giovedì 9 luglio 2015

Metodologia per l'insegnamento del greco e del latino, parte XX

Catullo e Lesbia

La sintassi, al pari della grammatica, va “condita” con la letteratura. Due congiuntivi esortativi e la perifrastica passiva in Catullo (5). Commento ai basia mille. Due subordinate finali nell’Ars amatoria di Ovidio (Spectatum veniunt, veniunt spectentur ut ipsae", I, 99)

Il congiuntivo esortativo della terza e della prima coniugazione si rendono memorabili ai ragazzi leggendo e commentando: "Vivamus mea Lesbia atque amemus"[1] prendiamoci la vita, mia Lesbia, e facciamo l'amore, con quello che segue. Vediamo come: “nobis cum semel occidit brevis lux/nox est perpetua una dormienda” (5, 5-6), noi, quando è tramontata la breve luce, dobbiamo dormire una notte eterna, si traduce, si spiegano la perifrastica passiva e l’endecasillabo faleceo o, se si preferisce, falecio, poi si passa ai baci (da mi basia mille, deinde centum, v. 7), non solo per insegnare i numerali, ma pure per indicare altri baci insidiati dalla morte nella grande letteratura: “perché l’amore…è la simpatia per la materia organica, il commovente abbraccio voluttuoso di colui che è destinato alla putrefazione. E la Charitas esiste certo sempre nella passione sia che essa ammiri in purezza o avidamente brami ”. E’ il commento che segue il bacio di Hans Castorp e di Claudia Chauchat[2]. E più avanti: “Dio del cielo, che istituzione è mai questa, che la carne brami la carne soltanto perché non è propria ma appartiene ad un altro? Quanto è strana, e a ben guardare, di quante poche pretese!”[3].
Due forme delle subordinate finali si possono esemplificare con Spectatum veniunt, veniunt spectentur ut ipsae"[4], vengono (le donne al circo) per osservare, vengono per essere osservate loro stesse. C’è un chiasmo, un poliptoto con due costruzioni: il supino indica uno scopo più generico; ut + il congiuntivo è maggiormente connotato dalla volontà.
I versi naturalmente vanno pure contestualizzati. Ovidio è un autore gradevolissimo anche per i più giovani: "Il primo gusto che presi ai libri mi venne dal diletto delle favole delle Metamorfosi di Ovidio"[5].


Un esempio di commento letterario sulle due subordinate finali dell’esametro di Ovidio citato sopra: maledizioni del teatro e del circo. Platone. Seneca. Tacito. Tertulliano: l’impudicizia del teatro e la crudeltà dell’arena. Agostino. Flaubert. Cromwell il Lord Protector. La lettera scarlatta di Hawthorne. Il palcoscenico elisabettiano (mal) visto come il sito dell’omoerotismo. Vittorio Alfieri e papa Pio VI Braschi. L’ostilità del potere odierno nei confronti del teatro che fa pensare

