venerdì 3 luglio 2015

Metodologia per l'insegnamento del greco e del latino, parte XV



Aulo Gellio sull’ambiguità delle parole. Il cultus (gradito o ingannevole) di Ovidio e quello (levis ac parabilis) di Alessandro Magno. Le cicatrici come decorazioni, come bocche mute o parlanti. Pirandello e l’impossibilità di intendersi attraverso le parole. L’ambiguità può riguardare una persona (Nerone), un oggetto, una situazione, e anche un intero dramma. Jan Kott: l’Alcesti di Euripide e il tappeto rosso dell’Agamennone di Eschilo. La Mastrocola: l’ambiguità è ricchezza di significati. Frasnedi. Morin e la polisemia del concetto: la parola “cultura” è un vero e proprio camaleonte concettuale.

Aulo Gellio[1] ci tramanda l'opinione di Crisippo[2], terzo scolarca della Stoà dopo Zenone e Cleante: "Chrysippus ait, omne verbum ambiguum natura esse, quoniam ex eodem duo vel plura accipi possunt"[3], Crisippo dice che ogni parola è ambigua per natura, poiché da una sola si possono trarre due o più significati.
Anche uno solo dei tanti significati di una parola può variare a seconda del contesto: cultus significa, tra l’altro, la cura della persona. Ebbene Ovidio nell’ Ars amatoria ne dà un'interpretazione positiva quando afferma che la sua età gli piace quia cultus adest[4], come abbiamo già ricordato[5], mentre nei Remedia amoris, con movimento lucreziano, mette in guardia gli spasimanti dalla fallacia dell’acconciatura:"auferimur cultu"[6], siamo sedotti dall'acconciatura la quale ci porta via la donna in sé (ipsa puella[7]), la donna come è veramente.
Scarsità di cultus del resto può essere una scelta seduttiva: Alessandro Magno, quando  giunse a Tarso, la capitale della Cilicia, alla fine dell’estate del 333, volle fare un bagno nel fiume Cidno. Si ammalò gravemente poiché si era gettato, ancora accaldato, nell’acqua fredda. Ma aveva fretta di spogliarsi e pensava che oltretutto  sarebbe stato onorevole mostrare ai suoi che si accontentava di una cura del corpo semplice e facilmente procurabile: “ decōrum quoque futurum ratus, si ostendisset suis levi ac parabili cultu corporis se esse contentum[8]. In un’altra circostanza, prima della battaglia di Gaugamela (ottobre del 331 a. C.) Alessandro mise in mostra il “trucco”, o l’antitrucco, delle cicatrici, quali garanzia delle sue parole e altrettante decorazioni del corpo: “spondere pro se tot cicatrices[9], totĭdem corporis decŏra”,  e, aggiunse, sono l’unico a non prendere parte del bottino.
Tale cultus incultus fa parte di quello stile della neglegentia (noncuranza di sé, sprezzatura)  di cui tratteremo più avanti (59, 2).

L'ambiguità del linguaggio e l' impossibilità di intendersi viene teorizzata  da Pirandello  nei Sei personaggi: "Ma se è tutto qui il male! Nelle parole!…come possiamo intenderci, signore, se nelle parole ch'io dico metto il senso e il valore delle cose come sono andate dentro di me; mentre chi le ascolta, inevitabilmente le assume col senso e col valore che hanno per sé, del mondo com'egli l'ha dentro! Crediamo d'intenderci; non ci intendiamo mai!"[10].
Luogo simile si trova nell'ultimo romanzo dell'Agrigentino, Uno, nessuno e centomila [11]: "il guajo è che voi, caro, non saprete mai, né io vi potrò mai comunicare come si traduca in me quello che voi mi dite. Non avete parlato turco, no. Abbiamo usato, io e voi la stessa lingua, le stesse parole. Ma che colpa abbiamo, io e voi, se le parole, per sé, sono vuote? Vuote, caro mio. E voi le riempite del senso vostro, nel dirmele; e io nell'accoglierle, inevitabilmente, le riempio del senso mio. Abbiamo creduto d'intenderci; non ci siamo intesi affatto" (p. 39).

