Già docente di latino e greco nei Licei Rambaldi di Imola, Minghetti e Galvani di Bologna, docente a contratto nelle università di Bologna, Bolzano-Bressanone e Urbino. Collaboratore di vari quotidiani tra cui "la Repubblica" e "il Fatto quotidiano", autore di traduzioni e commenti di classici (Edipo re, Antigone di Sofocle; Medea, Baccanti di Euripide; Omero, Storiografi greci, Satyricon) per diversi editori (Loffredo, Cappelli, Canova)
NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica
Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica
LE NUOVE DATE! Protagonisti della Storia Antica | Biblioteche Bologna - Tutte le date link per partecipare da casa: meet.google.com/yj...
lunedì 13 settembre 2021
Introduzione alla Commedia antica. La ripropongo per chi non l’avesse ancora letta.
13 settembre 2021
La Commedia attica viene tradizionalmente divisa in tre tipi : la Commedia antica che va dalle origini agli inizi del IV secolo,
la Commedia di mezzo, fino al 325 circa,
e quella nuova che arriva fino alla metà del III secolo in lingua greca, poi viene ripresa in latino dai drammi di Plauto e Terenzio.
La Poetica di Aristotele afferma che la tragedia vuole imitare (mimei'sqai bouvletai) personaggi migliori di quelli reali (beltivou") mentre commedia è imitazione di uomini peggiori di quelli reali ( ceivrou" tw'n nu'n, 1448a), ossia volgari e tali che non suscitano tanto lo sdegno quanto il riso provocato dalla visione del ridicolo, "Il ridicolo infatti" (to; ga;r geloi'on) spiega il filosofo "è qualche cosa di sbagliato e una deformità indolore e non dannosa " ( aJmavrthma ti kai; ai\sco" ajnwvdunon kai; ouj fqartikovn 1449a).
L'errore a dire il vero viene menzionato anche per i personaggi tragici (ajmartiva, 1453a); la differenza è che nei loro confronti deve nascere pietà e terrore per la loro disgrazia (dustuciva) causata da sbagli appunti, non da vizio malvagità (dia; kakivan kai; mocqhrivan) , mentre la maschera ridicola è qualche cosa di deforme e stravolto senza sofferenza (to; geloi'on provswpon ajscrovn ti kai; diestrammevnon a[neu ojduvnh", 1449a).
La commedia dunque è mivmhsi" faulotevrwn imitazione di personaggi più incapaci del necessario, ed è l'assenza di pietà che contraddistingue la commedia dalla tragedia.
Hegel nella sua Estetica sostiene che "sono propri del comico l'infinito buon umore in genere e la sconfinata certezza di essere ben al di sopra della propria contraddizione...ossia la beatitudine e l'essere a proprio agio della soggettività che, certa di se stessa, può sopportare la dissoluzione dei suoi fini e delle sue realizzazioni"(p.1591). Il comico è il soggettivo che non soffre delle sue contraddizioni. Può essere uno scopo meschino perseguito con serietà e non raggiunto senza sofferenza. Oppure individui frivoli che si pavoneggiano mentre tendono a fini seri, come le Ecclesiazuse.
Nel crollo di tutti i valori politici rimane quello della soggettività (cfr. nel tragico Seneca: Medea superest ).
Ancora una volta il personaggio della commedia non suscita pietà. Viene fatto l'esempio delle Ecclesiazuse di Aristofane, le donne a parlamento che"vogliono deliberare e fondare una nuova costituzione" ma "conservano tutti i loro capricci e passioni di donne"(p. 1592).
Invece nella commedia nuova di Menandro entrerà la compassione ed essa, esclusa dal comico, verrà inclusa nell'umorismo del noto saggio su L’umorismo di Pirandello :"Vedo una vecchia signora, coi capelli ritinti, tutti unti non si sa di quale orribile manteca, e poi tutta goffamente imbellettata e parata d'abiti giovanili. Mi metto a ridere. Avverto che quella vecchia signora è il contrario di ciò che una vecchia rispettabile signora dovrebbe essere...Il comico è appunto un avvertimento del contrario. Ma se ora interviene in me la riflessione, e mi suggerisce che quella vecchia signora non prova forse nessun piacere a pararsi così come un pappagallo, ma che forse ne soffre e lo fa soltanto perché pietosamente s' inganna che, parata così, nascondendo così le rughe e la canizie, riesca a trattenere a sé l'amore del marito molto più giovane di lei, ecco che io non posso più riderne come prima, perché appunto la riflessione, lavorando in me, mi ha fatto andar oltre a quel primo avvertimento, o piuttosto, più addentro: da quel primo avvertimento del contrario, mi ha fatto passare a questo sentimento del contrario. Ed è tutta qui la differenza tra il comico e l'umoristico".
