martedì 14 settembre 2021

La storia di Päivi 27. L’olocausto della mosca

Dopo la dipartita della donna pregnante, feci un giro per il paese scrutando i pochi passanti bianchi quanto le erme funerarie, mentre tutte le vie si abbuiavano nel crepuscolo freddo. Speravo di vedere e riconoscere la dolce e bella Helena, o almeno una che le somigliasse, magari con un bambino di due anni e mezzo, e senza quel Puntila padre. Ma non la incontrai. Quindi tornai nel collegio studentesco. 
Andai a salutare un’amica di Päivi, conosciuta e frequentata nel lungo, sitibondo, felice mese di Debrecen. Si chiamava Anneli: era bionda, carina, gentile. Mi accolse con simpatia, quale benevola Eumenide, e, dopo i saluti, riprendemmo un discorso sulla storia romana che a lei interessava. Mi faceva domande, mi ascoltava con attenzione, e replicava con intelligenza. Ne ricavai la sensazione angosciante di avere più cose da dire con lei che con la donna incinta di me, rimasta spesso silente e quasi ostile come un’Erinni, da quando mi aveva visto arrivare, forse già inopportuno, in Finlandia. 

Verso le dieci tornai nel monolocale e scrissi una lettera ad Antonella, l’amica romana dell’ultima Debrecen, descrivendole la mia situazione sentimentale e mentale penosa, e chiedendole cosa dovevo fare, una volta tornato in Italia. La mia confusione era totale. Mi consiglierà di studiare il finlandese e di sposare Päivi che era la donna giusta per me. Quattro anni più tardi l’amica, forse ricreduta, mi ospitò per una notte d’amore con la supplente - amante Ifigenia, mediterranea, mora, abbronzata, calda, vivace - durante una gita scolastica a Roma. Avevamo affidato i nostri allievi a dei colleghi più seri di noi due, a vizio di lussuria tanto rotti da posporre ogni funzione alla libidine. 
Quando ebbi concluso la lettera, affettai e mangiai del salame, non molto invero, ma bevvi un’altra birra non piccola, e bruciai sadicamente, completamente, una mosca che mi disturbava parecchio. Prima di andare a letto, feci gesti futili per impiegare il mio tempo inutile con qualche parvenza di attività. L’abito letterario mi fece venire in mente “ ho misurato la mia vita a cucchiaini di caffè”[2]. 
Veramente già in questa occasione tragica, come poi la notte del pozzo di Vernicino, tra il 12 e il 13 giugno del 1981, pensai che dovevo scrivere una storia d’amore, anzi la storia delle mie storie d’amore con le finlandesi. “Vennero donne con proteso il cuore/ognuna dileguò, senza vestigio”[3], poteva essere l’epigrafe. Con il passare del tempo infatti diverse donne, e donne diverse, mi avrebbero dato retta per un poco di tempo. Poi mi avrebbero lasciato solo tutte quante, tranne un paio lasciate da me. Con il volgere delle stagioni ho imparato a preferire la solitudine al tedio insopportabile che mi infligge una persona non buona. Uomo o donna che sia. Chissà se loro pensavano invece che a dileguarmi invece ero stato sempre io? 

Tornato in Italia, cercai di iniziare il racconto di queste storie, ma non avevo i mezzi, cioè le grandi letture necessarie per esprimere sentimenti pur forti in maniera interessante per chi non li aveva vissuti. Il mio pathos senza cultura era soggettivo, noioso, o ridicolo. Gli mancava la dimensione e la categoria dell’Universale necessaria per farsi leggere. Me ne resi conto e rinunciai a scrivere, per studiare e imparare dalla mattina alla sera. L’amore per Päivi non mi lasciava desiderare altre femmine umane. Tanto meno dei maschi umani o bestiali, lettore, non equivocare! Dovevo studiare per diventare degno di lei. La mia testa funzionava così. 


Pesaro 14 settembre 2021 ore 17, 27 
giovanni ghiselli 
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[2] Cfr. T. S. Eliot, The love song of J. Alfred Prufrock: “ I have measured out my life with coffee spoons”, v. 51
[3] Guido Gozzano, La signorina Felicita ovvero la Felicità, v. 259. 

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