L’ambiguità può riguardare una persona. Nerone.
Nerone si comportava da maschio eterosessuale con le amanti femmine, come la famigerata Sabina Poppea; probabilmente da maschio incestuoso e assassino con la madre, la non meno famigerata Agrippina; da omosessuale attivo con il giovinetto Sporo che sposò e pro uxore habuit, tenne come moglie; e da omosessuale passivo con il liberto Dorìforo, “cui etiam, sicut ipsi Sporus, ita ipse denupsit, voces quoque et eiulatus vim patientium virginum imitatus[12]   , al quale, come a lui stesso Sporo, si era dato in moglie, imitando anche i versi e i lamenti delle vergini sottoposte a violenza. Questo liberto per giunta ha un secondo nome: Tacito e Cassio Dione lo chiamano Pitagora.
Il ribelle Vindice parlò ai Galli dubitando che Nerone fosse un uomo: uno che si era maritato con Sporo e ammogliato con Pitagora: “ oJ Spovron gegamhkwv~, oJ Puqagovra/ gegamhmevno~[13].
Budicca regina degli Iceni (Britanni del nord est) nel 61 d. C. si ribellò ai Romani e pregando la dea Andraste le chiese di aiutarla a sconfiggere quella gente governata da donne: prima da Messalina, poi da Agrippina e da Nerone che porta un nome da uomo ma in realtà è una donna (e{rgw/ de; gunhv ejsti): i segni di questa sua identità sessuale sono il fatto che canta, suona la cetra, e si imbelletta: “shmei'on dev, a[/dei kai; kiqarivzei kai; kallwpivzetai[14].
Dunque tale Domizia Neronia (Nerwni;~ hJ Domitiva, 62, 6, 5) non regni più sui Britanni che sono veri uomini e tengono tutto in comune, anche i bambini e le donne, né sulle Britanne che hanno lo stesso valore dei maschi, ma sugli effemminati Romani, gente che si lava con l’acqua calda, che si ciba di bevande preparate, che beve vino puro, che si cosparge di unguento profumato, che si corica mollemente, oltretutto con i ragazzini, che è schiava di un citaredo, per giunta malvagio.  

Anche una situazione, o un intero dramma possono essere ambigui: “La puoi dire viva e che è morta anche”[15] .  
L’ambiguità è il cardine di Alcesti: il tessuto linguistico e la struttura teatrale sono a essa soggetti; l’azione è ambigua e si rievocano ironicamente i miti che negano la resurrezione. Ma cosa significa ambiguità? Nel rapporto tra significante e significato, la superficie del segno- la sua “icona”, la sua “forma”- oppure il suo significato, la sua sostanza, possono essere ambigui…Ambiguo in maniera diversa-a livello di significato- è il tappeto rosso sul quale cammina Agamennone nell’Orestea. Questo tappeto è un vero tappeto, tessuto di lana di pecora e colorato con succo di porpora, ma nello stesso tempo è il segno del sangue che Agamennone ha fatto sgorgare e che dovrà ora versare a sua volta. Il percorso sul tappeto rosso è un sacrificio blasfemo che offende gli dèi, e diventa contemporaneamente una reale cerimonia sacrificale non appena il celebrante si trasforma in vittima. Il tappeto rosso di Agamennone è il più vivo e il più ambiguo dei segni teatrali”[16].
Clitennestra sollecita il marito reduce “a compiere l’atto sinistramente ominoso (cosa alla quale Agamennone si decide solo dopo un serrato dialogo con la donna)”[17].
Sul tappeto rosso torneremo più avanti trattando la polisemia degli  oggetti.
“Ambiguo” è un aggettivo stupendo, che noi purtroppo usiamo sempre e solo in senso dispregiativo. In realtà ambiguo viene da ambo- e da agere, “ muovere entrambi”: significa quindi qualcosa che “muove” in sé almeno due significati, che non è univocamente comprensibile ovvero riconducibile a una cosa sola: che è quindi ricco, molto ricco!...la letteratura ti fa balenare sempre almeno un doppio significato: ti abitua all’ambiguità, che è ricchezza di significati ”[18]
Credo di avere riconosciuto un’eco del tappeto rosso nel film di Chaplin The great dictator (1940): Napoloni-Mussolini, in visita da Hynkel-Hitler, non è disposto a scendere dal treno se non gli distendono davanti un tappeto: “I never get out without a carpet”.