Gli altri 2 esempi: Marmeladov di Delitto e castigo e Sant’Ambrogio di Giusti.
Cfr. la terapia del rovesciamento, mettersi nei panni degli altri.
A questo proposito sentiamo Leopardi: “gli scolari partiranno dalla scuola dell’uomo il più dotto, senz’aver nulla partecipato alla sua dottrina, eccetto il caso (raro) ch’egli abbia quella forza d’immaginazione, e quel giudizio che lo fa astrarre interamente dal suo proprio stato, per mettersi ne’ piedi de’ suoi discepoli, il che si chiama comunicativa. Ed è generalmente riconosciuto che la principal dote di un buon maestro e la più utile,non è l’eccellenza in quella dottrina, ma l’eccellenza nel saperla comunicare” .
Il sentimento del contrario è dunque una forma di compassione, in senso etimologico.
Il comico nasce dalla superiorità in cui viene a trovarsi il pubblico rispetto all'attore : deriva dunque dalla differenza di significato che le parole hanno nella bocca e nelle intenzione di chi le pronuncia rispetto all'intendimento di chi le ascolta, più avanzato, siccome a maggiore conoscenza dei fatti. Il riso allora scaturisce dalla soddisfazione dello spettatore il quale si sente superiore poiché non partecipa del ridicolo o (nella tragedia) delle sofferenze o del che colpiscono il personaggio.
Ma, tornando alla Poetica di Aristotele e alle origini della commedia, questa nacque da "coloro che dirigevano i canti fallici"(1449a).
I Dori rivendicano l'invenzione della commedia etimologizzandola con il vocabolo dorico kwvmh (villaggio): il nome sarebbe derivato dal fatto che gli attori passavano kata; kwvma", di villaggio in villaggio.
L'altra etimologia possibile, pur se scartata dai Dori, è quella che collega commedia con il verbo kwmavzw (faccio baldoria) e con il sostantivo kw'mo" (processione bacchica).
Ne risulta la possibile origine campagnola di un genere dai contenuti licenziosi e mordaci che sembra anticipare i Fescennini romani: "versibus alternis opprobria rustica ", insulti rustici in versi alterni, come li definisce Orazio (Epistole II, 1,146).
Certo è il collegamento del dramma, sia comico sia tragico, con i riti della fertilità e con il culto di Dioniso, un dio la cui rinascita costuiva al tempo stesso una speranza di resurrezione per i suoi seguaci e un simbolo della vicenda delle messi o della vegetazione in genere connessa all'eterno alternarsi delle stagioni.
Cfr. Ammiano Marcellino sulle feste ad Antiochia per la morte di Adone quod in adulto flore sectarum est indicium frugum "(Storie, XXII, 9, 15).
Quanto ai primi autori di commedie, Aristotele fa i nomi di Epicarmo e Formide, entrambi vissuti a Siracusa nella prima metà del V secolo; quindi commenta:"perciò la commedia, almeno per quanto riguarda il comporre i racconti è venuta in principio dalla Sicilia"(to; de; muvqou" poiei'n ejx ajrch'" ejk Sikeliva" h\lqe, 1449b).
Era comunque una Sicilia greca e dorica, e viene a proposito la Satira III di Giovenale dove il corrucciato moralista esprime la sua indignatio nei confronti dell'odiata stirpe dei Graeculi affermando:"natio comoeda est ", è una razza di commedianti (v. 100).
Di Epicarmo (524-435) ci restano titoli e frammenti con parodie mitologiche, una delle quali, appartenente al Busiride rappresenta quell'Eracle dorico, rude, gagliardo, formidabile nel divorare e nel bere che si troverà anche nell’Alcesti di Euripide, ai vv. 759 e sgg.).
"Se lo avessi visto mangiare saresti morto!
Tuona la gola, strepita la mascella,
rumoreggia il molare, stride il canino,
fischiano le narici, sventolano le orecchie (Busiride, fr. 21 Kaibel).