Spiegate le finali dunque, si può procedere con un commento[6] contenutistico-comparativo riferendo i punti di vista di autori ostili agli spettacoli circensi davvero atroci, e a quelli del teatro considerati poco pudichi. Questo genererà stupore nel ragazzo abituato a pensare che il teatro sia una cosa, magari noiosa ma nobile, o darà soddisfazione a chi ritiene che invece sia solo una noia.
Platone[7] critica gli agoni drammatici frequentati troppo spesso, e male, da un pubblico becero, trascinato dalla musica caotica diffusa da poeti ignoranti, maestri di disordinate trasgressioni, i quali mescolavano peani con ditirambi, confondendo, appunto, tutto con tutto (pavnta eij~ pavnta sunavgonte~, Leggi, 700d) ; di conseguenza le càvee dei teatri divennero, da silenziose, vocianti, e al posto dell’aristocrazia del gusto subentrò una sfacciata teatrocrazia per quanto riguarda quest’arte (701). Come se fossero stati tutti sapienti, diventarono impavidi e l'audacia generò l'impudenza (701b).
Seneca condanna l'efferatezza dei giochi circensi quali mera omicidia (Ep. 7), omicidi veri e propri.
Nel Dialogus de oratoribus[8] di Tacito[9] Messalla biasima i vizi particolari di Roma propria et peculiaria huius urbis vitia, che sono quasi insiti nel DNA dei Romani si direbbe ora: "paene in utero matris concipi mihi videntur, histrionalis favor et gladiatorum equorumque studia" (29), sembrano quasi concepiti nello stesso grembo materno, la simpatia per gli istrioni, la passione per i gladiatori e i cavalli. Nell'animo dei ragazzi occupatus et obsessus, occupato e bloccato da tali studia, non rimane spazio per l'interesse nei confronti delle arti liberali. Questo avvertimento può essere attualizzato con la passione per il calcio o per la musicaccia fatta di rumore.
 L' histrionale studium del gaglioffo Percennio, per esempio, la sua esperienza di attore, e il suo essere stato dux olim theatralium operarum (Annales, I, 16) un capo della claque teatrale, ne fa un acclamato duce durante la rivolta delle legioni della Pannonia successiva alla morte di Augusto.
Queste parole di Tacito, secondo Auerbach, denigrano la ribellione dei legionari: "A suo modo di vedere, si tratta soltanto d'arroganza plebea e di mancanza di disciplina. (…) Egli batte e ribatte che è soltanto la schiuma sempre pronta alla ribellione; per il caporione Percennio, ex capo di claques teatrali col suo "histrionale studium", che si atteggia a generale (velut contionabundus"), egli ha il più profondo disprezzo"[10].
Nella Germania Tacito nota che le donne di quella terra vivono con la castità ben custodita, senza essere guastate dalla seduzione degli spettacoli né dagli stimoli dei banchetti: "saepta pudicitia agunt, nullis spectaculorum inlecebris, nullis conviviorum inritationibus corruptae" (19, 1).
 Negli Annales lo storiografo denuncia, tra le altre passioni basse (foeda studia) di Nerone quella di cantare accompagnandosi con la cetra, come si fa negli spettacoli: “ nec minus foedum studium cithărā ludĭcrum in modum canere” (14, 14).
Poco più avanti Tacito ricorda che dopo la conquista dell’Asia e della Grecia, a Roma i giochi si erano organizzati con maggiore cura, “nec quemquam Romae honesto loco hortum ad theatralis artes degeneravisse, ducentis iam annis a L. Mummii triumpho qui primus id genus spectaculi in urbe praebuerit” (14, 21), anche se nessun romano nato in una buona famiglia si era abbassato a fare l’attore per duecento anni dal trionfo di Mummio[11] che per primo aveva fatto vedere a Roma quel genere di spettacolo.
Tertulliano[12] nell’ Apologeticum [13] afferma che i sensi puri dei cristiani non hanno nulla in comune con la follia del circo né con l'impudicizia del teatro (cum impudicitia theatri) né con la crudeltà dell'arena (cum atrocitate arenae) né con la vanità del portico (38).
Quindi nel De spectaculis [14] l’apologista predica contro teatri e circhi in quanto tutta la messinscena degli spettacoli trae la sua essenza ex idolatrīa (IV, 3) dall'idolatria.
Sant'Agostino nelle Confessiones[15] definisce miserabilis insania la passione per il teatro, una follia da lui stesso provata quando lo trascinavano gli spettacoli teatrali "plena imaginibus miseriarum mearum et fomitibus ignis mei" (III, 2), pieni di immagini delle mie miserie e di esche del mio fuoco.
Nel De civitate Dei [16] Agostino sostiene che i ludi scenici, introdotti a Roma[17] per placare la pestilenza dei corpi, importarono dall'Etruria la pestilenza nei costumi. Infatti il pontefice, per sedare la pestilenza delle anime, proibiva addirittura la costruzione del teatro (I, 32).
Insomma il teatro, che tratta spesso della peste[18], è esso stesso latore di peste.
 In Madame Bovary il curato di Yonville sembra condividere l'opinione di Ovidio sul lenocinio dei teatri, i quali perciò, dato il punto di vista critico del prete autorizzato da "tutti i Santi Padri", vengono sconsigliati: "So anch'io" obiettò il curato, "che esistono buone opere, buoni autori, tuttavia, non fosse altro, tante persone di sesso diverso riunite in un locale seducente, ornato di pompe mondane, e poi tutti quei travestimenti pagani, tutto quel belletto, tutti quei candelabri, tutte quelle voci effemminate, tutto insomma deve ingenerare alla fin fine un certo libertinaggio dello spirito e suggerirti pensieri disdicevoli, tentazioni impure. Almeno questa è l'opinione di tutti i Santi Padri. Infine…se la chiesa ha condannato gli spettacoli, significa che aveva la sua ragione di farlo: occorre sottometterci ai suoi decreti"[19].
Questa linea platonico-cristiana di avversione per gli spettacoli teatrali si riscontra fra i Puritani del Seicento: il Lord Protector Cromwell[20] fece chiudere i teatri durante la sua tirannide in Inghilterra.
Per quanto riguarda la presenza di tale ostilità nel Nuovo Mondo, sentiamo La lettera scarlatta di Nathaniel Hawthorne[21], pubblicata nel 1850 ma ambientata nella Boston puritana del XVII secolo: "inutilmente si sarebbe immaginato di vedere quel popolo abbandonarsi ai divertimenti popolari che erano in uso in Inghilterra sotto la regina Elisabetta o sotto re Giacomo. Niente spettacoli teatrali, né musiche di sonatori ambulanti, né canzoni di menestrelli, né trucchi di giocolieri, né lazzi di saltimbanchi. Il fondo del carattere di questa gente-s'è detto-era triste, e tutti questi professionisti dell'allegria sarebbero stati scacciati non soltanto dalla legge, ma dal sentimento popolare che conta assai più della legge"[22]. La protagonista del romanzo è una donna bella e fine, marchiata e messa al bando da questa gente tetra.
Una studiosa della scuola del Dramma dell’università di Washington rileva un nesso tra l’ostilità dei Puiritani nei confronti del teatro e il fatto che nel teatro elisabettiano le parti femminili fossero recitate da maschi travestiti. Sicché il palcoscenico poteva essere visto come il sito dell’omoerotismo: “Several extant Puritan sermons were built upon a quotation in Deutoronomy (22: 5) which specifically forbade cross-dressing: ‘The woman shall not wear that which pertaineth unto a man, neither shall a man put a woman’s garment; for all that do so are an abomination unto the Lord thy God[23], diversi sermoni puritani arrivati sino a noi erano costruiti su una citazione del Deuteronomio che proibiva specificamente I travestimenti: ‘La donna non indosserà quello che appartiene a un uomo, né un uomo si metterà un articolo di vestiario da donna; in quanto tutto questo è abominio nei confronti del Signore tuo Dio.
Nella propria autobiografia Vittorio Alfieri racconta che cercò ingraziarsi Pio VI, papa Braschi, offrendogli di dedicargli il Saul. Il papa rifiutò l’omaggio e “ se ne scusò, dicendo che egli non poteva accettar dedica di cose teatrali quali ch’elle si fossero”. “Né io altra cosa replicai su ciò”, conclude l’autore (Vita, IV, 10).
Insomma c'è tutta una letteratura contro il teatro.
Tuttora c’è un’ostilità del potere contro il teatro che presenta l’uomo come problema, e spinge a pensare, pone degli interrogativi, instilla dei dubbi. La televisione non manda più in onda i drammi grandi e meravigliosi dei grandi autori che così perdono visibilità e presenza anche nella scuola.


