Eschilo
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Il Coro canta dicendo che Eschilo ejribremevtaς (814) altitonante (come Zeus in Iliade XIII, 624) avrà una tremenda ira dentro di sé quando vedrà il dente dall’acuta parola del rivale che sempre aguzza (814-816).
Traduco e tradurrò ogni parola rendendo il greco, quando è affaticato, in un italiano faticoso. L’autore infatti a parer mio va rispettato anche quando scrive meno bene.
Alllora Eschilo spinto da furore tremendo - maniva" ujpo; deinh`" - stravolgerà gli occhi (816-817).
I due autori sono caratterizzati l’uno quale un sottile ragionatore di tipo sofistico (e socratico) come ripeterà Nietzsche, l’altro invece in preda a quella mania che può essere più saggia della saggezza del mondo come scriverà Platone.
Ci saranno neivkh conflitti di parole dalla criniera equina ondeggiante sugli elmi- quelle di Eschilo- e audacie fatte di sottigliezze e cesellamenti di parole – secondo lo stile di Euripide.
Nietzsche sostiene che in Euripide il pensiero filosofico sovrasta l’arte che con lui si abbarbica al tronco della dialettica.
La tendenza apollinea si chiude nell’involucro di uno schematismo logico, mentre l’autore traduce il dionisiaco in una passione naturalistica.
Socrate, l’eroe dialettico del dialogo platonico ricorda la natura affine dell’eroe euripideo che deve difendere le sue azioni con ragioni e controragioni e che per questo rischia di non suscitare più la nostra compassione tragica (La nascita della tragedia, capitolo XIV ). Nella natura della dialettica trionfa l’elemento ottimistico che entrato nella tragedia le fa compiere il salto mortale nel dramma borghese.
Basta pensare alle massime socratiche: la virtù è il sapere, si pecca solo per ignoranza, il virtuoso è felice. In queste forme di ottimismo sta la morte della tragedia.
In tale situazione, il coro appare come qualcosa di fortuito di cui si può fare a meno. Mentre il coro deve essere causa della tragedia.
Il personaggio Euripide delle Rane più avanti si ascrive a merito di avere liberato l’arte tragica dalla sua pomposa corpulenza.
Dice al personaggio Eschilo di avere ricevuto da lui th;n tevcnhn l’arte tragica oijdou`san gonfiata dalle vanterie e da parole pesanti (uJpo; kompasmavtwn kai; rJhmavtwn ejpacqw`n, 940) e di averla snellita e di averle tolto il peso (i[scnana me;n prwvtiston aujth;n kai; to; bavro~ ajfei`lon, 941) con parolette e discussioni (ejpullivoi~ kai; peripavtoi~, 941)
Inoltre Euripide si vanta di avere insegnato alla gente a chiacchierare (lalei`n ejdivdaxa, 954) poi rivendica l’introduzione di regole sottili leptw`n te kanovnwn eijsbolav~ e la rifinitura di parole (ejpw`n te gwniasmouv~. 956), poi ha insegnato a pensare (noei`n), vedere (oJra`n) capire (xunivenai) meditare (strevfein) amare (ejra`n), ordire (tevcnazein), sospettare male (kavc j uJpotopei`sqai), considerare tutto (perinoei`n a[panta) 957-958
Insomma, continua Euripide, portavo sulla scena cose di casa (oijkei`a pravgmat j , quelle che usiamo oi|~ crwvmeq j, 959).
Cicerone attribuisce a Socrate questo tupo di naturalismo
Cicerone nelle Tusculanae Disputationes scrive che ab antiqua philosophia numeri motusque tractabantur, e l’origine e la dissoluzione delle cose e grandezze, distanze, orbite delle stelle et cuncta caelestia, tutti i fenomeni celesti. Insomma si occupava dei massimi sistemi. Questo usque ad Socratem.
Socrates autem primus philosophiam devocavit e caelo et in urbibus collocavit et in domus etiam introduxit et coegit de vita et moribus rebusque bonis et malis quaerere (V, 4, 10).
Torniamo a Nietzsche
Euripide in vita non ebbe successo, diversamente da Eschilo e soprattutto da Sofocle.
Il drammaturgo più giovane non rispettò il pubblico ateniese, a parte due spettatori quali giudici competenti e maestri di tutta la sua arte.
Uno di questi due era Socrate, l’altro Euripide stesso, Euripide quale pensatore , non come poeta. Egli come critico trovava in ogni verso di Eschilo qualcosa di incommensurabile, una infinità dello sfondo. Le figure avevano dietro di sé come una coda di cometa. Nel linguaggio eschilèo egli trovava troppa pompa per situazioni semplici, troppe metafore e forzature rispetto alla naturalezza dei caratteri. Da spettatore confessò a se stesso di non capire i suoi grandi predecessori. Guardandosi intorno Euripide vide l’altro spettatore che non capiva la tragedia, Socrate, e in lega con costui iniziò l’immane opera contro l’arte di Eschilo e Sofocle (Nietzsche, La nascita della tragedia capitolo XI) .
Ora riprendiamo la critica del coro dal verso 820 delle Rane
Euripide dunque dovrà rintuzzare le parole a cavallo - r;hvmaq j ijppobavmona - 821- dell’artista ingegnoso che drizzatosi nel pelo della criniera irsuta sul collo villoso, terribilmente aggrottando il sopracciglio e ruggendo brucwvmenoς scaglierà (h{sei -i{hmi) parole rJhvmata gomfopagh' connesse con cavicchi svellendole come tavole con il suo soffio tellurico, boracifero ghgenei' fushvmati. (825)
Una parola da maschio guerriero dunque.
Nello scritto L'arte e la rivoluzione (1849), Wagner definisce il dramma " arte complessiva dove l'elemento maschile e intellettuale, la parola, feconda quello femminile, la musica che ha la risonanza dei tempi primordiali".
Dall’altra parte c’è la lingua affilata - livsph glw`ss j 826) artefice e inquisitrice di parole, scorrevole nel rimuovere gli invidiosi freni. Essa sminuzzerà (kataleptologhvsei, leptovς, sottile) le parole grosse, fatica grande di polmoni pleumovnwn polu;n povnon (826- 829)
La pesante pompa linguistica di Eschilo dunque contrapposta al naturalismo di Euripide che sarebbe un cincischiatore di concettuzzi e un tessitore di sofismi.
Mi vengono in mente le sottigliezze di Aldo Moro.
Non trovo invece alcuna corrispondenza per Eschilo. Per il tuonare potrei dire Mussolini o altri personaggi dello stesso tipo ma costoro sono troppo rozzi per essere assimilati a Eschilo.
Grossolani fino al ridicolo come il popolo che li omaggia con adunate oceaniche e ovazioni entusiastiche.
Pesaro 21 settembre 2021 ore 11, 06
giovanni ghiselli
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