Probabilmente la perdita dell'opera di Epicarmo siracusano è un fatto grave per la letteratura: Platone definisce il commediografo siciliano il miglior autore comico, mentre Omero sarebbe il tragico migliore (tw'n poihtw'n a[kroi th'ς poihvsewς eJkatevraς kwmw/divaς me;n J Epivcarmoς, tragw/divaς de; {{Omhroς, Teeteto (152e)
Sarebbe stato interessante studiarne quell'elemento mimico che prosperava nell'Occidente greco. Un aspetto che venne ulteriormente sviluppato da Sòfrone, siracusano pure lui, vissuto nel V secolo e autore di mimi anch'essi tenuti in alta considerazione da Platone che li aveva sotto il cuscino e che "conformò al suo stile alcuni caratteri" secondo la notizia di Diogene Laerzio (Vite dei filosofi , III, 18).
I mimi erano dialoghi che imitavano (mimevomai) realisticamente scene di vita quotidiana: dai frammenti e dai titoli si può fare l'ipotesi che Sofrone abbia lasciato un segno sui mimi di Teocrito il cui influsso sarà grande nella poesia europea, da Virgilio a Leopardi. Si può pensare anche ai mimiambi di Eroda (III sec. a. C., mimi scritti in coliambi)
Ci siamo soffermati un momento sui poeti sicilioti per suggerire possibili connessioni con forme predrammatiche italiche e italiote, come i già citati Fescennini, o come le Atellane , rozzi spettacoli originari di Atella, in Campania, basati su canovacci, trame schematiche e rudimentali, con maschere fisse, oppure i fliàci, (ijlarotragw/diva) tragicommedie, parodie di tragedie, di argomento mitologico e popolare diffusi nella Magna Grecia dove vennero portati a dignità da Rintone di Taranto (fine del III sec. a. C.).
A tutte queste forme vengono attribuiti quei sapori forti, quell'italum acetum che contraddistingue la commedia letteraria di Plauto rispetto ai modelli Greci della Commedia nuova. Ma tra questi autori italioti e sicelioti il più importante rimane Epicarmo del quale Orazio scrisse che fu un modello per Plauto:"Plautus ad exemplar Siculi properare Epicharmi ", Plauto si affretta dietro il modello del siciliano Epicarmo (Ep. II, 1, 58).
Aristotele (1448a) nomina Chionide e Magnete come autori attici più antichi, anche se comunque più recenti di Epicarmo (Poetica 1448a).
Scene comiche del resto si trovano già in Omero.
Nell’VIII canto dell’Odissea c’è l’adulterio di Ares e Afrodite, la loro buffa punizione e il conseguente inestinguibile riso a[sbestoς gevlwς (VIII, 326) degli dèi. Nel secondo dell’Iliade viene coperto di ridicolo Tersite folkovς, strabico, cwlo;ς d j e{teron povda , zoppo di un piede (Iliade, I, 217), foxo;ς kefalhvn, dalla testa aguzza e mezzo pelata (v. 219)
Chionide avrebbe vinto il primo concorso comico celebrato alle grandi Dionisie (festa di fine marzo, la più importante per il teatro) del 486.
Di Magnete, il collega Aristofane, nei Cavalieri (vv. 520 e sgg.) ricorda che da vecchio perse il favore del pubblico poiché "è rimasto lontano dal motteggiare"( o{ti tou' skwvptein ajpeleivfqh, 525) che gli aveva fatto vincere tanti trofei. Erano dunque contemporanei di Epicarmo.
La canzonatura (to; skwvptein) era una componente essenziale e gradita al pubblico dunque .
Autori successivi a questi furono Cratete e Cratino.
Aristotele dice che Cratete abbandonò per primo la commedia di invettiva, dal motteggio aggressivo, e trattò argomenti generali (Kravthς prw'toς ajfevmenoς th'ς ijambikh'ς ijdevaς Poetica , 1449b). Riportò la prima vittoria nel 449.
Aristofane nei Cavalieri ricorda che " con piccola spesa offrendovi la colazione vi congedava, impastando dalla bocca squillante pensieri pieni di urbanità (ajpo; krambotavtou stovmato" mavttwn ajsteiotavta" ejpinoiva" , 539), e, forse per questo, ebbe a subire ire e maltrattamenti del pubblico, pur senza cadere sempre ma restando anche in piedi ( tote; de; pivptwn, tote; d j oujciv, 540).
Con Cratìno siamo arrivati alla triade canonica dei massimi autori del dramma attico consacrati da Orazio in un famoso esametro:"Eupolis atque Cratinus Aristophanesque poëtae "(Satire , I, 4, 1).