Esempi di congiuntivo potenziale e di ottativo spiegati con il “condimento” della letteratura. Musil e Steiner

Sul congiuntivo potenziale si può fare dell'ironia citando Musil: "Ulrich scrisse nel componimento…che probabilmente anche Dio preferisce parlare del mondo da lui creato servendosi del congiuntivo potenziale (hic quispiam dixerit…) perché Dio fa il mondo e intanto pensa che potrebbe benissimo farlo diverso"[24].
Sull'uso dell'ottativo da parte di Antigone, anzi dei personaggi femminili in generale, c'è una considerazione interessante di Steiner: " La prima impressione è che il linguaggio femminile sia più ricco di quello maschile in quelle sfumature di desiderio e di progetti futuri note in greco e in sanscrito come ottativo; si ha l'impressione che le donne esprimano molto più frequentemente propositi ipotetici e promesse velate"[25].





[1] Catullo, 5, 1.
[2] T. Mann, La montagna incantata, p. 285.
[3] T. Mann, La montagna incantata, p. 303.
[4] Ovidio, Ars amatoria, I, 99.
[5] Montaigne, Saggi, p. 233.
[6] “Ribadire la necessità del commento in un mondo che non sopporta il commento perché si presenta falsamente già commentato: questo è il rilievo etico e pedagogico del commento” (R. Luperini, op. cit., p. 112)
[7] 427-347 a. C.
[8] Ambientato tra il 75 e il 77 e redatto, probabilmente, un quarto di secolo più tardi.
[9] 55 ca-120 ca.
[10] Mimesis, p. 43.
[11] 146 a. C.
37 160 ca-220ca d. C.
[13] 197 d. C.
[14] Del 200 ca d. C.
[15] In 13 libri composti fra il 397 e il 401 d. C.
[16] In 22 libri composti fra il 413 e il 426 d. C.
[17] Nel 364 a. C. secondo il racconto di Tito Livio (VII, 2-3)
[18] Si pensi, per esempio all’ Edipo re di Sofocle e all’Oedipus di Seneca.
[19] G. Flaubert, Madame Bovary (del 1857), p. 177.
[20] Esercitò una dittatura personale dal 1653 al 1658. Suo segretario fu John Milton, l’autore di Il paradiso perduto (1667)
[21] Scrittore statunitense: 1804-1864.
[22] N. Hawthorne, La lettera scarlatta, p. 180.
[23] Sue-Ellen Case, Feminism and theatre, p. 24.
[24] L'uomo senza qualità, p. 14.
[25]G. Steiner, Dopo Babele, p. 69. 

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