NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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sabato 25 settembre 2021

Le Rane di Aristofane. XXIV parte. La storia di Stenebea, simile a quelle di Fedra e della moglie di Putifarre

Anthea di Nasso, Stenebea
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Eschilo: mhde; g j ejpeivh (1045), non sia mai. Su te e sui tuoi invece si è buttata di peso, tanto da distruggerti .


Alla dea Afrodite che, fin dal primo verso  dell'Ippolito  di Euripide, si presenta come divinità possente e non senza fama, la  nutrice di Fedra attribuisce una forza d'urto ineluttabile  :" Kuvpri" ga;r ouj forhto;n h]n pollh; rJuh'/-(revw)" (v. 443), Cipride infatti non è sostenibile quando si avventa con tutta la forza.


Dioniso rincara la dose: tu stesso sei stato colpito (aujto;ς ejplhvghς) da quello che hai creato per delle altre.

Euripide domanda: “che male fanno alla città le mie Stenebee?


La storia di Stenebea è simile a quella di Fedra innamorata fi Ippolito e a quella della moglie di Putifarre che si innamorò di Giuseppe.

 

Stenebea si innamorò  di Bellerofonte, ospite del marito Preto re di Argo

 Venne rifiutata e per vendicarsi accusò Bellerofonte di aver cercato di sedurla, quindi convinse Preto a ucciderlo. Le leggi greche dell'ospitalità impedivano però di ammazzare un commensale, quindi Preto inviò Bellerofonte da Iobate, con il compito di consegnargli una lettera (che ne richiedeva, in realtà, l'uccisione).

Anche Iobate però ospitò Bellerofonte e sempre per osservanza delle leggi, non se la sentì di assassinarlo direttamente, così preferì chiedere al giovane di uccidere la Chimera, un mostro dalla testa di leone, il corpo di caprone e la coda di serpente che sputava fiamme[4].

Bellerofonte uccise questo mostro e la uccide tempestandola di frecce mentre la sorvola con il suo cavallo alato, Pegaso nato dal sangue di Medusa,

In seguito gli venne chiesto di affrontare ulteriori prove estreme, come combattere contro il violento popolo dei Solimi, di uccidere le Amazzoni e altre imprese difficili per chiunque.

Dopo che il giovane le ebbe superate tutte, Iobate riconobbe la protezione divina di cui godeva Bellerofonte e gli diede in sposa una delle sue figlie.

 

Questa storia si trova nell’Iliade  e dà una testimonianza sui primordi della scrittura.

Nel VI canto dell'Iliade   leggiamo che Preto re di Argo si infuriò, aizzato dalla moglie Antea (nome alternativo a Stenebea)  che era bramosa di unirsi in amore furtivo con Bellerofonte e, respinta da lui, lo aveva accusato di averla tentata. Preto non osò uccidere direttamente l’ospite e lo mandò in Licia dal suocero suo Iobate  con segni funesti ("shvmata lugrav", v. 168) dopo avere scritto su una tavoletta piegata molti segnali di morte ("gravya" ejn pivnaki ptuktw'/ qumofqovra pollav", v. 169). Questa storia che fa parte dell'episodio di Glauco e Diomede "potrebbe già echeggiare il recuperato uso della scrittura alfabetica fenicia o, visto il destinatario dell'episodio narrato, fondarsi sulla consapevolezza della diffusione della scrittura in Asia Minore, seppur di lettere si tratta e non di segni convenzionali" .

Vediamo come finisce la storia di Bellerofonte, poi torniamo a parlare della scrittura. Il giovane, insidiato e calunniato da Antea, fu mandato dal re licio Iobate a combattere la Chimera invincibile (leone davanti, dietro serpente, capra nel mezzo), quindi i Solimi, poi la Amazzoni, e infine dovette lottare contro i  guerrieri di Licia che avevano ricevuto l'ordine di tendergli un agguato. Egli superò tutte le prove, e il re gli diede in sposa la figlia Filonoe. Essi generarono Isandro, Laodamia e Ippoloco da cui nacque Glauco che racconta la storia .                   

Il problema sta "nel significato da attribuire a shvmata lugrav... Già gli scoli erano divisi sul valore da assegnare a shvmata, intendendo taluni il termine come ei[dwla (figure), altri invece come gravmmata (lettere alfabetiche). E' difficile sottrarsi all'impressione che questo passo alluda alla scrittura, contenendo anche un riferimento al materiale scrittorio (pivnax). Ma solo se si potesse dimostrare che questi "segni" vanno identificati con una scrittura alfabetica il passo assumerebbe un'importanza decisiva, in quanto testimonierebbe la conoscenza di quella rivoluzionaria scoperta avvenuta in Grecia nel corso dell'VIII secolo. Ma questa supposizione non è chiaramente dimostrabile; altrettanto infondato appare qualsiasi tentativo di identificare nei shvmata altri tipi di scrittura, quali il geroglifico ittita o il lineare B. Quanto sembra certo, è che l'episodio di Bellerofonte conosce la pratica della scrittura. Quale sarà allora il valore da assegnare a questa testimonianza? E' verosimile supporre che il motivo della lettera fosse parte integrante di un racconto mitico giunto a Omero già strutturato nei suoi elementi e da lui soltanto rielaborato e adattato al contesto dell'Iliade . L'ipotesi dell'origine orientale della storia appare come la più probabile, e non tanto per il fatto di essere ambientata in Licia. La lotta con il mostro è un tipo di combattimento attestato in Oriente già a partire dal III millennio; l'esempio più famoso è contenuto nell'Enuma elish  babilonese. La chimera, mostro triforme, sembra ispirato a prototipi orientali. La storia di Bellerofonte contiene inoltre due motivi folclorici, quelli della "moglie di Putifarre" (Thompson, Motif-Index , k 2111) e della "lettera di Uria" (k 978) di chiara provenienza orientale: li ritroviamo infatti in Genesi , 39 7-20 (storia di Giacobbe  e Putifarre ) e in II Samuele , 11 (storia di Golia e Uria ). Se l'ipotesi che la storia di Bellerofonte sia giunta a Omero dall'Oriente e che la lettera fosse costitutiva del mito è fondata, il valore di testimonianza del passo sulla scrittura appare ridimensionato".

 

 Thomas Mann riprende e ri-racconta la storia della moglie di Potifar innamorata di Giuseppe, figlio di Giacobbe.

La chiama Mut. Era una bambina quando i genitori la consacrarono alla corte, non diversamente da quanto fecero il padre e la madre di Potifar con il loro figliolo.

Leggiamo alcune parole del romanzo davvero epico Giuseppe e i suoi fratelli: “Ella era spensierata, allegra, limpida, libera. Era come un fiore acquatico, che galleggiando sullo specchio delle acque sorride ai baci del sole, ignaro che il suo lungo stelo ha radici nell’oscuro fango della profondità. Allora non vi era ancora traccia del contrasto tra i suoi occhi e la sua bocca; fra loro regnava anzi un’armonia puerilmente anodina, perché il suo ardito sguardo di fanciulletta non aveva ancora preso quell’espressione di severità che l’abbuiava, e la speciale conformazione della bocca serpentina, dagli angoli profondamente incisi, era appena accennata. La contaminazione del limpido rapporto tra occhi e bocca si produsse a poco a poco nel corso degli anni, quando entrò a far parte dell’Ordine delle consacrate alla luna e divenne sposa particolare del camerlengo del Sole, segno evidente che la bocca è un organo e uno strumento più legato e più affine alle potenze infere che non l’occhio” (p. 413, terzo volume, Giuseppe in Egitto, capitolo VI, La toccata)

E più avanti: “Una dama elegante dalla vita consacrata era Mut-em-enet, una casta sacerdotessa della luna, mondanamente fredda, le cui forze vitali venivano in parte consumate da una civiltà piena di esigenze e in parte erano, per così dire, beni del tempio (…) Così  ella era vissuta come la prima e giusta moglie di Potifar , curata allo spasimo, portata in palma di mano, rafforzata nel compiacimento di sé dalla venerazione di coloro che l’attorniavano e si prostravano ad ogni suo passo, non sfiorata nemmeno in sogno dai desideri di quella sfera che rivelava la sua bocca serpentina” (422).

La donna quindi fu presa dal panico e dalla vergogna “non solo al primo risveglio, ma subito, già nel sogno stesso, quando per la prima volta di notte sognò di Giuseppe”.

“L’inerte marito” p. 475 il camerlengo del sole era castrato e non poteva aiutarla.

 

Torniamo alle Rane dove Eschilo lancia questa accusa a Euripide: “hai spinto donne oneste mogli di onesti a bere la cicuta kwvneia pivnein (1051), tanto erano svergognate  dai tuoi Bellerofonti.

 Euripide allora pone una domanda retorica facendo appello al proprio realismo: forse non è vera questa storia di Fedra che ho drammatizzato?  (1052).

 

Bologna 25 settembre 2021 ore 18, 36

giovanni ghiselli

 

 

p. s.

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