giovedì 2 novembre 2017

I classici in Thomas Mann. "Tonio Kröger" e "Tristan". II parte

Tonio Kröger di Rolf Thiele

Tonio va al nord fino a Copenaghen, al Tivoli dove vede occhi azzurri e capelli biondi, mentre lui aveva preso dalla madre un viso dal taglio meridionale e aveva i lineamenti già profondamente marcati. E si reca in riva al mare di fronte alla costa svedese dove vede le immagini di Hans ardito e ben fatto e di Inge, la bionda Inge che rideva in modo petulante, gettava il capo da un lato e sollevava alla nuca una mano da ragazzina, nulla di eccezionalmente bello, nulla di eccezionalmente fine (VIII).

Claudia attraversava la sala: una ragazza di statura media con sweater bianco (ampio pullover sportivo di lana pesante), gonna colorata e capelli biondo rossicci raccolti in trecce avvolti intorno alla testa. Si muoveva con passo curiosamente morbido e sinuoso e il capo un poco proteso in avanti. Si diresse al tavolo dei Russi buoni tenendo una mano nella tasca della giacca di lana e portando l’altra alla nuca per sostenere e ravvivare i capelli, Hans osservò la mano: “aveva un che di primitivo e infantile come la mano di una scolaretta, le unghie tagliate alla bell’e meglio e ai lati la pelle irruvidita come se avesse avuto il vizietto di rosicchiarle
(La montagna incantata, III Ma certo una donna! ).
Non donne rifatte sui romanzi dunque, cfr, l’invettiva di Ippolito che considera la saccente pessima tra le donne:
 “E' più facile per quello con il quale si è messa in casa una nullità, che del resto è una donna inutile per la stoltezza. La saccente poi la detesto - sofh; n de; misw' - 640; che non stia in casa con me una donna la quale pensi più di quanto a una donna convenga. Infatti l'operare malvagio Cipride lo fa nascere più nelle saccenti”

Quindi Tonio sente la nostalgia e pensa che ha sempre lavorato per loro. Avrebbe voluto essere come loro, sposare Inge e avere un figlio come Hans, vivere e amare in letizia, libero dalla maledizione del conoscere e dal tormento creativo.
 Lui però si era sviato e doveva danzare la danza dei coltelli dell’arte invece di vivere con gioia. Scrive a Lizaveta e riconosce che lui era un borghese sviatosi nell’arte un artista con rimorsi di coscienza. Era nato da un padre nordico riflessivo, scrupoloso e da una madre bella, sensuale, spontanea, indolente e appassionata.
Tonio amava quella madre bruna e focosa che suonava così bene il pianoforte e il mandolino ed era lieto che ella non si rammaricasse “della posizione così strana che egli occupava tra gli uomini”
 E la sua coscienza borghese guardava con sospetto il suo essere artista.
Come artista cerco la bellezza, come borghese cerco l’umano.
Un letterato è anche un poeta se ama l’umano e l’ordinario.
E’ necessario l’amore del quale è scritto che chi ne fosse privo non sarebbe che un rame risonante o un tintinnante cembalo anche se sapesse parlare tutte le lingue degli uomini e degli angeli. ( jEa; n tai'" glwvssai" tw'n ajnqrwvpwn lalw' kai; tw'n ajggevlwn, ajgavphn de; mh; e[cw, gevgona calko; " hjcw'n hj; kuvmbalon ajlalavzon. Paolo I Lettera ai Corinzi: 13, 1)

(Paolo Lettera I, ai Corinzi, 3, 18): “si quis videtur sapiens esse inter vos in hoc saeculo, stultus fiat, ut sit sapiens, Sapientia enim huius mundi stultitia est apud Deum

 jH ga; r sofiva tou kovsmou touvtou mwriva para; tw/`` qew/`/ ejstin

“Il mio più fondo e riposto amore va ai biondi, agli occhiazzurrini, ai luminosamente vivi, ai felici, amabili ordinari”.

 T. Mann ripropone quella unità umanistica di letteratura e borghesia che era stata il centro dell’età di Goethe.
Il mondo meridionale della madre rappresenta l’estetismo e la sensualità senza coscienza e lo scrittore in una certa fase è l’esteta narcisista che ama in se stesso la madre e la madre in se stesso
Il viaggio in Danimarca è il ritorno al mondo ordinato del padre borghese. In questo senso Tonio è il degno figlio di Thomas Buddenbrook. La condizione di questa sintesi è la dura disciplina del lavoro quotidiano. Il vero artista deve rendere un servizio alla società, non limitarsi a rappresentare la propria umanità deforme.
Goethe il Dichterfürst, il principe dei poeti della Germania guglielmina è il suo modello.

Goethe quale esponente dell’età borghese è un saggio atto di una conferenza tenuta il 18 marzo del 1932 a Berlino nella Accademia prussiana delle Arti.
Goethe incarna una Bildung (die) che riunisce in sé cultura e natura, una sintesi tra arte e scienza. Il mondo degli zingari dionisiaci nel Meister è il punto di partenza di una progressione culturale.
In Goethe c’è il culto del tempo che utilizza ogni minuto come i Seneca
Vindica te tibi et tempus (…) collige et serva (1, 1) Omnes horas complectĕre (1, 2) Omnia, Lucili, aliena sunt, tempus tantum nostrum est (1, 4) sera parsimonia in fundo est. (Seneca, Ep. 1, 5)
Un vecchio che voglia lavorare non può lasciarsi distrarre per piacere ad altri. Se lo fa, non piacerà affatto ai posteri. Cfr. Seneca: “Secessi non tantum ab hominibus sed a rebus, et in primis a meis rebus: posterorum negotium ago (Ep. 8, 2)

Ogni superfetazione o esaltazione poetica è aliena dal suo stile che cerca la più limpida fusione tra Eros e Logos. La parola non è in lui ampollosa, altisonante, solenne, sacerdotale o patetica.
Lo spirito del reale diceva G. è il vero reale. Il suo contrasto con Schiller è simile all’opposizione tra la plasticità omerica di Tolstoi e l’irrealismo apocalittico di Dostoevkij. Chi non congiunge l’estrema sensibilità a un’eccezionale resistenza sarà esposto a continue malattie. La vitalità del genio sta in questa sintesi tra sensibilità e resistenza.
La poesia deve offrire sanità e affermazione di vita. Goethe schernisce la poesia da ospedale dei contemporanei.
Egli vi oppone la poesia tirteica che agguerrisce per vincere le lotte della vita. I francesi sono dei pedanti poiché non sanno uscire dalla forma, mentre i tedeschi amano la morte (cfr. Tacito) G. ama la vita e ama l’ordine, disprezza la stupidità e l’oscurantismo.
La gentaglia umana, scrive nel Meister, nulla teme quanto la ragione, mentre dovrebbe avere paura della stoltezza. Ho dovuto apprendere la grandezza con la fatica.
Mann definisce Goethe, Schopenhauer, Wagner e Nietzcshe le stelle fisse della nostra giovinezza, la coscienza di cui siamo orgogliosi poiché ogni coscienza di derivazione nello spirito è aristocrazia: l’artista deve avere una provenienza, deve sapere da dove deriva!
Cfr, Eschilo e Callimaco
La coscienza di non dire nulla di completamente nuovo si trova già negli autori antichi: Eschilo[1] diceva che le sue tragedie erano fette del grande banchetto omerico (Aijscuvlo" o}" ta; " auJtou' tragw/diva" temavch ei\nai e[legen tw'n JOmhvrou megavlwn deivpnwn"[2]); Callimaco[3] afferma: "ajmavrturon oujde; n ajeivdw"[4], non canto nulla che non sia testimoniato

Goethe  insegna a sottrarsi alla roba morta, al fradicio sentimentalismo filisteo per amare quanto è vivo.
Vero è pure che T. Mann ha scritto che l’artista è abituato a rappresentare la propria vita in simboli e conduce, come un principe, un’esistenza simbolica, di rappresentanza. Quidi è triviale ciò che è comune

Nel Tristan del 1903 si chiarisce fino all’esasperazione caricaturale l’opposizione tra sanità borghese e lo pseudo artista dilettante.
Spinell è un’oggettivazione caricaturale della malattia della decadenza, il puro pseudo artista buffone e ciarlatano, mentre la sanità borghese, anche troppo sana, trionfa alla fine nel faccione rubicondo del piccolo Klöterjahn. Spinell denigra il marito sano della donna tisica come ghiottone plebeo, Ercole da fiera e il figlio creatura nerboruta e sciocca dal normale funzionamento amusuicale; mentre l’uomo sano squalifica il finto artista come tartufo bislacco (matto).
L’Ercole ghiottone si trova nella commedia Busiride di Epicarmo e nell’Alcesti di Euripide. In questa tragedia il ghiottone Ercole salva la vita di Alcesti che il marito ospitale e beneeducato aveva mandato a morire in vece sua
Tristano è ambientato in un sanatorio “La quiete”. Spinell è pure chiamato poppante putrefatto.


Bologna 29 ottbre giovanni ghiselli

FINE



[1] 525 - 455 a. C.
[2] Ateneo (II - III sec. d. C. ) I Deipnosofisti, VIII, 39.
[3]305 ca - 240ca a. C.
[4] Fr. 612 Pfeiffer. 

1 commento:

Il caso Vannacci e la doverosa difesa della parresia.

  Sono in disaccordo su tutto quanto dice,   scrive e forse pensa il generale Vannacci, eppure sostengo la sua libertà di parola, come...