lunedì 8 aprile 2019

LA PACE. "La mente inquieta. Saggio sull'Umanesimo" di Massimo Cacciari. Parte 9 - conclusione

Ambrogio Lorenzetti
Allegoria degli Effetti del Buon Governo in Città
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Massimo Cacciari, La mente inquieta. Saggio sull’Umanesimo (Einaudi, Torino, 2019).


Presenterò l'intero volume l'11 aprile alla Sapienza di Roma (sala Odeion)


La Pace. Conclusione di La mente inquieta. Saggio sull’Umanesimo di Massimo Cacciari. Andrò a presentarlo a Verona domani, 9 aprile, dalle 17, 30 nel Liceo Montanari di Verona

 “Il fine atteso per strade diverse (…) è la Pace (…) Quella Pace che, agli albori dell’avventura umanistica, era stata immaginata da Ambrogio lorenzetti nell’affresco del Buon Governo dell’antica sala dei Nove del palazzo di Siena: figura umana, non angelo, che siede insieme alle virtù che fondano la civitas, e tuttavia se ne distingue; lei sola in vera quiete, lei sola contemplante la luce infinitamente lontana di un’Armonia perenne, di una Gioia oltre ogni lex iustitiae e ogni securitas (tav - 16)

La tavola 16 riproduce Ambrogio lorenzetti, La Pace, affresco, 1338 - 1339, particolare dall’Allegoria del Buon Governo. Siena. Palazzo Pubblico
“Siena, città della Vergine e civitas romana, città dove Giovanni Pisano, sulle tracce del classico, è architetto e scultore nella grande fabbrica del Duomo (1285 - 1296) in cui Duccio di Buoninsegna inaugura, sull’altare maggiore, la sua Maestà (1285), opera luminosa quale nessun’altra, tutta percorsa dai fermenti dei nuovi linguaggi, e tuttavia ancora immersa nella sacralità della tradizione iconografica. Nel segno di entrambi, del diritto e della giustizia di Roma e della clemenza della propria ‘avvocata’, il governo della città conferisce ad Ambrogio Lorenzetti l’incarico per la decorazione di una sala del nuovo Palazzo Comunale con le scene opposte del buono e del cattivo governo, “bellissima inventiva”, dirà san Bernardino predicando cento anni dopo nel Campo, in cui si esalta la pace come la condizione per rendere forte e ricca la città. Ciò che si ‘finge’ di non cogliere è che la Pace qui siede a parte, la sua voce è un a solo. Ella siede come in un luogo soltanto suo all’interno dello spazio comune. Tutto vi tende, ma nulla davvero la raggiunge e la tocca. Simbolo ante litteram dell’aporia intrinseca all’idea umanistica di Pace”.

A proposito di “scene opposte del buono e del cattivo governo” cito qui la mia traduzione dell’elegia di Solone detta 
del Buon Governo (fr. 3 D)

Un'altra elegia molto nota, e di contenuto in gran parte politico
"La nostra città non andrà mai in rovina per destino
di Zeus e volontà dei beati dèi immortali:
 infatti tale custode magnanima, figlia di padre potente
Pallade Atena le tiene sopra le mani.
 Ma i cittadini stessi con la loro follia vogliono distruggere la grande città sedotti dalle ricchezze,
 e ingiusta è la mente dei capi del popolo, cui è destinato
soffrire molti dolori in seguito alla gran prepotenza:

infatti non sanno trattenere l'avidità né godere
con ordine le gioie presenti nella serenità del convito.10
Ma si arricchiscono fidando in opere ingiuste
 e non risparmiando le proprietà sacre nè in alcun modo le ricchezze
pubbliche, rubano per arraffare chi da una parte chi dall'altra
né osservano i venerandi fondamenti di Giustizia,
che, pur mentre tace, conosce il passato e il presente15,
e con il tempo in ogni caso giunge a fare pagare.
Questa piaga ineludibile oramai arriva su tutta la città,
ed essa subito cade nella squallida servitù,
che risveglia la lotta dentro la stirpe e la guerra dormiente,
la quale distrugge l'amabile giovinezza di molti: 20
 infatti per opera dei malevoli tosto la città molto amata
si rovina nei partiti cari agli ingiusti.
Questi mali nel popolo si aggirano: e dei poveri
 molti giungono in terra straniera
venduti e legati con ceppi indegni .
Così il danno comune entra in casa a ciascuno:
né valgono più le porte del cortile a trattenerlo,
 e salta oltre il recinto pur alto, e trova in ogni caso,
anche se uno sia rifugiato nel fondo del talamo.
Questi precetti l'animo mi spinge ad insegnare agli Ateniesi,30
che il Malgoverno procura moltissimi mali alla città, kaka; plei'sta povlei Dusnomivh parevcei
mentre il Buongoverno mostra ogni cosa ordinata e armonizzata, Eujnomivh d j eu[kosma kai; a[rtia pavnt j ajpofaivnei
e spesso mette i ceppi addosso agli ingiusti:
leviga le asperità, fa cessare l'insolenza, oscura la prepotenza,
dissecca i fiori nascenti dell'accecamento,
raddrizza i giudizi tortuosi, mitiga le azioni
 superbe, e fa cessare le opere della discordia,
e fa cessare la rabbia della contesa terribile, e sono sotto di lui
tutte le cose tra gli uomini armonizzate e assennate".

Ora torniamo a Cacciari e ci avviamo alla conclusione
In questo Umanesimo conta la methodos per l’effettiva, non verbosa ricerca della pace “Unica via per la Pace appare essere quella del riconoscimento reciproco, fondato sulla conoscenza delle diverse tradizioni, degli idiomi, delle idee e visioni del mondo che in questi si incarnano” (p. 110)
Conoscenza che “sappia approssimarsi al proprio oggetto, con studio e amore sine fine. Che sappia farsi prossima (…) un’idea di Pace, insomma, che è l’opposto della reductio ad Unum, dell’annichilimento dei Molti e della singolarità di ciacuno. Nello spazio razionale della prospettiva non è forse secondo una tale forma simbolica che i distinti appaiono, che essi si manifestano in tutta la loro energia, anche quando crescono pericolo e angoscia, anche quando più aspro è il polemos tra loro? Filosofia che chiunque può vedere, tutta posta - in immagine da Donatello nella figura di Abacuc nel Museo dell’Opera del Duomo (tav. 8) o da Piero nell’enigma della Flagellazione.

Eugenio Riccòmini in un suo libro recente commenta la Flagellazione di Piero. Secondo lo storico dell’arte bolognese, in una parte della pittura, quella improntata all’ordine, “regna sovrana la geometria”, una constatazione che ci fa piacere e rassicura “perché quell’ordine ci conferma che la nostra ragione sa vincere l’apparente caoticità della natura. Ci pare, così, di essere a lei superiori. E’ di questo genere, mi sembra, il piacere che s’avverte guardando un dipinto anche notissimo, come questo di Piero della Francesca[1]. Dovrebbe essere una scena di violenza, di dolore e d’urla. Ma tutti stanno zitti, e immobili. Nessuno pensa a flagellare nessuno. Il Cristo pensa solo a gareggiare, in polita tornitura di statua, con la bellissima e candida colonna cui neppure appare legato; e con la statua antica che la sormonta. Le figure, si direbbe, non recitano alcuna storia: servono a scandire con precisione lo spazio, come i cassettoni del soffitto, come i riquadri del pavimento; scacchiera, ancora, su cui si posano pedine, avvolte di luce candida, senz’alito di vento”[2].

Hegel insegna che l’intera filosofia non è altro che lo studio delle determinazioni dell’Unità.
“Allora filosofica è questa idea della Pace e filosofia è quella dell’Umanesimo, e nel senso più ricco, poiché la sua unità si irradia e determina, restando tale, in una infinità di particolari linguaggi”
Hegel lo aveva compreso più dai classici dell’arte italiana della Rinascenza, che da quella delle opere letterario del periodo.
Ficino viene considerato da Tiedemann un pensatore rimasto “incollato nel fango del neoplatonismo”, mentre si tratta, per Hegel, di chi “con purezza d’animo e libertà di spirito” ha cecato di comprendere come lo scetticismo del Parmenide costituisca il primo elemento imprescindibile della costruzione di un autentico sistema. Nella stessa prospettiva, ricompare nelle Lezioni sulla storia della filosofia l’apprezzamento di Ficino e di Pico. 
Hegel sottolinea la derivazione da Plotino e Proclo del loro platonismo, e sapendo quanto immensa fosse la stima che egli nutriva per il grande diadoco dell’Accademia (Feuerbach chiamava Hegel, con ottime ragioni, “il Proclo tedesco”!), possiamo arguire la forza dell’invito che da lui ci viene, pur attraverso poche righe, a ripensare o a pensare ancora l’Umanesimo more philosophico”.


FINE


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[1] L’autore rimanda a una riproduzione di La flagellazione di Cristo del 1455. Si trova a Urbino, nella Galleria Nazionale delle Marche.
[2] E, Riccòmini, A caccia di farfalle, p. 35.

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