati, però, alla putrefazione. Ma anche tu fanciulla tutt’altro che perfida venuta a salvarmi da Albione, vivrai eterna in questa pagina mia. Elizabeth rimase stupita e perplessa ma non mi respinse né, dopo, mi redarguì. L’atto di immenso coraggio e la totale assenza di riprovazione,  mi diede  fiducia in me stesso, dato il contesto che conosci lettore, una confusa letizia e altre emozioni vaghe, comunque preziose per la mia crescita. Quella notte di luglio dell’anno di mia salvazione 1966, pensai: tra cinquant’anni[6], anche se  i capelli saranno  perduti o incanutiti del tutto[7], questo bacio lo porterò sulle labbra e nel cuore che ne saranno santamente stigmatizzati  per sempre”. Da quella sera considerai Elizabeth la mia compagna e la portavo con me a vedere i dintorni di Debrecen. Sentivo che quella terra era fatata e fatale per me. Dovevo conoscerla, non senza fare dei riti. Tutte le sere all’ora del tramonto, per esempio, mi appartavo e orinavo osservando il sole, la fiamma che nutre la vita, e lo pregavo di nutrire la mia. Una sera, dopo il tramonto del primo di tutti gli dèi, io e la Britanna ci trovammo arenati in uno sperduto villaggio prossimo al confine dell’Unione Sovietica. La vecchia automobile era rimasta senza acqua e senza olio. Provammo a chiedere aiuto nelle nostre lingue ma in quella zona rurale nessuno capiva l’inglese né l’italiano. Noi due non riuscivamo a comprende l’ungherese parlato in fretta da un gruppo di persone campagnole adunatosi per curiosità intorno alla Seicento rimasta ferma come una carrozza senza cavalli.
A un tratto, ebbi un’idea bizzarra e domandai:” loquimini latine?”
Può sembrare una battuta da commedia buffa fatta per impressionare Elizabeth. Invece si fece avanti uno che rispose: “ita, loquor”. Doveva essere un prete, un curato di campagna spretato dal regime. Quindi il dominus pannonius mi domandò, sempre in latino, di che cosa avessi bisogno. Arrangiandomi per trovare termini  comprensibili e non troppo inadeguati alla situazione, né latinamente del tutto impropri, gli spiegai il nostro problema, cosa che non mi era riuscita né con l’italiano, né con l’inglese che pure si avviava già a diventare la lingua franca del mondo, né con il poco ungherese imparato nelle prime settimane di lezione. Così provai l’utilità pratica del mio latino e sentii la solidarietà della coppia: Elizabeth non si era lagnata,  della situazione, né disinteressata, ma si era adoperata con tutti i suoi mezzi, cioè interpellando persone e collaborando a trasportare un bidone sesquipedale, poiché non avevamo nemmeno una tanica.
Britanna gentile e solidale. Me ne sarei ricordato trentotto anni più tardi quando, in una notte illune di gennaio, una tipa mi aggredì inveendo contro di me siccome la portavo a cena, con la mia Beetle nuova e sicura, su una  strada piena  di curve e male illuminata.
E sì che avevamo fatto l’amore più e più volte quel pomeriggio. Contorto e privo di luce era il cervello di quella.

giovanni ghiselli
Il blog è arrivato a 170303 contatti umani.


[1] Cfr. Ovidio, Epistulae ex Ponto, II, 7, 15-16: “ Sic ego Fortunae telis confixus iniquis/pectore concilio nil nisi triste meo”, così io trafitto dai dardi ostili della Sorte, non concepisco nel mio cuore nulla che non sia triste.
[2] Ovidio, Tristia, I, 6, 36.
[3] Euripide, Troiane, 1051. Sono parole di Elena a Menelao.
[4] Cfr. Orazio, Carmina, III, 26, 1
[5] Horribilesqua ultimosque Britannos, 11, 11-12.
[6] Ora ne mancano meno di due a questo anniversario:. Come si chiama: nozze d’oro o di diamante o di che altro?
[7] Avertat Deus omen, pensai. Dio mi ascoltò, Dio mi esaudì.

2 commenti:

  1. Molto piacevole
    Alessandro

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  2. la finezza e la vera anima delle persone emerge nelle contrarietà , questo brano ne è un esempio. Non avrei potuto trovare parole più vere e belle per esprimere l'universalità di questo concetto. Hai inquadrato una spigolatura dellìanimo umano in modo magistrale. Mi piace Giovanna Tocco

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