martedì 16 settembre 2014

"Generazioni" di Remo Bodei, parte XIII della presentazione

Presentazione del libro di Remo Bodei

Generazioni Età della vita, età delle cose.  Editori Laterza, Roma-Bari 2014.

Presentazione del libro di Remo Bodei
Presento il  primo capitolo (pp. 79-84) della  III parte di Generazioni: Ereditare e restituire.
Sarò sintetico, tanto più che domani alle 18 ci sarà la presentazione  dell’intero libro nella Feltrinelli di piazza di porta Ravegnana di Bologna, con l’autore, Francesca Emiliani , Walter Tega, e, quarto tra cotanto senno, il sottoscritto.
Bodei ci parla dell’eredità, quello che dobbiamo lasciare sulla terra dal momento che “come recita un proverbio tedesco, “l’ultimo vestito non ha tasche”, o, come ricorda Orazio: “a nessuno è dato l’uso perpetuo delle cose, ma a un erede succede un altro, come onda a onda”[1]. (p. 79)
Quid vici prosunt aut horrea?”A che giovano le tenute o i granai?-continua Orazio-, quidve Calabris/saltibus adiecti Lucani, si metit Orcus/grandia cum parvis, non exorabilis auro?” (vv. 177-179) o i pascoli lucani aggiunti ai calabri se l’Orco miete i grandi non i piccoli e non è esorabile con l’oro?

 Pure Papa Francesco di recente ha detto: “il sudario non ha tasche”.
C’è dunque l’istituzione dei testamenti.
L’autore cita  anche la quarta strofe alcaica dell’Ode II, 3 di Orazio: “cedes coemptis saltibus et domo/villaque, flavus quam Tiberis lavit,/cedes, et exstructis in altum /divitiis potietur heres” (vv. 17-20), ti allontanerai dai pascoli acquistati durante tutta la vita e dal palazzo e dalla villa di campagna che il biondo Tevere lava, ti allontanerai, e l’erede si impadronirà delle ricchezze ammucchiate fino al soffitto.
Insomma: “omnes eodem cogimur” (v. 25, tutti veniamo spinti nello stesso ammasso.

Bodei quindi etimologizza la parola heres facendo due ipotesi: “sembra derivare, etimologicamente, o dalla radice indoeuropea *ghar, che significa “tenere”, “prendere”(…) oppure, secondo la congettura del linguista e filologo ottocentesco Franz Bopp, dalla forma indebolita del greco cheros, “vuoto”, “privo”, “spoglio”, “deserto), che indica, perciò, l’abbandonato, “il diventato orfano”[2] (p. 80).
Dalla radice indoeuropea *gher- deriva, nel greco chr-/cwr-, da cui  anche chvra, “vedova, cwrivzw, “separo” e cwrivς, “separatamente”.
Con il tempo il potere illimitato del testatore è stato via via ridotto dalle leggi.
“E’ stata limitata la volontà del testatore e ne è stato cancellato l’arbitrio, a partire dall’abolizione dell’antico ius utendi et abutendi re sua e dell’istituzione della “legittima”, garantendo in tal modo l’eguaglianza dei diritti inalienabili di eredità del coniuge sopravvissuto e della prole (con l’inclusione, in tempi più recenti, dei figli nati fuori dal matrimonio)” (p. 81).
“Il testamento, del resto, travalica l’ambito giuridico” (p. 83).
C’è l’arcinota “eredità d’affetti” di Foscolo[3] e ci pure sono “i defunti del cimitero di Nuoro-“gente sparita dalla terra e dalla memoria, gente dissolta nel nulla”, come è stata, e diventerà, la quasi totalità dei viventi” (p. 83)
Questi morti “chiedono, ne Il giorno del Giudizio, al loro concittadino Salvatore Satta di essere raccontati” (p. 83)
Con il testamento cerchiamo “di venire a patti con l’inevitabile, facendo sì che almeno una parte di noi, proiettata sulle cose, ci sopravviva e ci ricordi. D’altronde, prima dell’addio a tutto, la nostra esistenza sperimenta continuamente la separazione: dal corpo della madre, dai genitori, dagli amici, da noi stessi come eravamo nel passato” (p. 84).
Tutta la vita umana “è un alternarsi di separazioni e ricongiungimenti, di fratture e di saldature, di addii del passato e di scoperte del nuovo.
Tranne nell’ultimo atto, quando cala il sipario”.
Il testamento “è un ponte gettato verso il futuro di chi ci sopravvive”.
Per oggi mi fermo qui, alla fine del primo capitolo.
Presenterò i rimanenti e racconterò l’incontro di domani con l’autore, nella prossima puntata.

Giovanni Ghiselli


[1] Orazio, Epistulae, 2, 2, vv. 175-176: “ perpetuus nulli datur usus et heres/Heredem alterius velut unda supervenit undam
[2] M. Cacciari propende per questa seconda ipotesi nel suo “Il peso dei padri, in Eredi. Ripensare i padri, a cura di I. Dionigi, Rizzoli, Milano 2012, p. 28.
[3] Dei Sepolcri, v. 41

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