La polisemia delle parole può ostacolare la comunicazione, ma pure offrire opportunità didattiche preziose.
Sentiamo Fabrizio Frasnedi: "La dimensione infinita della significazione, l'impossibilità cioè, di catturare tutti gli echi e i rinvii che il dettato può suscitare, se da una parte costituisce la disperazione dei teorici, dall'altra è esperienza insostituibile e basilare per chi apprende, e si pone sul cammino di chi farà della lingua l'orizzonte della sua capacità interpretativa e creativa… le parole sono, insomma, terribilmente pesanti, poiché, come la punta di un iceberg, nascondono grappoli di ramificazioni, e ciascun ramo di ogni grappolo può portare molto lontano…Quando si costruiscono percorsi dentro la ramificata complessità dell'interpretazione, si compie un'altra scoperta fondamentale: quella della non automaticità della significazione. I lettori scopriranno con meraviglia che i loro viaggi, compiuti per dettare di senso il dettato linguistico del testo, non sono uguali. Le parole del testo erano uguali per tutti, eppure…Ecco una finestra fondamentale per poi, nella grammatica del significato"[19]. La collega Maria Silvana Celentano  ha suggerito, citando alcune parole di Aristotele[20], che l'ambiguità può giungere fino all'enigma producendo comunque apprendimento.
“Vi è la polisemia di un concetto che, enunciato in un senso, è inteso in un altro. Così, la parola “cultura”, vero e proprio camaleonte concettuale, può significare tutto ciò che, non essendo innato, deve essere appreso o acquisito: può significare gli usi, i valori, le credenze di un’etnia o di una nazione; può significare tutto ciò che producono gli umani, la letteratura, l’arte, la filosofia”[21].




[1] 130 ca.-180 ca
[2] 280 ca-205ca a. C.
[3] Notti attiche, XI 12.
[4] Ars, III,  127
[5] In 13. 2.
[6] Remedia amoris, 343.
[7] Remedia amoris, v. 344.
[8] Curzio Rufo, Historiae Alexandri Magni, III, 5, 2
[9] Cfr.  il console Mario, il quale, nel Bellum Iugurthinum  di Sallustio  dice che non può ostentare i ritratti degli antenati, ma trofèi di guerra “praeterea cicatrices advorso corpore” (85) e in più le cicatrici sul petto.
Le ferite spesso parlano: non sempre sono " dumb mouths "(Shakespeare, Giulio Cesare , III, 2) , bocche mute, come quelle di Cesare assassinato. "Una ferita è anche una bocca. Una qualche parte di noi sta cercando di dire qualcosa. Se potessimo ascoltarla! Supponiamo che queste "intensità sconvolgenti siano una sorta di messaggio: sono "cicatrici", ferite, che segnano la nostra vita" ( J. Hillman, Il piacere di pensare , p. 66)
[10] Sei personaggi in cerca d'autore  ( parte prima). Parla il personaggio del Padre. La commedia andò in scena la prima volta il 10 maggio 1921 al teatro Valle di Roma.
[11] Pubblicato a puntate sul settimanale "La fiera letteraria" nel 1926.
[12] Svetonio Vita di Nerone, 28.
[13] Cassio Dione, Storia romana, 63, 22, 4
[14] Cassio Dione, Storia Romana, 62, 6, 3.
[15]kai; zw'san eijpei'n kai; qanou'san e[sti soi” (Euripide, Alcesti,  v. 141).
[16] Jan Kott, Mangiare Dio, p. 142.
[17] V. Di Benedetto (introduzione a) Eschilo, Orestea, p. 26.
[18] P. Mastrocola, La scuola raccontata al mio cane, p. 102 e p. 103.
[19] F. Frasnedi, La lingua le pratiche la teoria p. 29 e  p. 30.
[20] Il quale nella Retorica afferma che gli enigmi ben fatti sono piacevoli poiché si produce apprendimento e si esprime una metafora  :"mavqhsi" ga;r, kai; levgetai metaforav"1412a.   
[21] Morin, I sette saperi, p. 99.

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