Orazio prosegue dicendo di questi autori della commedia antica: “si quis erat dignus descrībi quod malus aut fur-quod moechus foret aut sicarius aut aliōqui-famosus multa cum libertate notabant” (vv- 3-5). Cfr. la parrhsiva dei Greci.
Lucilio (II sec. a. C.) li seguì ma scorreva lutulentus, limaccioso “nam fuit hōc vitiosus: in hora saepe ducentos versus dictabat stans pede in uno” (9-10).
Cratìno è il più anziano dei tre. Anche della sua decadenza Aristofane parla nei Cavalieri ricordando che un tempo fioriva (530), ma oramai si ritrova
"con una corona secca in testa e morto di sete"( divyh/ d j ajpolwlwv", v.534), lui che per le antiche vittorie meritava di bere nel Pritaneo. Cratino però era ancora capace di vincere e nell'agone del 423 non solo si difese dalle accuse di Aristofane ma sconfisse le Nuvole del rivale più giovane con il Fiasco (Putivnh), un'autocanzonatura nella quale la Commedia, moglie legittima del poeta lo accusava di tradirlo con l'Ebbrezza, di correre dietro ai vinelli giovani, ed egli rispondeva che un bevitore d'acqua non avrebbe potuto creare mai niente di bello.
E' interessante il fatto che Cratino osò prendere di mira Pericle accusandolo di fomentare la guerra in combutta con Aspasia e sfottendolo con il chiamarlo "Zeus dalla testa di cipolla", un epiteto che metteva in caricatura la forma allungata del suo cranio. Interessante è anche il verbo coniato da Cratino: eujripidaristofanivzein, "euripidaristofaneggiare" per significare che i due autori non erano poi tanto diversi quanto voleva fare credere il commediografo il quale nelle Rane renderà omaggio al collega già morto chiamandolo:"Cratino il divoratore del toro"(Taurofavgo" v. 357), per esaltare la sua vocazione dionisiaca con un epiteto che veniva attribuito allo stesso Dioniso.
Eupoli era coetaneo di Aristofane, nacque dunque intorno alla metà del V secolo, ma morì diversi anni prima del collega (intorno al 410): una leggenda tramandata da Cicerone in una lettera ad Attico (VI, 1, 18 ) narra che secondo parecchie testimonianze fu gettato in mare da Alcibiade mentre navigava verso la Sicilia ( ab Alcibiade navigante in Siciliam deiectum esse in mare). Cicerone non dà la notizia per certa, sebbene molto divulgata
Alcibiade viene presentato come damerino eccentrico nella commedia gli Adulatori che criticava i sofisti riuniti nella casa del ricco Callia, la dimora dove è pure ambientato il Protagora di Platone e il Simposio di Senofonte.
Alcibiade non fu l'unico capo di parte democratica a costituire un bersaglio per gli strali di Eupoli che, di tendenza conservatrice al pari di Aristofane e Cratino, se la prese con i più noti demagoghi: con l'Età dell'oro (del 424) attaccò Cleone divenuto il beniamino del popolo dopo il successo di Sfacteria (425) e dopo avere portato la paga eliastica da due a tre oboli; più tardi, morto il becero cuoiaio ad Anfipoli (nel 422), Eupoli levò le armi della parola contro il nuovo trascinatore della massa, Iperbolo, nel Maricante (del 421), nome di un noto invertito ateniese.
Con Aristofane dunque Eupoli condivise l'ideologia, ma i due drammaturghi si scambiarono anche accuse di plagio: il primo nelle Nuvole accusa il rivale di avere saccheggiato i Cavalieri :
"Eupoli per primissimo portò in scena il Maricante travestendo i miei Cavalieri malamente il maligno con l'aggiunta di una vegliarda ubriaca che ballava il trescone"(vv. 553-555). Questa sarebbe stata la madre di Iperbolo.
Eupoli del resto nei Battezzatori affermò di avere scritto personalmente una parte dei Cavalieri .
L'ultima commedia di questo autore fu i Demi (del 412) dove c'è il motivo che si ritrova nelle Rane : quello di riportare sulla terra dei morti: in questo caso i grandi politici del passato: Solone, Milziade, Aristide e Pericle che veniva rivalutato rispetto ai Prospalti la sua prima opera (429 a.C.), dove usò l'amante straniera di Pericle, Aspasia, come capro espiatorio per la guerra del Peloponneso, confrontandola con Elena di Troia.
Come si vede la parrhsiva, libertà di parola e di critica non aveva limiti e i commediografi potevano prendersela con i potenti anche in tempo di guerra.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento